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Leontoclastia[modifica | modifica wikitesto]

Il termine leontoclastia sta ad indicare il femoneno di distruzione dei leoni di San Marco veneziani, operato in vari periodi storici a partire dal XVI secolo.

Nascita e utilizzo del termine[modifica | modifica wikitesto]

Il coniatore del termine leontoclastia è stato lo storico dell'arte Alberto Rizzi, autore di un monumentale catalogo di tutti i leoni marciani presenti nei territori già appartenuti alla Serenissima[1]. Per la prima volta, la leontoclastia venne così definita in un saggio del 1990[2], e successivamente ripresa in altri studi dello stesso autore.

Rapidamente impostosi in ambito storico[3] e storico-artistico[4], il termine leontoclastia è stato inserito anche nella relazione introduttiva al progetto di legge della Regione Veneto finalizzato al recupero e al restauro dei leoni marciani[5].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Rizzi ha pubblicato una serie di testi sul tema, il primo dei quali è Alberto Rizzi, I leoni di San Marco. Il simbolo della Repubblica di Veneta nella scultura e nella pittura, 2 voll., Venezia 2001.
  2. ^ Alberto Rizzi, Il San Marco a San Marco. L'emblema lapideo della Repubblica Veneta nel suo cuore politico, in Ateneo Veneto, CLXXVII, 1990, pp. 7 ss.
  3. ^ A titolo d'esempio Isidoro Gatti, S. Francesco di Treviso: una presenza minoritica nella marca trevigiana, Centro Studi Antoniani, Treviso 2000, pp. 234 ss.; Gianni Guadalupi, Repubblica di Venezia: stati di terraferma (1400-1530), Franco Maria Ricci, Parma 2003, pp. 29 ss.
  4. ^ Enrico Guidoni, Ugo Soragni, Lo spazio nelle città venete (1348-1509): urbanistica e architettura, monumenti e piazze, decorazione e rappresentazione. Atti del I convegno nazionale di studio, Verona, 14-16 Dicembre 1995, Kappa editore, Roma 1997, pp. 198 ss.
  5. ^ Consiglio Regionale del Veneto, Progetto di Legge n. 381 di iniziativa dei consiglieri Ciambetti e altri, 28 gennaio 2009.

Fonti per la voce sul VOS[modifica | modifica wikitesto]

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Orjuna[modifica | modifica wikitesto]

Organizzazione dei Nazionalisti Jugoslavi (ORJUNA)
Организација Југославенских Националиста (Organizacija Jugoslavenskih Nacionalista)
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Il simbolo di ORJUNA.
Il simbolo di ORJUNA.
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LeaderMilan Pribićević
StatoBandiera della Jugoslavia Jugoslavia
SedeBelgrado, Jugoslavia
Fondazione1921
Dissoluzione1929
IdeologiaJugoslavismo,
Nazionalismo,
Anticomunismo.
CollocazioneDestra

ORJUNA (ОРЈУНА) è l'acronimo utilizzato per indicare l'Organizzazione dei Nazionalisti Jugoslavi (Организација Југославенских Националиста), una formazione politica d'ispirazione fascista attiva in Jugoslavia tra il 1921 ed il 1929. Guidata da Milan Pribićević, ORJUNA sostenne lo jugoslavismo opponendosi radicalmente ai movimenti separatisti, nazionalisti serbi e croati. Propugnò, inoltre, la creazione di uno Stato corporativo, alternativo sia alla democrazia liberale che al comunismo sovietico.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

ORJUNA fu fondata a Spalato nel marzo 1921 dall'amministratore regio della Croazia allo scopo di prevenire eventuali minacce separatiste e comuniste.[1] Essa nacque dalla fusione di varie organizzazioni giovanili attive negli anni '10 e fu particolarmente forte nelle zone della Slovenia e della Croazia in cui era vivo l'irredentismo italiano e austriaco e in Vojvodina, dove era attivo il separatismo ungherese.[2]

I membri dell'organizzazione erano etnicamente appartenenti a tutte le varie nazionalità jugoslave, anche se la maggioranza dei componenti fu rappresentata dai croati della Dalmazia.[3] Al pari di molti movimenti fascisti sorti nel resto d'Europa, ORJUNA si dotò di propri organi di stampa, di un sindacato, di un movimento studentesco chiamato "Giovane Jugoslavia" (Mladi Jugoslavije) e di una formazione paramilitare che prese il nome di "Sezione Azione" (Akcija Odjeljak). Le squadre d'azione arrivarono a contare circa 10.000 unità nel 1925. Il primo presidente dell'organizzazione fu Marko Nani, con Edo Bulat alla segreteria. Tuttavia, il leader riconosciuto del gruppo divenne Milan Pribićević.

Le prime iniziative del movimento furono delle manifestazioni anticomuniste in risposta all'assassinio del ministro dell'interno Milorad Drašković. Esse si svolsero nelle città di Spalato, Osijek e Zagabria. Nella futura capitale croata, i militanti assaltarono e demolirono le sedi dei giornali che avevano accusato il governo dell'omicidio del ministro.

ORJUNA non si presentò mai direttamente alle elezioni e i suoi sostenitori votarono i partiti ideologicamente affini ad essa. Nel 1929, quando il Re Alessandro I proclamò la sua personale dittatura e sciolse il Parlamento, l'organizzazione supportò l'azione del sovrano, ma a causa della messa al bando di tutti i gruppi politici cessò di esistere.

A livello ideologico, l'obiettivo fondamentale dell'organizzazione fu la difesa dell'integrità territoriale dello Stato unitario jugoslavo, tanto da arrivare a scontrarsi anche con le guardie di frontiera austriache ed italiane. A ciò si aggiunse il culto del capo (il termine "Vodjia" fu utilizzato come equivalente dell'italiano "Duce") e della forza, identificabile in slogan come "Vittoria o Morte" e "Chi non è con noi, è contro di noi".

