Utente:Presbite/Sandbox3

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L'incendio del Narodni dom (Casa del popolo o Casa nazionale in sloveno) del 13 luglio 1920 distrusse la sede delle organizzazioni slovene di Trieste. Nell'edificio trovavano sede un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e l'hotel Balkan, nome col quale era anche noto all'epoca il palazzo. Le vicende che portarono al rogo vanno inquadrate all'interno della pluridecennale lotta per il predominio sull'Adriatico orientale fra popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene) e italiane, iniziata ancora nell'ambito dell'Impero austro-ungarico. Lo scoppio della prima guerra mondiale, l'entrata in guerra dell'Italia, il disfacimento dell'Impero, le trattative di pace e le successive fortissime frizioni fra l'Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni furono gli eventi più recenti, precedenti e contemporanei al rogo del Narodni dom. La vicenda è anche considerata la prima grande azione di piazza del nascente squadrismo fascista, nell'ambito di quello che successivamente venne definito fascismo di confine[1].

Inquadramento storico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Stato da Mar, Istria, Dalmazia e Incidenti di Spalato.

Alla caduta della Repubblica di Venezia, l'Impero austriaco - dopo un breve intervallo francese (1806-1814) - aveva inglobato tutti i possedimenti della Serenissima: il Dogado (costituito dalla città di Venezia e dalle zone ad essa più vicine), lo Stato da Tera (territori dell'entroterra padano-veneto) e lo Stato da Mar (i domini marittimi). Le zone dell'Istria e della Dalmazia presentavano una peculiarità: a differenza degli altri possedimenti dello Stato da Mar avevano mantenuto nei secoli fra la propria popolazione una componente autoctona neoromanza, che nel tempo aveva adottato in maggioranza il veneziano come propria lingua, a fianco o in sostituzione del dalmatico, dell'istrioto o dell'istrorumeno. A fianco di queste popolazioni, a partire dal VII secolo l'Istria e la Dalmazia avevano conosciuto l'immigrazione di popolazioni di ceppo slavo, che nei secoli s'identificarono via via come croati, sloveni e serbi.

La coesistenza di queste popolazioni sulla costa orientale dell'Adriatico non aveva mai causato delle particolari frizioni: da un lato Venezia non era interessata ad alcuna politica di dominio o di assimilazione su base etnica, dall'altra le varie pulsioni di carattere nazionale iniziarono a presentarsi solo a cavallo della metà del XIX secolo.

All'inizio del breve dominio francese, sia in Istria che in Dalmazia si posero le basi per il futuro sistema scolastico pubblico: il veneziano Vincenzo Dandolo, provveditore generale per la Dalmazia, alla fine del 1806 nel suo rapporto annuale a Napoleone consigliò la soppressione degli insegnamenti in lingua illirica nei seminari di Zara, Spalato e Priko, nei dintorni di Almissa, a favore dell'insegnamento in lingua italiana. D'altro canto, non solo l'italiano era già utilizzato nelle scuole seminariali di tutta la costa istriana e nei seminari dalmati, ma sia il croato che lo sloveno non avevano ancora codificato il proprio sistema grammaticale e la propria scrittura, e quindi parve naturale favorire una lingua come quella italiana, di grande tradizione e ritenuta consona alle classi dominanti. A lungo termine, ciò favorì l'italianizzazione anche di masse di studenti slavi, abituati a ritenere l'italiano come propria lingua d'élite.

Lo scoppio delle rivolte che coinvolsero gran parte del territorio europeo fra il 1848 e il 1849 catalizzò le scelte delle popolazioni locali: sloveni, croati e italiani iniziarono ad autodefinirsi anche nazionalmente.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Milica Kacin Wohinz, Alle origini del fascismo di confine: gli Sloveni della Venezia Giulia sotto l'occupazione italiana 1918-1921, Gorizia, Sklad Dorče Sardoč, 2010, ISBN 978-88-903422-8-8.