Villa Triste

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Coordinate: 43°47′31.06″N 11°15′40.36″E / 43.791961°N 11.261211°E43.791961; 11.261211

Villa Triste è l'appellativo di vari luoghi di tortura in diverse città italiane usati dai nazifascisti durante gli ultimi anni della seconda guerra mondiale, dopo l'armistizio del 3 settembre 1943 e la nascita della Repubblica Sociale Italiana.

Elenco[modifica | modifica wikitesto]

Firenze[modifica | modifica wikitesto]

"Villa Triste" a Firenze

La Villa Triste di Firenze ebbe sede in un palazzo situato in via Bolognese 67 a Firenze, che ospitò anche una sezione della polizia politica tedesca (il SD: Sicherheitsdienst) e di un reparto della milizia repubblichina, la 92ª legione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (conosciuta come Banda Carità), nel periodo settembre 1943 agosto 1944.

I tedeschi concessero ai fascisti l'uso dei piani inferiori e degli scantinati del caseggiato, dove il comandante Mario Carità organizzò il Reparto Servizi Speciali, corpo in cui confluirono criminali di tutti i tipi in cambio di una sorta di amnistia e personaggi dalla salute mentale discutibile[1].

I locali occupati dagli uomini della Banda Carità, che si erano organizzati in squadre chiamate significativamente la "squadra degli assassini", la "squadra della labbrata" e i "quattro santi"[2], videro nei mesi successivi atti efferati, stupri[3] e torture di tutti i tipi: pestaggi furiosi[4] anche sui genitali[5], estirpazione delle unghie[6], evirazioni e occhi cavati[3], sigarette spente sui capezzoli alle ragazze[6].

Tra le vittime dei torturatori si ricordano Bruno Fanciullacci (uno dei gappisti che partecipò all'uccisione del filosofo Giovanni Gentile; in un primo tempo si pensò che fossero gli stessi uomini della Banda ad aver ucciso l'anziano "filosofo del fascismo", che aveva minacciato di denunciare le loro violenze efferate[7]), la giovane Anna Maria Enriques Agnoletti (1907-1944, fucilata a Cercina dalle SS) e il capitano Italo Piccagli, anch'egli fucilato a Cercina.

Tra i partecipanti agli interrogatori ci fu anche un monaco benedettino, padre Ildefonso (al secolo Epaminonda Troya)[8].

Quando il fronte iniziò ad avvicinarsi a Firenze, Mario Carità spostò le sue attività a Padova, installandosi a Palazzo Giusti e lasciando al suo posto in Toscana l'amico e collaboratore Giuseppe Bernasconi[9] (vedi anche eccidio di piazza Tasso). Villa Triste venne utilizzata come carcere e luogo di torture fino alla Liberazione di Firenze, nell'agosto del 1944.

Lo spiazzo su cui si affaccia fu in seguito intitolato a Bruno Fanciullacci. Una lapide scritta da Piero Calamandrei[10] ricorda gli atti di terrore e di coraggio compiuti:

Foto della lapide commemorativa

NON PIÙ VILLA TRISTE
SE IN QUESTE MURA
SPIRITI INNOCENTI E FRATERNI
ARMATI SOL DI COSCIENZA
IN FACCIA A SPIE TORTURATORI CARNEFICI
VOLLERO
PER RESTITUIR DIGNITÀ
PER NON RIVELARE IL COMPAGNO
LANGUIRE SOFFRIRE MORIRE
NON TRADIRE

Roma[modifica | modifica wikitesto]

L'edificio posto in via Tasso ai numeri 145 e 155 - che dal settembre 1943 al giugno 1944 ospitò la sede dell'Aussenkommando Rom der Sicherheitspolizei und des SD (Comando di Roma della Polizia di Sicurezza e dello SD) e del carcere provvisorio delle SS - è tristemente noto come luogo di tortura[11] per le vicende che lo vedono protagonista nel periodo dell'occupazione nazista della capitale. Da questo posto, interamente gestito dalle SS al comando dell'Obersturmbannführer Herbert Kappler, figura fondamentale nell'ambito dell'occupazione tedesca non solo di Roma ma di tutta la Penisola italiana, si stendono sulla città le complesse ramificazioni delle varie organizzazioni tedesche impegnate contro i patrioti e non solo, che, a centinaia, vengono arrestati e qui imprigionati. Inoltre, è dal carcere di via Tasso che partono la maggior parte degli uomini che andranno a morire alle Fosse Ardeatine, alla Storta o a Forte Bravetta[12]. L'edificio oggi ospita il Museo storico della Liberazione.

