Fuoco greco: differenze tra le versioni

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[[File:Greek Fire Catapult (Harper's Engraving).png|thumb|Rappresentazione antica, ma [[anacronismo|anacronistica]], del lancio di fuoco greco mediante un [[Trabucco (arma)|trabucco]].]]
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La formula della miscela che componeva il "fuoco greco" era nota soltanto all'[[imperatore]] e a pochi [[artigiani]] specializzati ed era custodita tanto gelosamente che la legge puniva con la morte chiunque avesse divulgato ai nemici questo segreto.
La formula della miscela che componeva il "fuoco greco" era nota soltanto all'[[imperatore]] e a pochi [[artigiani]] specializzati ed era custodita tanto gelosamente che la legge puniva con la morte chiunque avesse divulgato ai nemici questo segreto.

<br>Il fuoco greco - la cui invenzione si attribuisce a un greco del VII secolo originario della [[città]] di Eliopolis (oggi [[Baalbek]] in [[Libano]]), di nome Callimaco<ref>{{Cita libro|autore=[[Michel Rouche]]|traduttore=Marianna Matullo|titolo=[[Attila]]|collana=I protagonisti della storia|anno=2019|editore=[[Salerno Editrice]]|città=[[Pioltello]] (MI)|p=100|volume=14|ISSN=2531-5609}}</ref> - oggi si ritiene fosse una miscela di [[pece]], [[Nitrato di potassio|salnitro]], [[zolfo]], [[petrolio]], [[Nafta (combustibile)|nafta]] e [[ossido di calcio|calce viva]], contenuta in un grande [[otre]] di pelle o di [[terracotta]] (''sìfones'') collegato ad un tubo di [[rame]], montato sui [[Dromone|dromoni]] bizantini. La miscela veniva spruzzata con la semplice pressione del [[piede]] sulle imbarcazioni nemiche oppure stipata dentro vasi di terracotta che venivano lanciati sul naviglio nemico tramite le [[Petriera|petriere]], similmente a mortai di [[artiglieria]].
Il fuoco greco, la cui invenzione si attribuisce a un alchimista greco del VII secolo originario della [[città]] di Eliopolis (oggi [[Baalbek]] in [[Libano]]), di nome Callimaco,<ref>{{Cita libro|autore=[[Michel Rouche]]|traduttore=Marianna Matullo|titolo=[[Attila]]|collana=I protagonisti della storia|anno=2019|editore=[[Salerno Editrice]]|città=[[Pioltello]] (MI)|p=100|volume=14|ISSN=2531-5609}}</ref> oggi si ritiene fosse una miscela di [[pece]], [[Nitrato di potassio|salnitro]], [[zolfo]], [[petrolio]], [[Nafta (combustibile)|nafta]] e [[ossido di calcio|calce viva]], contenuta in un grande [[otre]] di pelle o di [[terracotta]] (''sìfones'') collegato ad un tubo di [[rame]], montato sui [[Dromone|dromoni]] bizantini. La miscela veniva spruzzata con la semplice pressione del [[piede]] sulle imbarcazioni nemiche oppure stipata dentro vasi di terracotta che venivano lanciati sul naviglio nemico tramite le [[Petriera|petriere]], similmente a mortai di [[artiglieria]].


La caratteristica che rendeva temuti questi primitivi [[lanciafiamme]] era che il fuoco greco, a causa della reazione della [[ossido di calcio|calce viva]], non poteva essere spento con acqua, che anzi ne ravvivava la forza, e di conseguenza le navi, realizzate in quel periodo in [[legno]], coi [[comento|comenti]]<ref>Il [[comento]] è quell'inevitabile interstizio che si crea fra le tavole di legno affiancate che costituiscono il [[fasciame]] di una nave. Veniva solitamente colmato con [[pece]], eventualmente mista a paglia laddove la maggior larghezza della fessura lo avesse richiesto.</ref> dello scafo impermeabilizzati tramite [[calafataggio]] e con velatura, [[sartia|sartie]] e [[drizza|drizze]] in fibre vegetali, anch'esse intrise di [[pece]], erano destinate a sicura distruzione.
La caratteristica che rendeva temuti questi primitivi [[lanciafiamme]] era che il fuoco greco, a causa della reazione della [[ossido di calcio|calce viva]], non poteva essere spento con acqua, che anzi ne ravvivava la forza, e di conseguenza le navi, realizzate in quel periodo in [[legno]], coi [[comento|comenti]]<ref>Il [[comento]] è quell'inevitabile interstizio che si crea fra le tavole di legno affiancate che costituiscono il [[fasciame]] di una nave. Veniva solitamente colmato con [[pece]], eventualmente mista a paglia laddove la maggior larghezza della fessura lo avesse richiesto.</ref> dello scafo impermeabilizzati tramite [[calafataggio]] e con velatura, [[sartia|sartie]] e [[drizza|drizze]] in fibre vegetali, anch'esse intrise di [[pece]], erano destinate a sicura distruzione.

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Rappresentazione bizantina del fuoco greco.

