Voglio tradire mio marito

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Voglio tradire mio marito
Paese di produzioneItalia
Anno1925
Durata1500 metri (56 min circa)
Dati tecniciB/N
film muto
Generecommedia
RegiaMario Camerini
SoggettoErmanno Geymonat (commedia)
ProduttoreFert Film
Distribuzione in italianoS.A.S. Pittaluga
FotografiaAnchise Brizzi
Interpreti e personaggi

Voglio tradire mio marito è un film del 1925 diretto da Mario Camerini.

Terzo film di Camerini con la Fert che, dopo il debutto nel 1924 con La casa dei pulcini e la regia di uno dei tanti Saetta (Saetta principe per un giorno), gli affida un soggetto di Ermanno Geymonat. Una commedia alla francese, l'ha definita poi, molti anni dopo, lo stesso Camerini[1], una sorta versione italiana di Perché cambiate moglie? che però ottiene un premio governativo e ha il consenso della critica dell'epoca e un buon successo all'estero[2], grazie anche all'intelligenza del produttore Stefano Pittaluga che riesce a distribuire bene i suoi prodotti anche all'estero.

Una copia ritrovata è stata restaurata dalla Cineteca del Friuli di Gemona e riprodotta in un lungometraggio di circa 90 minuti.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Il conte De Cay è felicemente sposato con una bellissima e fedele donna, ma a un innocente e fortuito incontro con una sua ex fiamma viene sorpreso dagli anziani zii che avvisano la contessa. Questa, credendo al pettegolezzo e al tradimento, decide di vendicarsi accettando le avance dei suoi numerosi ammiratori. Presto però si accorgerà che sono tutti una delusione, compreso il poeta.

Critica[modifica | modifica wikitesto]

Malgrado giochi sugli equivoci e i mancati tradimenti, il film è tutt'altro che banale, specialmente per l'epoca. La scena in casa del poeta, a cui vengono pignorati i mobili e che costringono i due amanti a spostarsi da una stanza all'altra, "(...) rivela un regista già esperto e anticipa il tono della futura commedia cameriniana, quella che trionferà negli anni '30"[3].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sergio Grmek Germani, Mario Camerini, Il Castoro, 1980
  2. ^ Brunetta, pp. 358-359.
  3. ^ Redi, p. 195.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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