Coordinate: 45°59′34.59″N 9°09′53.18″E

Abbazia di San Benedetto in Val Perlana: differenze tra le versioni

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Versione delle 00:23, 6 giu 2020

Abbazia di San Benedetto in Val Perlana
La chiesa di san Benedetto
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneLombardia
LocalitàOssuccio
IndirizzoStrada per San Benedetto - 22010 Tremezzina
Coordinate45°59′34.59″N 9°09′53.18″E
ReligioneCattolica di rito romano

L’abbazia di S. Benedetto in Val Perlana, un tempo nota come S. Benedetto al monte Oltirone[1], è un’ex-complesso conventuale benedettino situato in mezzo ai boschi che sovrastano l’abitato di Ossuccio.

L'abbazia, che comprende una chiesa in stile romanico, un campanile e alcune strutture appartenenti a quello che era il monastero[2], è adagiata sul versante meridionale del monte Galbiga, a circa 800 m di altitudine, alla confluenza di due valli tributarie del torrente Perlana da cui prende il nome la valle[1].

Storia

La più antica menzione storica del monastero silvestre di San Benedetto in Val Perlana è contenuta nel diploma con cui, nel 1031, il vescovo di Como Litigerio sancì[3], nell'ottica di una promozione di nuove fondazioni religiose nella Pieve d'Isola e nei territori circostanti[2], l'istituzione della chiesa di Sant’Eufemia sull'Isola Comacina[3]. Se da un lato l'obiettivo del vescovo era quello di scongiurare un ritorno del paganesimo nella zona, l'edificazione di nuovi edifici religiosi avrebbe d'altro canto ribadito il diritto all'esazione di decime da parte della Diocesi di Como, che esercitava la propria influenza sul territorio già dal V secolo[3].

Fu così che, attorno alla metà del XI secolo, alcuni terreni di proprietà del monastero cittadino di San Carpoforo furono affidati ad alcuni monaci dell’ordine benedettino per la costruzione di un'abbazia che avrebbe dovuto esercitare la sua influenza anche su parte della vicina Val d'Intelvi[2].

Il complesso conventuale, oggi isolato, fu edificato in prossimità di una sorgente che permetteva di coltivare i terreni terrazzati sui fianchi dei monti e di garantire quindi un sostentamento. La posizione sopraelevata del convento rendeva possibile un controllo dei passaggi sulle vie lungo la costa[3].

Il primo documento che attesta l'esistenza della chiesa risale al 1083, mentre il monastero fu attivo nel 1090[2].

Nel XIII secolo l'abbazia aveva proprietà terriere sui laghi di Como e di Lugano e lungo il corso dell'Adda in Valtellina fino a Tirano.[2]

L'antica abbazia vista dall'alto

Ben presto, la posizione isolata e la vicinanza all'abbazia dell'Acquafredda di Lenno decretarono tuttavia il declino del convento benedettino[2]. Se infatti già nel corso del XIII secolo l’abate di San Benedetto aveva di fatto trasferito la propria sede a Sala Comacina, si assistette in seguito all'annessione alla vicina abbazia, situata in fondo alla mulattiera che dal monastero porta a Lenno[3].

Nel 1430 l’abate del monastero di Chiaravalle soppresse la dignità abbaziale del monastero di San Benedetto[1]. Poco più di tre secoli dopo, nel 1778 un decreto dell'imperatore Giuseppe II sancì definitivamente la fine dell'esperienza monastica nel luogo[2].

In seguito, il monastero e le strutture ad esso connesse (comprensivi di un edificio a tre piani annesso alla basilica, cuore della vita comunitaria dei monaci nel Medioevo, con la sala capitolare e perfino l’essiccatoio per le castagne) vennero via via impiegati a fini agricoli[3][2]. I corpi di fabbrica annessi vennero abbandonati e andarono parzialmente distrutti. Destino peggiore toccò al chiostro, di cui non rimase traccia[3]. La sala capitolare, un tempo affrescata, fu riadattata dai contadini a stalla per le capre fino alla metà del ‘900[3]. Nonostante alcune foto d’epoca conservate negli archivi della parrocchia di Lenno mostrano come fino agli inizi del ‘900 la chiesa di San Benedetto in Val Perlana fosse una meta di pellegrinaggio ancora cara agli abitanti del paese[3], il degrado proseguì inesorabilmente il suo corso, a tal punto che nel 1950 la chiesa fu interdetta alla celebrazione di riti sacri[2].

Nel 1958, un intervento di restauro permise nuovamente alla chiesa di tornare ad essere utilizzata per funzioni religiose[1][2].

Negli anni ’70, alcuni ladri sottrassero dalla chiesa un’acquasantiera romanica a spirali vegetali in marmo di Musso[3].

Nel 1987 il complesso fu concesso in comodato d'uso a un'associazione creata con lo scopo di rivitalizzare il luogo[2]. Tra il 1989 e il 1997, una serie restauri interessarono sia gli edifici rurali sia chiesa[3]. L'associazione, che si sciolse nel 2011, si impegnò per anni a garantire l'accessibilità della chiesa di San Benedetto al pubblico nella prima e l’ultima domenica di ogni mese[3].

Architettura

Una serie di rilievi grafici della chiesa hanno dimostrato alcune irregolarità costruttive in fase di edificazione lungo alcuni pilastri, campate, absidi e perfino variazioni di spessore. Tali irregolarità, riscontrabili anche in altri edifici della regione insubrica, avevano lo scopo di adattare le fondamenta e la pianta della chiesa alla morfologia del terreno[3].