Il fuoco greco (in greco antico: ὑγρόν πῦρ?, hygròn pŷr, "fuoco liquido") era una miscela alchemica usata dai bizantini per attaccare i nemici con il fuoco e in particolar modo per incendiare il naviglio avversario.[1]

L'espressione "fuoco greco" non è riscontrata nelle fonti bizantine; in esse tale miscela era chiamata con i nomi "fuoco marino" (πῦρ θαλάσσιον - pŷr thalássion), "fuoco romano" (πῦρ ῥωμαϊκόν - pŷr rhōmaïkón), "fuoco di guerra" (πολεμικὸν πῦρ - polemikòn pŷr), "fuoco liquido" (ὑγρὸν πῦρ - hygròn pŷr), "fuoco vischioso" (πῦρ κολλητικόν - pŷr kollētikón), o "fuoco artificiale" (πῦρ σκευαστόν - pŷr skeuastón).[2][3] La sua efficacia bellica era assicurata dal fatto che gli incendi causati dalla miscela non erano estinguibili con l'uso dell'acqua, che, anzi, ne ravviva la forza.[4]

Dettaglio di un dispositivo manuale per il lancio.

Cenni storici

Venne utilizzato in diverse occasioni per la difesa di Costantinopoli e di altre città dell'Impero bizantino consentendogli di sfuggire ai loro assedianti.

Fu proprio l'utilizzo del fuoco greco che fece fallire il secondo assedio di Costantinopoli, condotto dagli Arabi musulmani fra il 717 e il 718.[5]

Descrizione

Rappresentazione antica, ma anacronistica, del lancio di fuoco greco mediante un trabucco.

La formula della miscela che componeva il "fuoco greco" era nota soltanto all'imperatore e a pochi artigiani specializzati ed era custodita tanto gelosamente che la legge puniva con la morte chiunque avesse divulgato ai nemici questo segreto.

Il fuoco greco, la cui invenzione si attribuisce a un alchimista greco del VII secolo originario della città di Eliopolis (oggi Baalbek in Libano), di nome Callimaco,[6] oggi si ritiene fosse una miscela di pece, salnitro, zolfo, petrolio, nafta e calce viva, contenuta in un grande otre di pelle o di terracotta (sìfones) collegato ad un tubo di rame, montato sui dromoni bizantini. La miscela veniva spruzzata con la semplice pressione del piede sulle imbarcazioni nemiche oppure stipata dentro vasi di terracotta che venivano lanciati sul naviglio nemico tramite le petriere, similmente a mortai di artiglieria.

La caratteristica che rendeva temuti questi primitivi lanciafiamme era che il fuoco greco, a causa della reazione della calce viva, non poteva essere spento con acqua, che anzi ne ravvivava la forza, e di conseguenza le navi, realizzate in quel periodo in legno, coi comenti[7] dello scafo impermeabilizzati tramite calafataggio e con velatura, sartie e drizze in fibre vegetali, anch'esse intrise di pece, erano destinate a sicura distruzione.

Nel trattato medievale Liber Ignium ad Comburendos Hostes scritto in latino da un certo Marcus Graecus si afferma che l'unico modo per spegnerlo sarebbe stato quello di usare urina, sabbia o aceto.[8]

Note

  1. ^ J. R. Partington, A History of Greek Fire and Gunpowder, pp. 87–89, Cambridge, HeiVer, 1960.
  2. ^ Pryor & Jeffreys, 2006, pp. 608–609
  3. ^ Forbes, 1959, p. 83
  4. ^ Fuoco Greco: ecco come funzionava la potente arma bizantina, in Informazione Ambiente, 27 settembre 2017. URL consultato il 9 settembre 2018.
  5. ^ ARMI DA FUOCO in "Enciclopedia dell'Arte Medievale", su www.treccani.it. URL consultato il 9 settembre 2018.
  6. ^ Michel Rouche, Attila, collana I protagonisti della storia, traduzione di Marianna Matullo, vol. 14, Pioltello (MI), Salerno Editrice, 2019, p. 100, ISSN 2531-5609 (WC · ACNP).
  7. ^ Il comento è quell'inevitabile interstizio che si crea fra le tavole di legno affiancate che costituiscono il fasciame di una nave. Veniva solitamente colmato con pece, eventualmente mista a paglia laddove la maggior larghezza della fessura lo avesse richiesto.
  8. ^ Marco Lucchetti, Le armi che hanno cambiato la storia di Roma antica, Newton Compton, 2018, ISBN 9788822717436.

Bibliografia

  • L'uomo bizantino, a cura di Guglielmo Cavallo, Laterza, Roma 1992.
  • John Haldon, Greek fire revisited: recent and current research, in: Byzantine style, religion and civilization. In honour of Sir Steven Ruciman a cura di E. Jeffreys, Cambridge 2006, S. 290ff.
  • Alex Roland, Secrecy, Technology, and War: Greek Fire and the Defense of Byzantium, in: Technology and Culture 33 (1992), pp. 655–679.
  • W.H. Spears Jr., Greek Fire: The Fabulous Secret Weapon That Saved Europe 1969 ISBN 0-9600106-3-7
  • J.R. Partington, A history of Greek fire and gunpowder (prefazione di Frederick Morgan; con una nuova introduzione di Bert S. Hall), Baltimore 1999
  • Adrienne Mayor, Greek fire, poison arrows, and scorpion bombs: biological and chemical warfare in the ancient world, London 2005
  • Pryor, John H.; Jeffreys, Elizabeth M. (2006), The Age of the ΔΡΟΜΩΝ: The Byzantine Navy ca. 500–1204, Brill Academic Publishers, ISBN 978-90-04-15197-0
  • Forbes, R. J. (1959), Naphtha Goes To War, More Studies in Early Petroleum History 1860–1880, Leida, E.J. Brill, pp. 70–90

Voci correlate

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