Utente:Spadari Donna/Sandbox

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Ibn Battuta

ʾAbū ʿAbd al-Lāh Muḥammad ibn ʿAbd al-Lāh l-Lawātī ṭ-Ṭanǧī ibn Baṭṭūṭah, noto semplicemente come Ibn Battuta (in arabo: ابن بطوطة; Tangeri, 25 febbraio 1304Fès, 1368 o 1369), è stato un viaggiatore, storico e giurista marocchino considerato uno dei più grandi viaggiatori di tutti i tempi.[1][2]

I suoi viaggi interessarono Africa e Asia e la sua opera maggiore è la Riḥla (in arabo: الرحلة), che significa Viaggio, in cui Ibn Battuta riporta ricordi e osservazioni del suo viaggio durato circa trent'anni.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Primi anni[modifica | modifica wikitesto]

Tutto ciò che sappiamo sulla vita di Ibn Battuta viene dai suoi racconti di viaggio autobiografici. Nacque il 25 febbraio 1304 a Tangeri, in Marocco, da una famiglia di giuristi islamici di etnia berbera.[1] Studiò a La Mecca in una madhhab, la scuola di giurisprudenza islamica.

Itinerario 1325–1332[modifica | modifica wikitesto]

Itinerario di Ibn Battuta 1325–1332 (Nord Africa, Iraq, Persia, Penisola Arabica, Somalia, costa dello Swahili)

Primo pellegrinaggio[modifica | modifica wikitesto]

Iniziò le sue peregrinazioni nel 1325, a ventuno anni, partendo dalla sua città natale e dirigendosi in pellegrinaggio (hajj) alla Mecca.[3] Così scrive:[4]

«Sono partito da solo, senza compagni con cui potessi vivere a stretto contatto, senza una carovana di cui potessi fare parte; era come se fossi spinto da un forte impulso dentro di me e dal desiderio nascosto nel mio cuore di visitare quegli illustri santuari. Quindi decisi di separami dai miei cari, donne e uomini, e abbandonai la mia casa come gli uccelli abbandonano i loro nidi. Mio padre e mia madre erano ancora vivi. Mi rassegnai a separarmi da loro, e questo fu per me come per loro causa di dolore.»

Piastrella ottomana del XVII secolo raffigurante la Ka'ba, alla Mecca

Il suo itinerario prevedeva di passare lungo la costa del Nord Africa, attraverso il sultanato di Abd al-Walid e di Hafsid. Passò per le città di Tlemcen, Béjaïa e Tunisi, dove trascorse due mesi.[5] Per spostarsi in sicurezza e per evitare di essere derubato, Ibn Battuta preferiva unirsi a carovane. Si sposò nella città di Sfax; questo matrimonio sarebbe stato il primo di una lunga serie.[6]

Nella primavera del 1326, dopo un percorso di oltre 3,500 km, Ibn Battuta arrivò al porto di Alessandria d'Egitto, in quel periodo parte del sultanato mamelucco dei Bahri. In Egitto trascorse diverse settimane, visitando vari luoghi della zona, poi si diresse al Cairo[7], la capitale del sultanato mamelucco e una delle più importanti città. Vi rimase un mese, e poi continuò il tragitto per La Mecca, scegliendo la strada meno battuta all'interno del relativamente sicuro territorio mamelucco. Il suo viaggio continuò lungo la valle del Nilo e in seguito verso est, al porto del Mar Rosso di 'Aydhab. Poco prima di raggiungere la città però una ribellione locale lo costrinse a tornare indietro.[8]

Ritornato al Cairo, Ibn Battuta prese una secondo percorso verso la città di Damasco in Siria[9], controllata dai Mamelucchi. Questo percorso gli fu indicato da un santone che incontrò in Egitto che gli disse che solamente attraversando la Siria, sarebbe arrivato alla Mecca. Infatti visto che lungo la via vi erano città sacre come Hebron, Gerusalemme e Betlemme, i Mamelucchi cercavano di tenere sicura la strada del pellegrinaggio verso La Mecca, senza che il pellegrino corresse il rischio di essere derubato o ucciso.[10]

Dopo aver passato il mese di ramadan a Damasco, Ibn Battuta si unì a una carovana che si dirigeva a Medina, luogo di sepoltura del profeta Maometto. Restò nella città quattro giorni e in seguito di diresse verso La Mecca, completando il suo pellegrinaggio. Invece di tornare a casa, Ibn Battuta decise di continuare il viaggio, scegliendo come tappa successiva l'Ilkhanato, un khanato mongolo, verso nord-est.[11]

Iraq e Persia[modifica | modifica wikitesto]

Ibn Battuta in una breve visita alla città persiana di Tabriz nel 1327

Il 17 novembre 1326, dopo un mese trascorso alla Mecca, Ibn Battuta si unì a una grande carovana di pellegrini che tornavano in Iraq attraversando la penisola araba.[12] Il gruppo si diresse verso nord a Medina e poi verso nord-est attraverso l'altopiano di Najd a Najaf, dove Ibn Battuta visitò il mausoleo di Ali, il quarto califfo.[13]

In seguito invece di continuare il viaggio con la carovana verso Baghdad, Ibn Battuta intraprese una deviazione che lo portò in Persia. Da Najaf si diresse a Wasit, poi verso sud seguendo il fiume Tigri, arrivando a Bassora. La successiva destinazione fu la città di Esfahan nei Monti Zagros. Poi si diresse verso sud a Shiraz, una grande e fiorente città risparmiata dalle distruzioni degli invasori Mongoli. Nel giugno 1327, infine, ritornò a Baghdad,[14] dove parte della città era ancora in rovina a causa della distruzione inflitta dall'esercito del condottiero mongolo Hulagu Khan nel 1258.[15]

A Baghdad trovò Abu Sa'id, il sovrano dell'Ilkhanato mongolo, che stava lasciando la città per dirigersi verso nord con un gran seguito.[16] Ibn Battuta si unì alla carovana reale per un po', ma poi si divise e seguendo la via della seta verso nord raggiunse Tabriz, la prima grande città della regione che si aprì ai Mongoli, diventando un importante centro di commercio rispetto alle altre città della zona. Infatti quest'ultime risentirono negativamente dei Mongoli che invasero e rasero al suolo questi centri.[17]

Ibn Battuta partì di nuovo per Baghdad, facendo un'escursione risalendo verso nord il fiume Tigri. Visitò Mossul, dove fu ospite del governatore ilkhanide, e le città di Cizre e Mardin nell'attuale Turchia.[18] In un eremo di montagna, vicino Sinjar, incontrò un mistico curdo che gli diede qualche moneta d'argento.[19] Una volta ritornato a Mossul, si unì a una piccola carovana di pellegrini che si dirigeva verso sud a Baghdad, dove si sarebbero uniti ad una carovana più grande che attraversava il Deserto Arabico fino ad arrivare alla Mecca. Durante il viaggio Ibn Battuta si ammalò e arrivò in città per il secondo pellegrinaggio esausto e senza forze.[20]

Penisola araba[modifica | modifica wikitesto]

Città vecchia di Sana'a, nello Yemen

Ibn Battuta restò alla Mecca per diverso tempo, secondo la Riḥla tre anni, dal settembre 1327 all'autunno 1330, anche se i commentatori ipotizzano che abbia lasciato la città nel 1328.