La Pensione Oltremare, in via principe Amedeo n. 2, era poi il luogo in cui iniziò ad operare la Banda Koch[13], fino a quando si spostò in via Romagna alla Pensione Jaccarino.

Milano[modifica | modifica wikitesto]

Nell'estate del 1944 un altro criminale, Pietro Koch, vincolato in passato a Mario Carità, aprì una nuova Villa Triste[14] con la sua banda, in via Paolo Uccello a Milano[15], ovvero in quella che era "villa Fossati", fatta costruire da Temistocle Fossati addossata ai resti della millenaria chiesa di San Sìro alla Vepra su progetto neorinascimentale dall'architetto Adolfo Zacchi, e requisita alla vedova Adele Mariani[16]. Il luogo era anche frequentato dal celebre attore Osvaldo Valenti[17], ma l'accusa mossagli dai partigiani di aver preso parte alle sevizie inflitte dalla Banda Koch ai prigionieri partigiani risultò poi essere completamente inventata, come emerse poi davanti alla Corte d'appello di Milano[18].

Questa nuova sede di torture ebbe però vita breve: il 25 settembre di quello stesso anno, il ministro di giustizia della RSI Piero Pisenti, spinto dalle proteste dei cittadini milanesi e da quelle dello stesso arcivescovo Schuster, ne ordinò la chiusura[19].

Trieste[modifica | modifica wikitesto]

Trieste ebbe il triste privilegio di essere stata la prima città italiana in cui venne aperta una Villa Triste[20], conosciuta oltretutto con tale denominazione. Si trattava di un edificio di modeste proporzioni sito in via Bellosguardo n. 8[21] che fin dal 1942 noto per essere stato abitato da una famiglia ebraica fino alle proclamazione delle leggi razziali, venne in seguito requisita e utilizzata non solo come sede dell’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, ma anche come luogo di interrogatori e di torture.

Il commissario dell'ispettorato era Giuseppe Gueli, mentre vicecommissario era Gaetano Collotti[22], il quale crea la cosiddetta "Banda Collotti". Nell'estate del 1944 svariate volte e per diversi giorni la "Banda Collotti" giustiziò dei civili gettandoli nel pozzo di una miniera a Basovizza[23].

Oltre alla villa di via Bellosguardo, vennero adibiti a tale scopo altri locali, denominati anch'essi "ville tristi": uno soprannominato "dai Gesuiti" e un altro in via Cologna, fino al 1994 sede di un comando di carabinieri (gestiti all'epoca, come quelli di via Bellosguardo, dall'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza).

«I luoghi della memoria dell'oppressione e della lotta sono tanti. A cominciare da via Bellosguardo a Trieste, dove in una villa demolita ormai da tempo ebbe sede per un certo periodo l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, l'organismo istituito dal regime nel 1942 con il compito di combattere il movimento partigiano ormai affermatosi anche nelle province giuliane. L'ispettorato si distinse per l'uso sistematico della tortura sugli arrestati e la villa di via Bellosguardo divenne nota per le urla dei seviziati che si sentivano dall'esterno. Un'altra sede dell'ispettorato fu l'attuale stazione dei carabinieri di via Cologna a Trieste, che è anche l'unica sede dell'organismo ancora esistente.[24]»

Genova[modifica | modifica wikitesto]

Anche Genova ebbe una Villa Triste gestita dai tedeschi: era ubicata nella Casa dello Studente di corso Giulio Cesare, ove avvenivano gli interrogatori e le torture nelle sue più svariate forme.

