Giuseppe Pelosi: differenze tra le versioni

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Voce principale: Pier Paolo Pasolini.
Omicidio di Pier Paolo Pasolini
omicidio
TipoPestaggio e investimento con automobile
Data1º novembre 1975
22:30 circa
LuogoIdroscalo, Ostia
StatoBandiera dell'Italia Italia
Armacorpo contundente, auto
ObiettivoPier Paolo Pasolini
ResponsabiliPino Pelosi
Conseguenze
Morti1

L'omicidio di Pier Paolo Pasolini è stato un delitto avvenuto a Roma nella frazione di Ostia, la sera del 1° novembre 1975.

Storia

Antefatti

Pino Pelosi nel 1975

Il 1º novembre 1975, intorno alle ore 22:30, Giuseppe Pelosi detto Pino (Roma, 28 giugno 1958Roma, 20 luglio 2017), 17 anni, si trova di fronte alla stazione Termini in Piazza dei Cinquecento. Il ragazzo viveva nella frazione di Setteville di Guidonia Montecelio, non lontano da Roma, ed era conosciuto come Pelosino per via dell'aspetto imberbe. Ha frequentato la scuola fino alla 2ª media; all'epoca del processo per l'omicidio di Pasolini era noto alla Polizia come "un ragazzo di vita", cioè dedito a espedienti, piccoli furti[1] e prostituzione maschile.[2]

Pelosi era in compagnia di tre amici più grandi di lui: Salvatore Deidda[3], 19 anni, ferraiolo, Claudio Seminara, 19 anni, lucidatore, e Adolfo De Stefanis, 19 anni, operaio alla Breda BHB, soprannominato "lo sburracchione" a causa dell'acne.[4][5] Nelle prime deposizioni rese, Pelosi dichiarerà falsamente di non ricordarsi i cognomi dei suoi amici per non coinvolgerli.[4] Il gruppo di ragazzi si reca presso il bar-tabaccheria Dei (noto anche come Gambrinus) all'angolo di Piazza della Repubblica, dove Pelosi entra con uno degli amici a consumare un ; uscendo dal bar, nota un gruppo di persone a lui note, insieme ad un altro dei suoi amici, che conversa con un uomo seduto a bordo[4] di un'Alfa Romeo Giulia 2000 GT Veloce[6][7] grigio metallizzata, targata ROMA K69996: si tratta del cinquantatreenne Pier Paolo Pasolini.

Lo scrittore invita Adolfo a salire sull'auto per "fare un giretto", ma Adolfo rifiuta, quindi Pasolini si rivolge a Pino, che accetta. Alle ore 23:00 Pasolini porta Pelosi alla trattoria Al biondo Tevere (nei pressi della basilica di San Paolo),[8] dove gli offre una cena composta da un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino e da un petto di pollo, in quanto il giovane avrebbe riferito allo scrittore di essere affamato. Mentre Pelosi mangia, Pasolini sorseggia una birra. I due parlano in modo fitto, ma con tono tranquillo. Alle 23:40 Pasolini e Pelosi lasciano la trattoria e si recano a Ostia, nei pressi dell'Idroscalo del Lido di Roma, in uno sterrato accanto a un campetto di calcio, fermandosi durante il tragitto a fare benzina presso un distributore self service.[9]

L'omicidio

La tragedia, secondo la sentenza, scaturì a seguito di una lite per alcune pretese sessuali di Pasolini che Pelosi non voleva soddisfare, degenerata in un alterco fuori dalla vettura. Il giovane sarebbe stato quindi colpito dallo scrittore con un bastone, del quale poi si sarebbe impadronito per percuotere Pasolini fino a farlo stramazzare al suolo, gravemente ferito ma ancora vivo.[10] Pelosi quindi sarebbe salito a bordo dell'auto di Pasolini e avrebbe travolto più volte con le ruote il corpo, sfondandogli la gabbia toracica e provocandone la morte. Gli abiti di Pelosi non mostrarono tracce di sangue.[11]