Dopo il pellegrinaggio si diresse al porto di Gedda, nelle coste del Mar Rosso. Da lì proseguì il suo viaggio in varie imbarcazioni, che avanzavano lentamente a causa dei forti venti sud-orientali. Una volta arrivato in Yemen, Ibn Battuta visitò Zabid e Ta'izz, situata su un altopiano. Qui incontrò il re della dinastia dei Rasulidi, Mujahid Nur al-Din Ali. Nella Riḥla Ibn Battuta dice di aver visitato anche la città di Sana'a, ma questo fatto non è certo.[21] Con ogni probabilità, partì da Ta'izz e andò direttamente ad Aden, un'importante città portuale, arrivando lì intorno al 1329-1331.[22]

Somalia[modifica | modifica wikitesto]

Il porto e il lungomare di Zeila

Da Aden, si imbarcò in una nave diretta a Zeila, nelle coste della Somalia. Poi si spostò a capo Guardafui costeggiando il litorale somalo. Successivamente visitò Mogadiscio, l'allora preminente città della "Terra dei Berberi" (بلد البربر Balad al-Barbar, il termine medievale arabo per il Corno d'Africa).[23]

Nel 1331, quando arrivò in questa città, Mogadiscio era all'apice della sua prosperità. Lui la descrive come "una città estremamente grande" con molti ricchi mercanti, noti per i loro tessuti di alta qualità esportati in altri paesi, incluso l'Egitto.[24] Nel suo racconto aggiunse che la città era governata da un sultano somalo, Abu Bakr ibn Sayx 'Umar,[25] originario della città di Berbera, nel nord della Somalia, che parlava con pari scioltezza sia il somalo (a cui Ibn Battuta si riferisce come mogadisho, il dialetto somalo del Benadir) che l'arabo.[26] Il sultano aveva un seguito di visir (ministri), esperti legali, comandanti, eunuchi reali e altri seguaci a sua completa disposizione.[27]

Costa dello Swahili[modifica | modifica wikitesto]

La Grande Moschea di Kilwa Kisiwani, fatta di pietre di corallo è la più grande moschea del suo genere

Ibn Battuta continuò a viaggiare in nave e si diresse a sud verso le coste dello Swahili, una regione nota in arabo come Bilad al-Zanj ("Paese degli Zanj").[28] Si fermò una notte nella città di Mombasa,[29] che, anche se relativamente piccola a quel tempo, sarebbe diventata molto importante nel secolo a venire.[30] Dopo un viaggio lungo la costa, arrivò a Kilwa, nell'attuale Tanzania,[31] un importante centro di transito del commercio dell'oro.[32] La città viene descritta come "una delle città più belle e ben costruite; tutti gli edifici sono di legno e i tetti delle case sono ricoperti di canne dīs."[33]

Registrò la sua visita al sultanato Kilwa nel 1330 e commentò con molto apprezzamento l'umiltà e la religione del suo governatore, il sultano al-Hasan ibn Sulaiman, un discendente del leggendario Ali ibn al-Hassan Shirazi. Scrisse inoltre che l'autorità del sultano si estendeva da Malindi, nel nord, fino a Inhambane, nel sud, ed era particolarmente impressionato dall'organizzazione della città, credendo che questa fosse la ragione del successo dei Kilwa. A questo periodo risalgono la costruzione del palazzo di Husuni Kubwa e una significativa estensione della Grande Moschea di Kilwa, la più grande moschea fatta di pietre di corallo. Con un cambio dei venti del monsone, Ibn Battuta ritornò nella Penisola araba, prima in Oman e nello Stretto di Hormuz, poi di nuovo alla Mecca nel 1330 (o 1332) per il pellegrinaggio.

Itinerario 1332–1347[modifica | modifica wikitesto]

Itinerario di Ibn Battuta 1332–1346 (Mar Nero, Asia centrale, India, sud-est asiatico e Cina)

Anatolia[modifica | modifica wikitesto]

Ibn Battuta avrebbe incontrato Andronico III Paleologo nel tardo 1332

Dopo il terzo pellegrinaggio alla Mecca, decise di cercare lavoro presso il sultano musulmano di Delhi, Muhammad bin Tughluq. Nell'autunno del 1330 (o 1332) partì per l'Anatolia, un territorio controllato dai Selgiuchidi, con l'intenzione di intraprendere un percorso via terra per l'India.[34] Attraversò il Mar Rosso e il Deserto Orientale, arrivando nella Valle del Nilo, quindi proseguì alla volta del Cairo. Da qui attraversò la penisola del Sinai fino ad arrivare in Palestina, poi continuò di nuovo verso nord attraversando alcune delle città che visitò nel 1326. Dal porto siriano di Laodicea si imbarcò su una nave genovese per Alanya, nella costa meridionale dell'attuale Turchia.[35] Da lì si spostò lungo la costa verso ovest fino al porto di Antalya.[36] In questa città incontrò alcuni membri di una delle associazioni semi-religiose fityan.[37] Questi erano per lo più giovani artigiani, a cui faceva capo un leader detto Akhis.[38] L'associazione era specializzata nell'accoglienza dei visitatori e Ibn Batutta fu molto colpito dall'ospitalità che ricevette, tanto da soggiornare nei loro ospizi in altre 25 città anatoliche che visitò.[39] Da Antalya proseguì per l'entroterra, arrivando a Eğirdir, la capitale della dinastia hamidide. Passò il mese di ramadan (giugno 1331 o maggio 1333) in questa città.[40]

Da questo momento il suo itinerario in Anatolia descritto nella Riḥla è ambiguo. Scrisse di essersi diretto verso ovest da Eğirdir a Milas, e di aver poi proseguito 420 km a est, passando nuovamente per Eğirdir, arrivando a Konya. Viaggiando verso est, avrebbe raggiunto Erzurum. Poi da qui fece altri 1160 km indietro e arrivò a Birgi, che si trova a nord di Milas.[41] Molti storici sono convinti del fatto che Ibn Battuta visitò molte città in centro Anatolia, ma non seguendo l'ordine delle sue descrizioni.[42]

Asia Centrale e Meridionale[modifica | modifica wikitesto]

Da Sinope si imbarcò su una nave diretta alla penisola di Crimea, giungendo nel Khanato dell'Orda d'Oro. Quindi andò nella città portuale di Azov, dove si incontrò con l'emiro del khanato, e poi nella ricca città di Majar. Lasciò la città per incontrarsi con la corte itinerante di Uzbek Khan, che in quel momento si trovava vicino al Monte Beshtau. Da lì proseguì per Bolğar. Questa città fu il punto più a nord che riuscì a raggiungere e qui annotò l'inusuale fatto delle brevi notti d'estate. Poi tornò alla corte del Khan e con essa partì per Astrachan'.

Un cammello (uno dei simboli delle carovane della via della eta) di fronte al mausoleo di Khoja Ahmed Yasawi nella città di Turkistan

Ibn Battuta registrò nella Riḥla che mentre era a Bolğar, avrebbe voluto viaggiare verso nord, nelle terre dell'oscurità. Nel nord della Siberia la terra era completamente ricoperta dalla neve e l'unico mezzo di trasporto erano le slitte trainate dai cani. Lì viveva un popolo misterioso, riluttante a farsi vedere. Gli abitanti commerciavano con le popolazioni del sud in una maniera alquanto particolare: durante la notte i mercanti del sud portavano le varie merci in una zona aperta, le posizionavano sulla neve e facevano ritorno nelle loro tende. La mattina seguente ritornavano in quel luogo e notavano che le loro mercanzie non c'erano più, molto probabilmente portate via da gente misteriosa, e al loro posto trovavano pelli e pellicce che potevano essere utilizzate per fare cappotti preziosi, giacche e altri indumenti invernali. Lo scambio di queste merci tra i mercanti e il popolo misterioso avveniva senza che le due genti si vedessero. Ibn Battuta, che non era un commerciante, non pensò che valesse la pena arrivare fin là e perciò rinunciò all'idea di andare in quelle terre dell'oscurità.[43]

Bandiera dell'Orda d'Oro durante il regno di Uzbek Khan

Il periodo in cui Ibn Battuta arrivò ad Astrachan', coincise con il momento in cui Uzbek Khan diede il permesso a una delle sue mogli incinta, la principessa Bayalun, figlia dell'imperatore bizantino Andronico III Paleologo, di ritornare alla sua città natale di Costantinopoli per dare alla luce il bambino. Ibn Battuta racconta che stava intraprendendo un viaggio al di fuori dei confini del mondo musulmano,[44] infatti arrivò a Costantinopoli a fine 1332 (o 1334), dove incontrò l'imperatore bizantino Andronico III Paleologo. Visitò la basilica di Santa Sofia e parlò con un prete ortodosso del suo viaggio nella città di Gerusalemme. Dopo aver trascorso un mese in città, ritornò ad Astrachan' per arrivare poi a Saraj Batu, la capitale dell'Orda d'Oro, dove riportò le vicende dei suoi viaggi al sultano Uzbek Khan. Poi continuò il suo viaggio passando per il Mar Caspio e Lago d'Aral e arrivò prima a Bukhara e poi a Samarcanda, dove fece visita alla corte di un altro re mongolo del khanato Chagatai, Tarmashirin.[45] Da lì si diresse verso sud, attraversò l'Afghanistan e valicando il passo dell'Hindu Kush, arrivò in India. Nella Riḥla parla di queste montagne e del fenomeno del commercio degli schiavi:[46]

«Dopo ciò, procedetti per la città di Barwan, nella strada che porta a una grande montagna, coperta di neve ed estremamente fredda; la chiamano Hindu Kush, che sarebbe Hindu-uccisore, perché molti degli schiavi portati dall'India muoiono qui a causa del freddo intenso.»

