Polifemo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Polifemo (disambigua).
Polifemo
Polifemo accecato da Odisseo, dal particolare di un'anfora proto-attica, circa 650 a.C., Eleusi
SagaCiclo Troiano
Nome orig.Πολύφημος (Polýphēmos)
Lingua orig.Greco antico
AutoreOmero
Caratteristiche immaginarie
Specieciclope
Luogo di nascitaSicilia, ai piedi dell'Etna
ProfessionePastore
AffiliazioneCiclopi

Polifemo (in greco antico: Πολύφημος?, Polýphēmos, letteralmente «che parla molto, chiacchierone» oppure «molto conosciuto»), è un ciclope della mitologia greca citato da vari autori antichi: Omero, Teocrito, Euripide, Ovidio, Virgilio.

Nell'Odissea[modifica | modifica wikitesto]

Testa di Polifemo

Polifemo è figlio del dio del mare Nettuno e di Toosa, una bellissima ninfa. Ma non assomiglia alla madre. È altissimo, ha il corpo massiccio coperto di peli rossi, i capelli aggrovigliati e un unico occhio in mezzo alla fronte. Appartiene alla famiglia dei Ciclopi, giganti con un occhio solo. Polifemo si nutre con il formaggio che ricava dal latte delle sue pecore. Quando però capitano dalle sue parti degli stranieri, li divora senza pietà.

(EL)

«ἔνθα δ' ἀνὴρ ἐνίαυε πελώριος, ὅς ῥα τὰ μῆλα
οἶος ποιμαίνεσκεν ἀπόπροθεν: οὐδὲ μετ' ἄλλους
πωλεῖτ', ἀλλ' ἀπάνευθεν ἐὼν ἀθεμίστια ᾔδη.
καὶ γὰρ θαῦμ' ἐτέτυκτο πελώριον, οὐδὲ ἐῴκει
ἀνδρί γε σιτοφάγῳ, ἀλλὰ ῥίῳ ὑλήεντι
ὑψηλῶν ὀρέων, ὅ τε φαίνεται οἶον ἀπ' ἄλλων.
»

(IT)

«Qui un uomo aveva tana, un mostro,
Che greggi pasceva, solo, in disparte,
E non si mischiava,
Ma solo viveva, aveva animo ingiusto.
Era un mostro gigante; e non somigliava
A un uomo mangiator di pane, ma a picco selvoso
D'eccelsi monti, che appare isolato dagli altri.»

Omero narra che Ulisse, durante il suo lungo viaggio di ritorno dalla guerra di Troia, sbarcò nella Terra dei Ciclopi. Spinto dalla curiosità, Ulisse raggiunse e visitò la grotta. Curioso di conoscere il padrone di casa di tale rifugio, Ulisse decise di restare in attesa. Al sentire la terra tremare sotto i passi del gigante, l'eroe e i suoi compagni si nascosero, venendo però presto scoperti. Ulisse si fece pertanto avanti, chiedendo ospitalità al ciclope. Polifemo era tuttavia il più grande, il più forte e il più feroce della sua specie e in quanto figlio di Poseidone si vantava di essere più forte persino di Zeus (dimostrando di peccare di hybris). In segno di disprezzo verso la Xenìa, afferrò e divorò quattro compagni del re di Itaca e imprigionò i Greci nella grotta, intenzionato a mangiarli uno per uno.

Intrappolato con i suoi compagni nella caverna del Ciclope, il cui ingresso era bloccato da un masso enorme, Ulisse escogitò un piano per sfuggire alla prigionia di Polifemo. Come prima mossa, egli offrì del vino dolcissimo e molto forte al Ciclope, per farlo cadere in un sonno profondo. Polifemo gradì così tanto il vino che promise a Ulisse un dono, chiedendogli però il suo nome. Ulisse, astutamente, gli rispose allora di chiamarsi "Nessuno". "E io mangerò per ultimo Nessuno", fu il dono del ciclope.

Dopodiché Polifemo si addormentò profondamente, stordito dal vino. Qui Ulisse mise in atto la seconda parte del suo piano. Egli infatti, insieme ai suoi compagni, aveva preparato un bastone di notevoli dimensioni ricavato da un ulivo che una volta arroventato fu piantato nell'occhio del Ciclope dormiente dai Greci. Polifemo urlò così forte da destare dal sonno i ciclopi suoi fratelli. Essi corsero allora alla porta della sua grotta mentre Ulisse e i suoi compagni si nascondevano vicino al gregge del ciclope Polifemo. I ciclopi chiesero a Polifemo perché avesse urlato così forte e perché stesse invocando aiuto, ed egli rispose loro che "Nessuno" stava cercando di ucciderlo. I ciclopi, pensandolo ubriaco o in preda al dolore di Zeus, lo lasciarono allora nel suo dolore e gli raccomandarono di pregare aiuto a suo padre. La mattina dopo, mentre Polifemo faceva uscire il suo gregge per liberarlo, giacché lui non sarebbe stato più in grado di guidarlo, Ulisse e i suoi soldati scapparono grazie a un altro abile stratagemma, che faceva parte della terza parte del suo piano. Ognuno di loro si aggrappò infatti al vello del ventre di una pecora per sfuggire al tocco di Polifemo, poiché il Ciclope si era posto davanti alla porta della caverna, tastando ogni pecora in uscita per impedire ai Greci di fuggire. Ulisse, ultimo ad uscire dalla grotta, la fece aggrappato all'ariete più grande, il preferito del Ciclope.