Esterno

Lo sviluppo degli edifici appartenenti all'ex-monastero segue una planimetria ad "L".[2]

Gli edifici si presentano con murature a vista, realizzate con conci squadrati di pietra di in roccia calcarea locale, detta pietra di Moltrasio, secondo le tecniche tradizionalmente attribuite all'opera dei maestri comacini[3][2]. Le coperture sono a tetto con manto in lastre di pietra.

Esempio di romanico maturo[3], la chiesa presenta una pianta basilicale a tre navate[2][1], la più meridionale delle quali leggermente asimmetrica[1], terminate da absidi semicircolari[2]. La facciata a salienti ripete la ripartizione interna a tre navate[2]. Esternamente, la chiesa si presenta con decorazioni della facciata e delle absidi piuttosto semplici[1]. Gli unici elementi decorativi si ritrovano infatti in pietre sporgenti[3] e, all'altezza delle navate laterali, in una fila d’archetti ciechi[2][1] (detti a dente di lupo[3]) consistenti in lungo i rampanti della fronte[1] e collegati alla base da un fregio a denti di sega che sottolinea la base del timpano centrale[2]. All’altezza massima dei tetti delle navate minori, la fascia di archetti presenta un'interruzione centrale, ove una ripresa di muratura mostra la sagoma di una grande apertura rotonda[2][1] che costituiva un antico rosone[3].

Una seconda fascia di archetti pensili che si snodano sotto gli spioventi del timpano accompagna tutto il saliente della facciata a capanna, secondo gli stilemi classici del romanico lombardo e “lombardesco”[3][2]. Il portale è sormontato da un arco a tutto sesto, in conci lapidei ben squadrati[2].

Le navate sono spoglie e presentano strette aperture di fattura grezza a monofora con doppia strombatura[3][2]. Nella parete laterale orientata a nord, all'altezza della seconda campata, è ancora visibile una porta (ora tamponata) da cui si accedeva al cimitero attiguo, oggi scomparso[3][2]. Nella parete sud è invece possibile riconoscere quella che era la porta di comunicazione col monastero[2].

La zona absidale è la porzione d'edificio maggiormente decorata, anche in virtù di un particolare effetto cromatico ottenuto tramite un'alternanza di conci di materiali diversi[2]. L'abside maggiore è coronata in sottogronda da una serie di archetti pensili a doppia ghiera (con lunette e peduccio lapideo[3]) e scandita in tre parti da paraste doppie, slanciate semicolonne con capitello cubico ad angoli smussati[3][2]. In ognuna delle specchiature si apre una monofora strombata[3][2]. La decorazione delle due absidi minori, semicilindriche, presenta ancora il motivo ad archetti ciechi, mentre la muratura è solcata soltanto da lesene e le aperture sono ridotte ad una per parte[3][2].

Sulla navata di destra della chiesa si eleva la torre campanaria, a pianta quadrangolare e dall’apparenza più di una torre che di un campanile sia per la massa che per la semplicità di decorazione[1]. Le dimensioni massicce della costruzione lasciano in effetti ipotizzare un ruolo di torre d’avvistamento e controllo del territorio di pertinenza, ma anche di magazzino per la difesa delle provviste[3]. A circa metà dell’altezza, il campanile presenta un piano di antiche finestre a bifora, mentre superiormente si osservano due piani di alte monofore attualmente semi riempite da murature per necessità statiche. In aderenza alla chiesa, dal lato del campanile, si conservano i resti dell’antico convento[2][1].

Interno

L'interno, ampio e severo, è frutto degli ultimi restauri[3][2]. Si distingue per tre ampie navate, scandite e sorrette da massicci pilastri quadrangolari[3][2]. Sui pilastri, poggiano semplici archi a tutto sesto[4]. La copertura è perlopiù a capriate lignee, come si usava in area lacustre, prealpina e alpina.[3][2] Le ultime campate, antistanti le absidi, sono invece fornite di copertura voltata a crociera retta da pilastri a forma di croce, secondo un uso misto di criteri edilizi che, a quel tempo, era già riscontrato in Piemonte e in Canton Ticino[3][2].

L'altare è costituito da un blocco di granito in cui è scavata un'unità di misura per il grano[2].

Note

  1. ^ a b c d e f g h i j k l COMCEPT- http://comcept.it, Abbazia di San Benedetto in Val Perlana, Lago di Como, su Associazione Culturale Isola Comacina. URL consultato il 18 gennaio 2020.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa ab ac ad ae af ag ah Chiesa di S. Benedetto - complesso, Strada per San Benedetto - Ossuccio (CO) – Architetture – Lombardia Beni Culturali, su www.lombardiabeniculturali.it. URL consultato il 18 gennaio 2020.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa ab ac ad Italia Medievale - Contributi - San Benedetto in Val Perlana, su www.italiamedievale.org. URL consultato il 18 gennaio 2020.
  4. ^ RomaniCOMO, su www.romanicomo.it. URL consultato il 3 febbraio 2020.

Bibliografia

  • Spiriti A., Alpi Lepontine Meridionali, Ossuccio, Como 1994
  • Marocco Clerici G., Recupero del Patrimonio Artistico della Provincia di Como, Ossuccio, San Benedetto al Monte in Val Perlana, Albese con Cassano 1990
  • Belloni L. M., Il San Benedetto in Valperlana, Menaggio 1990
  • Magni M., Architettura romanica comasca, Milano 1960