Mantova[modifica | modifica wikitesto]

A Mantova il luogo delle sevizie era Villa Gobio (o Villa Gobia) casa padronale di una corte di campagna nei pressi della città nelle campagna tra le località di Cerese e di Pietole. Dall'estate del 1944 alla primavera del 1945 fu una sede del controspionaggio militare tedesco, il F.A.T. 374 (Front Aufklärung Truppe). Al suo interno furono interrogati e seviziati molti antifascisti e agenti stranieri, talvolta fino alla morte. Attualmente è disabitata.

Biella[modifica | modifica wikitesto]

A Biella, luogo di sevizie e torture, fu Villa Schneider, un'elegante palazzina in stile liberty requisita dalle SS dopo l'armistizio di Cassibile ed usata come quartier generale della polizia politica in funzione repressiva dei movimenti partigiani ostili alla Repubblica Sociale Italiana.

Pavia[modifica | modifica wikitesto]

A Pavia la Villa Triste era ubicata all'angolo tra Via Santa Maria alle Pertiche e i giardini di Piazza Castello, al numero 27. Venne requisita dalle SS nel 1943 e rimase operativa per due anni. Dopo la guerra, il precedente proprietario ritornò in possesso della palazzina ma dovette venderla nel 1955. Villa Triste venne demolita e sul terreno vennero costruiti condomini. Nella zona, oggi, non vi sono targhe che ricordano gli orrori perpetrati in quel luogo.[25]

Prospetto riassuntivo[modifica | modifica wikitesto]

Numero Nome Città Tipologia internati Campo istituito da Direttori Operatività
1 Via Bellosguardo Trieste Ebrei italiani e stranieri; civili inglesi, apolidi, "italiani pericolosi" (oppositori politici ma anche pregiudicati per reati comuni, "allogeni" slavi e individui sospettati di spionaggio e di "attività antinazionale"), jugoslavi, partigiani Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza Giuseppe Gueli, Banda Collotti 1942 - 1945
2 Via Bolognese 67 Firenze Oppositori politici. Da qui passarono alcuni dei nomi più conosciuti della Resistenza fiorentina fra i quali, il gappista Bruno Fanciullacci, tutti[senza fonte] i componenti del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, Anna Maria Enriques Agnoletti, gli aderenti a Radio CORA 92ª legione della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale Mario Carità e la Banda Carità 17 settembre 1943 - 1945
3 Via Asti 22 Caserma Alessandro La Marmora Torino Ebrei italiani e stranieri, civili, apolidi, "italiani pericolosi" (oppositori politici ma anche pregiudicati per reati comuni, "allogeni" slavi e individui sospettati di spionaggio e di "attività antinazionale"), partigiani n/a Gastone Serloreti 1943 - 1945
4 Via Tasso Roma Ebrei italiani e stranieri, civili, apolidi, "italiani pericolosi" (oppositori politici ma anche pregiudicati per reati comuni, "allogeni" slavi e individui sospettati di spionaggio e di "attività antinazionale"), partigiani. Fra i detenuti del carcere anche Giuliano Vassalli, Giuseppe Cordero di Montezemolo, Sabato Martelli Castaldi, Roberto Lordi, Raffaele Aversa, Filippo Caruso, Giovanni Frignani, Bruno Buozzi, Carlo Zaccagnini, Filippo de Grenet, don Pietro Pappagallo SS Herbert Kappler, Erich Priebke, Pietro Koch 1943 - 1944
5 Villa Fossati, Via Paolo Uccello[14] Milano Ebrei italiani e stranieri, civili, apolidi, "italiani pericolosi" (oppositori politici ma anche pregiudicati per reati comuni, "allogeni" slavi e individui sospettati di spionaggio e di "attività antinazionale"), partigiani n/a Banda Koch, Armando Tela 1943 - 1945
6 Via Rovello Milano Ebrei italiani e stranieri, civili, apolidi, "italiani pericolosi" (oppositori politici ma anche pregiudicati per reati comuni, "allogeni" slavi e individui sospettati di spionaggio e di "attività antinazionale"), partigiani Legione Autonoma Mobile Ettore Muti Francesco Colombo 1944 - 1945