Ibn Battuta e il suo seguito arrivarono al fiume Indo il 12 settembre 1333.[47] Da qui, si diressero verso Delhi, dove conobbe il sultano Muhammad bin Tughluq.

India[modifica | modifica wikitesto]

Tomba di Feroze Shah Tughluq, successore di Muhammad bin Tughlug, a Delhi. Ibn Battuta fu qadi (o giudice) per sei anni durante il regno di Muhammad bin Tughluq

Muhammad bin Tughluq era conosciuto come l'uomo più ricco del mondo musulmano in quel momento. Per consolidare il proprio potere finanziò diversi studiosi, esponenti del sufismo, qadi, visir e altri funzionari. Come i Mamelucchi in Egitto, la dinastia Tughlak era un raro esempio di un dominio musulmano dopo l'invasione mongola. Sulla base dei suoi studi alla Mecca, Ibn Battuta fu nominato qadi (giudice) dal sultano.[48] Durante il suo incarico come qadi trovò difficile far rispettare la legge islamica all'interno della corte del sultano a Delhi perché questa non sembrava interessata alla religione islamica.[49]

Del regno dei Rajput di Sarsatti, Ibn Battuta visitò la città di Hansi, descrivendola come "una delle città più belle, meglio costruite e più popolate; è circondata da imponenti mura, e si dice che il suo fondatore fu uno dei più grandi re infedeli, chiamato Tara".[50] Al suo arrivo nel Sindh scrisse dei rinoceronti indiani che vivevano sulle rive del fiume Indo.[51]

Il sultano era un personaggio molto imprevedibile per gli standard del suo tempo e Ibn Battuta passò per sei anni tra il vivere la bella vita come subordinato di fiducia e cadere in sospetto per una serie di reati. Il suo piano di andarsene con il pretesto di fare un altro pellegrinaggio, ma fu ostacolato dal sultano. L'opportunità di andarsene da Delhi arrivò nel 1341 quando giunse in città un'ambasciata della dinastia cinese Yuan a chiedere il permesso di ricostruire il tempio popolare dei buddhisti himalayani per i pellegrini cinesi.[52]

Ibn Battuta fu incaricato di seguire l'ambasciata, ma in rotta verso la costa per iniziare il viaggio verso la Cina, lui e il suo grande seguito furono attaccati da un gruppo di banditi.[53] Separato dai suoi compagni, venne derubato e perse quasi la vita.[54] Nonostante questa battuta d'arresto, in dieci giorni si rimise in sesto e con il suo gruppo continuò il viaggio verso Khambhat, nello stato indiano del Gujarat. Da qui navigò verso Calicut (ora conosciuta come Kozhikode), dove il portoghese Vasco da Gama sarebbe sbarcato due secoli dopo. Mentre era a Calicut, fu ospite del regnante Zamorin.[48] Quando un giorno andò a visitare una moschea sulla costa, si scatenò un grosso temporale che distrusse una delle tre barche della sua spedizione. Le altre due partirono subito e lo lasciarono a terra.[55] Pochi mesi più tardi quelle stesse navi furono catturate dal re di Sumatra.

Timoroso del ritorno a Delhi e del fatto di essere visto come un fallito, restò per un po' nel sud dell'India sotto la protezione di Jamal-ud-Din, il governatore del piccolo ma potente sultanato di Nawayath, sulle sponde del fiume Sharavati vicino al Mar Arabico. Quest'area è oggi nota come Hosapattana e si trova nel distretto amministrativo Honavar del Kannada Settentrionale. Dopo il rovesciamento del sultanato, non ebbe altra scelta se non quella di lasciare l'India. Anche se molto determinato a continuare il suo viaggio verso la Cina, fece una deviazione per visitare le isole Maldive.

Un'isola delle Maldive

In queste isole si fermò per nove mesi, molto di più di quanto avesse previsto. Visto che era un Chief Qadi, le sue abilità erano altamente desiderabili in questa nazione, da poco diventata islamica. Si sposò con una donna della famiglia reale di Omar I e fu coinvolto nella politica locale. Espresse severi giudizi sulla politica liberistica del regno, irritando i governanti delle isole. Fu questo il motivo per cui andò via. Nella Riḥla parla del suo sgomento per le donne locali che giravano senza abiti dalla vita in su, oltre che dei locali che non si preoccupavano di lui quando si lamentava con loro.[56] Dalle Maldive proseguì per lo Sri Lanka, dove visitò il Monte Sri Pada e il tempio Tenavaram.

La nave in cui poi si imbarcò rischiò di affondare, quindi, una volta ritornato a terra, continuò il suo viaggio verso il sultanato indiano di Madurai. Qui trascorse un periodo nella corte di quest'effimero sultanato, sotto il governo di Ghiyas-ud-Din Muhammad Damghani.[57] Arrivò al porto di Chittagong, nel moderno Bangladesh, con l'intenzione di viaggiare verso Sylhet per incontrare Shah Jalal, un noto esponente del sufismo. Per raggiungerlo dovette intraprendere un viaggio di circa un mese che prevedeva l'attraversamento della catena montuosa del Kamaru, vicino a Sylhet. Durante il percorso fu accolto e aiutato da molti discepoli di Shah Jalal. L'incontro tra i due avvenne nel 1345 e Ibn Battuta descrisse Shah Jalal come un uomo alto e magro, di carnagione chiara, che viveva in una moschea in una grotta, nella quale l'unico oggetto di valore era una capra che teneva per procurarsi latte, burro e yogurt. Notò che i seguaci di Shah Jalal erano stranieri, famosi per la loro forza e il coraggio. Ibn Battuta dice anche che molte persone volevano incontrare lo Shah per cercare una guida. In seguito continuò il suo viaggio verso nord nella regione di Assam, ma presto ritornò indietro e proseguì secondo il suo piano originale.

Sud-est asiatico[modifica | modifica wikitesto]

Si dice che quando Ibn Battuta arrivò a Po Klong Garai (detta "Kailukari"), nel Vietnam, conobbe per un breve periodo una principessa locale Urduja (forse della dinastia Trần o dell'aristocrazia degli Chăm)

Nel 1345 Ibn Battuta viaggiò nel sultanato di Samudra Pasai, che si trova nell'attuale territorio di Aceh, nel nord di Sumatra. Qui scrisse che il governatore di Samudra Pasai era un musulmano pio di nome Sultan Al-Malik Al-Zahir Jamal-ad-Din, che eseguiva i doveri religiosi con massimo zelo e che solitamente retribuiva le campagne contro gli animisti della religione. Racconta Ibn Battuta che l'isola di Sumatra era ricca di canfora, noce di Areca, chiodi di garofano e stagno. A quel tempo il sultanato di Samudra Pasai marcava la fine della dar al-Islam, perché a est di questo luogo non c'era nessun altro territorio governato da un musulmano. Ibn Battuta rimase in questo sultanato per due settimane, ospitato dal sultano, che lo aiutò con le provviste e gli fornì una delle sue giunche per raggiungere la Cina.[58]

Ibn Battuta navigò verso Malacca, nella penisola malese, dove incontrò il governatore della città che lo ospitò per tre giorni. Poi partì alla volta di Po Klong Garai (detta "Kailukari") nel Vietnam, dove si dice che abbia incontrato una principessa Urduja delle Filippine che scriveva la parola bismillah in calligrafia islamica. Descrisse la popolazione di quel luogo come oppositriceore dan.[59] Da Po Klong Garal raggiunse finalmente Qinui nella provincia cinese di Fujian.