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sabrina P. Ramet, The three Yugoslavias: state-building and legitimation, 1918-2005, Bloomington, Indiana, Indiana University Press, pp.58-59
  2. ^ Cyprian Blamires, World fascism: a historical encyclopedia, Volume 1, Santa Barbara, California, 2006. pp.745
  3. ^ Peter F. Sugar, Native fascism in the successor states, 1918-1945, Santa Barbara, California, 1971. pp. 137

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

[24] [25] [26]

[[:Categoria:Partiti fascisti]] [[:Categoria:Partiti politici jugoslavi]]

Nido dell'Aquila[modifica | modifica wikitesto]

Nido dell'Aquila
Kehlsteinhaus
Una veduta dall'alto del Nido dell'Aquila
Ubicazione
StatoBandiera della Germania Germania
Altitudine1,820 m s.l.m.
CatenaObersalzberg
Coordinate47°36′40″N 13°02′30″E / 47.611111°N 13.041667°E47.611111; 13.041667
Dati generali
Inaugurazione20 aprile 1938 (inaugurazione ufficiale)
(1953 nuova sede)
ProprietàFondazione
Berchtesgadener Land
GestioneUfficio del Turismo
di Berchtesgaden
Periodo di aperturada maggio a ottobre
Mappa di localizzazione
Map
Sito internet

Il Nido dell'Aquila (in tedesco Kehlsteinhaus) è un rifugio alpino della Germania, situato in prossimità della vetta del monte Kehlstein (1834 m), contrafforte del Massiccio del Göll nell'Obersalzberg delle alpi bavaresi di Berchtesgaden, a una ventina di chilometri dalla città austriaca di Salisburgo.

L'edificio era parte della proprietà della scomparsa Berghof, la residenza privata estiva di Adolf Hitler con la quale alle volte erroneamente lo si identifica. Inaugurato ufficialmente in occasione del cinquantesimo compleanno del Führer (20 aprile 1939), fu considerato all'epoca una costuzione particolarmente ardita. Il nome Eagle's Nest (Nido dell'Aquila) col quale è noto l'edificio al di fuori dei paesi germanofoni venne coniato probabilmente dal giornalista inglese George Ward Price, ma ripreso e reso noto dall'ambasciatore francese André François-Poncet.

Il progetto e le fasi costruttive[modifica | modifica wikitesto]

L'idea della Kehlsteinhaus venne a Martin Bormann, Reichsleiter e segretario personale di Hitler, e può essere divisa in tre progetti complementari: nel 1936 si pensò alla costruzione di una strada che portasse alle pendici del Kehlstein; successivamente (primavera 1937) Bormann ebbe l'idea di costruire una casa in prossimità della vetta, a picco sulla parete della montagnala; per raggiungere la casa fu quindi ideato un tunnel che - forando il Kehlstein sia orizzontalmente che verticalmente - consentisse l'installazione di un ascensore che conducesse fino all'edificio.

Inizi della progettazione[modifica | modifica wikitesto]

Già organizzatore di gran parte dei lavori per la costruzione del Berghof, la residenza estiva di Hitler, Martin Bormann nel corso del 1936 pensò ad un'ardita strada di montagna - chiamata Kehlsteinstrasse (Strada del Kehlstein) - che permettesse di raggiungere direttamente la base del monte Kehlstein da fondovalle[1]. Dopo aver ricevuto il supporto dell'ingegner Fritz Todt, Bormann si dedicò con grande zelo all'ideazione della strada, riuscendo a presentare le mappe del progetto al Führer negli ultimi mesi dell'anno[2]. Entro la fine del 1936, vennero quindi acquistati oltre 360 ettari di terreno dall'Amministrazione Forestale dello Stato della Baviera (Bayerische Staatsforstverwaltung), al costo di 800.000 Reichsmark[3].

La strada[modifica | modifica wikitesto]

Per la parte esecutiva, Bormann prese contatto coll'ingegner August Michaelles - capo dell'ufficio costruzioni del Reich - chiedendogli di terminare i lavori per la strada entro la primavera del 1938. Questi in brevissimo tempo presentò i propri piani a Todt, in modo tale che già a metà gennaio del 1937 il primo gruppo di lavoro si recò in visita nella zona per analizzare sul campo la situazione, incurante del fatto che si fosse in pieno inverno.

Furono chiamate due ditte di costruzione: la Sager und Woerner di Monaco e la Polensky und Zöllner di Francoforte. I lavori iniziarono il 18 gennaio 1937, ma subirono uno stop a marzo essendo stati riscontrati dei problemi alle fondamenta della massicciata stradale. Per risolvere tutte le questioni progettuali e costruttive, il mese seguente Todt creò quindi un nuovo ufficio - la Direzione Statale per le Costruzioni dell'Obersalzberg (Staatliche Bauleitung Obersalzberg) - nominandone a capo l'ingegnere austriaco Hans Haupner.

Il 12 aprile 1937 il nuovo gruppo di lavoro si recò sulle pendici del Kehlstein: il risultato del sopralluogo fu la modifica radicale del progetto, che da un tracciato che prevedeva di partire dai 1335 metri della località Terzangerl per raggiungere l'altitudine di 1650 metri della località Sappenkreuz con diversi tornanti, passò ad un nuovo tracciato con un solo tornante, che permettesse fra l'altro di poter godere di una migliore vista panoramica lungo la salita.

In questo periodo Bormann aveva già pensato alla possibilità di costruire un edificio in cima al Kehlstein e ne parlò col gruppo di lavoro già formato, indicando anche come data di termine dell'intero complesso il 20 aprile 1939, il cinquantesimo compleanno di Hitler.

Alla fine di aprile del 1937, Bormann organizzò un incontro con Roderich Fick, capo architetto dell'Obersalzberg, professore alla Technischen Hochschule di Monaco e già progettista di diverse costruzioni dell'Obersalzberg, quali la stessa villa di Bormann e la Casa del Tè (Tee-Haus) di Hitler nella vicina località detta Mooslahnerkopf. Fick confortò Bormann sulla fattibilità del progetto e si mise immediatamente al lavoro.

La formalizzazione del progetto della costruzione in cima al Kehlstein creò un nuovo problema agli ingegneri che nel frattampo stavano costruendo la strada: Bormann chiese di modificare nuovamente il tracciato per far sì che si potesse giungere in auto fino all'ingresso della casa, ma i tecnici ritenevano tecnicamente impossibile questa ipotesi. Fu solo a seguito di lunghe discussioni che Haupner riuscì a convincere il Reichsleiter che fosse meglio forare la montagna per centinaia di metri, installando al suo interno un ascensore che raggiungesse quindi la vetta.

