Utente:Lupo rosso/Sandbox/consultazione/Fiume

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Impresa di Fiume personaggi e sviluppi[modifica | modifica wikitesto]

Legione di Fiume: due citazioni sintetiche che indicano la complessita' e la contraditorieta' dell'impresa


da una frase di Gabriele D'annnuzio:

«trasformare il cardo bolscevico in rosa Italiana»


da una lapide citata su :da comune Ronchi dei legionari


«Quis contra nos, sta scritto sul monumento. Pochi anni dopo, alcuni dei legionari fiumani dovevano affrontarsi, anche armi in pugno, da opposte barricate, nello scontro tra fascisti e antifascisti»

vent'anni dopo alcuni sarebbero divenuti noti capi della Resistenza, come Ercole Miani che i nazifascisti,comandati da un commissario di polizia italiano ,Gaetano Collotti, torturarono senza riuscire a farlo parlare dei compagni e dell'organizzazione antifascista di cui faceva parte,e come Gabriele Foschiatti, morto in un lager ,oppure sull'opposta barricata Ettore Muti uno dei piu' sanguinari squadristi fascisti,ucciso dai carabinieri ed a cui fu intitolata una brigata di camice nere della RSI:la Brigata Automa Muti.


Sintesi dell'avvenimento


Gabriele D'Annunzio il 12 settembre del 1919 , acclamato quale capo di un gruppo di militari ribelli,definiti da Filippo Tommaso Marinetti ,(durante il breve periodo della sua presenza,settembre 1919, a Fiume) “disertori in avanti” ,parte da Ronchi (reintitolata dal fascismo “dei Legionari” ,nome rimasto), occupa Fiume chiedendone l’annessione al regno d’Italia. Il governo Francesco_Saverio_Nitti tenta di trattare la resa dei Legionari e l'abbandono della citta' che secondo il trattato di Rapallo,del 12 novembre 1920 era stata dichiarata città-stato indipendente.Giovanni_Giolitti,subentrato a Federico_Nitti ordina lo sgombro della città nel mese di dicembre del 1920,l'attacco portato avanti dall'esercito italiano e da un manipolo di squadristi fascisti alla Reggenza del Carnaro,(l'episodio e' denominato “Natale di sangue”) provoca alcune decine di morti fra difensori ed attaccanti.Fiume verra' annessa a tutti gli effetti allo stato italiano nel 1924,e iniziera' il processo della fascistizzazione di Fiume,con dure repressioni delle minoranze croate e slave e dei partiti politici di opposizione al regime sia italiani che slavi,distruggendo cosi'una ormai una durevole applicazione pratica di coesistenza multietnica con le susseguenti ritorsioni del secondo dopoguerra.

Periodo storico[modifica | modifica wikitesto]

Secondo un censimento del 1910,Fiume era una citta' con la popolazione cosi' suddivisa: ventiquattromila italiani, quindicimila croati e minoranze slave,sopratutto ungheresi(esclusa Sussak,in pratica il quartiere operaio di Fiume, a magggioranza croata politicamente orientato a sinistra di 15000 abitanti ):si puo' quindi dire che fosse una cittadina portuale di tutto rispetto a maggioranza relativa italiana,ma con maggioranza assoluta non italiana ,e forte presenza Croata.Se contiamo anche Sussak la maggioranza era probabilmente croata :situazione che contribui' non poco ai tragici fatti del secondo dopoguerra dopo il fenomeno della fascistizzazione di Fiume fra le due guerre.


cronologia.leonardo.it riferimento Sintesi situazione Italiana del Primo dopoguerra


A) L'Italia fra i vincitori della prima guerra mondiale pago' la vittoria con 650 000 caduti.

B)Il debito pubblico per il finanziamento guerra provoco' una forte inflazione, dovuta all'eccesso di moneta circolante,con relativa svalutazione della lira (il costo della vita triplicato fra il 1914 e il 1919).

C) proprio per il conflitto si erano concentrati e rinforzato i gruppi industriali piu' forti,con la conseguenza dell'evoluzione del capitalismo italinano ancora arretrato fra le nazioni europee piu' avanzate,di converso si sviluppavano anche le organizzazioni del proletariato la Confederazione generale italiana del lavoro (Cgil), sindacato socialista,decuplico' quasi i suoi iscritti passando dai 250000 iscritti del 1918 ai 2200000 del 1920.


D) scioperi ed agitazioni occupazioni delle terre nel sud,furono accolti in maniera relativamente tollerante dai governi sia Vittorio_Emanuele_Orlando che di Francesco_Saverio_Nitti


E)Il proletariato ottenne significative vittorie quali la giornata di 8 ore ed una qualche ridistribuzione di terre incolte nel sud del paese.

Dalle vicende della guerra erano colpiti anche i reduci,e quindi il nazionalismo e l'onta della vittoria mutilata permettevano nei strati sociali degli reduci,ovvero la piccola borghesia,un ritorno di nazionalismo con aspetti esasperati.Le associazioni dei reduci erano comunque ancora saldamente nelle mani di persone non aderenti al fascismo che stava tentando di affermarsi,oppure da persone che furono avverse al fascismo appena chiari' i suoi intenti.

Le notizie dalla appena nata Unione Sovietica,erano di sprone per il proletariato.

Negli strati della piccola borghesia e dei reduci militari erano viste in modo contradditorio,da una parte la paura dei "sovversivi",ma dall'altra un sentimento di ammirazione per qualcosa di nuovo portato a compimento di "onorevole",non per niente la neonata repubblica socialista sara' quella,l'unica,che riconosce la Libera Repubblica di Fiume,senza esitazioni.Non a caso i reduci di guerra e nello specifico i loro ufficiali,quelli di complemento,(e corpi scelti come Arditi e bersaglieri) che furono i veri artefici della vittoria,legandosi e soffrendo con le masse di soldati proletarie mandate spesso al macello da ufficiali professionisti inetti,nel proseguio ,in parte nontrascurabile saranno gli artefici e i creatori di formazioni d'assalto antifasciste come gli Arditi del Popolo o come i bersaglieri parteciparono alla rivolta popolare di Ancona od ancora si renderanno disponibili,inascoltati,per fermare militarmente la marcia su Roma o dopo l'omicidio di Giacomo Matteotti per rovesciare il regime.

Ci fu una stortura storica di stampo fascista sull'adesione al fascismo da parte della massa dei reduci di guerra e dei loro ufficiali.Certo e' che a fascismo affermato i capi delle associazioni dei reduci furono sostituiti da personaggi fedeli al fascio alcuni veramente reduci di guerra ed talvolta anche valorosi nel passato conflitto,altri sedicenti tali.


L'impresa di D'annunzio e' stata fagocitata ed utilizzata a fini propagandistici dal fascismo.Nel seguito questo utilizzo ha impedito,per motivazioni sopratutto politiche,di rimettere nel giusto contesto storico la vicenda ed analizzarla,vedendo cosi' che nello specifico dell'impresa stessa la vicenda di Fiume il fascismo ha poco a che vedere,forse nulla nella pratica.

Il vergognoso massimo del processo di fascistizzazione del fiumanesimo si ebbe con le Leggi razziali,del 1938,nelle quali si assegna di diritto beni immobili sequestrati ai "Giudei",fra gli altri "aventi diritto",anche agli ex_legionari fiumani o sedicenti tali,ovviamnete passati al fascismo.

Sintimatico di quanto detto,in relazione al fascismo, sta nel fatto che l'attacco finale alla repubblica di Fiume fu fatto dall'esercito italiano appoggiato da un gruppo non molto numeroso disquadristifascisti.


E' altresi' indiscutibile che le tecniche di comunicazione di massa adottate dal "Comandante",cosi' veniva chiamato il D'Annunzio durante l'impresa di Fiume ed il metodo per impostare il personale carisma furono copiate dal "duce":esempio tipico di tale metodo sono le "adunate oceaniche".

«in quel momento lo era ( il comandante)e non per i "ribelli" italiani di Fiume,ma anche a livello internazionale,Lenin stesso asseri' che l'unica persona in grado di portare avanti la rivoluzione in Italia era D'annunzio»

(da rivista dei bersaglieri "Fiamme Cremisi").

Da tale breve,e da quelle nel seguito,citazione si deduce che la complessita' del fenomeno di Fiume altro non era che lo specchio della complessita' del primo dopoguerra,in cui lo stesso movimento fascista col sansepolcrismo,o meglio come veniva veicolato alle masse tramite il Popolo d'Italia di Mussolini:

«c) Una politica estera nazionale intesa a valorizzare, nelle competizioni pacifiche della civiltà, la Nazione»

«b) II sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l'abolizione di tutte le mense Vescovili che costituiscono una enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi.»

poteva definirsi chiaramente un movimento si sinistra non marxista legato per certi aspetti al sindacalismo rivoluzionario.(la chiarezza ci fu presto don l'assalto alla camera del Lavoro di Milano ).