L'arresto

Poco meno di due ore dopo, alle 1:30 del 2 novembre 1975, il giovane viene fermato da una pattuglia dei Carabinieri sul Lungomare Duilio di Ostia mentre sta guidando l'auto di Pasolini contromano a folle velocità.[12]

Inizialmente accusato solo di furto d'auto, al primo interrogatorio Pelosi confessa di aver rubato la vettura nei dintorni del cinema Argo, nel quartiere Tiburtino, ma più che dell'accusa di furto sembra preoccupato che venga ritrovato all'interno dell'abitacolo un anello che sostiene di aver perso, un grosso anello con la scritta "United States Army".[9][13] I carabinieri cercano l'anello nell'auto, senza trovarlo: verrà successivamente rinvenuto a fianco del corpo di Pasolini. Ci sono però tutti i documenti da cui risulta che l'auto rubata è di proprietà dello scrittore. L'auto viene portata in un'autorimessa e i carabinieri sul sedile posteriore trovano un vecchio pullover verde consumato, assieme al giubbotto e al maglione di Pelosi[9] e ad un plantare per una scarpa destra numero 41.[9]

L'interrogatorio e la confessione

Pelosi viene trasferito nel carcere minorile di Casal del Marmo, dove al compagno di cella confessa: "Ho ammazzato Pasolini".[9] Pelosi, nel verbale redatto a mano dai carabinieri che l'hanno fermato quella sera, afferma che l'anello perduto glielo avrebbe donato un certo Johnny. "Johnny lo Zingaro" è il soprannome di un criminale di nome Giuseppe Mastini, reo confesso di un altro delitto commesso nello stesso periodo a Roma ed internato nel carcere minorile di Casal del Marmo, di cui però Pelosi nega di essere amico.[13]

Il 5 novembre 1975 Pelosi viene interrogato, descrivendo come sarebbe stato "agganciato" da Pasolini alla Stazione Termini e di come all'Idroscalo il loro incontro sarebbe degenerato. Sarebbe sorto un duro alterco per via di una prestazione sessuale desiderata da Pasolini e che Pelosi non intendeva concedergli, sfociato in una feroce colluttazione. Pelosi sostiene anche che lo scrittore l'avrebbe colpito per primo con un bastone, e che lui si sarebbe difeso colpendolo a sua volta con una tavola di legno (un'insegna che indica scritta a mano il nome della via, "via dell'Idroscalo n.93") e poi, lasciatolo a terra, sarebbe fuggito con l'auto. La morte di Pasolini sarebbe dunque stata involontaria in quanto provocata dal fatto che l'Alfa ha investito il poeta durante la fuga di Pelosi, schiacciandogli il torace e rompendogli il cuore. Pelosi sostiene anche che non vi fossero altre persone sul luogo del delitto.[12]

Il processo e la condanna

Il 10 dicembre 1975 Pelosi fu rinviato a giudizio al tribunale dei minori per omicidio volontario, furto d'auto e atti osceni in luogo pubblico.[9] Il processo a Pelosi imputato di «omicidio nella persona di Pier Paolo Pasolini» si apre il 2 febbraio 1976 al Tribunale per i minorenni di Roma.[9][14] La famiglia Pasolini si costituì parte civile difesa dagli avvocati Guido Calvi e Nino Marazzita.[9] Il giudice Carlo Alfredo Moro (fratello di Aldo Moro) respinse la perizia del Professor Aldo Semerari (criminologo legato agli ambienti della destra eversiva) che giudicava Pelosi incapace di intendere e di volere, avanzata dalla difesa del ragazzo.[9]

Al processo che si concluse il 26 aprile 1976, il pubblico ministero Giuseppe Santarsiero chiese una condanna a 10 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione. La corte decise di condannare Pelosi a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni e a 30.000 lire di multa per atti osceni, furto aggravato e «omicidio volontario in concorso con ignoti».[9] Più precisamente Moro scrisse: «Ritiene il collegio che dagli atti emerga in modo imponente la prova che quella notte all'Idroscalo il Pelosi non era solo».[9] Il giovane omicida era reo confesso, ma per omicidio colposo.[9]