Cina[modifica | modifica wikitesto]

Quando arrivò Quanzhou nel 1345, la città era sotto il dominio dei Mongoli. Una delle prime cose che notò fu il fatto che i musulmani chiamavano la città con il nome di "Zaitun" (cioè oliva), ma Ibn Battuta non riuscì a vedere olive da nessuna parte. Annotò inoltre che artisti locali facevano ritratti degli stranieri appena arrivati in città, per motivi di sicurezza. Ibn Battuta lodò gli artigiani, la loro seta e le loro porcellane, ma anche la frutta come le prugne e i cocomeri, e il vantaggio della cartamoneta.[60] Descrisse il processo di manifattura delle grandi pecore della città di Quanzhou[61] e raccontò della cucina cinese e del suo largo uso di animali come rane, maiali e perfino cani, venduti al mercato. Inoltre notò che i polli in Cina erano più grandi. Gli studiosi hanno fatto luce su molteplici errori nel racconto di Ibn Battuta in Cina, per esempio il fatto di aver confuso il fiume Giallo con il Gran Canale e altri corsi d'acqua, o la credenza che la porcellana fosse ricavata dal carbone.[62]

A Quanzhou Ibn Battuta fu ricevuto dal qadi locale musulmano Sheikh al-Islam e dal leader dei mercanti musulmani locali, che lo accolsero con bandiere, tamburi, trombe e musicisti.[63] Notò che la popolazione musulmana viveva in una parte separata della città, dove aveva le sue moschee, bazar e ospedali. Sempre a Quanzohu, incontrò due persiani di spicco, Burhan al-Dina di Kazerun e Sharif al-Din di Tabriz,[64] entrambi personaggi influenti detti rispettivamente "A-mi-li-ding" e "Sai-fu-ding" nella storia degli Yuan.[65] Mentre era in città, Ibn Battuta salì sul "Monte dell'Eremita" (il Monte Qingyuan) e fece una breve visita a un famoso monaco taoista in una grotta.

Poi viaggiò verso sud lungo la costa cinese e arrivò a Canton, dove si fermò per due settimane in compagnia di uno dei ricchi mercanti della città.[66]

Da Canton andò a nord verso la città di Fuzhou, dove si stabilì da Zahir al-Din e fu molto fiero di conoscere Kawan al-Din e un suo connazionale chiamato Al-Bushri di Ceuta, che in Cina era diventato un ricco mercante. Al-Bushri accompagnò Ibn Battuta nella città di Hangzhou e gli pagò il dono che avrebbe presentato all'imperatore mongolo Togon Temür della dinastia Yuan.[67]

Ibn Battuta scrisse che Hangzhou, situata su un bellissimo lago circondato da dolci colline verdi[68] , era una delle più grandi città che avesse mai visto, e fu colpito dal suo fascino.[69] Soggiornò da una famiglia di origine egiziana[67] , raccontò del quartiere musulmano, e del grande numero di navi cinesi ben costruite e dipinte, con vele colorate e tende di seta, radunate nei canali. In seguito partecipò a un banchetto dell'amministratore mongolo della città chiamato Qurtai, che secondo Ibn Battuta era molto appassionato dalle abilità dei prestigiatori locali cinesi.[70] Ibn Battuta scrisse anche della gente del posto che adorava la divinità solare.[71]

Mentre navigava lungo il Gran Canale descrisse quello che vedeva dalla barca: i campi coltivati, le orchidee, i mercanti vestiti di seta nera, così come le donne e i preti.[72] Arrivato a Pechino, si presentò come l'ambasciatore del sultanato di Delhi e fu invitato alla corte imperiale Yuan di Togon Temür. Scrisse che il palazzo di Khanbaliq era fatto di legno e che la moglie del governatore, l'imperatrice Gi, teneva processioni in suo onore.[73]

Ibn Battuta fu il primo che menzionò la Grande Muraglia Cinese, anche se non ebbe l'opportunità di vederla

Scrisse anche che sentì parlare del "bastione di Yajuj e Majuj" che si trovava sessanta giorni di viaggio dalla città di Zeitun (Quanzhou).[74] Secondo l'orientalista Hamilton Alexander Rosskeen Gibb Ibn Battuta credeva che la Grande Muraglia Cinese fosse stata costruita da Dhul-Qarnayn per contenere Gog e Magog, come menzionato nel Corano.[74] Però, chiedendo alla gente cinese di questa muraglia, Ibn Battuta riporta di non aver trovato nessuno che disse di averla vista o che sapesse di qualcuno che la vide, il che suggerisce che non c'era nessuna struttura significativa della muraglia costruita nei periodi precedenti, che fosse rimasta in quell'epoca (la struttura attuale fu costruita dopo, durante la dinastia Ming).[75]

Ibn Battuta viaggiò da Pechino a Hangzhou e poi procedette per Fuzhou. Durante il suo ritorno a Quanzhou, si imbarcò su un vascello cinese di proprietà del sultano di Samudera Pasai diretto nel sud-est asiatico a proprie spese, perdendo molto di quello che aveva risparmiato durante il suo soggiorno in Cina.[76]

Ibn Battuta scrisse che il khan mongolo fu sepolto nella sua tomba con sei schiavi soldato e quattro schiave donne,[77] oltre che con argento, oro, armi e tappeti.[78]

Ritorno[modifica | modifica wikitesto]

Quando ritornò a Quanzhou nel 1346, Ibn Battuta iniziò il suo viaggio di ritorno verso il Marocco.[79] A Calicut pensò di rimettersi di nuovo alla mercé di Muhammad bin Tughluq di Delhi, ma decise di continuare il suo viaggio verso La Mecca. Nel suo percorso verso Bassora, passò lungo lo stretto di Hormuz, dove venne a sapere che Abu Sa'id, l'ultimo governatore dell'Ilkhanato, era morto in Persia e che il suo impero si era frammentato a causa di una feroce guerra civile tra persiani e mongoli.[80]

Nel 1348 arrivò a Damasco con l'intenzione di intraprendere nuovamente la rotta del suo primo pellegrinaggio. In quel periodo apprese della morte del padre, avvenuta 15 anni prima[81], e da quel momento la morte divenne un tema dominante nel suo racconto. Era scoppiata la peste nera e si stava velocemente diffondendo in Siria, Palestina e in Arabia. Dopo aver raggiunto La Mecca, Ibn Battuta ritornò in Marocco, arrivando circa 25 anni dopo aver lasciato la sua casa.[82] Lungo la strada fece un'ultima deviazione verso la Sardegna, e nel 1349, fece ritorno a Tangeri, passando prima per Fez, dove venne a sapere che anche sua madre era morta pochi mesi prima.[83]

Itinerario 1349–1354[modifica | modifica wikitesto]

Itinerario di Ibn Battuta 1349–1354 (Nord Africa, Spagna e Africa occidentale)

Spagna e Nord Africa[modifica | modifica wikitesto]

Ibn Battuta visitò il sultanato di Granada, l'ultimo vestigio della popolazione arabo-andalusa in al-Andalus

Dopo aver trascorso un po' di giorni a Tangeri, Ibn Battuta decise di intraprendere un altro viaggio all'interno dei territori musulmani di al-Andalus nella penisola iberica. Il re Alfonso XI di Castiglia minacciò di attaccare Gibilterra, e così nel 1350 Ibn Battuta si unì a un gruppo di musulmani che lasciavano Tangeri con l'intenzione di difendere quel porto.[84] Quando vi arrivò, la minaccia di invasione era cessata, a seguito della morte di re Alfonso colpito dalla peste nera. Ibn Battuta, invece di ritornare indietro, continuò il suo viaggio in Spagna, dirigendosi verso Valencia e arrivando fino a Granada.[85]

Dopo la sua partenza da al-Andalus, decise di viaggiare attraverso il Marocco. Durante il suo ritorno a casa, si fermò per un po' a Marrakech, che era quasi diventata una città fantasma dopo la recente diffusione della peste e lo spostamento della capitale a Fez.[86]

Tornò ancora una volta a Tangeri, anche se per poco tempo. Nel 1324, due anni prima della sua visita al Cairo, il Mansa, o re dei re, del Mali Musa dell'Africa occidentale passò nella stessa città per andare in pellegrinaggio e fece scalpore per via delle sue stravaganti ricchezze che provenivano dalla sua ricca patria. Nonostante Ibn Battuta non abbia mai raccontato in modo specifico di questa visita, si crede che fu proprio quando sentì di questa vicenda che si convinse a partire per i regni musulmani oltre il Sahara.

