San Juanillo (1578)
San Juanillo | |
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Descrizione generale | |
Tipo | Galeone |
Destino finale | perso per naufragio nel 1578 |
Caratteristiche generali | |
Dislocamento | 300 |
Armamento velico | misto (quadre e latine) |
dati tratti da Ghost Galleon: The Discovery and Archaeology of the San Juanillo on Shores of Baja California[1] | |
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Il galeone San Juanillo andò perso per naufragio nel 1578 lungo la costa del Pacifico della Penisola di Bassa California mentre navigava sulla rotta dei galeoni di Manila.[2]
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Il galeone San Juanillo parti da Manila nel luglio 1578 con circa 100 persone a bordo, trasportando blocchi di cera d'api indonesiana da cui si ricavavano candele da chiesa e altri beni, seta, e porcellana cinese, spezie, e altri beni commerciali esotici.[2][1] Il San Juanillo era al comando del generale capitano Juan de Ribera nominato dal governatore delle Filippine Francisco de Sande.[1] Dopo aver attraversato lo Stretto di San Bernardino, e essersi inoltrato nell'Oceano Pacifico, la nave scomparve senza lasciare apparentemente alcuna traccia.[2] A causa del tempo inclemente o di una epidemia di scorbuto, la nave non raggiunse mai Acapulco, in Messico.[2] Tra la fine del 1578 e l'inizio del 1579 il San Juanillo fece naufragio sulla costa del Pacifico della desolata penisola di Bassa California.[2] Nessun membro dell'equipaggio sopravvisse al naufragio.[2]
Nel settembre del 1977 un gruppo di beachcomber americani, tra cui Cindy Navarre e Leysl Muñoz trovò delle porcellane su una spiaggia della Baja California.[3] Nel 1997 si tenne una mostra presso il Los Angeles County Museum of Art che includeva alcuni frammenti di porcellana.[4]
Leggendo la pubblicazione associata, Chinese Ceramics in Colonial Mexico, edita nell'agosto 1997 da George Kuroyama, Saryl ed Edward Von der Porten furono portati a credere che ci dovesse essere il relitto di uno sconosciuto galeone di Manila sulla costa del Pacifico della Baja di California.[4] Edward Von der Porten contattò l'archeologo marino Jack Hunter al fine di eseguire delle ricerche il loco,[4] e verso la fine dell'anno fu a sua volta contattato dall'archeologo Eric Ritter a riguardo di alcuni frammenti di tipi di porcellana trovati in uno scavo in un campo di nativi americani nomadi.[5] Clarence Sanġraw esaminò queste porcellane stabilendo che erano di provenienza cinese, prodotte nei forni della città di Jingdezen tra il 1573 e il 1600, durante il regno dell'imperatore Wanli.[6]
I negoziati con i beachcomber Cindy Navarre e Leysl Muñoz per rivelare dove si trovasse il relitto furono lunghi, e solo nel gennaio 1999 l'archeologo Ritter fu in grado di determinare che i frammenti di porcellana erano stati trovati in un remoto sito della Baja California.[6] Il 12 febbraio dello stesso anno Ritter ricevette una email con le coordinate del sito e con il supporto dell'editore anziano per le esplorazioni del National Geographic, Peter Miller, venne organizzata la prima spedizione di ricerca insieme a un beachcomber che aveva lo pseudonimo di "Thomas".[7] Hunter riuscì a convincere "Thomas" a far esaminare la sua collezione di porcellane da George Kuroyama, il quale appena le vide disse subito che erano porcellane cinesi che dovevano provenire da uno dei galeoni di Manila.[8]
Allora Ritter contattò Julia Bendínez Patterson direttore del locale dipartimento dell'Instituto Nacional de Antropología e Historia (INAH) messicano e ciò portò alla prima spedizione archeologica, partita il 24 giugno 1999,[9] e composta da Eric e Pat Ritter, Steve Lowe, Mike Raven, Jeff Lough, Jeff Ferguson, Gene Luke, Cindy Navarre, e Pat e Eric va der Porten.[10] Il 28 giugno avvenne la prima prospezione sul sito del naufragio che portò subito alla scoperta di ceramiche appartenenti al regno dell'imperatore Xuande (1426-1435).[11]
Alla prima seguirono un totale di quasi venti spedizioni archeologiche in venti anni.[2] Il questo periodo vi fu la partecipazione di americani e del governo messicano, di archeologi privati, privati cittadini, operatori della pesca, musei, università, così come di ceramisti, tecnici specializzati, traduttori di documenti, studenti, fotografi, artisti, scrittori ed editori.[2]