Il processo di appello richiesto dall'imputato e dal procuratore generale fu celebrato dall'1 al 4 dicembre 1976 dalla sezione per i minorenni della Corte di Appello di Roma e vide Pelosi assolto dai reati di atti osceni e furto, ma venne confermata la condanna di omicidio.[9][15] Riesaminati tutti gli elementi però la Corte ritenne «estremamente improbabile, per tutte le cose dette, che Pelosi possa avere avuto uno o più complici».[9] Un omicidio esito di una classica lite tra omosessuali e prostituti.[9]

La sentenza divenne definitiva per volontà della Corte di Cassazione il 26 aprile 1979 che confermò la sentenza.[9] Internato a Civitavecchia, Pelosi il 26 novembre 1982 otterrà la semilibertà e il 18 luglio 1983 la libertà condizionata.

L'11 gennaio 1984 viene arrestato nuovamente, con l'accusa di aver rapinato un furgone postale nel luglio precedente, ma sei mesi dopo verrà assolto per insufficienza di prove. Nell'agosto 1984 viene sorpreso a svaligiare un appartamento, mentre il 7 dicembre 1985 viene nuovamente arrestato con altri per tentata rapina. Continuerà a delinquere fino ad una rapina commessa il 1º settembre 2000.

Le varie ritrattazioni della confessione

Nel 1995, dopo vent'anni di silenzio, pubblicò l'autobiografia Io, angelo nero, per la casa editrice Sinnos con prefazioni dello psicologo giuridico che lo seguì in carcere Gaetano De Leo e di Dacia Maraini: Pelosi sostanzialmente continua con minime differenze a sostenere la versione del 1995 di non aver mai visto Pasolini prima di quella sera e di essere stato l'unico responsabile dell'omicidio avendo agito in un momento di panico[16]. Dieci anni dopo ancora, tornerà a far parlare di sé ritrattando più volte e in modo contraddittorio la propria versione dei fatti riguardo alla notte della morte dello scrittore.[17]

Il 7 maggio 2005 Pelosi affermò nella trasmissione televisiva della Rai Ombre sul giallo, in contraddizione con la sua confessione in fase processuale, di non aver partecipato di persona all'aggressione di Pasolini, ma che questa fu effettuata da tre persone, a lui sconosciute, che parlavano con accento siciliano e che si sarebbero accanite con bastoni e catene contro il poeta, dopo averlo malmenato e terrorizzato tanto da impedirgli di prestare soccorso al Pasolini. L'avvocato Marazzita, presente alla trasmissione, chiederà poi formalmente la riapertura del caso alla Procura di Roma come "atto dovuto", ma il caso riaperto verrà subito riarchiviato perché si scoprirà che Pelosi fu pagato per andare alla trasmissione.[14]

Nel settembre 2011, nella sua seconda autobiografia, Io so... come hanno ucciso Pasolini: Storia di un'amicizia e di un omicidio, Pelosi racconta di non aver incontrato per la prima volta Pasolini la sera del 1º novembre 1975 in Piazza dei Cinquecento, ma ammette di aver conosciuto il poeta all'inizio dell'estate e di averlo frequentato con una certa assiduità. Pino nel libro parla in termini completamente diversi di Pier Paolo Pasolini, nelle sue descrizioni Paolo non è più quella belva feroce affamata di sesso che lo voleva picchiare, sodomizzare e forse uccidere, ma lo definisce "un galantuomo".[14]

A giustificazione della sua reticenza e dell'essersi accollato la responsabilità dell'omicidio, Pelosi affermò di essere stato minacciato di morte assieme ai suoi genitori da parte di uno degli aggressori, e di aver pertanto atteso fino alla morte per cause naturali di questi ultimi, per poter iniziare a parlare.