Mali e Timbuctù[modifica | modifica wikitesto]

La carovana azalai delle miniere di sale da Agadez a Bilma

Nell'autunno del 1351, Ibn Battuta lasciò Fez e partì per la città di Sigilmassa, nella punta più a nord del Sahara nell'attuale Marocco.[87] Restò lì per quattro mesi e comprò numerosi cammelli. Si rimise in marcia con una carovana nel febbraio del 1352 e dopo 25 giorni arrivò al lago salato, ormai secco, di Taghaza, noto per le miniere di sale. Tutte le costruzioni locali erano fatte di lastre di sale, trasportate via cammello dagli schiavi della tribù Masufa. Taghaza era ricca di oro e un importante centro di commercio. Ibn Battuta non ebbe una buona impressione da questo posto perché, scrisse, era infestato dalle mosche e l'acqua era salmastra.[88]

Dopo dieci giorni di soggiorno a Taghaza, la carovana proseguì per l'oasi di Tasarahla (molto probilmente Bir al-Ksaib),[89] dove si fermò per tre giorni per prepararsi alla parte più difficile del viaggio attraverso il vasto deserto. Da Tasarahla fu inviato quindi un'esploratore Masufa nell'oasi di Oualata, per raccogliere dell'acqua da portare alla carovana assetata. Oualata era il punto più a sud delle vie commerciali trans-sahariane ed era recentemente divenuta parte dell'impero del Mali. La carovana impiegò due mesi per attraversare i 1.600 km di deserto.[90]

Moschea Sankora a Timbuctù, nel Mali

Quindi Ibn Battuta continuò il suo viaggio verso sud-ovest, lungo un fiume che pensava fosse il Nilo (ma che in realtà era il fiume Niger), fino a raggiungere la capitale dell'impero del Mali. Lì incontrò Mansa Suleyman, che fu re fino al 1341. Ibn Battuta non era d'accordo sul fatto che le donne schiave, le servitrice e perfino le figlie del sultano esponessero parti del loro corpo che non si addicevano a delle musulmane.[91] Lasciò la capitale in febbraio, accompagnato da un mercante locale maliano e viaggiò con il cammello verso Timbuctù.[92] Anche se nei due secoli successivi questa città sarebbe diventata una delle più importanti città della regione, a quel tempo era una piccola città e relativamente importante.[93] In questo viaggio Ibn Battuta vide per la prima volta un ippopotamo. Questo animale era temuto dai pescatori locali e cacciato con lance a cui erano attaccate lunghe corde.[94] Dopo un breve soggiorno a Timbuctù, Ibn Battuta proseguì seguendo verso sud il fiume Niger e arrivò a Gao con una canoa ricavata da un unico albero. A quel tempo Gao era un'importante città commerciale.[95]

Dopo aver trascorso un mese a Gao, si unì a una grande carovana diretta nell'oasi di Takedda. Durante il suo viaggio nel deserto, ricevette un messaggio dal sultano del Marocco che gli ordinava di ritornare a casa. Nel settembre del 1353 partì per Sigilmassa con un'altra grande carovana che trasportava 600 schiave, e arrivò in Marocco agli inizi del 1354.[96]

Quest'itinerario di Ibn Battuta dà agli studiosi una piccola testimonianza sull'inizio della diffusione dell'islam nel cuore dell'Africa occidentale.[97]

Opera[modifica | modifica wikitesto]

Dopo essere tornato a casa dai suoi viaggi e su commissione del governatore merinide del Marocco, Abu 'Inan Faris, nel 1354 Ibn Battuta dettò un resoconto del suo viaggio a Ibn Juzayy, uno studioso che aveva incontrato a Granada. Il resoconto è l'unica fonte delle avventure di Ibn Battuta. Il titolo completo del manoscritto può essere tradotto come Un dono di gran pregio per chi vuol gettar lo sguardo su città inconsuete e peripli d'incanto (تحفة النظار في غرائب الأمصار وعجائب الأسفار, Tuḥfat an-Nuẓẓār fī Gharāʾib al-Amṣār wa ʿAjāʾib al-Asfār). Comunque l'opera è semplicemente conosciuta con il nome di I viaggi (الرحلة, Rihla).[98]

Casa nella Medina di Tangeri, possibile luogo di sepoltura di Ibn Battuta

Non abbiamo nessuna testimonianza sul fatto che Ibn Battuta scrivesse qualche nota o che tenesse un diario durante i 29 anni in cui viaggiò. Quando si mise a dettare il resoconto delle sue esperienze dovette far affidamento sui suoi ricordi e sui manoscritti prodotti da viaggiatori precedenti. Ibn Juzayy non ammise le sue fonti e presentò alcune delle prime descrizioni come osservazioni personali di Ibn Battuta.

Quando descrive Damasco, La Mecca, Medina e altri luoghi del Medio Oriente, si nota chiaramente che Ibn Battuta copia dei passaggi dal resoconto dell'andaluso Ibn Jubayr che scrisse 150 prima.[99] Allo stesso modo, molte delle descrizioni dei luoghi in Palestina di Ibn Juzayy furono copiate da un resoconto del viaggiatore Muhammad al-Abdari del XIII secolo.[100]

Gli studiosi non credono che Ibn Battuta abbia visitato tutti i posti che ha descritto e sostengono che per fornire una descrizione comprensibile dei luoghi nel mondo musulmano, si sia basato su testimonianze orali e abbia fatto uso di resoconti di viaggiatori precedenti. Per esempio, è cosa molto strana che Ibn Battuta abbia fatto un viaggio fino al fiume Volga passando per Saraj e Bolğar.[101] Oltre a ciò ci sono molti dubbi su altri viaggi che fece, come quello verso Sana'a in Yemen,[102] l'itinerario da Balkh a Bastam nel Khorasan[103] o quello in Anatolia.[104] L'affermazione di Ibn Battuta che un marocchino chiamato Abu'l Barakat il Berbero abbia convertito le Maldive all'islam, è contraddetta dalla Tarikh, la storia ufficiale delle Maldive, nella quale si sostiene che queste isole si convertirono all'islam dopo i miracoli di un uomo di Tabriz chiamato Maulana Shaikh Yusuf Shams-ud-din.[105] Alcuni studiosi hanno messo in dubbio se abbia visitato davvero la Cina.[106] Ibn Battuta avrebbe plagiato le intere sezioni delle descrizioni della Cina da opere di altri autori come Masalik al-absar fi mamalik al-amsar di Shihab al-Umari o Sulaiman al-Tajir, 'Ata Malik Juwayni, Rashid al-Din Hamadani e dall'opera il Romanzo di Alessandro. Inoltre gli scritti di Ibn Battuta e Marco Polo condividono molte sezioni e temi, e anche qualche stesso commentario. È strano anche che il terzo califfo Uthman abbia lo stesso nome di un uomo che Ibn Battuta incontrò in Cina.[107]

In ogni caso, anche se la Rihla non è completamente basata sulla testimonianza personale dell'autore, essa fornisce un importante resoconto del mondo del XIV secolo. Per l'importanza e vastità delle sue esplorazioni geografiche, Ibn Battuta è considerato il Marco Polo del mondo islamico[108]. Il suo viaggio è anche un resoconto della realtà sociale e religiosa dell'islam nella sua epoca. Il testo della Riḥla ha anche un aspetto agiografico in quanto sono trattate numerose vicende di santi e maestri sufi.

Ad Ibn Battuta capitò spesso di avere uno shock culturale in quelle regioni in cui i costumi locali delle persone recentemente convertite non si addicevano a dei musulmani ortodossi. Tra i turchi e i mongoli, rimase colpito dalla libertà e rispetto delle donne e osservò che nel vedere una coppia turca in un bazar si poteva presupporre che l'uomo era il servo della moglie, quando in realtà era suo marito.[109] Inoltre affermò che l'abbigliamento tradizionale maldiviano e di quale regione sub-sahariana in Africa era troppo scollato.

Dopo il viaggio e il completamento dell'opera Rihla nel 1355, si sa molto poco della vita di Ibn Battuta. Fu nominato giudice in Marocco e morì nel 1368 o 1369.[110]

L'opera di Ibn Battuta rimase sconosciuta al di fuori del mondo musulmano fino al XIX secolo, quando il viaggiatore ed esploratore tedesco Ulrich Jasper Seetzen (1767-1811) acquistò una collezione di manoscritti del Medio Oriente. Tra questi c'era un volume di 94 pagine che conteneva una ridotta versione del testo di Ibn Juzayy. L'orientalista tedesco Johann Kosegarten nel 1818 pubblicò tre estratti.[111] Nell'anno successivo venne pubblicato un quarto estratto.[112] Su queste pubblicazioni l'orientalista Silvestre de Sacy scrisse una lunga critica pubblicata nel Journal de Savants.[113]

Tre copie di un altro manoscritto ridotto vennero acquistate dal viaggiatore svizzero Johann Burckhardt e poi donate all'università di Cambridge. Burckhardt diede una breve panoramica del loro contenuto in un libro che fu pubblicato postumo nel 1819.[114] Il testo arabo venne poi tradotto in inglese dall'orientalista Samuel Lee e pubblicato a Londra nel 1829.[71]

Negli anni 30 dell'Ottocento, durante l'occupazione francese in Algeria, la Biblioteca Nazionale (BNF) di Parigi acquistò cinque manoscritti dei viaggi di Ibn Battuta. Due di questi erano completi, un'altro manoscritto, datato 1356, invece contiene solo la seconda parte del lavoro e si ritiene che l'autografo sia Ibn Juzayy. Questi manoscritti vennero utilizzati nel 1843 dall'orientalista franco-irlandese Baron de Slane per produrre una traduzione in francese del viaggio che Ibn Battuta fece in Sudan.[115] Anche gli studiosi francesi Charles Defrémery e Beniamino Sanguinetti studiarono questi manoscritti. Agli inizi del 1853 i due pubblicarono una serie di quattro volumi contenenti un edizione critica del testo arabo, insieme a una traduzione in francese.[116] Nell'introduzione Defrémery e Sanguinetti elogiarono le annotazioni di Lee, ma criticarono la sua traduzione perché mancante di precisione, anche nei passaggi più semplici.