Complessivamente, il progetto ha raccolto 1293 frammenti di porcellana, due ciotole complete, 437 frammenti di gres, 77 blocchi di cera d'api, 274 frammenti di fogli di piombo, sei frammenti di ceramica iberica e 50 piccoli reperti di metallo tra cui un leone buddista cinese in bronzo, uno specchio cinese in bronzo, una serie di giunti cardanici della bussola.[2] La ricerca negli archivi ha indicato che vi erano solo pochi galeoni di Manila "scomparsi senza lasciare tracce" alla fine del XVI secolo.[2] Si poteva dire con certezza che questa nave era una nave a tre alberi lunga circa cento piedi.[2]
Attraverso l'analisi della porcellana, gli archeologi sono stati in grado di restringere la data del relitto dal 1574 al 1579 circa.[2] Von der Porten constatò che su uno dei grandi blocchi da trenta libbre di cera d'api filippina vi erano buchi di vermi del diametro fino a tre centimetri di diametro.[2] I vermi del particolare tipo Teredo navalis che viveva nell'acqua salata e distruggeva il legno degli scafi se non ricoperti con lastre di piombo, o più tardi di rame, non poteva sopravvivere nell'arido paesaggio desertico e non avrebbero potuto attaccare lo scafo dall'esterno mentre era a galla, perché il rivestimento esterno di piombo dello scafo li avrebbe tenuti fuori.[2] Questi vermi dovevano aver attaccato la cera d'api all'interno dello scafo, cosa impossibile in mare dove veniva svuotato ogni quattro ore con l'azione delle pompe di sentina.[2] Quindi le perforazioni dovevano essere avvenute dopo il naufragio quando l'equipaggio aveva smesso di pompare e l'acqua di mare è penetrata nello scafo, con le larve di Teredo navalis che nuotavano al suo interno.[2] La cera d'api è stata perforata dall'interno mentre era immersa ma ancora intatta.[2] Un biologo marino stabilì che i vermi, per penetrare così in profondità, avrebbero dovuto essere immersi nell'acqua nello scafo per almeno un anno.[2] Von der Porten si rese conto che l'unico modo per cui ciò sarebbe potuto accadere era se la nave si fosse arenata dolcemente sulla riva, e solo se l'equipaggio fosse morto, morente o incapace di controllarla, permettendo al vento prevalente di spingerla dalla sua rotta verso sud sulla spiaggia in lieve pendio.[2] Se qualcuno dei membri dell'equipaggio era ancora vivo il giorno in cui la nave si è arenata sulla riva, non è mai sopravvissuto per raccontarlo.[2]
Interpretazione del sito, analisi dei manufatti e una meticolosa ricerca documentaria ha portato alla definitiva identificazione del galeone perduto come del San Juanillo, e non del San Felipe come precedentemente suggerito da Edward Von der Porten.[2]
Note
[modifica | modifica wikitesto]Annotazioni
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Fonti
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c Von der Porten 2019, p. 95.
- ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u Mex Connect.
- ^ Von der Porten 2019, p. 6.
- ^ a b c Von der Porten 2019, p. 1.
- ^ Von der Porten 2019, p. 4.
- ^ a b Von der Porten 2019, p. 5.
- ^ Von der Porten 2019, p. 7.
- ^ Von der Porten 2019, p. 8.
- ^ Von der Porten 2019, p. 23.
- ^ Von der Porten 2019, p. 24.
- ^ Von der Porten 2019, p. 27.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Erik Wilhelm Dahlgren, Were the Hawaiian Islands Visited by Spaniards before Their Discovery by Captain Cook in 1778, Stockholm, Almqvist & Wiksells boktryckeri, 1916.
- (EN) Shirley Fish, The Manila-Acapulco Galleons: The Treasure Ships of the Pacific, Central Milton Keynes Lisboa, AuthorHouseUK, 2011.
- (EN) Edward Von der Porten, Ghost Galleon: The Discovery and Archaeology of the San Juanillo on Shores of Baja California, College Station,, Texas A&M University Press, 2019.
- (EN) Arturo Giraldez, The Age of Trade: The Manila Galleons and the Dawn of the Global Economy, Lanham, Rowman & Littlefield, 2015.
- (EN) William Lytle Schurz, The Manila Galleon, New York, E.P. Dutton & Co., 1939.
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Raymond Aker, The Cermeno Expeditionary at Drakes Bay - 1595 (PDF), su Winepi. URL consultato l'11 settembre 2022.
- (EN) Joseph A. Serbaroli, Jr., Solving the mystery of a lost Spanish galleon on Mexico’s Baja California Peninsula, su Mex Connect. URL consultato l'8 settembre 2022.