Alceste De Ambris ebbe un ruolo fondamentale,per non dire che fu il promotore nella stesura della Carta del Carnaro,la costituzione di Fiume. Tale documento seppur non completamente sviluppato ha un programma sociale molto piu' avanzato di quello costituzionale della Repubblica Italiana del secondo dopoguerra.

«Art. 2 - La Repubblica del Carnaro è una democrazia diretta, che ha per base il lavoro produttivo e come criterio organico le più larghe autonomie funzionali e locali. Essa conferma perciò la sovranità collettiva di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione; ma riconosce maggiori diritti ai produttori e decentra, per quanto è possibile, i poteri dello Stato, onde assicurare l'armonica convivenza degli elementi che la compongono.»

«Art. 5 - La Costituzione garantisce inoltre a tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, l'istruzione primaria, il lavoro compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita, l'assistenza in caso di malattia o d'involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l'uso dei beni legittimamente acquistati, l'inviolabilità del domicilio, l'habeas corpus, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abuso di potere.»

dalla Carta del Carnaro

Impresa Fiumana e rapporti fra alcune principali personalita' che interagirono[modifica | modifica wikitesto]

A)Roberto Vivarelli,storico socialista,Docente di storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa, indica nell'impresa di Fiume una svolta decisiva del processo di decadimento e di crisi dello Stato liberale;ovvero l'impresa contribui' a rendere pubblica ed esasperatamente chiara la realta' di uno stato debole,oberato da interessi di parte e corrotto.Mussolini astutamente ed aspettando il momento propizio sfruttera' l'occasione per la sua ascesa.Prima appoggia la sortita di D'Annunzio,sempre a parole,seguendo un modo di sentire comune del tempo ovvero della Vittoria Mutilata .

I rapporti con D'Annunzio non son di fiducia ma di reciproco utilizzo,il fascio fiumano segue la strada delle rappresaglie fatte in Istria e Dalmazia alla fine della prima guerra mondiale Ruggero Grieco,(1° maggio 1921, sull’”Ordine Nuovo”) nell'articolo intitolato “Fascismo”. individua nel fiumanesimo le premesse del fascismo.

Questa impostazione e' discutibile se presa letteralmente (tenuto conto anche delle posizioni di Grieco,richiamato,in seguito da Bhucarin, per la sua incompresione della neccesita'di un rivoluzionario di far parte dei fenomeni di massa da parte per poterli e poi eventualmente mettere sulla giusta strada(vedi incontro Grieco-Bucharin sul problema degli Arditi del Popolo,e piu' in generale sulle squadre di difesa antifascista:meglio sbagliare con la classe che strane a discutetre in salotto)ma indubbiamente contiene la verita' del fatto che il fascismo "imito'" e utilizzo' "il fiumanesimo.

«Il se e' vero che il fiumanesimo fu la fiaccola dell’idea nazionalista tenuta da un’avanguardia audace ed idealista, diversa dall’esercito fascista (cui tuttavia preparò la strada e l’azione) che aveva i suoi stati maggiori nell’agraria, nella banca e nell’industria»

e' altresi' vero che ebbe forti simpatie fra le masse che vedevano nell'impresa un'idea di rivolta di orgoglio e di nuovo assetto sociale,vi furono simpatie fra i socialisti di sinistra ed ovviamente fra i sindacalisti rivoluzionari,esempio ne fu l'appoggio del sindacato Lavoratori del mare di Giulietti e del "mitico"abbordaggio al "Persia" mercantile che riforniva armi ai controrivoluzionari bianchi in Russia,ed inoltre la neonata repubblica socialista sovietica diede pieno appoggio alla Legione di D'anunzio ed alla repubblica di Fiume:teniamo conto che per le masse proletarie italiane aveva grosso peso il gidizio dell'astro nascente del socialismo.


E' altrettanto conseguente che per i rinnovati e voraci stati maggiori dell'industria e dell'agraria non erano assolutamente approvabili le istanze socialisteggianti di D’Annunzio,ma erano sfruttabili per un movimento che portasse a piu' miti consigli il battagliero proletariato del periodo,e che sapesse utilizzare in tal senso la non trascurabile situazione provocata dll'impresa fiumana.Fra D'annunzio e Mussolini vi era distanza di idee politiche ed e' palese le differenza caratteriale.

Benito Mussolini intuiva l'intuito di D'annunzio in campo sociale ma ne disprezzava le capacita' politiche,ed in fondo non aveva torto visto gli sbagli ed i tentennamenti di D'Annunzio,dimostrati dalla sua incapacita' di agganciarsi al tempo giusto alla frazione rivoluzionaria di sinistra,ma cio' va d'accordo comunque col carattere egocentrico e la visione aristocratica che aveva il D'annunzio della vita.

Dimostrazione dei rapporti di sfiducia fra D'Annunzio ed Mussolini fu che questo non fu informato in anticipo dell'impresa.


Mussolini al tempo stesso intui', a torto od a ragione,visto le varianti di sviluppo che il periodo avrebbe potuto permettere, che l'"Eroica Impresa" non poteva costituire pericolo eversivo per il dannunzianamente chiamato "Cagoia",ovvero Nitti.

D’Annunzio aveva una visione patriotica,e indubbbiamente personalistica,ma ben distante dal nazionalismo di stampo fascista : l'impresa era la grande occasione della sua vita per restituire all’Italia quella unità che il patto di Londra le aveva tolto .In realta' sempre riferendosi al personaggio D'Annunzio fu sopratuttto ,forse, un'esaltazione di se stesso,senza voler disconoscere che in effetti tendenze anarcoidi-socialisteggianti era intrinseche del D'Annunzio (io ricevo quel che ho donato),e permeavano personalita' e figure dell'aristocrazia del tempo.Nel periodo,od in quello immediatamente precedente, son note le simpatie di alcuni aristocratici per certe forme anarchicheggianti, e/o anarchiche,ricordiamo ad esempio la Regina degli anarchici Maria Sofia di Borbone che conobbe a Parigi anche Errico Malatesta,e quindi D'Annunzio , piu' che cinquantenne risentiva a maggior ragione di queste debolezze aristocratiche,che furono ben evidenti a cavallo dei 2 secoli.


D’Annunzio cercò l’appoggi politici in diverse fazioni,ma rifiuto' di incontrare Antonio Gramsci,ad esempio,(accompagnato da lui dal tenente dei Legionari Fiumani Marco Giordano di tendenze comuniste,o meglio dire bolscviche,visto cheil comunismo ufficiale in Italia aveva ancora da sorgere):era infatti presente una "cellula" strutturata di filo-comunisti fra i legionari che contava circa 8 elementi)con una scusa,D'annunzioancora, rifiuto' la proposta di Giulietti di una "presa di Roma",anche perche' i socialisti rifiutarono la proposta di Giulietti:la marcia su Roma ha un precedente ipotetico ma di politicamente agli antipodi,rifiuto'inoltre di dar rifugio ed in ultima analisi l'aiuto degli Arditi ribelli di Trieste,tentenna cosi' alungo che ancora nel 1922 Argo Secondari,in una intervista ad Ordine Nuovo atende che il "Comandante" ritorni per assumere la direzione dell'antifascismo di stampo armao e militare. Ricapitolando dimostro' anche scarsita' di vedute in campo militare vista l'efficienza che avrebbero potuto avere gli Arditi Assaltatori ribelli nell'eventuale difesa di Fiume .Il seguito della vicenda dimostro' avrebbe che ci sarebbe stato bisogno di deifensori di una buona caratura militare,anche per un tentativo di colpo di mano alla CapitanGiulietti:e di nuovo siamo alla natura aristocratica e legata ancora al patriottardo pescecanismo,anche se per il "vate" non era assolutamente pescecanismo ma parte integrante della sua formazione arte ed autoesaltazione.

La collaborazione tra D’Annunzio e Alceste De Ambris ci fu e molto proficua vedi Carta del Carnaro.Dai carteggi Mussolini-De Ambris-D'annunzio,studiati da il Renzo De Felice si deduce quanto fossero diversi i fini di Mussolini e di D'Annunzio,per ceri aspetti diametralmente opposti:gli squadristi zotici,bastonatori e "erogatori" di olio di ricino mescolato a bitumi sarebbero stati inacettabili per il "vate",e per gran parte dei militari intelletuali ed uomini d'azione che accompagnorono il D'Annunzio ed i "Centauri di Fiume",che anche nel seguito furono ben diversi in gran prte sia dai personnaggi sia dell'avvento del fascismo sia di quelli che lo accompagnarono nella sua tragica avventura.E' altresi' vero che alcuni dei Legionari li ritroviamo nella Resistenza su sponde opposte,vedi ad aesempio la Medaglia D'oro Ercole Miani,per gli antifascisti ; Ettore Muti per i fascisti.