I lavori procedettero alacremente lungo tutto il 1937, e non si fermarono nemmeno durante i freddi e nevosi mesi invernali: oltre tremilacinquecento operai parteciparono agli scavi, ai disboscamenti e alla costruzione delle strutture, spesso lavorando senza interruzioni lungo tutte le ventiquattro ore. Le maestranze vennero fatte affluire da tutto il Reich, e pure dall'Italia vennero chiamati diversi tagliapietra specializzati e vari tipi di artigiani. Il lavoro presentò dei rischi notevoli: fra i vari incidenti, il più grave fu una frana che il 10 agosto 1937 travolse ed uccise cinque operai. Corse voce che per la costruzione dell'intero complesso vennero utilizzati dei lavoratori prelevati dai Lager tedeschi, ma la voce è priva di fondamento.

Le continue pressioni di Bormann per lo stretto mantenimento dei termini di consegna misero a dura prova le maestranze e i tecnici, spesso giungendo al limite della rottura dei rapporti fra questi ultimi e il Reichsleiter, che non si voleva rendere conto delle difficoltà ingegneristiche di un progetto di tale portata. Uno dei momenti di maggior frizione si ebbe quando a circa tre chilometri dall'inizio della strada ci si trovò di fronte ad una parte della montagna che precedentemente si pensava di poter sbancare, ma che invece risultò impossibile da smuovere senza causare delle frane di esito imponderabile. In tutta fretta fu quindi messa in opera una variante, con la costruzione di un tunnel (oggi noto come Südwesttunnel o Hochlenzertunnel o ancora Recktunnel) della lunghezza di centocinquanta metri, largo cinque e altro quattro metri e mezzo, che risulterà essere il più lungo dei cinque tunnel dell'intera strada.

Ad ottobre del 1938 la Kehlsteinstrasse venne terminata anche nelle sue finiture, comprendenti il rimodellamento di centinaia di rocce, l'installazione di una linea telefonica con diversi apparecchi di chiamata lungo il suo corso e la posa di un asfalto speciale, adatto al luogo ed alle temperature. Lunga 6,5 chilometri, a testimonianza della sua eccezionale qualità sta il fatto che rimase per molti decenni in uso senza che si sia reso necessario nessun lavoro particolare di ristrutturazione. In contemporanea erano stati condotti a termine anche i lavori per la casa e il tunnel d'accesso con l'ascensore.

Il tunnel e l'ascensore[modifica | modifica wikitesto]

Fra aprile e maggio del 1937 Bormann esplicitò e definì l'idea della Kehlsteinhaus. Anche all'architetto Roderich Fick vennero imposti tempi strettissimi: Bormann gli diede un mese di tempo per presentargli l'intero progetto della villa, che nelle intenzioni del gerarca doveva assolvere alla funzione di D-Haus (Diplomaten-Haus, cioè Casa Diplomatica), ove Hitler avrebbe potuto ricevere i dignitari dei vari paesi ed altri ospiti personali, invitati dal Führer nella sua tenuta estiva. Di conseguenza, la casa doveva da un lato impressionare a prima vista i visitatori, dall'altro però doveva permettere ogni genere di conforto, similarmente al sottostante Berghof.

L'8 giugno 1937, Fick presentò il progetto a Bormann. La Kehlsteinhaus si presentava come uno chalet tradizionale in granito e legno, offrendo ai visitatori delle ampie panoramiche da tutte le visuali, con una serie di stanze pittoresche, una spettacolare balconata aperta verso valle ed un ampio salone principale a forma di ottagono, dotato di una grande vetrata.

Per l'accesso alla casa, lasciata l'auto in un piazzale al termine della Kehlsteinstrasse il visitatore avrebbe dovuto percorrere un tunnel scavato nella montagna per 126,5 metri di lunghezza e poi entrare in uno spettacolare ascensore che avrebbe percorso in poche decine di secondi 131 metri di dislivello, fino all'altezza della casa.

Ottenute le approvazioni, i lavori per il tunnel iniziarono alla fine di settembre del 1937, venendo assegnati allo staff che stava procedendo alla costruzione della strada. Dopo poche settimane, vista la la lentezza con la quale procedevano i lavori essi vennero assegnati ad Alfred Reinhardt, l'ingegnere di fiducia di Fick. Il problema maggiore era quello dello smaltimento del materiale, per cui venne costruita una speciale funivia della lunghezza di 1270 metri, che coprì un dislivello di 670 metri fino alla cima del Kehlstein, appoggiandosi a otto torri di sostegno.

Contemporaneamente all'inizio degli scavi per la sezione orizzontale del tunnel ebbero inizio quelli del pozzo verticale, dall'alto verso il basso. anche in questo caso i tecnici dovettero venire incontro ai vari cambi di idea di Bormann, che ad un certo punto decise di portare la capienza dell'ascensore dalle dieci persone iniziali fino a quindici, col risultato che lo spazio dell'area per l'ascensore dovette passare a ventitré metri quadrati. Gli incidenti colpirono anche questa sezione del lavoro: il tunnel d'ingresso subì due crolli e un operaio morì.

Alla fine dei lavori di scavo del tunnel e del pozzo, iniziarono i lavori per la posa in opera dell'ascensore, che nel frattempo era stato costruito dalla ditta Flohr di Ravensburg[4]. Al termine del tunnel venne costruita una sala d'attesa circolare del diametro di sette metri. Tutto il percorso a piedi venne foderato di marmo, mentre l'ascensore aveva gli interni in bronzo con grandi specchiere veneziane. Gli ospiti potevano accomodarsi su una serie di sedili ricoperti in pelle, mentre l'illuminazione interna veniva garantita da otto lampade disposte a cerchio sul soffitto. Un orologio circolare e un telefono d'emergenza completavano l'arredamento. Per non soffrire di sbalzi di temperatura, Fick dotò l'intero complesso sotterraneo di un sistema di riscaldamento ad aria.

La casa[modifica | modifica wikitesto]

La costruzione della Kehlsteinhaus ebbe inizio nelle prime settimane del 1938. Il progetto di Roderich Fick rimase sostanzialmente inalterato, mentre la direzione dei lavori fu data all'ingegner Alfred Reinhardt.

Il primo problema col quale dovettero confrontarsi i tecnici e gli operai fu la costruzione delle fondamenta in un terreno soggetto a diverse altezze, il che comportò un notevole lavoro di livellamento con la conseguente produzione di decine di tonnellate di macerie, trasportate tramite la funivia ai piedi della montagna.

Il progetto di Fick prevedeva l'erezione di un complesso di due piani, da inserirsi il più armonicamente possibile - tenuto conto della mole dell'edificio - nell'ambiente circostante. La necessità di permettere alla balconata di essere orientata a sud fece ruotare il complesso di circa sessanta gradi sull'asse nord-sud.