Nel 1929, esattamente un secolo dopo la pubblicazione della traduzione di Lee, lo storico ed orientalista Hamilton Gibb pubblicò una traduzione in inglese di specifiche parti del testo arabo di Defrémery e Sanguinetti.[117] Gibb propose alla società Hakluyt nel 1922 la sua idea di tradurre e commentare l'intera Rihla in inglese.[118] La sua intenzione era quella di dividere il testo tradotto in quattro volumi, ognuno dei quali corrispondeva a uno dei volumi pubblicati da Defrémery e Sanguinetti. Il primo volume fu pubblicato nel 1958.[119] Gibb morì nel 1971, quando aveva completato solo i primi tre volumi. Il quarto volume fu preparato da Charles Beckingham e venne pubblicato nel 1994. Ad oggi il testo di Defrémery e Sanguinetti è stato tradotto in molte lingue.[120]

Eredità[modifica | modifica wikitesto]

  • L'interno della Ibn Battuta Mall a Dubai, Emirati Arabi Uniti, inaugurata nel 2005, è ispirato ai viaggi di Ibn Battuta e il tema del viaggio è presente lungo tutto l'edificio.
  • Il documentario televisivo della BBC del 2007 Travels with a Tangerine, tenuto dal classicista Tim Mackintosh-Smith, ripercorre il viaggio di Ibn Battuta da Tangeri alla Cina.
  • Nel film Ninja Assassin (2009) la figura di Ibn Battuta venne interpretata da Richar van Weyden.[121]
  • Ibn Battuta pehen ke joota è una popolare filastrocca hindi degli anni 70 del Novecento, scritta dal poeta Sarveshwar Dayal Saxena.
  • Ibn-E-Batuta è una canzone del 2010 del film di Bollywood Ishqiya, intitolata in seguito Ibn Battuta.
  • Layar Battuta è una canzone del 2002 dell'album malesiano Aura, cantata dal noto cantautore etnico Noraniza Idris, intitolata poi I viaggi di Ibn Battuta nel sud-est asiatico.
  • Il film Journey to Mecca di IMAX è basato sui viaggi di Ibn Battuta.
  • I viaggi di Ibn Battuta sono presenti come parti della trama principale del videogioco episodico Unearthed: Trail of Ibn Battuta, sviluppato in Arabia Saudita da Semaphore.
  • Ibn Battuta Centre è un'istituzione di ricerca a Marrakech (Marocco) che testa strumenti per l'esplorazione di Marte e della Luna.[122]
  • Ibn Battuta ispirò molti viaggiatori musulmani e scrittori.
  • Ibn Battuta: The Animated Series è un cartone animato in 3D malesiano del 2010 basato sulla Rihla.
  • Nella cultura araba, le persone che viaggiano frequentemente sono spesso soprannominate "Ibn Battuta".

Elenco dei posti visitati da Ibn Battuta[modifica | modifica wikitesto]

In tutta la sua vita Ibn Battuta viaggiò per oltre 117.500 km e visitò l'equivalente di 44 paesi attuali[123].

Asia Centrale

Asia meridionale

Cina

  • Quanzhou -
  • Hangzhou — Racconta fosse la città più grande del mondo, e si impiegavano 3 giorni per attraversarla tutta
  • Pechino