I nazionalisti di Fiume,che presero la direzione,mettendo sempre piu' da parte gli elementi reazionari e monarchici che erano con loro fin dall'inizio, erano animati da un patriottismo ben diverso degli squadristi fascisti,(fra l'altro zeppi di spostati e malfattori),era il "nazionalismo" in parte legato all'irredentismo socialista,al mazzinianesimo ed all'interventismo di sinistra .De Ambris,che conosce Mussolini dal 1913 ,dall'epoca dei fasci di combattimento,nati dai fasci d'azione internazionalista(partecipo' alla fondazione anche il fratello stesso di De Ambris,Alceste De Ambris,cognato di Filippo Corridoni),il cui programma si rifaceva al'interventismo di sinistra socialmente avanzato, rompe i rapporti con Mussolini all’indomani del Natale di sangue.

il DE Ambris diverra' presidente dell'associazione Legionari fiumani e partecipera' con gli Arditi del Popolo e la Legione Proletaria Filippo Corridoni alla difesa di Parma,dove gli squadristi prima di Farinacci,poi di Italo Balbo(mandato a sostituire Farinacci per inefficienza militare ) riceveranno una durissima lezione.

La coerenza di De Ambris fu' tale che mai scambio'(come numerosi suoi,anche noti compagni sindacalisti rivoluzionari,compreso il fratello,che era anche lui fra i difensori di Parma eche dovette "vendersi per fame") proposte di cariche politiche offertegli dal regime fascista in quanto non volle mai che il progetto rivoluzionaro di partenza, fagocitato dal fascismo,diventasse strumento reazionario anche di propaganda basato sulla sua epica figura.

Renzo De Felice cita ,nel carteggio De Ambris – D’Annunzio, un articolo de “La conquista” : De Ambris conferma il proprio intento di essere a fianco di D’Annunzio, ma sotto la bandiera della libertà, e non della reazione,e a proposito di bandiera,nel senso reale del termine,ricordiamo che la bandiera dei Legionari di Fiume era una bandiera rossa con due piccole bande vericali binca e verde,ovvero un tricolore su cui dominava il colore rosso(Claudia Salarisi,alla festa della rivoluzione).


De Ambris valeva trasformare l'impresa di Fiume in un laboratorio rivoluzionario,per far affermare anche in Italia uno stato impostato sui principi del sindacalismo rivoluzionario.Tale impostazione era anche appogiata da nazionalisti,discententi dell'ala repubblicana -socialista -irredentista,nonche' da Mussolini stesso,appena il caso fiumano divenne di pubblico interesse,ma per i suoi scopi,ovvero era un appoggio tattico di sfruttamento del momento con l'intento ,forse ,di far cadere Nitti tanto per iniziare. Mussolini avente ben capito che la trioka vincente,in quello stesso periodo,era quella di Giolittti.Si avvicino' a quest'ultimo e saboto' il progetto del De Ambris.l fiumanesimo del "duce" era uno splendido mantello di copertura per i suoi intenti ormai decisamente,anche se non chiaramente per tutti i fascisti,e per le masse,reazionari:a parole appoggiava D'annunzio,ma nel concreto non diede mai reale sostegno e il giorno seguente al Natale di Sangue il Comitato Centrale dei Fascio,approvava all'unanimita' un documento di condanna perl'intervento dell'esercito italiano con un unico voto contrario,quello di Benito Mussolini.

D'annunzio fu ingannato dalla politica del doppio binario di Mussolini,gli chiese di reperire fondi per la Libera Repubblica Fiumana,tramite il "popolo d'Italia ",fra l'altro il dannunzio,anche a causa del suo egocentrismo,trascurava come importanza il fenomeno fascista,(nonche' quello dei soldi in linea di massima liquidava col suo detto io ricevo quel che ho donato)convinto di essere lui il futuro condottiero della rivoluzione italiana,magari aiutato dal duca d'Aosta,con cui aveva discrete relazioni.Nel seguito D'annunzio stesso,invelenito dall'approvazione da parte di Mussolini del trattato di Rapallo,e resosi forse conto di quanto il duce avesse strumentalizzata l'Idea Fiumanaammoni' i Legionari a non aderire al fascismo fino al famoso volo dell'Arcangelo,episodio interpretabile in varie maniere ma in cui il D'annunzio rischio' la vita:era presente in casa sua in quel momento Aldo Finzi;di li' in poi il D'annunzio forse incomincia la "conversione" al fascismo. Certo D'annunzio,nuovamante, alla morte di Giacomo Matteotti dimostra tutto il suo livore contro il fascismo ed il "duce",ma la sinistra ,neanche quella di classe, sa sfruttare il momento favorevole,pur avendo a disposizione ancora ben strutturati nuclei di Arditi del Popolo,parte in clandestinita', e potendo contare su frange militari neutrali ma vigorosamente antifasciste.(Eros Francescangeli,gli Arditi del Popolo)(vedi Pietro Tresso ed il periodo relativo).

Ricapitolando sia gli uomini,Mussolini e D'annunzio,sia le loro idee erano ben diverse,anche tenendo conto della confusione del D'Annunzio stesso in campo Politico.Nel proseguio il colpo di stato organizzato da Facta tramite i carabinieri,che esautoro' il governo locale di Zanella passo' nella quasi indifferenza dell'opinone publica italiana:siamo gia' pero'nel 1922.

"Grazie"all'astuzia del suo capo,il regime aveva iniziato la sua ascesa,quanto irresistibile e' da discuteresecondo gli storici Behan,Rossi,Francescangeli (problema degliArditi del popolo e/o in generale della Formazioni di Autodifesa Antifascista di varia connotazione politica),ed anche e sopratutto il documento di Carlo Rosselli sull'Aventino.

La presa del potere del regime fascista a Fiume fu considerata con indifferenza e diffidenza e ben presto l'Assemblea costituente si adeguo' poortunisticamente al regime,mentre il fascio fiumano passava dall'impostazione "dannunzieggiante" a quella tipicamente squadristica.

difesa di D'Annunzio e dei Legionari,dopo il natale di sangue,da parte di Antonio Gramsci: 6 gennaio 1921 “L’Ordine Nuovo”: “L’onorevole Giolitti in documenti che sono emanazione diretta del potere di Stato ha più di una volta, con estrema violenza, caratterizzato l’avventura fiumana. I legionari sono stati presentati come un’orda di briganti, gente senza arte né parte, assetata solo di soddisfare le passioni elementari della bestialità umana: la prepotenza, i quattrini, il possesso di molte donne. D’Annunzio, il capo dei legionari, è stato presentato come un pazzo, come un istrione, come un nemico della patria, come un seminatore di guerra civile, come un nemico di ogni legge umana e civile. Ai fini di governo, sono stati scatenati i sentimenti più intimi e profondi della coscienza collettiva: la santità della famiglia violata, il sangue fraterno sparso freddamente, la integrità e la libertà delle persone lasciate in balia di una soldataglia folle di vino e di lussuria, la fanciullezza contaminata dalla più sfrenata libidine. Su questi motivi il governo è riuscito ad ottenere un accordo quasi perfetto: l’opinione pubblica fu modellata con una plasticità senza precedenti”)

in precedenza all'inizio dell'impresa Gramsci bolla come espressione eversiva della classi domininati,ma evidentemente il suo,anche inutito e chiarezza dell'evolversi dei fatti,lo aveva messo su altre posizioni,quantomeno di vigile attenzione.

intrecci col futurismo e l'anarchismo[modifica | modifica wikitesto]

una lettura basilare per la comprensione della dinamica artistico-social-politica di Fiume e' il libro Alla Festa della Rivoluzione di Claudia Salaris,una fra i maggiori studiosi del futurismo.Premesso che in quel periodo esisteva anche un futurismo di sinistra"anarchicheggiante o espressamente legato indissolubilmente come spinta artistica al credo ideologico rappresentato nella sua espressione piu' alta da Renzo Novatore,(amico di Giovanni Governato,"cromatico" recentemente "riscoperto"),morto in uno sconto a fuoco coi carabinieri a Murta,delegazione di Genova,e che tale tipo di impostazione futuristica era ben radicata sia nella Liguria,spezzino in particolare,e nelle Marche . Aderivano al movimento anche donne di non lieve importanza dal punto di vista artistico come Gianna Manzini (1896-1974),figlio di un miltante anarchico che mai cedette alle lusinghe del regime.Basta limitarsi alla vicenda Fiumana per individuare l'intreccio fermo restando il punto che il futurismo fu poi fagocitato dal fascismo e cesso' la sua funzione artistico-propulsiva quando divento' di regime,lo dimostra il calo e la sparizione di produzione artistica nel regime fascista affermato:era impensabile che ci fosse spazio pe un movimento artistico-culturale genuinamente rivoluzionario,come disse Antonio Gramsci,anche se Gramsci stesso aggiunse ,dopo,a fascismo vincente che i futuristi(perlomeno i capi storici) furono come scolari lasciati liberi per la ricreazione ma che rientrano in classe ben ordinati quando compare un minaccioso sorvegliante (forse non avevano avuto buoni "insegnanti" che gli guidassero nella "ricreazione" creativa )

personaggi di spicco legati all'impresa fiumana[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Impresa di Fiume.