Il piano terra era dotato di sei camere principali, mentre le porte dell'ascensore si aprivano direttamente sulla sala d'ingresso principale. Alla sinistra della sala d'ingresso s'apriva un corridoio che conduceva ai bagni, al corpo di guardia, alla cucina e allo studio privato di Hitler, mentre a destra si arrivava ad un'ampia porta che introduceva direttamente alla sala da pranzo rettangolare. Quest'ultima correva parallelamente all'ampio solarium esterno, mentre alla sua destra, scesa una scalinata, si trovava il grande salone ottagonale, che grazie alle proprie finestre permetteva una visuale di circa 270° tutt'attorno, da ovest fino a sud-est. Mentre la sala da pranzo era foderata con pannelli di legno scuro, le pareti del salone erano in granito.

Un'altra breve scalinata portava dal salone ad una piccola sala chiamata Scharitz-Stube (Sala o Soggiorno dello Scharitz), in quanto dotata di due spettacolari finestre che permettevano una visione panoramica dello Scharitzkehlalm (una montagna locale) a sud e del massiccio del Göll a est. Essendo stato l'ambiente preferito di Eva Braun, la Scharitz-Stube venne anche chiamata Eva Braun Zimmer (Stanza di Eva Braun). Anche da questa stanza si poteva direttamente passare al solarium.

L'edificio era fornito di un seminterrato comprendente cinque locali, con funzionalità di servizio e non aperto ai visitatori.

Completava il complesso il tetto, che per quanto non calpestabile era stato pensato per conferire alla casa un'apparenza di chalet tradizionale, essendo completamente rivestito di tegole in legno di larice.

Non essendo stata pensata per ospitare delle persone permanentemente, la Kehlsetinhaus non dispose di camere da letto. L'unico locale attrezzato per dormire fu approntato nel seminterrato per il corpo di guardia.

La casa venne completata fra l'estate e l'autunno del 1938. Ad amministrarla furono prescelti a partire dal 31 agosto 1938 Wilhelm (Willi) e Margarete (Gretl) Mitlstrasser, la coppia di che già governava il Berghof.

Costato circa 30 milioni di Reichsmark[5], il Nido dell'Aquila fu quindi offerto in dono a Hitler per il suo cinquantesimo compleanno[6].

Un'immagine del Nido dell'Aquila durante il periodo bellico; è possibile intravedere la struttura in alto, mentre in primo piano è visibile il piazzale da cui si accede all'ascensore interrato che porta al rifugio.

L'arredamento[modifica | modifica wikitesto]

L'intento di Martin Bormann fu quello di rendere la Kehlsteinhaus un luogo memorabile, atto ad impressionare l'ospite per la sua arditezza e per l'atmosfera dei suoi interni. Fu per questo che sovrintese anche alla scelta dell'arredamento interno: dai mobili fino alla posateria. Ogni pezzo venne precisamente inventariato.

Il pezzo forte del salone da pranzo - il primo ambiente nel quale si entrava dopo aver superato l'ingresso - era costituito da un ampio tavolo in legno, dove potevano prender posto fino a trenta commensali. Ognuno di essi poteva accomodarsi s'un'ampia sedia foderata in pelle bianca.

Sul pavimento della sala ottagonale venne messo un grande tappeto orientale, regalo a Hitler dell'imperatore giapponese Hirohito, mentre al centro della parete opposta alle finestre campeggiava un imponente camino in marmo rosso di Carrara, regalato da Mussolini.

La Scharitzstube era l'ambiente più luminoso della casa. Le pareti erano foderate con panelli di pino cembro,

L'ampia terrazza col solarium permetteva - attraverso cinque ampie arcate in granito - di dominare con lo sguardo tutto il paesaggio: punto focale della visuale in basso era il Königssee - il grande lago della vallata - magnificato dalla corona delle montagne circostanti. Pur essendo esposta agli agenti atmosferici, la terrazza venne progettata senza finestre per permettere un rapporto più diretto fra gli ospiti e l'ambiente esterno.

I pezzi più costosi dell'intero arredamento furono due arazzi, che vennero posizionati nella sala d'ingresso e nella Scharitzstube, oltre al grande tappeto nello stile della manifattura di Savonnerie nella sala da pranzo: ognuno di questi pezzi costò oltre 100.000 Reichsmark, mentre la bianca tovaglia per il tavolo - di ben 18 m² - venne commissionata alla ditta Diesz di Monaco e costò 2.600 Reichsmark.

La cucina venne fornita delle migliori apparecchiature dell'epoca, approntate dalla ditta Krefft, ma non venne mai utilizzata. Un set di 750 posate in argento venne acquistata dalla ditta Wandinger di Monaco, così come le celebri manifatture di Meissen fornirono un servizio completo di 450 pezzi di porcellana. Su ogni posata venne inciso il monogramma "AH": quando la Kehlsteinhaus venne occupata dalle truppe alleate nel 1945, le posate vennero immediatamente prese dai militari come souvenir.

Storia e utilizzo dal 1938 in poi[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1938 alla fine della guerra[modifica | modifica wikitesto]

Visite di Hitler[modifica | modifica wikitesto]

Il Führer utilizzò assai poco la struttura e solo in due casi per incontri diplomatici con rappresentanti di altri paesi, preferendo soggiornare nella sottostante Berghof[6]. Sui motivi di questa scelta si sono fatte delle ipotesi: oltre all'avversione per i luoghi elevati - aggravata dalle vertigini che ogni tanto lo colpivano, a partire dagli anni immediatamente successivi alla guerra - egli varie volte paventò i rischi relativi alla sicurezza dell'ascensore e al timore di incappare in condizioni atmosferiche avverse. E' probabile che Hitler temesse che il verricello metallico dell'ascensore - posizionato sul tetto - fungesse da catalizzatore per i fulmini.

A causa di questi fattori, anche le visite registrate furono in realtà molto brevi: egli passò al massimo alcune ore nella Kehlsteinhaus, desiderando tornare a valle prima che calasse il sole. Lo studio creato appositamente per il Führer non venne mai utilizzato. A dispetto di tutto ciò, Hitler ritrasse alcuni interni della casa in una serie di acquarelli, tre dei quali erano appesi all'interno della Scharitz-Stube. Secondo alcune ricostruzioni, Hitler avrebbe inizialmente accarezzato l'idea di utilizzare la Kehlsteinhaus come proprio mausoleo funebre, ma l'idea sarebbe stata in seguito scartata per la difficoltà d'accesso alla struttura: egli ritenne che la sua tomba avrebbe dovuto essere facilmente fruibile dal popolo.