Nella nuova versione infatti, Pelosi parla di due giovani "dall'accento siciliano", indicazione che con altre sembra collimare con le prime ipotesi degli inquirenti, i quali attribuivano complicità nel delitto ai fratelli Franco e Giuseppe Borsellino, di 13 e 15 anni,[4] detti "bracioletta" e "braciola",[9] criminali comuni catanesi[18] del Tiburtino[9] e noti nel mondo della malavita, militanti nel MSI e caratterizzati da simpatie politiche di estrema destra,[14][18] dediti al traffico di stupefacenti, tossicomani e morti di AIDS negli anni novanta.[19] Effettivamente il 14 febbraio 1976 i giovani furono arrestati su indicazione del maresciallo Renzo Sansone, sotto copertura tra una compagnia di delinquenti di Casal Bruciato, al quale Giuseppe confidò di aver partecipato al delitto Pasolini con il fratello.[9][14] Tuttavia, una volta al commissariato entrambi negarono ogni addebito, sostenendo di aver inventato il tutto per conquistarsi una reputazione "da duri".[14][20] Così, la loro confessione non entrò nel processo. Se così fosse, non si spiegherebbe perché confidarono a Sansone anche di avere molta refurtiva in casa, che fu poi effettivamente trovata. A far sì che i fratelli Borsellino fossero scarcerati fu il vice procuratore Guido Guasco che coì facendo tolse ogni dubbio o sospetto sulla presenza di altre persone sul luogo del delitto lo stesso che poi impugnò la sentenza di appello e cassazione facendo togliere la dicitura “in concorso con ignoti” con una forzatura anomala e sospettosa di far apparire l’omicidio casuale e per mano di una sola persona. [4]

A seguito di un nuovo arresto per spaccio di droga nel 2005, Pelosi è stato affidato ai servizi sociali e ha svolto il lavoro di netturbino per il comune di Roma. In un'intervista rilasciata al blog di Beppe Grillo nel giugno 2009, Pelosi afferma l'estraneità ai fatti del delitto Pasolini di colui che è stato più volte sospettato come quarto uomo in tale circostanza, il criminale ergastolano Giuseppe Mastini, noto alla cronaca come "Johnny lo Zingaro", che fu suo amico e compagno di prigione nel 1976[21]. Mastini era uscito dal carcere il giorno prima del delitto e non esistono prove che, per quanto leggermente claudicante, portasse anche un plantare, sul quale non è stato, ad ogni modo, trovato il suo DNA[senza fonte]. Pelosi sostenne nella prima deposizione (1975/1) che l'anello ritrovato fosse di sua proprietà e di averlo acquistato da un assistente di volo dell'Alitalia[22] che lo aveva precedentemente comprato negli Stati Uniti.[23]

Pelosi è tornato libero dopo l'estinzione della pena il 23 settembre 2009.

Una nuova inchiesta della magistratura romana sul delitto Pasolini, durata dal 2010 al 2015, si è conclusa con la richiesta di archiviazione da parte della Procura della Repubblica in quanto i nuovi reperti biologici esaminati non consentivano l'identificazione di altre persone e non potevano essere univocamente collegati all'evento delittuoso.[4]

Nel 2016 è stata avanzata una nuova richiesta di riapertura delle indagini.[24][25]

La morte di Pelosi

Affetto da un tumore alla vescica, nel 2016 Pelosi è stato sottoposto a un intervento chirurgico. Il tumore si è poi esteso ai polmoni, portandolo alla morte il 20 luglio 2017 all'età di 59 anni presso il Policlinico "Gemelli" di Roma.[26][27]

Opinione pubblica

Sostenitori del complotto

Due settimane dopo il delitto apparve un'inchiesta su L'Europeo con un articolo di Oriana Fallaci,[28] che ipotizzava una premeditazione e il concorso di almeno altre due persone.[29] Un giornalista de L'Europeo ebbe alcuni colloqui con un ragazzo che, tra molte esitazioni e alcuni momenti di isteria, avrebbe dichiarato di aver fatto parte del gruppo che aveva massacrato il poeta; il giovane, tuttavia, dopo un'iniziale collaborazione, avrebbe rifiutato di proseguire oltre o fornire altre informazioni, dileguandosi dopo aver lasciato intendere di rischiare la vita confessando la propria partecipazione e concludendo che non sarebbe stata intenzione del gruppo uccidere il poeta, ma che si sarebbe trattato di una rapina degenerata, concludendo je volevamo solà er portafoglio ("volevamo rubargli il portafoglio")[30].