Asia meridionale

Somalia

Costa Swahili

Impero del Mali e Africa occidentale

Mauritania

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 20.
  2. ^ Jawaharlal Nehru, Glimpses of World History, 1989, p. 752.
  3. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, University of California Press, 2005, pp. 30-31.
  4. ^ C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 1, 1853, p. 13; H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 1, 1958, p. 8
  5. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 37; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 1, 1853, p. 21
  6. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 39; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 1, 1853, p. 26
  7. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 49; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 1, 1853, p. 67
  8. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 53-54.
  9. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 53; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 1, 1853, p. 105; H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 1, 1958, p. 66
  10. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 54.
  11. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 66-79.
  12. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 88-89; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 1, 1853, p. 404; H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 1, 1958, p. 249
  13. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 89-90; H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 1, 1958, pp. 255-257
  14. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 97; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 2, 1854, p. 100
  15. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 41, 97.
  16. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 98-100; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 2, 1854, p. 125
  17. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 100-101; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 2, 1854, pp. 128-131
  18. ^ C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 2, 1854, pp. 134-139.
  19. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 102; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 2, 1854, p. 142
  20. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 102-103; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 2, 1854, p. 149
  21. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 115-116, 134.
  22. ^ H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 2, 1962, p. 373.
  23. ^ Sanjay Subrahmanyam, The Career and Legend of Vasco Da Gama, 1998, pp. 120-121; J. D. Fage, Roland Oliver e Roland Anthony Oliver, The Cambridge History of Africa, 1977, p. 190; George Wynn Brereton Huntingford e Agatharchides, The Periplus of the Erythraean Sea: With Some Extracts from Agatharkhidēs "On the Erythraean Sea", 1980, p. 83
  24. ^ Helen Chapin Metz, Somalia: A Country Study, 1992.
  25. ^ Kees Versteegh, Encyclopedia of Arabic language and linguistics, vol. 4, 2008, p. 276; David D. Laitin e Said S. Samatar, Somalia: Nation in Search of a State, 1987, p. 15
  26. ^ David D. Laitin e Said S. Samatar, Somalia: Nation in Search of a State, 1987, p. 15; Chapurukha Makokha Kusimba, The Rise and Fall of Swahili States, 1999, p. 58
  27. ^ David D. Laitin e Said S. Samatar, Somalia: Nation in Search of a State, 1987, p. 15.
  28. ^ J. D. Fage, Roland Oliver e Roland Anthony Oliver, The Cambridge History of Africa, 1977, p. 191.
  29. ^ H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 2, 1962, p. 379.
  30. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 126.
  31. ^ C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 2, 1854, p. 192.
  32. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 126-127.
  33. ^ C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 2, 1854, p. 193; H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 2, 1962, p. 380
  34. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 137-139.
  35. ^ H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 2, 1962, pp. 413-416.
  36. ^ H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 2, 1962, p. 417.
  37. ^ H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 2, 1962, pp. 416-418.
  38. ^ Franz Taeschner, The Encyclopaedia of Islam, vol. 1, 1986, pp. 321-323.
  39. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 146.
  40. ^ H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 2, 1962, pp. 422-423.
  41. ^ H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 2, 1962, pp. 424-428.
  42. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 37; H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, 1958, p. 8; Ivan Hrbek The chronology of Ibn Battuta's travels, in Archiv Orientální, n° 30, 1962, pp. 409-486
  43. ^ Safarname Ibn Battutah-vol:1
  44. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 169-171.
  45. ^ "The_Longest_Hajj_Part2_6". hajjguide.org. Retrieved 13 June 2015
  46. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 171-178; Samuel Lee, The Travels of Ibn Battuta in the Near East, Asia and Africa, 2009, pp. 97-98
  47. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 178; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 3, 1855, p. 92; H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 3, 1971, p. 592
  48. ^ a b Aiya V. Nagam (1960). Travancore State Manual. Travancore Government Press.
  49. ^ Jerry Bently, Old World Encounters: Cross-Cultural Contacts and Exchanges in Pre-Modern Times, 1993, p. 121.
  50. ^ André Wink, Al-Hind, the Slave Kings and the Islamic Conquest, 11th-13th Centuries, 2002, p. 229.
  51. ^ C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 3, 1855, p. 100; H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 3, 1971, p. 596
  52. ^ "The Travels of Ibn Battuta: Escape from Delhi to the Maldive Islands and Sri Lanka: 1341 - 1344". orias.berkeley.edu. Retrieved 12 January 2017.
  53. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 215; H.A.R. Gibb e C.F. Beckingham, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 4, 1994, p. 777
  54. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 213-217; H.A.R. Gibb e C.F. Beckingham, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 4, 1994, pp. 773-782
  55. ^ H.A.R. Gibb e C.F. Beckingham, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 4, 1994, pp. 814-815.
  56. ^ Jerry Bently, Old World Encounters: Cross-Cultural Contacts and Exchanges in Pre-Modern Times, 1993, p. 126.
  57. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 245.
  58. ^ "Ibn Battuta's Trip: Chapter 9 Through the Straits of Malacca to China 1345 - 1346"The Travels of Ibn Battuta A Virtual Tour with the 14th Century Traveler. Berkeley.edu. Retrieved 14 June 2013.
  59. ^ Balmaceda Guiterrez, Chit. "In search of a Princess". Filipinas Magazine. Retrieved 26 September 2013.
  60. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 258.
  61. ^ تحفة النظار في غرائب الأمصار وعجائب الأسفار,ابن بطوطة,ص 398
  62. ^ Stephen G. Haw, Marco Polo's China: A Venetian in the Realm of Khubilai Khan, 2009, p. 67.
  63. ^ http://www.muslimheritage.com/uploads/China%201.pdf
  64. ^ H. Park, Mapping the Chinese and Islamic Worlds: Cross-Cultural Exchange in Pre-Modern Asia, 2012, p. 237.
  65. ^ G. Wade e L. Tana, Anthony Reid and the Study of the Southeast Asian Past, 2012, p. 131.
  66. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 259.
  67. ^ a b Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, a Muslim Traveler of the Fourteenth Century, 2012.
  68. ^ Elliott, Michael (2011-07-21). "The Enduring Message of Hangzhou". Time.com. Retrieved 5 November 2011.
  69. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 260.
  70. ^ H.A.R. Gibb e C.F. Beckingham, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 4, 1994, pp. 904, 907.
  71. ^ a b Samuel Lee, The travels of Ibn Battuta in the Near East, Asia and Africa, 2009.
  72. ^ J. Rumford, Traveling Man: The Journey of Ibn Battuta 1325–1354, 2001.
  73. ^ M.E. Snodgrass, Encyclopedia of the Literature of Empire, 2010; Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 260
  74. ^ a b H.A.R. Gibb e C.F. Beckingham, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 4, 1994, p. 896.
  75. ^ Stephen G. Haw, Marco Polo's China: a Venetian in the realm of Khubilai Khan, 2006, pp. 52-57.
  76. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 259-261.
  77. ^ Aubrey W. Bonnett e Calvin B. Holder, Continuing Perspectives on the Black Diaspora, 2009, p. 26.
  78. ^ L. P. Harvey, Ibn Battuta, 2007, p. 51.
  79. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 261.
  80. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 268-269.
  81. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 269.
  82. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 274-275.
  83. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 278.
  84. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 282.
  85. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 283-284.
  86. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 286-287.
  87. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 295; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 4, 1858, p. 376; Nehemia Levtzion e John F.P. Hopkins, Corpus of Early Arabic Sources for West Africa, 2000, p. 282
  88. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 297; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 4, 1858, pp. 378-379; Nehemia Levtzion e John F.P. Hopkins, Corpus of Early Arabic Sources for West Africa, 2000, p. 282
  89. ^ Nehemia Levtzion e John F.P. Hopkins, Corpus of Early Arabic Sources for West Africa, 2000, p. 457.
  90. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 298; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 4, 1858, p. 385; Nehemia Levtzion e John F.P. Hopkins, Corpus of Early Arabic Sources for West Africa, 2000, p. 284
  91. ^ Jerry Bently, Old World Encounters: Cross-Cultural Contacts and Exchanges in Pre-Modern Times, 1993, p. 131.
  92. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 304; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 4, 1858, p. 430; H.A.R. Gibb e C.F. Beckingham, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 4, 1994, pp. 969-970; Nehemia Levtzion e John F.P. Hopkins, Corpus of Early Arabic Sources for West Africa, 2000, p. 299
  93. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 304.
  94. ^ C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 4, 1858, pp. 425-426; Nehemia Levtzion e John F.P. Hopkins, Corpus of Early Arabic Sources for West Africa, 2000, p. 297