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Carlo Francovich e Giovanni Frullini, op. cit., passim; inoltre, fra le molteplici testimonianze, può risultare utile la lettura di "Enrico Bocci - Una vita per la libertà", a cura di Lucia Tumiati Barbieri, G. Barbera Editore, Firenze 1969
  2. ^ cfr. ad esempio Carlo Francovich, pag. 89 e Giovanni Frullini, op. cit., pagg. 27-28
  3. ^ a b Davide Scaglione, Memorie della Resistenza: i crimini della "Banda Carità", su infooggi.it, 25 aprile 2012. URL consultato il 29 marzo 2023 (archiviato dall'url originale il 17 gennaio 2022).
  4. ^ Io, sopravvissuto a Villa Triste | Libertà e Giustizia
  5. ^ «Vi racconto le torture e le violenze dei fascisti»La testimonianza di un sopravvissuto alla prigione di Vi... - l'Unità.it Archiviato il 14 aprile 2015 in Internet Archive.
  6. ^ a b La regina di “Villa Triste” L'ebrea sopravvissuta alle torture - Inchieste - la Repubblica
  7. ^ Bernard Berenson, Echi e riflessioni (Diario 1941-1944), Milano, Mondadori, 1950, pp. 326-27 (alla data 22 aprile). Cfr. Turi 1995, p. 524.
  8. ^ Carlo Francovich, op. cit., pag. 98
  9. ^ Giuseppe Bernasconi nel 1943-1944 aveva organizzato a Roma un gruppo di miliziani fascisti particolarmente attivo e violento, formato, in parte, da ex appartenenti alla "Guardia armata di palazzo Braschi", specializzato nelle rapine e nei sequestri di persona, direttamente collegato con i vertici della Gestapo nazista nella Capitale (cfr. Zara Algardi, Il processo Caruso - Resoconto stenografico integrale - Documenti inediti e 16 fotografie fuori testo, Darsena, 1944, p. 42, citato in: Amedeo Osti Guerrazzi, "La repubblica necessaria": il fascismo repubblicano a Roma, 1943-1944, Edizioni Franco Angeli, pag.62). Bernasconi era un ex truffatore con un passato di delinquente di mestiere. Nato a Firenze nel 1899, nel 1918 aveva avuto la prima denuncia per "assenteismo" dal suo reggimento (di artiglieria di fortezza). Sempre nel 1918 aveva partecipato all'assalto di un circolo comunista. Nel 1921 era stato ricoverato in manicomio perché riconosciuto dipendente dalla cocaina. Dopo aver preso parte all'assalto squadrista del ristorante "Comparini" a Firenze, aveva iniziato una poco lucrosa professione di truffatore con sedici condanne dal 1922 al 1942. Era stato cacciato dal Pnf per indegnità morale e aveva girovagato, negli anni Trenta, tra la Germania e la Svizzera, sempre cercando di raggirare il prossimo, ma sempre con risultati mediocri, dato che veniva regolarmente scoperto e arrestato (cfr. Archivio di Stato di Milano, Processo Koch, b. 4, vol. 14, Cartella biografica di Bernasconi Giuseppe fu Paolo). Durante la guerra riuscì a ritagliarsi un piccolo ruolo di confidente della polizia politica. Dopo l'otto settembre fu uno dei primi ad aderire al "Fascio romano" che occupò Palazzo Braschi, quello che, fino alla fuga del governo Badoglio, era stato la sede del ministero dell'Interno. In seguito all'arresto di Gino Bardi e Guglielmo Pollastrini, i due capi della famigerata "banda" a loro intitolata, divenne il Capo dell'Ufficio politico e riorganizzò il servizio con i resti della "Banda" di Palazzo Braschi. «Il Bernasconi, per la sua opera basata unicamente sulla illegalità e sulla rapina, riscuoteva la fiducia del Capo della Polizia repubblichina Tamburini, nonché dell'ex Questore ausiliario [di Roma – N.d.E.] Pietro Caruso e pertanto a lui venivano affidate quelle operazioni di polizia che i funzionari di carriera disdegnavano di eseguire perché sapevano di illegalità e miravano a fini