I personaggi di cui si parla,oltre a quelli di indubbia caratatura poltica,come si dimostrearanno anche chiaramente nel proseguio della storia,o quelli gia' ben conosciuti,sono in buona parte in riferimento a quella frangia di intelettuali,la maggioranza con idee rivoluzionarie di sinistra, che accompagnarono e furono di supporto al "Vate" nell'avventura di Fiume

  • un inizio della rielaborazione storica dell'Impresa di Fiume avvine per opera di Renzo De Felice:D’Annunzio politico 1918-1938,(Laterza 1978),tale lavoro aveva in nuce una rilettura della vicenda non inquinata ne' dalla fascistizzazione ne' da molta parte della storiografia seguente che ormai la aveva etichettata quasi come impresa prefascista.Le fonti non inedita ma poco conosciute al gran pubblico; sono state usate del De Felice,in particolare le testimonianze dei legionari letterati, i diari,le memorie scritte ,le biografie di protagonisti;altro lavoro fondamentale,forse ancor di piu' di quello del De Felice,anche se non e' una analisi con forte connotazione poltica,anzi questa e' secondaria ma traspare,e' Alla Festa della Rivoluzionelavoro della piu ferrata,forse, esperta del Futurismo,Claudia Salaris,Artisti e libertari con D’Annunzio a FiumeIl Mulino, Bologna 2002
  • G. Comisso, Le mie stagioni;
  • L. Kochnitzky , La quinta stagione o i centauri di Fiume;
  • L. Toeplitz,, Ciack a chi tocca;
  • S. Pozzi,
  • Guido Keller, nel pensiero e nelle gesta.
  • Un altro filone sono gli storiografi che si sono occupati degli Arditi del Popolo,in modo piu' specifico,in quanto parlano,anche se non molto della vicenda fiumana,di come fu brodo di cultura per l'antifascismo militare e militante,a parte le altre conseguenze gia' ben note e che diedero un'impronta molto limitativa nella comprensione dell'impresa.Di interesse sono poi biografie di singoli personaggi come Giuseppe Di Vittorio come quella fatte da Felice Chilanti,anche se Di Vittorio non intervenne a Fiume,prese di posizione di personaggi come Filippo Turati ed Antonio Gramsci,ad esempio.
  • Son fondamentali per l'analisi dell'atmosfera del "momento fiumano" gli articoli dei giornali del periodo a Fiume,mettendo sopratutto in evidenza La testa di Ferrodi Mario Carli e i manifesti della associazione Yoga,fra questi si distingue per importanza La testa di Ferrodi Mario Carli e i manifesti della associazione Yoga.Mario Carli,e' personaggio di gran interesse in quanto interpreta il doppio ruolo di artista e polico,sia e' significativo per capire il periodo storico,futurista fra i firmatari del manifesto dei futuristi,capitano degli Arditi,(in cui riesce in qualche maniera ad entrare,pur essendo stato respinto ad una prima visita per motivi di vista),filobolscevico a Fiume,"golpista" di "sinistra"antelitteram,rientra nel fascismo su posizioni di fronda,ma spezza sopratutto il legame preferenziale formatosi fra Arditi e Mussolini col suo noto articolo Arditi non gendarmi,(pubblicato sull'organo ufficiale degli Arditi),questi fatti sono stati ripresi da tutti gli storici che si sono occupati degli Arditi del Popolo (non da molto ed ilproblema si e' ricollegato a fatti attuali,nelo specifico il G8 a detta di Tom Behan)(Rossi,Behan,Francescangeli ad es.),in qunto non hanno trascurato l'influenza della vicenda fiumana,pur non entrandoci nei particolari, sullo sviluppo dell'antifascismo sotto forma armata e militare dell'immediato dopo biennio rosso,in cui,ad esempio, squadre di autodifesa proletaria come le Guardie Rosse di Torino, avevano subito rovesci anche a causa della scarsa preparazione in senso stretto militare,nonostante il proletariato che aveva partecipato alla prima guerra mondiale non fosse piu' digiuno del tecnicismo militare,probabilmente mancava una adeguata dirigenza.

fascistizzazione di Fiume[modifica | modifica wikitesto]

Alcuni notabili appartenenti agli apparati dirigenti di Fiume Fiume spingono il fascio a prendere provvedimenti affinche' "si possano svolgere pacificamente le normali attivita' sociali":nella pratica occorre reprimere il "dannunzianesimo" dei primi fascisti perche' non consono all'"abito" del regime che si sta consolidando.Nasce il secondo fascio fiumano di combattimento il 29 agosto 1924 e subito viene strutturato in uno schema rigido simile a quello del fascio di Trieste:il fascismo "dannunziano" dei legionari fascisti si trasforma in squadrismo di cittadini volontari che ne le finalita'di regime e partecipano,tipici squadristi,alla repressione sopratutto in chiave antisocial-comunista e razzista:Cio' comporta repressioni,uccisione e vessazioni,a differenza del "fascio dannunziano",a danno delle minoranze croate e slave,di qui si puo' gia' individuare una radice dei tragici fatti che avvennero subito dopo il secondo conflitto mondiale,ovvero il sorgere dell'odio contro gli italiani identificati senza discriminazione,o quasi,con il fascismo.Tale nazionalismo esasperato porto' anche difficolta' dal punto di vista economico per le minoranze e la popolazione in generale,infatti inizia a calare il commercio a Trieste e Fiume,i porti con meno lavoro provocano aumento della disoccupazione,pproteste e i casi di violenze ed intolleranze e repressioni aumentarono.

Elio Apih (fra i massimi storici triestini ;1922- 2005)in "Italia fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia 1918-1943", riferisce due episodi indicativi per i livelli esasperati nazionalfascismo a cui si pervenne :1)il 12 aprile 1931,(articolo riportato su “La Porta orientale”) giovani fascisti di Trieste incontrano un gruppetto di ragazzi slavi li identificano per "sovversivi" e li aggrediscono:uno muore,nel seguito tutto il gruppo si rivela essere invece di "ottimi"fascisti.2)Il questore di Fiume con documento del giugno 1931 chiede l'internamento in una casa di correzione per un 14-enne ,in quanto a detta di un insegnante,in un componimento,aveva dimostrato tendenze antiitaliane


Con la stabilizzazione del fascismo aumentarono le persecuzioni e da caso sporadico assunsero l'aspetto della sistematicita' . Intellettuali, preti e capi politici sloveni e croati furono confinati nelle isole Lipari fino alla Liberazione alla fine della seconda guerra mondiale,e' noto il discorso di Horst Venturi contro le omelie dei preti in lingua slava e croata,cio' da' un indice del livello di "nazional-razzismo" e' arrivato il fascio locale.Nelle scuole viene imposta quale unica lingua la Italiana,case editrici slave e croate furono chiuse ed anche quelle italiane che non volevano uniformarsi al regime fascista. Si costitusce il tribunale militare straordinario per i cosidetti terroristi slavi,fra i giudicati si ricorda Vladimir Gortan( a cui fu intitolata la Brigata ‘Vladimir Gortan’) preso in seguito a simbolo della resistenza croata in Istriae l'italiano Antonio Sema. Furono italianizzati i nomi anche per chi,pur avendo slavizzato il proprio, aveva identita' italiana: fu distrutta una cultura multietnica di convivenza pacifica quale era allora nella zona Fiumnana.Furono uccisi moti nazionalisti e socialisti slavi e croati,l'odio accumulato e la possibilita' di vendetta si concretizzarono poi nel tragico periodo delle foibe,in cui all'odio si sommo' una particolare situazione militare-politica e geopolitica.Prima della liberazione da parte delle brigate partigiane di Tito con la formazione della Repubblica Sociale Italiana le truppe italo-tedesco presero possesso del litorale adriatico commettendo efferatezze e massacri,l'onore dell'esercito italiano,in parte, fu salvato dai non pochi reduci,(della Julia dalla Russia per esempio),che passarono a combattere con l'esercito di Liberazione di Tito.Purtroppo anche la situazione geopolitica del dopoguerra influi' non poco sulla tragedie del dopoguerra che ebbero come vittime molti italiani,prima che Tito,(fra l'altro con azioni violente all'interno del partito comunista Jugoslavo stesso),staccasse la sua politica dalle dipendenze di Mosca,instaurando un lunghissimo periodo di pace per la fedarazione della Jugoslavia,un nuovo cambio della situazione geopolitica e la mancanza di un "degno" erede di Tito quale propulsore, porto' poi al disfacimento della federazione stessa.

approfondimento

sulle foibe e tutto quello che non si è visto in TV]

links esterni e di aproffondimento[modifica | modifica wikitesto]

presentazione libro Claudia Salaris


periodo fiumano

Riassunto


periodo fiumano

Riassunto

sviluppi successivi nell'area

sulle foibe e tutto quello che non si è visto in TV]

approfondimenti biografie


Gabriele Foschiatti

recensione di notevole interesse

alla festa della rivoluzione di Claudia Salaris

bibliografia molto completa su D'Annunzio

bibliografia

bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Claudia Salaris "Alla festa della rivoluzione".

Artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume Il Mulino, Bologna

  • Eros Francescangeli, Arditi del popolo, Odradek, Rom, 2000
  • Marco Rossi, Arditi, non gentarmi! Dall'arditismo di guerra agli Arditi del Popolo, 1917-1922, edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 1997
  • Luigi Balsamini, Gli arditi del popolo. Dalla guerra alla difesa del popolo contro le violenze fasciste, Galzerano Ed. , Salerno.
  • Mario Carli:" con D'Annunzio a Fiume"
  • George L. Mosse "L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste Laterza" 1999
  • Mario Carli:"Trilliri"
  • Ludovico Toeplitz, "Si rinnova la vita"
  • Tommaso Marinetti "al di la' del Comunismo"
  • Giovanni Comisso "il porto dell'amore"
  • Kochnitzky Leone " La quinta stagione o I centauri di Fiume"
  • Renzo De Felice, D'Annunzio politico (1918-1928), Roma- Bari, La Terza, 1978.


da rivedere[modifica | modifica wikitesto]

Citazioni basilari e annedoti del periodo su Gabriele D'Annunzio[modifica | modifica wikitesto]

«Lenin così si rivolge agli emissari europei comunisti a Mosca "C'è un solo uomo in Italia, capace di fare la rivoluzione. D'Annunzio". La Russia sarà l'unico stato che riconoscerà l'esistenza di Fiume. In effetti alcuni organi collegiali (militari) del governo fiumano assomigliano più ai soviet che alla monarchia costituzionale italiana. Gli ufficiali di qualsiasi ordine e grado hanno pari peso nelle decisioni. L'inazione, il congedo di cui godevano anche i soldati fiumani e le defezioni per contrasti col programma di Governo e con il Vate indeboliscono lo spirito. Per finanziarsi vengono usati gli "Uscocchi" etnia che risale ai pirati costieri adriatici, che assaltano navi e chiedono riscatti. Ceccherini stesso se ne va il 20 novembre 1920 con il seguente messaggio "..la sistematica inversione dei valori disciplinari è troppo grave...veniamo qui chiamati da V.S. come generale e come tali ce ne andiamo..." Alla vigilia di Natale del 1920, il nuovo governo Giolitti ordina al Gen. Caviglia la presa di forza della città con un violento cannoneggiamento dal mare sulle installazioni militari e di governo. Lo stesso D'Annunzio rimane lievemente ferito e dopo sei giorni di scontri capitola. Dovranno passare ancora quattro anni poi anche Fiume e Zara saranno Italiane. Il Vate, dopo il rifiuto di Mussolini a sostenerlo in quel fatale 1919 e il capovolgimento di fronte del 1920, ne ignorò l'autorità fino alla morte»

dal sito da Fiamme Cremisi

sinota,che non e' stato specificato da Fiamme Cremisi,che gli Uscocchi del D'annuzio,sono gli stessi Legionari di Fiume,un gruppo,ovviamente,comandati da Romano Manzutto


«La Federazione Nazionale dei Legionari Fiumani emanò un Ordine del Giorno in data 21 Settembre 1922 di precisa e intraprendente opposizione alla montante marea fascista. Secondo Tom Antongini,segratario di D'annunzio fu in quell'occasione che Mussolini definì D'Annunzio "Malatestino": mai ingiuria fu sì vituperosa e raggelante nella sua malvagità, poichè D'Annunzio fu autenticamente un rivoluzionario, mentre il buon Malatesta giungeva a proposito soltanto per le insurrezioni da operetta.»

sinota che la considerazione dell'Antongini su Errico Malatesta e' di nessuna validita' storica

D'Annunzio, intanto, in varie dichiarazioni affermava invece:

«"Ho voluto rientrare nel silenzio. Ho voluto essere un capo senza partigiani, un condottiero senza seguaci, un maestro senza discepoli. Ho tentato di distruggere in me tutto il gelo e tutto l'ardore della mia vita strategica. Nessuno saprà quale muta battaglia abbia chiuso in sè questo luogo di pace - il Vittoriale - e quanto sia crudele in questo luogo di pace non avere pace mai. C'è oggi in Italia una giovinezza esplosiva e una decrepitezza ingombrante. Ci sono istituti politici più morti di una cassapanca fessa e tarlata, ma anche demagoghi che credono di aderire alla realtà e non aderiscono se non alla loro camicia sordida".»

da anarcotico

Si puo' dedurre facilmente che la sporca camicia fosse quella dei fascisti,in quel periodo accadde qualcosa che forse spieghera' la "conversione"del D'annunzio:il volo dell'Arcangelo,come il "vate" stesso spiego' l'accaduto mettendolo in forma onirica.Il volo "fascinoso"avenne alle ore 23 del 13 Agosto 1922 per un accadimento piuttosto singolare,appoggiato al parapetto della finestra,piuttosto bassa,nella quiete di vestaglia e pantofole,"scivolo'" verso il basso,questo a detta di Ugo Ojetti,mentre a detta dell'ex legionario Anselmo Viti,al momento dattilografo del "Vate",fu ritrovato un'ora dopo con meta' della faccia tumefatta e sangue dal naso,circola un'altra versione ad hoc,forse costruita dal D'annunzio o da chi voleva strumentalmente mitizzare il personaggio:che ineguendo nella foga amorosa una delle sue varie "Ermioni",(Ermione e' la ninfa della Pioggia nel Pineto,un delle poesie di D'Annunzio,la piu' nota per musicalita' del testo) sbagliasse la mira per la presa ed abbracciasse il vuoto invece che "ermione".Un pragmatico funzionario di pubblica sicurezza,non portato alla liricita',Giuseppe Dosi,fece l'ipotesi invece che fosseun fatto colposo o peggio:il "Vate"non chiari' mai il discorso,ma non e' da escludere che la conversione o quantomeno la messa a tacere sia stata opera ddi emissari squdristi fascisti,il proverbiale coraggio di D'Annunzio,su un aereo o a guidare un assalto non e' detto,proprio per le sue caratteristiche "aristocratiche",potesse esser di pari livello dopo una solenna mangalennatura,sopratutto con l'onta conseguente di offensivita' inaccettabile per un presonaggio come il "Vate".

Dopo il barbaro omicidio di Giacomo Matteotti ad opera di un gruppetto di fascisti,fra cui ex Arditi,(uno morira' combattendo poi con una brigata partigiana riscattandosi)capeggiati dal famigerato Dumini che guido' gli squadristi nei fatti d Sarzana il Vate dichiara:

«Sono molto triste di questa fetida ruina»

.E' il momento per portar un attaco militare rivoluzionario al regime fascista ma invece i partiti democratici scelgono l'Aventino,questa scelta verra' poi duramente condannata,anche con un'autocritica, da carlo Rosselli(Marco Rossi,Arditi del Popolo).Il Vate ha la possibilita' di ritornare ad essere il "Comandante" dei centauri di Fiume,ma la storia non gli rida' questa possibilita'.