Diversi abitanti delle numerose abitazioni abusive esistenti in via dell'Idroscalo confidarono in seguito alla stampa di aver sentito urla concitate e rumori - indizio della presenza di ben più di due persone sul posto - e invocazioni disperate di aiuto da parte di Pasolini la notte del delitto, ma senza che alcuno fosse intervenuto in suo soccorso. Sembra che la zona non fosse ignota a Pasolini, che già varie volte vi si era recato con altri partner e addirittura, stando a quanto la Fallaci affermò, avrebbe talvolta affittato per qualche ora una delle abitazioni del posto per trascorrervi momenti di intimità[30].

Funerali di Pasolini, 5 novembre 1975. Accanto al feretro, Franco Citti; sullo sfondo, Enrico Berlinguer.

Nella sua biografia su Pasolini Enzo Siciliano sostiene che il racconto di Pelosi presentava delle falle, perché il bastone di legno - in realtà, una tavoletta di legno utilizzata precariamente per indicare il numero civico e l'abitazione di una delle baracche - a lui sembrava marcita per l'umidità e troppo deteriorata per costituire l'arma contundente che aveva causato le gravissime ferite riscontrate sul cadavere del poeta e rimarcando l'impossibilità, per un giovane minuto come Pelosi, di sopraffare un uomo agile e forte come Pasolini senza presentare né tracce della presunta lotta, né macchie di sangue sulla sua persona o sugli indumenti[31].

Il film Pasolini, un delitto italiano, di Marco Tullio Giordana, uscito nel ventennale del delitto, è sceneggiato come un'inchiesta e arriva alla conclusione che Pelosi non fosse solo. Lo stesso Giordana però ha precisato, in un'intervista al Corriere della Sera, che non intendeva sostenere a tutti i costi la matrice politica nel delitto. Ha dichiarato inoltre di non escludere altre possibilità, per esempio quella di un incontro omosessuale di gruppo degenerato in violenza.[32][33]

Pelosi, dopo aver mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza per trent'anni, fino al maggio 2005, a sorpresa, nel corso di un'intervista televisiva a Ombre sul giallo, di Franca Leosini,[34] ha affermato di non essere l'esecutore materiale dell'uccisione di Pier Paolo Pasolini e ha dichiarato che l'omicidio era stato commesso da altre tre persone, giunte su un'autovettura targata Catania, che a suo dire parlavano con accento "calabrese o siciliano" e, durante il massacro, avrebbero ripetutamente inveito contro il poeta gridandogli jarrusu (termine gergale siciliano, utilizzato in senso dispregiativo nei confronti degli omosessuali). E, infatti, era giunta a suo tempo alle autorità una lettera anonima in cui si affermava che, la sera della morte di Pasolini, la sua auto era stata seguita da una Fiat 1300 targata CT di cui erano indicate le prime quattro cifre, ma nessuno si preoccupò mai di effettuare una verifica presso il Pubblico registro automobilistico. Pelosi ha poi fatto i nomi dei suoi presunti complici solo in un'intervista del 12 settembre 2008, pubblicata sul saggio d'inchiesta di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza "Profondo Nero" (Chiarelettere 2009). Ha aggiunto inoltre di aver celato questa rivelazione per timore di mettere a rischio l'incolumità della propria famiglia, ma di sentirsi adesso libero di parlare, dopo la morte dei genitori.[35][36]

A trent'anni dalla morte, assieme alla ritrattazione di Pelosi, è emersa la testimonianza di Sergio Citti, amico e collega di Pasolini, su una sparizione di copie dell'ultimo film Salò e su un eventuale incontro con dei malavitosi per trattare la restituzione. Sergio Citti morì per cause naturali alcune settimane dopo.[37][38]