specifici di collaborazione fattiva e concreta con i nazifascisti» (dalla denuncia all'Alta Corte di Giustizia contro Giuseppe Bernasconi, citata in: Massimiliano Griner, La banda Koch. Il reparto speciale di polizia 1943-44", Bollati Boringhieri, 2000, p. 83). Bernasconi, tra le sue svariate attività, si era specializzato nella caccia e nelle denuncia di ebrei (cfr. Zara Algardi, Il processo Caruso, cit. p. 42). Ebbe un ruolo non marginale durante la fuga da Roma dei resti del Pfr, agendo in diretto contatto con Kappler e Priebke alla testa di una formazione della "Ettore Muti". Malvolentieri fu l'organizzatore di un fallito tentativo di "recupero" di Pietro Caruso, che era stato arrestato dai partigiani a Viterbo, dopo aver tentato fino all'ultimo di evitare di assumersene il rischio, fingendo di sapere che Caruso fosse al sicuro. Soltanto il 10 giugno, quando la notizia della cattura di Caruso fu confermata, fu costretto a predisporre un tentativo di salvataggio dell'ex-questore di Roma, peraltro fallito (cfr. ACS, Rsi, Segreteria del Capo della polizia, b. 62, Relazione sul movimento del reparto "Muti" da Roma a Firenze, firmato da Franco Palmizi e giunto all'Ufficio del Capo della Polizia il 17 giugno 1944). Lasciata la Capitale, si diresse prima a Firenze, dove entrò a far parte della famigerata Banda Carità, rilevando la guida dell'Ufficio Politico Investigativo (UPI) della Guardia Nazionale Repubblicana fiorentina da Mario Carità quando questi l'8 luglio 1944 si trasferì prima a Bergantino e poi a Padova. In tale veste, Bernasconi svolse indagini sull'uccisione dell'11 luglio del milite fascista dell'UPI Valerio Volpini che portarono il 15 luglio all'arresto del partigiano gappista Bruno Fanciullacci, il quale fu condotto a Villa Loria, la famigerata "Villa Triste" di Firenze. Gravemente ferito nel corso di un tentativo di fuga, Fanciullacci morì il 17 luglio (cfr. FANCIULLACCI, Bruno in Dizionario Biografico – Treccani). Nel pomeriggio del 17 luglio 1944 le milizie repubblichine guidate da Giuseppe Bernasconi attaccarono i cittadini inermi presenti nella piazza Torquato Tasso, nel quartiere fiorentino di San Frediano, causando cinque vittime: Ivo Poli (di soli otto anni), Aldo Arditi, Igino Bercigli, Corrado Frittelli e Umberto Peri; si contarono inoltre numerosi feriti più o meno gravi. Altri 17 abitanti del quartiere furono catturati e di loro si persero le tracce. Solo molti anni dopo, nel 1952, furono ritrovati i loro corpi sul greto del fiume Arno, nei pressi del parco delle Cascine: erano stati fucilati. Il 25 luglio 1944 Bernasconi si spostò a Parma e infine a Torino. Qui si installò all'albergo "Svizzera" e cercò di creare una nuova banda, sempre alle dirette dipendenze dei tedeschi, ma nel dicembre 1944 fu costretto a scappare perché accusato di varie truffe (cfr. Archivio di Stato di Milano, Processo Koch, b. 4, vol. 14, Regia Questura di Torino. Denuncia a carico dei componenti della Squadra Speciale di polizia con sede all'Albergo Svizzera, via Sacchi 4). Venne arrestato il 27 maggio 1945 e processato per i crimini commessi, ma riuscì ad evitare la condanna alla pena capitale. Fu condannato all'ergastolo, ma scontò appena una dozzina di anni. La maggior parte delle informazioni su Giuseppe Bernasconi è stata tratta da: Amedeo Osti Guerrazzi, "La repubblica necessaria": il fascismo repubblicano a Roma, 1943-1944, Edizioni Franco Angeli, pagg.92-94.
  10. ^ Lapide di Villa Triste, su wikimapia.org. URL consultato il 27 ottobre 2013.
  11. ^ Museo Storico della Liberazione Archiviato il 5 marzo 2016 in Internet Archive.