Nel settembre dello stesso anno si svolge il Congresso Nazionale dei Legionari aMilano, con la presenza diSem_Benelli, fondatore della Lega Italica,(in difesa del Buono e del Sacro), minacciati dai marosi mussoliniani; la Lega Italica nel programma si dichiarava avversa al fascismo responsabile dell'appena avvenuto omicidio di Giacomo Matteotti. Benito Mussolini con il discorso del 3 Gennaio 1925 alla Camera dei Deputati e facendo un apparente repulisti dei responsabili stabilizza il regime.Le liberta' che avevano,anche se esigue ,gli oppositori vengono tolte,vedi arresto di Antonio Gramsci

Claudia Salaris[modifica | modifica wikitesto]

Inquieta e diversa lo era stata la città di Fiume, fra il 12 settembre 1919 e il cosiddetto «Natale di sangue» del 1920. La governava un poeta, per la prima volta al mondo, e il suo esercito era costituito da insubordinati di ogni grado e arma dell'Esercito Italiano. La gente che ci abitava, per più di un anno visse di pochi viveri, di feste e di spettacoli, di parole bellissime declamate e stampate quasi ogni giorno da Gabriele D'Annunzio, per tutti più brevemente «il Comandante». Olocausta, Città di Vita, Porto dell'Amore. Aveva una costituzione che metteva in discussione il concetto di proprietà, un regolamento dell'esercito dove fatti i conti la cosa più importante era di superare in bellezza la Legione Tebana, era punto di confluenza di tutti gli indipendentisti e anticapitalisti del mondo, dall'Egitto alla Russia bolscevica. Era un covo di pirati che per sopravvivere rubavano cavalli, dirottavano navi e compivano voli impossibili. Era un luogo di sperimentazione di forme alternative di vita: nudismo, naturismo, futurismo, omosessualità, libero amore, uso di droghe: "Fallito il progetto del «modus vivendi» inizialmente proposto dal governo italiano, la politica dannunziana si spostò sempre più verso prospettive rivoluzionarie. In questo nuovo contesto si affermava quel particolare clima psicologico che, usando le parole di D'Annunzio, fece di Fiume la «Città di vita»: una sorta di piccola «controsocietà» sperimentale, con idee e valori non propriamente in linea con quelli della morale corrente, nella disponibilità alla trasgressione alla norma, alla pratica di massa del ribellismo" (Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D'Annunzio a Fiume, Bologna, Il Mulino, 2002; pag. 12).

Piero Belli[modifica | modifica wikitesto]

Si deve dire che ci fu un uomo il quale prese ad un tratto in pugno tutto il destino dell'impresa. - Occorrono i camions? Interrogò egli. - Per l'appunto. - E vi disperate perché non ci sono? - Precisamente. - Allora fermi tutti. Ci penso io! Non disse altro. (...) Balzò in automobile e si precipitò a rotta di collo verso Palmanova (...). Furono a un tratto faccia a faccia: quegli che voleva i camions e quegli che doveva darli. (...) La polemica fu subito troncata da un gesto di minaccia. L'ufficiale di d'Annunzio sollevò il pugno armato di rivoltella all'altezza di quella fronte curva nel diniego inesorabile (...).

Il Comandante pochi minuti prima dell'entrata in Fiume . - O tu cedi o io sparo! L'altro impallidì. Poi disse: - Cedo alla violenza. Ed era precisamente il capitano degli Arditi Ercole Miani, triestino, conquistatore del Vodice. (Piero Belli, La notte di Ronchi, Milano, Quintieri, 1920; pp. 19-22).


ancora D'Annunzio[modifica | modifica wikitesto]

Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile Fiume è oggi il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola cosa pura: Fiume; vi è una sola verità: e questa è Fiume; vi è un solo amore: e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo ad un mare di abiezione... (Gabriele D'Annunzio, dagli estratti dell'orazione pubblicati sul «Bollettino del Comando di Fiume d'Italia» n.2, 13 settembre 1919).


Dal mezzogiorno di ieri ho assunto il Comando militare in Fiume liberata che mi propongo di tenere e di difendere fino all'estremo, con tutte le armi. Non vi fu mai al mondo causa più pura e più bella. Non vi fu mai al mondo Città più generosa e più costante, sotto il peso del disconoscimento e dell'ingiustizia, sotto la minaccia di tutte le profanazioni e di tutte le violazioni. (...) Eravamo un pugno di devoti entrando nella città come in una selva vivente di lauri. Oggi siamo un Esercito. Tutti si offrono, tutti accorrono a me. E' una divina gara di generosità, che mi ricompensa di tutta la passata tristezza. Nessun soldato di netto stampo italiano vuole abbandonare Fiume d'Italia. (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Agli ufficiali e agli equipaggi delle navi: Dante Alighieri - Nullo - Mirabello - Abba nelle acque di Fiume italiana, Fiume, 14 settembre 1919).


...Ieri il messaggero di un battaglione glorioso riuscì a eludere la vigilanza e a penetrare in Fiume per portarci una somma raccolta tra i poveri soldati che sono dall'altra parte. E l'atto era accompagnato da parole di tanta purità e di tanta gentilezza che mi sembrò di vedere nella terra il sorriso beato dei morti. Chi parla di disciplina violata? Chi parla di disgregata compagine dell'esercito? Chi parla di diserzione e ammutinamento? La disciplina vera non è un'arida formula costrittiva, non è una dura oppressione corporale. (...) Nessuna disciplina può proporre un atto criminale. La disciplina è una forza della coscienza profonda. (...) Chi viene a noi compie un atto di disciplina sovrana, e serve la Patria. Chi non viene a noi, è schiavo di un pregiudizio senza forza e senza vita. (...) Fiume, che è la più infelice e la più beata delle città terrene, sembra non debba aver mai requie. Ha in sé una predestinazione di martirio, che la consuma e la inebria. (...) A me, soldati d'Italia! A me tutti i soldati dell'altra parte! Voi dovete rimanere nel territorio che occupate. Voi non dovete lasciarvi smuovere. Appartengono all'Esercito italiano di Fiume tutti quelli che si sono offerti e che fino a oggi non hanno passato lo sbarramento. Da oggi tutto il territorio a levante di Fiume - con Volosca, con Abbazia, col Monte Maggiore e con tutto il resto - è nello stato di vigilanza e di resistenza come la città. La parola romana che fu gridata dagli occupatori della città sia ripetuta dagli occupatori del territorio, con la medesima fermezza, con la medesima fede: «Qui rimarremo ottimamente». Io confermo che si osserva così l'alta disciplina, si obbedisce così al supremo comando della Patria... (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Soldati d'Italia, i consentimenti e gli aiuti alla lotta intrapresa..., Fiume, 22 settembre 1919).



...Cagoia è il nome di un basso crapulone senza patria, né sloveno, né croato, né italianizzante, né austriacante, che fece qualche chiasso a Trieste nei moti del 3 e del 4 agosto. Condotto davanti al Tribunale, interrogato dal giudice, egli rinnegò ogni fede, rinnegò i sozii, rinnegò se stesso; negò di aver gridato «Abbasso l'Italia» e altri vituperii, dichiarando di non saper neppure che una certa Italia esistesse; giurò di non saper nulla di nulla, protestò di non voler saper nulla di nulla, fuorché mangiare e trincare, sino all'ultimo boccone e all'ultimo sorso; e concluse con questa immortale definizione della sua vigliaccheria congenita: «Mi no penso che per la paura». (...) E' una grande parola storica, Fiumani. E' una parola sublime da far tatuare, col blu di Prussia, sul ventre sublime di colui che non si nomina. (...) Popolo di Fiume, combattenti di Fiume, battezziamolo. Sia questo il suo nome, da stasera e per sempre. - Il nome è gridato da un coro formidabile -. Ma come si può battezzare una simile lordura (...). Ma come dunque si battezza l'immondizia irremovibile? - Una voce grida: «Sputandoci sopra». Il consenso unanime si manifesta con un immenso clamore -. Ridiamo, compagni. Non siamo mai stati tanto sereni, tanto sicuri, tanto allegri. Ieri, a un Ardito scuro e asciutto come il suo pugnale, che stava considerando lo stemma di Fiume, domandai: «Che significa Indeficienter?». Mi rispose pronto: «Significa Me ne infischio, signor Comandante». Sì, nel latino di Fiume che è il solo buon latino parlato in Italia, Indeficienter significa proprio Me ne infischio. Laggiù a Roma, Cagoia e il suo porcile non immaginano quale schietta ilarità susciti in noi quello spettacolo di sopracciglia corrugate, di pugni grassocci dati a tavole innocenti, di menzogne puerili, di rampogne senili, di minacce stupide, di ringoiamenti goffi, in confronto della nostra risolutezza tranquilla, della nostra pacatezza imperturbabile. Noi ripetiamo: «Qui rimarremo ottimamente». Essi non sanno in che modo cacciarci. (...) Essi non osano neppure grattarsi la pera per paura di sconvolgere il sottil lavorio dei capelli fissati dal cerotto sulla indissimulabile calvizie. La mia è nettissima. - Quando il Comandante si scopre con un gesto di brusca ironia, tutta la folla è sollevata da un solo grido -. E ha la durezza del ciottolo ben levigato dal torrente. Il Dio degli Eserciti m'ha detto: «Ti darò una fronte più dura delle fronti loro». E non l'ha detto soltanto a me. L'ha detto a ciascuno di voi. Ci sono più di quarantamila teste dure oggi, in Fiume. M'inganno? - Cittadini e soldati rispondono con un urlo -. Se da stasera e per sempre il nemico lucano si chiama Cagoia, tutti gli italiani di Fiume si chiamano Teste-di-ferro... (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Cagoia e le teste di ferro, Fiume, 27 settembre 1919).