Pier Paolo Pasolini tra Ferdinando Adornato e Walter Veltroni alla manifestazione in sostegno del movimento antifranchista davanti all'Ambasciata di Spagna a Piazza di Spagna a Roma il 24 settembre 1975[39]

Un'ipotesi molto più inquietante lo collega invece alla "lotta di potere" che prendeva forma in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si interessò al ruolo svolto da Cefis nella storia e nella politica italiana: facendone uno dei due personaggi "chiave", assieme a Mattei, di Petrolio, il romanzo-inchiesta (uscito postumo nel 1992) al quale stava lavorando poco prima della morte. Pasolini ipotizzò, basandosi su varie fonti, che Cefis alias Troya (l'alias romanzesco di Petrolio) avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. Secondo autori recenti[40] fu proprio per questa indagine che Pasolini fu ucciso.[41]

Una relazione della Commissione Parlamentare Antimafia della XVIII legislatura, pur riconoscendo che "appaiono ormai del tutto improbabili soluzioni di carattere giudiziario” sostiene l’ipotesi, senza però presentare prove, che “l'omicidio di Pier Paolo Pasolini potrebbe essere legato al furto delle pellicole originali di alcune scene del suo film 'Salò e le 120 giornate di Sodoma', che era ancora in produzione: lo scrittore-regista sarebbe andato all'Idroscalo di Ostia, dove poi è stato ucciso, proprio per riuscire a recuperarle".[42]

Altri collegano la morte di Pasolini alle sue accuse a importanti politici di governo di collusione con le stragi della strategia della tensione.[43] Walter Veltroni il 22 marzo 2010 ha scritto al Ministro della Giustizia Angelino Alfano una lettera aperta, pubblicata sul Corriere della Sera, chiedendogli la riapertura del caso, sottolineando che Pasolini è morto negli anni settanta, "anni cui si facevano stragi e si ordivano trame".[44] Nel 2010 l'avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno ricordato che i proprietari della trattoria Biondo Tevere, di cui Pasolini era cliente abituale, furono sentiti pochissime ore dopo l'identificazione del corpo ed entrambi descrissero il giovane con cui Pasolini s'era presentato la sera del delitto come alto almeno 1,70 e forse di più, con capelli lunghi e biondi, pettinati all'indietro, ovvero completamente diverso da Pelosi, che era poco più di 1,60 m, tarchiato e con folti capelli neri e ricci, secondo la moda dell'epoca[45]. Hanno anche raccolto la dichiarazione di un nuovo testimone, cosa che ha aperto ulteriori indagini[46].

Le nuove indagini sono state infine definitivamente archiviate all'inizio del 2015 perché non hanno portato a nulla di nuovo rispetto alla sentenza, se non ad alcune tracce di DNA sui vestiti dello scrittore di difficile attribuzione e impossibili da collocare temporalmente, se durante il delitto o nei giorni precedenti.[47][48]

Sostenitori della sentenza

«Il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. È facile, è semplice, è la resistenza.»

Molti intellettuali sostengono la verità giudiziaria, o comunque non credono a complotti. Si tratta di scrittori e amici di Pasolini che ritengono inattendibile, per molti motivi, la ritrattazione di Pelosi a distanza di trent'anni. In linea generale, sono gli stessi che rifiutano la lettura politica militante delle opere di Pasolini e l'immagine edulcorata del personaggio che porta a farne "un santo e un martire".[50] Essi privilegiano, invece, una chiave interpretativa dell'uomo e dell'opera legata alla sua particolare omosessualità, vissuta senza fermarsi di fronte a pratiche estreme e violente, anche con i minori.[33][50][51][52]

Sono le basi da cui partono Edoardo Sanguineti (che definisce il suo comportamento “suicidio per delega"), Franco Fortini e il curatore dell'opera omnia Walter Siti per sostenere che in generale la sua scrittura presenta un forte contenuto autobiografico e che in particolare alcune opere sono una sorta di autobiografia originata da una tendenza sadomasochista votata all'autodistruzione.[51][53][54]