  12. ^ Museo Storico della Liberazione Archiviato il 5 marzo 2016 in Internet Archive.
  13. ^ Paolo Brogi, Le vittime della banda Koch ricordate con una targa, Corriere della sera, 24 gennaio 2011, secondo cui "alcuni prigionieri sostennero che era meglio stare a via Tasso piuttosto che alla pensione Oltremare. Anche il regista Luchino Visconti fu portato alla Pensione Oltremare, si salvò per intercessione di un’amica attrice".
  14. ^ a b Giovanni Memo, La banda Koch a Milano - Tra i reclusi a "Villa Triste" (PDF), collana Collana Nuove Firme, Milano, Tipografia Editoriale Luigi Memo, 1945 [1945], p. 40. URL consultato il 06/07/2016 (archiviato dall'url originale il 13 dicembre 2013).
  15. ^ Gian Luca Margheriti, 1001 cose da vedere a Milano almeno una volta nella vita, Roma, Newton Compton, 2010, p. 671, ISBN 978-88-541-2157-7.
  16. ^ Bruno Maida, I luoghi della Shoah in Italia, pag.42, Torino, Edizioni del Capricorno, 2017, ISBN 978-88-7707-329-7.
  17. ^ Danis Mack Smith, op. cit., pag. 492
  18. ^ http://archiviostorico.corriere.it/2001/luglio/31/Luisa_Ferida_Osvaldo_Valenti_Dai_co_0_0107311334.shtml Silvio Bertoldi:"Che Valenti e la Ferida fossero innocenti e la loro fucilazione fosse piuttosto un assassinio, come fu poi provato dalla Corte d'appello di Milano, non era affar suo"
  19. ^ Alessio Campo, Villa Triste. La visita nella casa delle torture, su mentelocale.it. URL consultato il 25 gennaio 2015 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2015).. Presentazione del libro su YouTube Filmato video Milano 1944 Villa Triste. La famigerata banda Koch, parte 1°, 24 ottobre 2014. URL consultato il 25 gennaio 2015, Filmato video parte 2°, 24 ottobre 2014. URL consultato il 25 gennaio 2015.
  20. ^ Testimonianza di Nerina De Walderstein nata a Trieste nel 1925, residente a Trieste da RAI, su testimonianzedailager.rai.it. URL consultato il 22 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 7 ottobre 2008).
  21. ^ La regina di “Villa Triste” L’ebrea sopravvissuta alle torture, La Repubblica, 2011
  22. ^ Il Mostro e l'Eroe
  23. ^ La foiba di Basovizza
  24. ^ Sandi Wolk, I luoghi della memoria slovena a Trieste e Provincia (PDF), in Un itinerario della memoria. Educare attraverso i luoghi, p. 215.
  25. ^ Anpi Pavia, ANPI Pavia - Sezione Centro Onorina Pesce Brambilla: STORIA DI VILLA TRISTE, PAVIA '43-'45, su ANPI Pavia - Sezione Centro Onorina Pesce Brambilla, sabato 13 settembre 2014. URL consultato il 3 gennaio 2019.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Bruno Maida, I luoghi della Shoah in Italia, Torino, Edizioni del Capricorno, 2017, ISBN 978-88-492-3317-9.
  • Giovanni Baldini, Villa triste, su ResistenzaToscana.it. URL consultato il 25.01.2015 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  • Piero Bargellini, Ennio Guarnieri, Le strade di Firenze, 4 voll., Firenze, Bonechi, 1977-1978.
  • Giovanni Memo, La banda Koch a Milano. Tra i reclusi di Villa Trieste, Tipografia Editoriale Luigi Memo, Milano, 1945 link a pdf
  • Carlo Francovich, La resistenza a Firenze, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1962.
  • Giovanni Frullini, La liberazione di Firenze, Sperling & Kupfer Editori, Milano 1982
  • Danis Mack Smith, Mussolini, Rizzoli, Milano 1983

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  • Villa Triste, su Resistenzatoscana.it. URL consultato il 19 gennaio 2009 (archiviato dall'url originale il 16 agosto 2010).
  • Villa Triste, su Chi era costui?. URL consultato il 19 gennaio 2009.