La prima visita di Hitler alla Kehlsteinhaus ebbe luogo il 16 settembre 1938, immediatamente dopo la partenza dal Berghof del primo ministro britannico Neville Chamberlain e all'incirca sette mesi prima della consegna ufficiale in occasione del suo 50° compleanno. In quell'occasione Hitler fu accompagnato - fra gli altri - da Goebbels, Himmler, Bormann e dal giornalista inglese George Ward Price, che - rimasto molto impressionato dall'ambiente - coniò il termine di Eagle's Nest (Nido dell'Aquila) per denominarlo[7], facendo un chiaro riferimento sia al simbolo dei Reich che alla figura del Führer.

Il mese successivo Hitler si recò diverse volte nella Kehlsteinhaus in un periodo relativamente breve: è registrata una mezza dozzina di visite fra il 16 e il 24: particolarmente significative furono le visite di Joseph e Magda Goebbels con i loro figli del 21-24 ottobre 1938. Magda era da poco venuta a conoscenza della storia d'amore del marito con l'attrice cecoslovacca Lída Baarová, e ne aveva parlato col Führer, che aveva ordinato al suo ministro per la propaganda di troncare la relazione. Goebbels si era rifiutato, presentando invece le proprie dimissioni e il 15 ottobre aveva inscenato - probabilmente simulando - un tentativo di suicidio. Joseph e Magda Goebbels vennero quindi invitati da Hitler - padrino dei loro figli - al Berghof per ripianare la questione, mentre nel frattempo la Baarová veniva allontanata dal paese come persona non grata.

Quattordici delle quindici visite ufficialmente registrate sono state effettuate prima dello scoppio della seconda guerra mondiale (1 settembre 1939), quando agli altri timori Hitler aggiunse quello di un attacco aereo, dato che l'intero edificio fino alla metà del 1944 non possedette difese d'alcun tipo e l'unica via di fuga in auto era la Kehlsteinstrasse. Il Nido venne in effetti attaccato nell'aprile del 1945 dall'aviazione alleata, ma a dispetto dei timori di Hitler non venne colpito proprio a causa della conformazione del luogo: un'area di limitata estensione a picco s'una parete rocciosa[8].

Oltre ai Goebbels, fra gli ospiti tedeschi vi furono altre importanti figure del regime nazista, come il Reichsführer-SS Heinrich Himmler, il capo del Deutsche Arbeitsfront Robert Ley e l'architetto e in seguito ministro per gli armamenti Albert Speer.

Il primo diplomatico straniero a visitare la Kehlsteinhaus fu l'ambasciatore francese André François-Poncet, il 18 ottobre 1938. Egli rimase così impressionato dal luogo, da riprendere pubblicamente la denominazione di "Nido d'Aquila", in modo tale che assai spesso ne viene attribuita allo stesso François-Poncet la paternità[9].

Il 12 e 13 agosto 1939 Hitler ricevette al Berghof il ministro degli esteri italiano Galeazzo Ciano, al quale confermò la sua irriducibile decisione di scatenare l'attacco contro la Polonia: alla fine del primo giorno i due salirono alla Kehlsteinhaus[10].

Dopo la visita dell'agosto 1939, Hitler salì per l'ultima volta alla Kehlsteinhaus il 17 ottobre 1940 (unica visita registrata nel periodo bellico), in occasione dell'incontro con la principessa Maria José del Belgio, moglie di Umberto di Savoia, venuta inutilmente a chiedere aiuti alimentari per il Belgio e maggior libertà di movimento per il fratello Leopoldo, re del paese e guardato a vista dai tedeschi[11].

Data della visita Note
1 16 settembre 1938 Prima visita con un gruppo di persone, fra le quali Bormann e Ward Price
2 17 settembre 1938
3 19 settembre 1938
4 16 ottobre 1938
5 17 ottobre 1938
6 18 ottobre 1938 Visita di André François-Poncet[12]
7 21 ottobre 1938 Visita con Joseph Goebbels, sua moglie Magda ed altri ospiti[13]
8 23 ottobre 1938
9 24 ottobre 1938 Ancora con Goebbels e la sua famiglia[14]
10 4 gennaio 1939
11 20 aprile 1939 Inaugurazione ufficiale in occasione del 50° compleanno di Hitler[15]
12 15 luglio 1939
13 11 agosto 1939
14 12 agosto 1939 Visita di Galeazzo Ciano[16]
15 17 ottobre 1940 Visita di Maria José del Belgio

Visite di altri personaggi[modifica | modifica wikitesto]

Mentre le visite di Hitler non furono mai frequenti, la Kehlsteinhaus fu invece molto apprezzata da altri componenti del circolo più intimo del Führer. Eva Braun in particolare si recò molto spesso nella casa, anche negli anni di guerra. Una buona parte delle visite venne effettuata in compagnia di Bormann e della sua famiglia, ma vi si recò anche con altre persone o da sola. Esistono diverse fotografie che ritraggono Eva Braun alla Kehlsteinhaus in compagnia con altri gerarchi nazisti, con la sorella Margarete (Gretl) e con Marion Schönmann, la sua migliore amica. In altre immagini la si può vedere con Negus e Katuschka (Stasi), i suoi Scottish Terrier.

La casa fu molto amata dalla famiglia Braun, tanto che il 3 giugno 1944 venne utilizzata per i festeggiamenti per il matrimonio di Gretl coll'SS-Gruppenführer Hermann Fegelein. Di quell'occasione esiste non solo una serie di fotografie, ma anche un filmato. Hitler fu presente al matrimonio che si celebrò a Salisburgo, ma non ai festeggiamenti.

Eva Braun lasciò definitivamente la Kehlsteinhaus e l'Obersalzberg alla fine di luglio del 1944, per seguire Hitler nei suoi spostamenti con meta finale Berlino.