  95. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 305; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 4, 1858, pp. 432-436; Nehemia Levtzion e John F.P. Hopkins, Corpus of Early Arabic Sources for West Africa, 2000, p. 299
  96. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 306; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 4, 1858, pp. 444-445; Nehemia Levtzion e John F.P. Hopkins, Corpus of Early Arabic Sources for West Africa, 2000, p. 303
  97. ^ Noel King, Ibn Battuta in Black Africa, 2005, pp. 45-46.
  98. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 310-311; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 1, 1853, pp. 9-10 
  99. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 313-314; J.N. Mattock, Ibn Baṭṭūṭa's use of Ibn Jubayr's Riḥla in Peters, R., Proceedings of the Ninth Congress of the Union Européenne des Arabisants et Islamisants: Amsterdam, 1-7 settembre 1978, pp. 209-218
  100. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 63-64; Amikam Elad, The description of the travels of Ibn Baṭūṭṭa in Palestine: is it original?, in Journal of the Royal Asiatic Society, n°119, 1987, pp. 256-272
  101. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 179; Stephen Janicsek, Ibn Baṭūṭṭa's journey to Bulghàr: is it a fabrication?, in Journal of the Royal Asiatic Society, n°61, 1929, pp. 791-800
  102. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 134.
  103. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 180.
  104. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 157.
  105. ^ Kamala Visweswaran, Perspectives on Modern South Asia: A Reader in Culture, History, and Representation, 2011, p. 164.
  106. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, pp. 253-262.
  107. ^ Ralf Elger e Yavuz Köse, Many Ways of Speaking about the Self: Middle Eastern Ego-documents in Arabic, Persian, and Turkish (14th-20th Century), 2010, pp. 79-82.
  108. ^ Marco Polo e Ibn Battuta sulle rotte della Cina, su arab.it. URL consultato il 24 febbraio 2008.
  109. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 168; H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 1, 1958, pp. 480-481
  110. ^ Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta, 2005, p. 318; H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 1, 1958, pp. ix-x
  111. ^ C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 1, 1853, p. xiii-xiv; Johann Gottfried Ludwig Kosegarten, De Mohamedde ebn Batuta Arabe Tingitano ejusque itineribus commentatio academica, 1818
  112. ^ Heinrich Apetz, Descriptio terrae Malabar ex Arabico Ebn Batutae Itinerario Edita, 1819.
  113. ^ Silvestre De Sacy, Review of: De Mohamedde ebn Batuta Arabe Tingitano, in Journal des Savants, 1820.
  114. ^ C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 1, 1853, p. xvi; John Lewis Burckhardt, Travels in Nubia, 1819, pp. 533-537
  115. ^ Baron De Slane, Voyage dans la Soudan par Ibn Batouta, in Journal Asiatique, vol. 4, 1º marzo 1843, pp. 181-240.
  116. ^ C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 1, 1853; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 2, 1854; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 3, 1855; C. Defrémery e B.R. Sanguinetti, Voyages d'Ibn Batoutah, vol. 4, 1858
  117. ^ H.A.R. Gibb, Ibn Battuta Travels in Asia and Africa, 1929.
  118. ^ H.A.R. Gibb e C.F. Beckingham, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 4, 1994, p. ix.
  119. ^ H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, 1958.
  120. ^ H.A.R. Gibb e C.F. Beckingham, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, vol. 4, 1994.
  121. ^ IMDB (2009). "Full cast and crew for Ninja Assassin (2009)"
  122. ^ Ibn Battuta Centre, su ibnbattutacentre.org.
  123. ^ Jerry Bently, Old World Encounters: Cross-Cultural Contacts and Exchanges in Pre-Modern Times (New York: Oxford University Press, 1993),114.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Thomas J Abercrombie, Ibn Battuta, prince of travellers, in National Geographic, 1991, OCLC 772722503.
  • (LA) Heinrich Apetz, Descriptio terrae Malabar ex Arabico Ebn Batutae Itinerario Edita, Jena, Croecker, 1819, OCLC 243444596.
  • (FR) Ibn Batuta, Voyages d'Ibn Batoutah, traduzione di C. Defrémery, B.R. Sanguinetti, volumi 1-4, Parigi, Imprimerie impériale, 1853-1858, OCLC 874872449.
  • (EN) Jerry Bently, Old World Encounters: Cross-Cultural Contacts and Exchanges in Pre-Modern Times, New York, Oxford University Press, 1993, ISBN 9780195076400.
  • (EN) Aubrey W. Bonnett e Calvin B. Holder, Continuing Perspectives on the Black Diaspora, University Press of America, 2009, ISBN 978-0-7618-4662-8.
  • (EN) John Lewis Burckhardt, Travels in Nubia, Londra, John Murray, 1819, OCLC 192612.
  • (EN) Silvestre De Sacy, Review of: De Mohamedde ebn Batuta Arabe Tingitano, in Journal des Savants, 1820.
  • (FR) Baron De Slane, Lettre á M. Reinaud, in Journal Asiatique, vol. 4, 1º marzo 1843.
  • (IT) Ross E. Dunn, Gli straordinari viaggi di Ibn Battuta: le mille avventure del Marco Polo arabo, Milano, Garzanti, 1993, ISBN 9788811548799, OCLC 797462126.
  • (EN) Ross E. Dunn, The Adventures of Ibn Battuta: A Muslim Traveler of the 14th Century, University of California Press, 2012, OCLC 940618844.
  • (EN) Amikam Elad, The description of the travels of Ibn Baṭūṭṭa in Palestine: is it original?, in Journal of the Royal Asiatic Society, n. 119, 1987.
  • (EN) Ralf Elger e Yavuz Köse, Many Ways of Speaking about the Self: Middle Eastern Ego-documents in Arabic, Persian, and Turkish (14th-20th Century), Otto Harrassowitz Verlag, 2012, ISBN 978-3-447-06250-3.
  • (EN) J. D. Fage, Roland Oliver e Roland Anthony Oliver, The Cambridge History of Africa, Cambridge University Press, 1977, OCLC 952125165.
  • (EN) H.A.R. Gibb, Ibn Battuta Travels in Asia and Africa, Londra, Routledge, 1929, OCLC 28067118.
  • (EN) H.A.R. Gibb, The Travels of Ibn Baṭṭūṭa, volume 1-4, Londra, Hakluyt Society, 1958-1994, OCLC 419233090.
  • (EN) L. P. Harvey, Ibn Battuta, I. B. Tauris, 2007, ISBN 978-1-84511-394-0.
  • (EN) Stephen G. Haw, Marco Polo's China: A Venetian in the Realm of Khubilai Khan, Routledge, 2009, ISBN 9780415546003.
  • (EN) Ivan Hrbek, The chronology of Ibn Battuta's travels, in Archiv Orientální, n. 30, 1962.
  • (EN) Krenicki James e Churchman David A., Eyes of the Sage: A Comparison of the Medieval Travelers Benjamin of Tudela and Ibn Battuta, 2004.
  • (EN) Stephen Janicsek, Ibn Baṭūṭṭa's journey to Bulghàr: is it a fabrication?, in Journal of the Royal Asiatic Society, n. 61, 1929.
  • (EN) Pierre Joris e Habib Tengour, Poems for the millennium : the University of California book of North African literature., vol. 4, Berkeley, University of California Press, 2012, ISBN 9780520953796, OCLC 823727720.
  • (EN) Sanjay Kalra, Mahdi Kamoun e Siddharth N Shah, The A 1 chieve study: Mapping the Ibn Battuta trail, in Indian Journal of Endocrinology and Metabolism, vol. 17, n. 8, pp. 395-396, ISSN 2230-8210 (WC · ACNP).
  • (EN) Noel King, Ibn Battuta in Black Africa, Princeton, 2005, ISBN 9781558763357.
  • (LA) Johann Gottfried Ludwig Kosegarten, De Mohamedde ebn Batuta Arabe Tingitano ejusque itineribus commentatio academica, Jena, Croecker, 1818, OCLC 165774422.
  • (EN) Remke Kruk, Ibn Battuta: Travel, Family Life, and Chronology, in Al-qanṭara, vol. 16, n. 2, 1995, pp. [369]-384, OCLC 912500934.
  • (EN) Chapurukha Makokha Kusimba, The Rise and Fall of Swahili States, AltaMira Press, 1999, ISBN 9780761990529.
  • (EN) David D. Laitin e Said S. Samatar, Somalia: Nation in Search of a State, Westview Press, 1987, OCLC 797243606.
  • (EN) Samuel Lee, The travels of Ibn Battuta in the Near East, Asia and Africa, New York, Cosimo, 2009, ISBN 9781605206219.
  • (EN) Nehemia Levtzion e John F.P. Hopkins, Corpus of Early Arabic Sources for West Africa, New York, NY: Marcus Weiner Press, 2000, ISBN 1-55876-241-8.
  • (IT) Patrizia Manduchi, Da Tangeri a la Mecca passando per la Cina: per una storia del viaggio nel mondo musulmano sulle orme di ibn Battûta, Cagliari, CUEC, 2000, ISBN 9788884670052, OCLC 51233010.
  • (EN) J.N. Mattock, Ibn Baṭṭūṭa's use of Ibn Jubayr's Riḥla, in Peters, R., Proceedings of the Ninth Congress of the Union Européenne des Arabisants et Islamisants: Amsterdam, Leiden: Brill, 1-7 settembre 1978, pp. 209-218, ISBN 978-900406380-8.
  • (EN) Helen Chapin Metz, Somalia: A Country Study, Federal Research Division, Library of Congress, 1992, ISBN 0-8444-0775-5.
  • (EN) Jawaharlal Nehru, Glimpses of World History, Oxford University Press, 1989, ISBN 0-19-561323-6.
  • (EN) Ian Richard Netton, Myth, Miracle and Magic in the Rihla of Ibn Battuta, in Seek knowledge thought and travel in the house of Islam, pp. 103-112, OCLC 949061745.
  • (EN) Harry Norris, Ibn Battuta on Muslims and Christians in the Crimean Peninsula, in Iran and the Caucasus, vol. 8, n. 1, 2004, pp. 7-14, ISSN 1609-8498 (WC · ACNP).
  • (EN) H. Park, Mapping the Chinese and Islamic Worlds: Cross-Cultural Exchange in Pre-Modern Asia, Cambridge University Press, 2012, ISBN 9781107018686.
  • (EN) J. Rumford, Traveling Man: The Journey of Ibn Battuta 1325–1354, Houghton Mifflin Harcourt, 2001, ISBN 9780547562568.
  • (EN) M.E. Snodgrass, Encyclopedia of the Literature of Empire, 2010, ISBN 9781438119069.
  • (EN) Sanjay Subrahmanyam, The Career and Legend of Vasco Da Gama, Cambridge University Press, 1998, ISBN 9780521646291, OCLC 60133769.
  • (EN) Franz Taeschner, The Encyclopaedia of Islam, vol. 1, Leiden: Brill, 1986, OCLC 61555823.
  • (IT) Claudia Maria Tresso, I viaggi, Torino, Einaudi, 2006, OCLC 799400379.
  • (EN) Kamala Visweswaran, Perspectives on Modern South Asia: A Reader in Culture, History, and Representation, John Wiley & Sons, 2011, ISBN 978-1-4051-0062-5.
  • (IT) Nazzareno Venturi, Il Sufismo nei viaggi di Ibn Battuta, Acireale, Roma: Tipheret, 2014, ISBN 9788864961330, OCLC 955725254.
  • (EN) Kees Versteegh, Encyclopedia of Arabic language and linguistics, vol. 4, 2008, ISBN 9004144765.
  • (EN) G. Wade e L. Tana, Anthony Reid and the Study of the Southeast Asian Past, Institute of Southeast Asian Studies, 2012, ISBN 9789814311960.
  • (EN) André Wink, Al-Hind, the Slave Kings and the Islamic Conquest, 11th-13th Centuries, vol. 2, Brill, 2002, ISBN 9780391041745.
  • (EN) George Wynn Brereton Huntingford e Agatharchides, The Periplus of the Erythraean Sea: With Some Extracts from Agatharkhidēs "On the Erythraean Sea", Londra, Hakluyt Society, 1980, ISBN 9781409417484, OCLC 656471330.