Dalmati è detto. E com'è detto, sarà fatto. (...) Ho in mente una vecchia canzone repubblicana di non so più qual linguaggio, una rude canzone di rivoltosi misurata da questo ritornello: «Finché ci sieno tre uomini in piedi, ci può essere un regno di meno nel mondo». (...) Troppo si parla di disperazione su questa sponda. Non c'è qui una disperazione inerme. C'è una speranza con gli artigli e col rostro. Disperati si chiamano anche i miei Arditi, ma in un senso di prodigio: disperati, ovvero certi di giungere in ogni modo alla meta che io indicherò domani ma che essi già guatano impazienti e obbedienti. Finché ce ne sieno tre in piedi, ci può essere una vergogna di meno laggiù. (...) Eia, Dalmati! Non dovete essere disperati se non nel senso che i Legionari di Ronchi danno al vocabolo... (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Eia, Dalmati!, Fiume, 16 ottobre 1920).


Il Consiglio a questo punto respinge il «modus vivendi» e il 25 dicembre confermerà la fiducia al Comandante, che il 20 aveva arringato i Fiumani con l'orazione L'urna inesausta, pubblicata in volantino (Fiume, 20 dicembre 1919): . Perché io ho chiesto il voto solenne del popolo prima di porre la mia sanzione su ciò che fu deliberato dal Consiglio? (...) Il 24 di ottobre, nel mio discorso al popolo, io affermai quali fossero per noi i termini giusti. Dissi che senza Idria, senza Postumia, senza il nodo ferroviario di San Pietro, senza Castelnuovo, il confine resterebbe aperto a tutte le insinuazioni e a tutte le violenze; e che non solo Fiume ma tutta la Venezia Giulia sarebbe ridotta una «boccheggiante agonia italiana dentro un cerchio spietato». Tutto il popolo si sollevò in un consentimento unanime. (...) Il 14 di novembre noi sbarcammo a Zara per opporci alla ignominiosa intimazione wilsoniana contenuta nel documento a me noto e da me reso pubblico. Il 15 di novembre ritornammo da Zara sopra una nave inghirlandata e fummo accolti dall'allegrezza trionfale di tutto il popolo. L'impresa era stata compiuta per obbedire alla volontà di Fiume che fu sempre «contro il baratto». Dalla ringhiera dissi «Consentireste voi che la servitù dei Dalmati fosse il prezzo della salvezza di Fiume?». Mi rintrona tuttavia nell'anima il grido del popolo: «Mai! Mai!». (...) Ora queste proposte rompono di nuovo l'unità: non considerano se non Fiume e il suo territorio immediato. (...) Questo è un trattato glorioso per colui che lo firma come un capo di stato? Ma io, che ho gettato ai vostri piedi tutto quello che mi rimaneva dopo quattro anni di guerra, getto ai vostri piedi anche questa gloria. E non è che poca cosa: una gloriola. Per questo trattato, Fiume è salva, l'Italia è salva. Lo credete voi, nel vostro intimo? (...) Comprendete e piangete la mia angoscia, e quella dei legionarii. (...) Era necessario che il popolo, se le nostre vite e le nostre armi non più gli parevano necessarie a garantire l'esecuzione dell'impegno, lo dicesse senza ambiguità e senza indugio. Soltanto il plebiscito, sinceramente attuato, poteva placare gli animi ed evitare tumulti quando fosse ritenuta giusta - dinanzi alle promesse e agli agi - la partenza di tutti i fratelli devoti che serberanno per sempre l'orgoglio di essere inscritti nella legione fiumana. Il plebiscito fu proposto, fu decretato, non per la discordia ma per la pacificazione, non per un gioco di equivoci ma per una ricerca di verità. (..) Fiumani, ora e sempre, una sola è la vostra urna: quella della vostra vecchia insegna, quella della vostra anima eroica, che versa la fede e l'amore inesauribilmente. A quella sola io e i miei compagni abbiamo bevuto e vogliamo bere. .


Davanti alla nazione e davanti al mondo, di contro all'ombra di due continenti, la nostra bandiera è la più alta. (...) Tutti quelli che oggi patiscono l'oppressione e la mutilazione, tutti guardano a questo segno. L'ho detto. Dall'indomabile Sinn Fein d'Irlanda al rosso stendardo che in Egitto unisce la Mezzaluna e la Croce, tutte le insurrezioni dello spirito contro i divoratori di carne cruda si accendono alle nostre faville che svolano lontano. (...) Alla Lega delle Nazioni noi opporremo la Lega di Fiume; a un complotto di ladroni e di truffatori privilegiati opporremo il fascio delle energie pure. Questa è la nostra fede. Questa è la nostra causa. L'una e l'altra stanno sopra ogni meschinità d'uomini e ogni acredine di parte. (...) Chi non è con me è contro di me. Chi non è con noi è contro di noi. (...) D'un solo cuore, d'un solo fegato, d'un solo patto, con me, spalla contro spalla, gomito contro gomito, braccio sotto braccio, come quando voi fate la catena per gettare al sole o alle stelle le vostre canzoni vermiglie, con me, compagni con me compagno, fedeli a me fedele, con me, fino alla meta e di là dalla meta, fino alla morte e oltre! (Gabriele D'Annunzio, Con me!, Fiume, 30 marzo 1920).


Il mio esempio d'irrisione e di ribellione è già seguito da tutti gli uomini liberi. E sarà superato. In onta alla imbecillissima burbanza britannica di Lord Curzon io mi glorio di essere e di voler essere quel famoso «avventuriero irresponsabile» che nessuno osa castigare. (...) I Pacieri seduti intorno alla bisca pomposa mi sembrano non dissimili ai personaggi illustri d'un museo di cere. Io non so se siano più lugubri o più ridicoli... (Gabriele D'Annunzio, Ai biscazzieri di San Remo, Fiume, 27 aprile 1920).

I nostri tormentatori hanno passato ogni limite di crudeltà e di viltà. Oggi, attraverso la barra, essi tentano di dar mano ai traditori nascosti che noi scopriamo, perseguitiamo e inchiodiamo al muro. Si servono di un pretesto miserabile per affamare la città, per ridurla alla disperazione (...). Italiani di Fiume, quella vostra donna umile è anche ardita; e arditamente oggi grida - Ora basta! - Non la gerarchia sovrana degli Angeli raccoglie la sua parola. La raccolgono i Legionarii armati, che non domandano se non di provare il loro giuramento. Fiume, davanti all'affamatore di donne, di fanciulli e di vecchi, è una rocca di concordia e di volontà. In alto il cuore! In alto il ferro! In alto la fede! Tutta l'Italia non può esser vile. (Gabriele D'Annunzio, Cittadini di Fiume, Italiani di Fiume io dissi un giorno che soltanto la gerarchia sovrana degli Angeli era degna di raccogliere la parola della vostra pazienza..., Fiume, Stab. Tip. de La Vedetta d'Italia, 23 aprile 1920).


Abbiamo perpetrato un'aggressione a mano armata verso le truppe fedeli. Abbiamo rubato Quarantasei Quadrupedi. Abbiamo offeso l'Italia. Non sappiamo pensare italianamente. Non siamo italiani. Non meritiamo se non di essere affamati, ammanettati e fucilati. Ci rassegniamo. Ma bisogna che ultimamene io confessi di aver rubato stanotte il Cavallo dell'Apocalisse per aggiungerlo ai Quarantasei Quadrupedi su lo zatterone criminoso. Ha la sua brava bardatura generalizia; e un fulmine di Dio in ciascuna fonda. Cum Timore, Gabriele D'Annunzio.


Contro gli avvenimenti dolorosi e criminosi di Trieste, ordino che sia respinto col più fermo rigore qualunque tentativo di approdo fatto da nave carica di truppe italiane destinate a proteggere Valona. (...) I Legionari di Fiume non sono disertori né di Caporetto né di Albania; e non vorranno mai avere nulla di comune con gli Italiani indegni che si rifiutano di combattere e osano far pubblica professione di viltà. Valona deve essere tenuta a ogni costo, così come noi vogliamo tenere a ogni costo Fiume. (...) Un grande reparto d'assalto, bene armato, bene equipaggiato, bene allenato, prontissimo al fuoco, è già stato offerto alle autorità superiori dell'altra parte. (...) Un solo patto accompagna l'offerta. Questo, che al battaglione fiumano sia assegnato il posto più pericoloso e che non sia mai richiamato indietro. (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Contro gli avvenimenti dolorosi e criminosi di Trieste..., Fiume, 12 giugno 1920).