Di un singolare tentativo di accesso è rimasta memoria nella storia del Nido dell'Aquila[17]: un gruppo di ospiti del Berghof per il Capodanno del 1939, passata la mezzanotte e ritiratisi sia Hitler che Eva Braun, su insistenza di Bormann decise di salire alla Kehlsteinhaus. Si mosse quindi una comitiva d'auto, in testa alla quale si mise una Mercedes 540K condotta personalmente dal Reichsleiter, non pienamente in sé a causa degli alcoolici bevuti in abbondanza. A suo fianco stava il suo autista personale, Jacob Glass. Giunto in prossimità dell'unico tornante a velocità sostenuta, Bormann perse il controllo della vettura finendo contro il guard rail. Nonostante il colpo, l'auto non finì fuori strada e quindi l'intera comitiva riuscì a giungere in tarda notte al piazzale di sosta, dove inutilmente si cercò di liberare dalla neve e dal ghiaccio l'accesso al tunnel dell'ascensore. Dopo vari tentativi andati a vuoto, il corteo d'auto tornò al Berghof.

I bombardamenti e l'occupazione alleata[modifica | modifica wikitesto]

A seguito della partenza definitiva dall'Obersalzberg di Hitler e del suo entourage, la Kehlsteinhaus rimase sostanzialmente vuota fino all'arrivo delle truppe alleate[18].

A metà del 1944 erano state create delle postazioni antiaereo e questa misura - rilevata dai voli d'osservazione degli aerei angloamericani - suscitò una serie di fantasiose illazioni: da un lato si riteneva che la struttura potesse esser stata trasformata in un osservatorio militare d'importanza strategica, dall'altro si pensò che l'intera vallata fosse divenuta una ridotta dei più fanatici nazisti, con installazioni segrete scavate nella roccia e la Kehlsteinhaus come centro operativo di tutto l'apparato.

Fu soprattutto per questo motivo che il 25 aprile 1945 gli alleati scatenarono contro l'Obersalzberg un attacco aereo con bombardamenti a tappeto, che rasero al suolo gran parte delle ville dei gerarchi e delle strutture esistenti. Ma sia la Kehlsteinstrasse che il Nido dell'Aquila non vennero danneggiati.

Il primo reparto che raggiunse la Kehlsteinhaus fu un'unità del 506° Reggimento Paracadutisti della 101ma Divisione Aviotrasportata statunitense, al comando del colonnello Robert F. Sink, senza incontrare resistenza alcuna. Nonostante la primavera avanzata, l'ingresso del tunnel per l'ascensore era completamente bloccato dalla neve, e così fu messo all'opera un gruppo di prigionieri per liberarlo: prima ancora che il lavoro fosse finito, le truppe americane raggiunsero l'ingresso della casa seguendo a piedi il vecchio sentiero di montagna. L'edificio fu ritrovato perfettamente intatto, senza che fosse stato spostato nulla: si scatenò quindi una caccia al souvenir, cosicché in pochi giorni qualsiasi cosa fosse facilmente trasportabile sparì dalla Kehlsteinhaus. Qualche oggetto era stato precedentemente portato via dai coniugi Mitlstrasser. Per tutti i decenni successivi i pezzi provenienti dal Berghof e dalla Kehlsteinhaus divennero oggetto di compravendite fra collezionisti: anche gli oggetti dei Mitlstrasser furono messi in vendita alla fine degli anni 2000 da una casa d'aste britannica[19].

Dopo una settimana di saccheggi, che non risparmiò nemmeno il marmo rosso del camino, dal quale vennero scalpellate e portate via decine di schegge, il generale Maxwell D. Taylor - comandante della 121ma Aviotrasportata - ordinò che la casa venisse sorvegliata, ma era troppo tardi: gli interni della Kehlsteinhaus erano oramai completamente spogli.

Dalla fine della guerra ad oggi[modifica | modifica wikitesto]

Negli anni successivi si fece strada l'idea di considerare la Kehlsteinhaus niente più di una reliquia nazista, che in quanto tale doveva semplicemente essere distrutta[20]: in questo senso furono presentate diverse proposte al parlamento della Baviera. Grazie però all'impegno di Karl Theodor Jacob, membro del locale consiglio comunale e successivamente fondatore della Berchtesgadener Landesstiftung (Fondazione Berchtesgaden), si decise di aprire la casa al pubblico promuovendola come attrazione turistica. La Kehlsteinstrasse fu quindi ripristinata e venne organizzato un servizio di autobus che partendo dall'esterno dell'Hotel zum Türken - un albergo nelle immediate vicinanze del Berghof, requisito dai nazisti per utilizzato come sede del corpo di guardia del Führer - portava direttamente al piazzale del parcheggio.

Nel 1952 la casa venne affittata con un contratto decennale al locale Club Alpino, che a sua volta la subaffittò all'imprenditore Josef Kellerbauer. Questi fece effettuare gran parte dei lavori di restauro dei locali, compresa la trasformazione in ristorante della sala da pranzo e dell'ampia stanza ottagonale.

Dal 1954 in poi[modifica | modifica wikitesto]

Cenni storici[modifica | modifica wikitesto]

L'idea di realizzare un edificio sulla cima del Kehlstein nacque nel 1937 dal segretario personale del Führer Martin Bormann. Egli, con l'ausilio dei membri del partito, ottenne l'autorizzazione e i necessari finanziamenti per far costruire l'edificio, che venne ufficialmente offerto in dono a Hitler il 20 aprile del 1939 in occasione del suo cinquantesimo compleanno.[6]

Progettato dall'architetto Roderich Fick, l'edificio fu completato in soli quattordici mesi da una squadra di circa duemila addetti diretti dall'ingegner Fritz Todt e con una spesa complessiva di circa 30 milioni di Reichsmark,[5] diventando un'estensione della sottostante villa denominata Berghof. Il nome originario Kehlsteinhaus venne suggerito dalla montagna nominata Kehlstein sulla quale venne realizzato l'edificio, tuttavia fu inizialmente noto come D-haus, ovvero Diplomatenhaus,[21] nome in seguito storpiato in Tee-haus.[22][23] Il soprannome Eagle's nest[24] fu invece coniato dal noto giornalista britannico George Ward Price e in seguito menzionato dall'ambasciatore francese André François-Poncet ricevuto in visita il 18 ottobre 1938,[25] per le caratteristiche orografiche del luogo ma sicuramente in chiaro riferimento all'antico simbolo della Germania e del Nazionalsocialismo, che è appunto un'aquila. Tuttavia i dettagli sull'edificio non furono mai resi pubblici, anche per una scelta strategica a tutela dell'immagine del Führer che comunque non utilizzò il Nido dell'aquila per scopi militari, bensì come luogo dove il Reichskanzler svolse soltanto alcune riunioni e incontri diplomatici, tra cui quello in cui ospitò il ministro degli esteri italiano Galeazzo Ciano nel 1939 e quello in cui ebbe come ospite la principessa Maria José il 17 ottobre del 1940.[26][27][28] Malgrado il pieno svolgimento del conflitto, nel giugno del 1944 il Nido dell'aquila fu anche luogo di ricevimento del matrimonio tra l'ufficiale delle SS Obergruppenführer Hermann Fegelein e Gretl Braun,[29] sorella della compagna di Hitler, Eva Braun, che invece amava trascorrere lunghi periodi di villeggiatura presso la Kehlsteinhaus.[30] Un breve elenco dei soggiorni ufficiali di Hitler si può riassumere come di seguito:[5]


