Il tempo dei cavalli ubriachi

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Il tempo dei cavalli ubriachi
Una scena del film
Titolo originaleZamani barayé masti asbha
Paese di produzioneIran
Anno2000
Durata80 min
Generedrammatico
RegiaBahman Ghobadi
SceneggiaturaBahman Ghobadi
FotografiaSaed Nikzat
MontaggioSamad Tavazoee
MusicheHossein Alizadeh
ScenografiaBahman Ghobadi
Interpreti e personaggi

Il tempo dei cavalli ubriachi è un film del 2000 diretto da Bahman Ghobadi, vincitore della Caméra d'or per la miglior opera prima al 53º Festival di Cannes.[1]

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Awards 2000, su festival-cannes.fr. URL consultato il 6 luglio 2011.

Musiche di Hossein Alizadeh. Sembra di vedere la versione mediorientale di un film di Truffaut dedicato ai bambini, come “L’Argent de poche” del 1976, ma all’insegna della povertà più assoluta, del dramma profondo. Sul camion uno dei bambini intona una canzone tipica iraniana. La strada è costellata di mine e cantare è un modo per esorcizzare la paura. Uno dei bambini, gravemente handicappato, è curato amorevolmente dal fratello maggiore e dalla sorellina, che lo baciano, gli fanno prendere le sue medicine, mentre vanno a casa a piedi nella neve perché il furgone su cui viaggiavano stipati è stato sequestrato dai soldati. Tornati al loro villaggio, i piccoli protagonisti sono accolti da urla strazianti: è stato ucciso proprio il loro padre. La sorella intanto porta il fratellino molto malato al cimitero a piedi immersa nella neve: la accompagna un suono straniante di strumenti a fiato. La bambina viene redarguita dal fratello maggiore, che ora lavora tagliando legna. Il medico fa un’iniezione il bambino che ha in realtà 15 anni ed è malato molto gravemente. La famiglia di bambini è commovente e straziante: mai visto tanto amore e dedizione tra esseri umani, così piccoli per giunta, e che non hanno niente. Eppure mostrano di aver compreso appieno il valore della collaborazione, dell’amore, del rispetto profondo: il senso della vita. Per trovare i soldi per l’operazione del fratello, il maggiore si mette a fare lavori devastanti, ai limiti delle sue possibilità: la sfilata dei muli è sonorizzata con un canto iraniano per voce maschile accompagnato da timbri etnici. Avvalora la territorialità e la realtà disperata di questo popolo. La cosa che mi sconcerta è che questo tipo di cinematografia è identica, anche nei tratti somatici dei personaggi, a quella dell’europa dell’Est. Tornano i cluster con micro-movimenti di legni non ben identificati, che commentano insieme ai tuoni e al vento ululante, la fuga dei lavoratori e dei muli per non finire in un’imboscata nemica. La sorella maggiore viene promessa in moglie ad un uomo adulto. Il fratello non è d’accordo ma l’unica autorità è quella dello zio, che ha preso il posto del padre. Lo sposo promette che porterà il fratello infermo, Madih, a farsi operare in Iraq. La novella sposa (stiamo parlando di una bambina di 12 anni) parte con la sua nuova famiglia insieme a Madih: lo straziante pianto da neonato di Madih, caricato su un mulo, in un sacco dalla cintola in giù, è commentato da un canto maschile iraniano, accompagnato da strumenti etnici: è un canto straziante che muore nelle urla del fratello che invoca il nome di sua sorella che si allontana a dorso di mulo. Il tintinnio dei campanelli sull’animale, che avanza faticosamente immerso nella neve, ha come contrappunto il rombo cupo di esplosioni di mine in lontananza e dei tuoni della tempesta in arrivo. Ma la donna più anziana della famiglia, madre dello sposo, si rifiuta di prendere Madih. Per evitare lo scontro e il divorzio, lo zio accetta un mulo (prezioso animale per lavorare) e si riprende Madih: la nuova famiglia porta con sé la sposa intonando una monodia in coro, battendo le mani, mentre il tintinnio dei campanelli del nuovo mulo avuto in dono sonorizza lo strazio dell’altra famiglia che si allontana nella neve. Il fratello maggiore, allora, decide di andare in Iraq, all’insaputa dello zio: venderà il mulo e con i soldi ricavati farà operare Madih. I lavoranti e i muli finiscono vittime di un’imboscata: i muli non si alzano, i carichi vanno rimossi, la neve è alta, i carichi finiscono giù dalla montagna, tutti scappano...Urla, gemiti, ululato del vento e dei lupi affamati. La musica irrompe con canto per voce maschile, strumenti etnici e battito di mani sul battere, a ritmo sostenuto: il fratello maggiore è riuscito a far alzare il suo mulo e a passare con Madih la linea di confine con l’Iraq, superando il filo spinato.

Mariangela Ungaro "Cinema d'ascolto: il cinema e la musica del Medioriente" estratto.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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