Sono le stesse basi che utilizzano Nico Naldini, cugino di primo grado di Pasolini, anch'egli omosessuale, poeta e scrittore, nonché suo collaboratore in tutti i film, e Marco Belpoliti per dire che con le teorie del complotto si manifesta la resistenza della sinistra e di alcuni amici ad accettare la particolare omosessualità dello scrittore riducendola a una sorta di vizietto, una pratica privata di cui non si deve parlare, mentre costituisce la sostanza su cui egli ha fondato la propria opera e la propria critica della società.[55][56] Naldini, che definisce le teorie del complotto "bufale che si inseguono e che si divorano l'un l'altra",[57] e "delirio che continua da molti anni e non è ancora del tutto passato",[58] nel suo libro Breve vita di Pasolini, scrive che l'attrazione per quel tipo di ragazzi gli faceva perdere il senso del pericolo.[59] Un senso che avrebbe invece dovuto tenere ben presente, vista anche la sua costituzione fisica minuta (benché agile e forte, era alto 1,67 m e pesava 59 kg)[11] che lo portava a essere facile oggetto di lesioni, anche da parte di ragazzi.[52] Per diversi motivi, tra cui il fatto che lo scrittore, da tempo, aveva adottato il sadomasochismo, anche con rituali feticistici (le corde per farsi legare e così immobilizzato in una sorta di scena sacrificale farsi percuotere fino allo svenimento),[33] Naldini ritiene che abbiano ragione coloro che dicono che, suo cugino, in fondo, sia in parte autore del suo stesso destino.[57] La sua morte è spiegata dal fatto che viveva una vita violenta: per questo egli pensa che sia allo stesso tempo tragico e ridicolo volerlo trasformare in una specie di santo laico.[33]

Anche per il critico Giancarlo Vigorelli, scopritore di Pier Paolo Pasolini sin da quand'era un poeta adolescente, si tratta di omicidio omosessuale. Egli considerava Pasolini un uomo pieno di contraddizioni non tanto perché cercasse il sesso occasionale, ma per la violenza, "per il modo bestiale in cui si consumava durante nottate di violenza che non comprendevo. Fino alle sette di sera era una persona, dopo era tutt'altra... a me gelava il sangue quando lo vedevo il giorno dopo le sue avventure notturne pieno di graffi e lividi".[60]

La tomba di Pier Paolo Pasolini disegnata dall'architetto Gino Valle, a Casarsa della Delizia. La lapide a fianco è quella della madre Susanna, morta a 89 anni il 1º febbraio 1981. Il padre è sepolto in un'altra zona del cimitero.

Ferdinando Camon, la cui prefazione dei primi libri è stata scritta da Pasolini, afferma che lo scrittore è morto come ha rischiato tante volte di morire. Egli sostiene che le teorie del complotto rispondono al desiderio di alcuni amici di Pasolini di mondarlo dalla morte per omosessualità, vissuta anche comprando minorenni, per consegnarlo alla storia come morto per antifascismo.[61]

L'amico pittore Giuseppe Zigaina rievoca le circostanze della scomparsa di Pasolini in un suo saggio. Dal confronto con la simbologia presente in gran parte delle sue opere egli sostiene che Pasolini ha «progettato per quindici anni la sua morte».[62][63] Sulle stesse posizioni, contro le teorie del complotto, si trovano anche Guido Santato, studioso di Pasolini, e l'italianista Bruno Pischedda il quale aggiunge che queste teorie sono anche un tentativo di preservarne la statura di vate, un modo per custodire un'immagine mitica, consacrata, ponendola fuori e al di sopra di qualsiasi giudizio.[64] Anche se la tendenza a credere nelle teorie del complotto, secondo Pierluigi Battista, prescinde dalla storia personale dello scrittore, e deriva dal fatto che "i gialli sono sempre più avvincenti della piattezza delle trame realistiche".[65]

Un altro cronista che non ha mai creduto alla tesi del complotto neofascista è Massimo Fini: nel 2015, in occasione dei quarant'anni dell'omicidio, ricordò che quella teoria fu innescata da Oriana Fallaci (sua collega all'Europeo) dopo aver sfogliato alcune riviste dal parrucchiere e aver raccolto dei boatos in quel senso[66].