Accortosi della fuga dei Greci, Polifemo si spinse su un promontorio, dove, alla cieca, iniziò a gettare rocce contro il mare, nel tentativo di affondare la nave. Qui Ulisse commise un errore. All'ennesimo tiro a vuoto del Gigante, Ulisse, ridendo, ebbe a gridare: «Se qualcuno ti chiederà chi ti ha accecato, rispondi che non fu Outis ("Nessuno"), ma Ulisse d'Itaca!», rivelando così il suo vero nome. Polifemo, venuto allora a conoscenza dell'identità del Greco, ebbe a maledirlo, invocando il padre suo Poseidone e pregandolo di non farlo mai ritornare in patria oppure, se scritto nel destino che debba tornare, di far durare il suo viaggio per anni, che perda tutti i compagni e che in patria trovi solo sciagure (che è esattamente quanto capiterà al figlio di Laerte)[1].

Nelle opere antiche successive[modifica | modifica wikitesto]

Galatea si presenta a Polifemo. Pittura parietale, I secolo, da Pompei, Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Polifemo è il protagonista dell'unico dramma satiresco a noi pervenuto, Il ciclope, di Euripide, dove viene caratterizzato in modo conforme al poema omerico, esagerando nei caratteri grotteschi e comici che già erano presenti nella Odissea.

Nel III secolo a.C. Teocrito, nell'idillio XI, descrive Polifemo in un modo più amichevole e simpatico, dipingendolo con un carattere gentile, come innamorato non corrisposto di Galatea, per la quale intona un canto pastorale. Da Teocrito e dalla storia di Polifemo e Galatea riprendono lo spunto Metamorfosi di Ovidio[2], raccontando di Aci, un pastore siciliano innamorato della bella Nereide, ricambiati. Il ciclope Polifemo, che ama anch'egli la ninfa, venuto a sapere della storia, uccide con un grande masso Aci, dal cui sangue nascerà l'omonimo fiume siciliano.

Il ciclope fa, poi, una brevissima apparizione nel terzo libro dell'Eneide. Enea e i suoi compagni sbarcano nell'isola dei ciclopi, dove sulla riva incontrano Achemenide, un compagno di Ulisse che non era riuscito a fuggire con lui; i Troiani fanno salire quindi Achemenide a bordo della loro flotta, proprio mentre Polifemo avverte la loro presenza.

«Mostro orrendo, difforme e smisurato,
Che avea come una grotta oscura in fronte
In vece d’occhio, e per bastone un pino,
Onde i passi fermava.»

Localizzazione del paese dei Ciclopi[modifica | modifica wikitesto]

Sin dall'antichità, i Greci situavano il paese dei Ciclopi in Sicilia, ai piedi dell'Etna, così come del resto attesta lo stesso Tucidide: «La più antica popolazione che la tradizione riconosce come aver vissuto una parte della Sicilia sono i Ciclopi»[3]. In effetti lo storico non fece altro che riprendere le conoscenze diffuse dai navigatori greci sin dai tempi delle prime spedizioni coloniali nell'VIII secolo a.C., conoscenze che riflettono la loro rappresentazione dei mari e delle terre occidentali[4]. Di fronte alla "terra dei Ciclopi" Ulisse ed i suoi uomini sbarcano su un'isola disabitata ma peraltro ricca di risorse: terre fertili, pascoli per il bestiame, colline per i vigneti, sorgenti di acqua limpida, porto naturale dal facile ancoraggio, senza ormeggio difficoltoso né manovre lunghe e delicate[5]. Tutto questo sviluppo del poema dell'Odissea sembra progettato per suggerire come l'isola offra ogni possibile vantaggio per mercanti in cerca di approdi e punti vendita. Ellenisti e studiosi hanno dunque cercato di individuare quale fosse effettivamente il paese dei Ciclopi.

Isole Ciclopi ad Aci Trezza

I nomi che appaiono su tutte le carte marine ed i dati di navigazione situano il paese dei Ciclopi alle pendici dell'Etna, di fronte ai Faraglioni dei Ciclopi presso Aci Trezza. Molti studi permettono di assimilare il ciclope Polifemo ad un vulcano dall'unico cratere tondeggiante, l'Etna: del resto, come il vulcano, Polifemo sprofonda nel sonno dopo un'eruzione e nei suoi terribili risvegli erutta e scaglia lontano massi e rocce[6].