Complessivamente l'edificio fu poco frequentato dal Führer e la sua presenza si diradò dopo lo scoppio del conflitto poiché non venne più ritenuto un luogo sufficientemente sicuro e forse anche per alcuni disturbi di vertigini di cui notoriamente soffriva lo stesso Hitler.[31][32][33][34][6] Successivamente il Führer e il suo seguito preferirono stabilirsi in rifugi segreti più sicuri come la Tana del Lupo o il Führerbunker di Berlino; l'edificio, infatti, risultava evidentemente molto esposto ai fenomeni atmosferici come i fulmini ma anche troppo vulnerabile ad eventuali attacchi aerei nemici, sprovvisto di un rifugio antiaereo e dotato di una sola via di fuga, alquanto ripida.

Ciononostante, nella fase finale del conflitto l'edificio scampò ai massicci bombardamenti angloamericani che invece distrussero la vicina Berghof e venne occupato dalle truppe della 3ª Divisione di fanteria, della 101ª Divisione Aviotrasportata statunitense e della 2ª Divisione corazzata francese.[35]

Dopo l'occupazione alleata, fino al 1953 la struttura fu utilizzata come fortezza militare dagli alleati ma in seguito venne ufficialmente riconsegnata al governo della Baviera. Come avvenne per la Berghof, anche questo edificio fu da subito destinato alla demolizione ma dopo la creazione della Fondazione Berchtesgadener Land, nel 1954 il governo locale decise di trasformarlo in rifugio alpino e diede in gestione la struttura all'ente turistico di Berchtesgaden, che tuttora lo gestisce e devolve parte dei proventi alla fondazione per finanziare iniziative e attività culturali della zona.[6]

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Una veduta del rifugio dal basso
Il caminetto in marmo rosso donato da Mussolini

Situato a un'altitudine di 1.834 metri, a soli tre chilometri dal paese di Berchtesgaden, il rifugio è posto ai confini con l'Austria da cui si domina tutta la Baviera e il Salisburghese ed è sulla cima del Kehlstein, montagna che domina la sottostante area della scomparsa Berghof.

È raggiungibile mediante la Kehlsteinstraße, una strada lunga 6,5 km ad un solo tornante che, partendo dalla località di Hintereck a pochi metri dal Centro di Documentazione sul Nazismo realizzato sulle stesse macerie della Berghof, supera un dislivello di circa 700 metri anche tramite l'attraversamento di cinque gallerie stradali, di cui una di circa 150 metri di lunghezza; completata in un solo anno, la strada originariamente fu anche dotata di apposite cabine telefoniche poste a margine per poter comunicare con il Reichskanzler in caso di necessità.[36] Quest'unica strada è chiusa al traffico per via della sua ripidità e della scarsa larghezza ed è percorribile soltanto dalle navette del servizio locale che terminano la loro corsa nel piazzale antistante l'accesso al rifugio, che consiste in una galleria pedonale illuminata di 124 metri di lunghezza e 3 di altezza scavata nella roccia granitica e completamente rivestita di conci in pietra. Essa termina con l'accesso ad un ascensore Otis in ottone e bronzo, con sedili in pelle verde e specchi, per favorirne l'accesso al Fṻhrer che soffriva anche di claustrofobia,[37] [5] risalente al periodo della costruzione[38] che percorre gli altrettanti 124 metri di dislivello fino alla cima in soli 41 secondi.[5] Il tratto finale della tromba dell'ascensore è ricoperto in marmo rosso di Carrara che fu offerto da Mussolini.[38] L'edificio è stato costruito sulla cima della vetta opportunamente spianata e prevalentemente realizzato con materiale roccioso reperito sul luogo e si sviluppa su un'area di circa 1.040 metri quadrati.[39] Gli interni ospitavano originariamente una decina di ambienti in stile rustico con soffitti in legno disegnati dall'architetto ungherese Paul Laszlo, tra cui le due grandi sale ottagonali sovrapposte, in cui è presente un camino realizzato con il medesimo marmo rosso ricevuto in dono da Mussolini[5] e un'ampia terrazza con portico che affaccia sulla valle sottostante.[40]

Negli anni cinquanta l'edificio è stato profondamente rimaneggiato e ampliato pur mantenendo alcuni dettagli architettonici, per essere trasformato in rifugio alpino con annesso ristorante e un'ampia terrazza da cui si gode il vasto panorama sul monte Königssee e sul Watzmann, la seconda vetta più alta della Germania.