La morte di Pasolini per lo storico Federico Zeri può esser paragonata a quella di Caravaggio: "Secondo me c'è una forte affinità fra la fine di Pasolini e la fine di Caravaggio, perché in tutt'e due mi sembra che questa fine sia stata inventata, sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi".[67]

Filmografia

Programmi televisivi

  • Storie maledette. Ho ucciso Pasolini di Franca Leosini, regia di Piero Berengo Gardin (Rai 3, 1994).
  • Ombre sul giallo. Non sono io l’assassino di Pasolini di Franca Leosini, regia di Maurizio Amici (Rai 3, 2005).
  • Storie maledette. Pasolini, quel corpo senza pace di Franca Leosini, regia di Fabio Vannini (Rai 3, 2014).
  • Storie maledette. Delitto Pasolini. Nella tomba con Pelosi, il mistero di quei nomi di Franca Leosini, regia di Graziano Paiella (Rai 3, 2017).

Opere

  • Giuseppe Pelosi, Io, angelo nero, Roma, Sinnos, 1995. ISBN 88-86061-12-9.
  • Giuseppe Pelosi, Io so... come hanno ucciso Pasolini, in collaborazione con l'avvocato Alessandro Olivieri e il regista Federico Bruno, Roma, Vertigo, 2011. ISBN 978-88-6206-031-8.

Note

  1. ^ Roberta Dalessandro, Pierpaolo Pasolini, GOODmood, 21 luglio 2017, ISBN 9788871570693. URL consultato il 22 ottobre 2017.
  2. ^ Adriano Angelini, 101 cose da fare a Roma di notte almeno una volta nella vita, Newton Compton Editori, 10 settembre 2010, ISBN 9788854123236. URL consultato il 22 ottobre 2017.
  3. ^ Epoca, A. Mondadori, gennaio 1976. URL consultato il 22 ottobre 2017.
  4. ^ a b c d e f Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani, Accadde all'Idroscalo: L'ultima notte di Pier Paolo Pasolini, Sovera Edizioni, 14 novembre 2016, ISBN 9788866523604. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  5. ^ Omicidio Pier Paolo Pasolini: incontro a Stazione Termini con Pino Pelosi -, in Cronaca-Nera.it, 5 dicembre 2010. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  6. ^ Luca Steffenoni, I 50 delitti che hanno cambiato l'Italia, Newton Compton Editori, 1º dicembre 2016, ISBN 9788854187122. URL consultato il 22 ottobre 2017.
  7. ^ Matteo Collura, Eventi, Longanesi, 1º gennaio 1999, ISBN 9788830417182. URL consultato il 22 ottobre 2017.
  8. ^ Bellezza, p. 27.
  9. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s Giuseppe Lo Bianco, Sandro Rizza, Profondo nero, Milano, Chiarelettere, 2011, p. 322, ISBN 9788861901490.
  10. ^ Siciliano, p. 15.
  11. ^ a b Copia archiviata, su pasolini.net. URL consultato il 21 dicembre 2013 (archiviato dall'url originale il 3 novembre 2013).
  12. ^ a b Gianluca Maconi, Il delitto Pasolini, Edizioni BeccoGiallo, 23 dicembre 2011, ISBN 9788897555209. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  13. ^ a b Oriana Fallaci, Pasolini un uomo scomodo, Rizzoli, 22 ottobre 2015, ISBN 9788858679470. URL consultato il 23 ottobre 2017.
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    «Nota 25: Lo steward è un suo ex vicino di casa di via Diego Angeli 6, Aldo Chiovoloni, 27 anni, che non è però certo che l'anello sia quello. Diversi giornalisti hanno ipotizzato che l'anello gli fosse stato dato da Johnny Mastini, un suo amico [...], ma non esiste prova di questo.»
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Bibliografia

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