L'arcipelago delle Isole Egadi.

A sua volta Victor Berard, basandosi su una breve indicazione di Tucidide[7], situa la terra dei Ciclopi lievemente a nord di Napoli, laddove si trova l'isola di Nisida e, fra le scogliere di Posillipo, molte grotte servirono come abitazioni rupestri sino al ventesimo secolo. Una di queste grotte, particolarmente grande, erroneamente chiamata Grotta di Seiano, potrebbe essere, secondo l'ellenista, la grotta di Polifemo[8]. Infine, fra le varie ipotesi, Ernie Bradford[9] opta per l'arcipelago delle Egadi, composto da Marettimo, Favignana e Levanzo; su quest'ultima isola si trova la Grotta dei Genovesi, abitata sin dal Paleolitico e dal Neolitico. L'isola montagnosa di Marettimo in particolare, costellata di grotte, ha un aspetto piuttosto impressionante. Dinnanzi, sulla costa della Sicilia, le rovine dell'antica città di Erice attestano peraltro una presenza greca molto antica. Nessuna di queste tre differenti ipotesi si è tuttora affermata definitivamente. Vi sono però dei dati certi: dei navigatori Greci provenienti da Eubea, Calcide ed Aulide in Beozia dall'VIII secolo a.C. promuovono spedizioni coloniali verso le terre d'Occidente ed arricchiscono il mito arcaico tramite le proprie effettive esperienze marittime; nel suo racconto, l'autore dell'Odissea arricchisce questa materia tramite una forma epica. Nella vicenda di Ulisse in quanto navigatore e del ciclope Polifemo in quanto luogo e popolazione locale si ritrova dunque una rappresentazione del mondo Mediterraneo e dei suoi confini, limiti e rischi, quali i Greci conoscevano nei secoli VII secolo a.C. e VI secolo a.C.[10].

Influenza culturale[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ La scena dell'accecamento di Polifemo e del lancio di massi da parte del Ciclope trova un parallelismo nel gigante presente nella novella Sindbad il marinaio (terzo viaggio), nella raccolta orientale Le mille e una notte.
  2. ^ XIII, 738-897.
  3. ^ La Guerra del Peloponneso, libro VI, II, 1.
  4. ^ Lorenzo Braccesi, Grecità di Frontiera. I percorsi occidentali della leggenda, Padova, Esedra, 1994, pagine 3 à 41.
  5. ^ Odyssée, IX, 125 à 141.
  6. ^ Odissea, IX, 480-486. Si noti come nella narrazione Polifemo scagli due blocchi di roccia contro la nave di Ulisse, mentre i Faraglioni son ben più numerosi.
  7. ^ Ne La Guerra del Peloponneso, (VI, IV, 5) Tucidide evoca Cuma, «la Cuma calcidica del paese degli Opici».
  8. ^ Victor Bérard, op. cit. p. 165 à 189.
  9. ^ op. cit. p. 45.
  10. ^ Jean Cuisenier, Le Périple d'Ulysse, pp. 213-226.
  11. ^ (EN) Polyphemus, su Gazetteer of Planetary Nomenclature. URL consultato il 9 gennaio 2016.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti primarie
Fonti secondarie
  • (FR) Alain Ballabriga, Les Fictions d'Homère, L'invention mythologique et cosmographique dans l'Odyssée, Paris, P.U.F. 1988.
  • (FR) Victor Bérard, Nausicaa et le Retour d'Ulysse, Paris, Armand Colin, 1929.
  • (FR) John Boardman. Les grecs outre-mer, colonisation et commerce archaïques. Napoli, Centre Jean Bérard, 1995. ISBN 2-903189-49-8.
  • (EN) Ernle Bradford, Ulysses found, London, Hodder and Stoughton, 1963.
  • Lorenzo Braccesi, Grecità di Frontiera. I percorsi occidentali della leggenda, Padova, Esedra, 1994, ISBN 88-86413-00-9.
  • Lorenzo Braccesi. I greci delle periferie. Bari, GLF, 2003. ISBN 88-420-6997-3.
  • (FR) Jean Cuisenier Le Périple d'Ulysse, Parigi, Fayard, 2003. ISBN 978-2-213-61594-3.
  • Pier Angelo Perotti, Polifemo in Omero, Euripide, Luciano, “Minerva” 18, 2005, pp. 39-70.
  • Dario Gigli Il regno di pietra, Cagliari, Davide Zedda, 2010. ISBN 978-8-862-11456-1.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN172873171 · CERL cnp00562829 · GND (DE118595598 · WorldCat Identities (ENviaf-172873171