Il rifugio è chiuso nei mesi invernali e riapre tra aprile e maggio, tuttavia verso la fine di aprile la frequentazione della struttura viene sconsigliata poiché non è raro che nei paraggi avvengano scontri tra le forze dell'ordine e gruppi di neonazisti intenzionati a commemorare il compleanno di Hitler.[41]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ The Birth and Development of the Project, dal sito Das Kehlsteinhaus.com, a cura di Rick D. Joshua.
  2. ^ Sono riportate diverse annotazioni relative alla Kehlsteinstrasse e alla Kehlsteinhaus nei diari di Bormann, nei mesi di novembre e dicembre 1936: si veda in merito il capitolo Architektur in Höhenkoller, in Ulrich Chaussy, Nachbar Hitler: Führerkult und Heimatzerstörung am Obersalzberg, Ch. Links Verlag, 2007, pp. 121 ss.
  3. ^ Equivalenti all'incirca a 2,8 milioni di Euro.
  4. ^ La Flohr dopo la guerra venne acquisita dall'americana Otis, per cui alcune fonti riportano erroneamente il nome di quest'ultima come costruttrice dell'ascensore.
  5. ^ a b c d e f Alla scoperta del Nido dell'Aquila, su tuttobaviera.it. URL consultato il 28 dicembre 2014. Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "tuttobaviera" è stato definito più volte con contenuti diversi
  6. ^ a b c d e (DE) Herzlich Willkommen, su kehlsteinhaus.de. URL consultato il 28 dicembre 2014.
  7. ^ [1] [2] [3]
  8. ^ Così James Wilson, Hitler's Alpine Headquarters, Pen & Sword Books, Barnsley 2013, p. 205.
  9. ^ Si veda a titolo d'esempio Jim Ring, Storming the Eagle's Nest: Hitler's War in the Alps, Faber & Faber 2013. Ricostruisce la storia della denominazione attribuendone la paternità a George Ward Price Geoff Walden, Obersalzberg. Kehlsteinhaus ("Eagle's Nest"), in Third Reich in Ruins.
  10. ^ Paul Bruppacher, Adolf Hitler und die Geschichte der NSDAP, Vol. 2, 1938 bis 1945, Books on Demand, Norderstedt 2013, p. 133.
  11. ^ Un resoconto diretto dell'incontro in Ludina Barzini, Giovanni Berardelli, Maria José. Quel che penso di Mussolini, in Corriere della Sera, 18 marzo 1998, p. 31.
  12. ^ Bruppacher p. 73.
  13. ^ Bruppacher, p. 73.
  14. ^ Bruppacher, p. 73.
  15. ^ Per Bruppacher era però a Berlino p. 113.
  16. ^ Bruppacher p. 133.
  17. ^ Ne parla diffusamente Michael Tregenza, Aktion T4. Le secret d'Etat des nazis (...), Calmann-Lévy 2011, Prologo.
  18. ^ [4]
  19. ^ [5]
  20. ^ Ricordare distruzione completa Berghof e Teehaus.
  21. ^ Casa per incontri diplomatici in tedesco.
  22. ^ Casa del tè in tedesco.
  23. ^ P. Guido, Il Berghof di Hitler e la sua Tea house, p. 28.
  24. ^ Nido dell'aquila, in inglese
  25. ^ (EN) Les batailles célèbres de l’histoire La Kehlsteinhaus: le Nid d'Aigle de Hitler Obersalzberg : Siège gouvernemental, su bataillescelebres.esy.es, Les batailles célèbres de l’histoire. URL consultato il 10 gennaio 2015.
  26. ^ David John Cawdell, Hitler's War and the War Path, London, Focal Point Publication, 2002, p. 337.
  27. ^ Visit of Maria José to Eagle's nest, su books.google.it. URL consultato il 12 gennaio 2015.
  28. ^ (EN) kehlsteinhaus.com, http://www.kehlsteinhaus.com/the-building.html. URL consultato il 12 gennaio 2015.
  29. ^ (EN) Wedding at the Kehlsteinhaus, su uncommon-travel-germany.com, Uncommon Travel Germany. URL consultato il 10 gennaio 2015.
  30. ^ (FR) Les batailles célèbres de l’histoire La Kehlsteinhaus: le Nid d'Aigle de Hitler Obersalzberg : Siège gouvernemental, su bataillescelebres.esy.es, Les batailles célèbres de l’histoire. URL consultato il 10 gennaio 2015.
  31. ^ (FR) Les batailles célèbres de l’histoire La Kehlsteinhaus: le Nid d'Aigle de Hitler Obersalzberg : Siège gouvernemental, su bataillescelebres.esy.es, Les batailles célèbres de l’histoire. URL consultato il 10 gennaio 2015.
  32. ^ (EN) Henry A. Murray, Analysis of the Personality of Adolph Hitler, su library.lawschool.cornell.edu, Cornell University Law Library. URL consultato il 3 gennaio 2015.
  33. ^ Lucia Imperatore, La storia psichiatrica di Hitler, su psicozoo.it, 10 marzo 2010. URL consultato il 3 gennaio 2015.
  34. ^ Francesco Borgonovo, liberoquotidiano.it, 5 maggio 2012, http://www.liberoquotidiano.it/news/Personaggi/1006736/Hitler-tra-peti--cocaina-e--viagra---Il-racconto-dei-suoi-medici.html. URL consultato il 9 gennaio 2015.
  35. ^ (DE) Zweiter Regierungssitz des Dritten Reiches und Ort der Propaganda, su obersalzberg.de. URL consultato il 28 dicembre 2014.
  36. ^ (FR) Les batailles célèbres de l’histoire La Kehlsteinhaus: La route du Kehlstein, su bataillescelebres.esy.es, Les batailles célèbres de l’histoire. URL consultato il 10 gennaio 2015.
  37. ^ (FR) Les batailles célèbres de l’histoire La Kehlsteinhaus: L'ascenseur, su bataillescelebres.esy.es, Les batailles célèbres de l’histoire. URL consultato il 10 gennaio 2015.
  38. ^ a b (EN) Construction of the Main Entrance Tunnel and Elevator, su kehlsteinhaus.com. URL consultato il 28 dicembre 2014.
  39. ^ (FR) Les batailles célèbres de l’histoire La Kehlsteinhaus: La Kehlsteinhaus, su bataillescelebres.esy.es, Les batailles célèbres de l’histoire. URL consultato il 10 gennaio 2015.
  40. ^ (FR) Les batailles célèbres de l’histoire La Kehlsteinhaus: La Kehlsteinhaus, su bataillescelebres.esy.es, Les batailles célèbres de l’histoire. URL consultato il 10 gennaio 2015.
  41. ^ (EN) Obersalzberg - Hitler's Berghof and the Kehlsteinhaus, the "Eagle's Nest" - scheda su mitteleuropa.x10.mx (consultato nel gennaio 2015)

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • F. M. Beierl: Geschichte des Kehlsteins. Ein Berg verändert sein Gesicht. Plenk, Berchtesgaden 1994, ISBN 3-922590-81-0
  • Michael E. Seerwald: Hitlers Teehaus am Kehlstein. Gipfel der Macht? Geschichte in Bildern und Dokumenten. Beierl, Berchtesgaden 2007, ISBN 978-3-929825-06-0
  • P. Guido, Il Berghof di Hitler e la sua Tea house, ISEM, Milano, 2ª Edizione, 2013, ISBN 978-88-87077-07-0
  • D. J. Cadwell: Hitler's War and the War Path, Focal Point Publications, Londra, 2002, ISBN 978-18-72197-104

http://www.kehlsteinhaus.com/

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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