... C'è però una storia fiumana di Valona che conviene oggi chiarire. Vi ricordate delle notti tumultuose e vertiginose quando il vostro dolore e il vostro furore urlavano e tendevano le mani verso la ringhiera per chiedere di correre a vendicare i morti di laggiù? (...) Stabilii che della mia miglior gente fosse costituito un battaglione fiumano da inviare in Albania senza indugio. (...) Feci dunque l'offerta al Ministero della Guerra, chiedendo che il battaglione fosse ricevuto col debito onore, che potesse portare sul petto il segno di Ronchi, che potesse combattere col suo gagliardetto e che negli attacchi e nei contrattacchi avesse la testa, come conveniva ad allenatissimi assaltatori. (...) Dopo molti indugi, fui avvertito che il mio reparto dovesse comporsi di combattenti esciti da ogni obbligo di servizio, così da poterlo considerare come un battaglione di semplici volontari. Dopo dieci mesi di pazientissima espiazione, la famosa piaga inferita alla disciplina formale non pareva cicatrizzata ancora. Pur di servire, accettai la condizione penosa. E la domanda di dichiarare la forza precisa del reparto e la data della partenza non giunse se non alla fine di luglio, non giunse se non ieri! Conservo il documento. Non giunse se non con le prime notizie «ufficiose» del probabile sgombero di Valona. Allora io scrissi: «Le notizie ufficiose annunziano il prossimo abbandono di Valona! Se combattenti fiumani andassero laggiù, come potrebbero essi accettare una tanto criminosa complicità? Essi dovrebbero ribellarsi al comando iniquo, dovrebbero rimanere in campo e farsi abbattere fino all'ultimo». Così scrissi il 3 agosto. (...) Ma c'è chi domanda: «Come potete voi difensori di Fiume dolervi e crucciarvi che Valona sia restituita agli Albanesi? Non lottate voi contro ogni specie di usurpazioni e di oppressioni? (...) Ora chi può affermae in fede sincera, che Valona sia stata dalla poltroneria del Governo italiano e del Parlamento italiano restituita agli Albanesi? (...) Noi siamo stati fin dal principio i più schietti e i più caldi fautori della libertà albanese, e non soltanto in verbo ma in azione. (...) Dico che Valona italiana era il solo e il più valido presidio di quella libertà. Abbandonando Valona noi abbandoniamo il popolo albanese non soltanto alla sopraffazione delle due razze avide e avare che da tempo guatano il territorio ma alle sorprese della politica inglese e francese, entrambe inesorabilmente armate ai nostri danni nell'Adriatico e in tutto il Mediterraneo... (Gabriele D'Annunzio, dal volantino Valona, Fiume, 5 agosto 1920).

Argomentazioni che probabilmente non convinsero del tutto Léon Kochnitzky, che internazionalista lo era irriducibilmente, e che il 2 luglio dà le dimissioni dal suo incarico al Comando. L'11 giugno cade il Ministero Nitti, e a Fiume si festeggia il decesso di Cagoia. D'Annunzio pubblica il volantino Legionarii di Fiume, combattenti d'Italia, partigiani della Vittoria..., (Fiume, 11 giugno 1920): . ... Compagni, la sera del 12 maggio celebrammo la vittoria delle Teste di ferro. Nel nono trigesimo ricelebriamo la vittoria confermata delle Teste di ferro. Legionarii, è la nostra vittoria. Gridiamolo, non per piccola vanità ma per duro orgoglio «Chi Fiume ferisce / di Fiume perisce». E' ammonimento e sentenza. (...) Noi domattina, risvegliati radiosamente come nelle diane del Solstizio quando il Piave trascinava da Nervesa al mare grappoli di cadaveri austriaci alzeremo un'ara di pietre alla Vendetta dagli occhi inflessibili; e danzeremo intorno, segnando il metro con gli scoppi festosi delle nostre bombe a mano...


L'orizzonte della spiritualità di Fiume è vasto come la terra; va dalla Dalmazia alla Persia, dal Montenegro all'Egitto, dalla catalogna alle Indie, dall'Irlanda alla Cina, dalla Mesopotamia alla California. Abbraccia tutte le stirpi oppresse, tutte le credenze contrastate, tutte le aspirazioni soffocate, tutti i sacrifizii delusi. Come il vessillo rosso dei ribelli sul Nilo porta la Mezzaluna e la Croce, esso comprende tutte le rivolte e tutti i riscatti della Cristianità e dell'Islam. (...) Osate d'instaurare qui, in questi quattro palmi di terra, in questo triangolo rozzo, i modi dello spirito nuovo, le forme della vita nuova, gli ordinamenti della giustizia e della libertà secondo l'inspirazione del passato e secondo la divinazione del futuro; osate di scolpire qui coi ferri stessi del vostro lavoro una immagine dell'Italia bella da opporre a quella che su l'altra sponda par divenuta la baldracca stracca dei bertoni elettivi: osate di cancellare qui ogni segno di servitù morale e sociale, (...) ; liberate, dopo tanta pazienza, il vostro giovine vigore, inventate la vostra virtù, afferrate il vostro destino (...). Di subito, non sarete più una mummia di «corpo separato»; sarete una nazione vivente ...). Per mesi e mesi avete domandato l'annessione a un'Italia sorda. Farete voi le vostre annessioni e i vostri plebisciti, secondo il vostro ordine. (...) Avete avuto fino a oggi la passione di patire. Non avete voi finalmente la passione di vivere? (...) Il dramma del mondo è spaventoso. La guerra ha tutto scoperchiato, e non per la resurrezione. Ha scoperchiato tutte le tombe dov'erano sepolte le vecchie cose maledette. (...) Abbiamo penato e lottato per avvantaggiare i nuovi negrieri. (...) Giovani, liberiamoci. Rompiamo tutte le scorze, fendiamo tutte le croste. Incominciamo a rivivere. Incominciamo la vita nuova. Io non voglio logorarmi, né abbassarmi, né perdermi. Io voglio salvare la mia anima, come voi dovete salvare la vostra. Io voglio morire lottando. Non voglio morire languendo. Io non voglio cedere la mia primogenitura per un sacco di grano. Il grano io vado a prendermelo dove si trova. Domando alla città di vita un atto di vita. Fondiamo in Fiume d'Italia, nella Marca orientale d'Italia, lo Stato libero del Carnaro. (...) Ha parlato il coraggio. Il coraggio risponda. [Tutto il popolo s'agita e acclama]. IL POPOLO: Quel che vuole il Comandante. IL COMANDANTE: Se è così, il 12 settembre incomincerà la nostra vita nuova. E il dèmone della risolutezza sia con noi (Gabriele D'Annunzio, Domando alla città di vita un atto di vita, Fiume, 12 agosto 1920).



D'Annunzio visita lazzaretto di Pehlin a far visita ai Legionari colpiti dalla peste. Il 27 Ottobre 1920 viene pubblicato il Disegno di un nuovo Ordinamento dell'Esercito Liberatore, Fiume d'Italia, Tip. "Miriam", XXVII ottobre 1920, scritto in collaborazione con Guido Piffer, piace a Keller e Comisso non sopportabile per tradizionalisti come Sante Ceccherini:

Io mi propongo di fare del mio esercito uno strumento di guerra sempre più vigoroso e spedito. Lungi dal reprimere quello spirito di autonomia che si va manifestando nei varii reparti, io voglio assecondarlo. Ogni reparto dev'essere una perfetta unità tattica, dotato di quei mezzi che gli consentano di svolgere efficacemente un'operazione senz'altro concorso (...) A ogni reparto voglio lasciare una certa libertà nella foggia ma non senza stile, cosicché l'uno si distingua dall'altro e ciascuno rafforzi il suo rilievo e approfondisca il suo stampo... (pp. 22-23). Non m'importa d'avere un esercito denso. Mi basta di avere la mia Legione. Di contro a un mondo pieno di barbarie, di contro a un'Italia imbarbarita, mi basta di aver qui rivendicato «il gentil sangue latino». All'estrema battaglia io non voglio meco se non «il gentil sangue latino». Così la mia Legione fiumana avanzerà di bellezza la Legione tebana... (pag. 32).


Ai marinai d'Italia in Fiume italiana e a tutti i marinai d'Italia nell'Adriatico italiano (Fiume, 21 dicembre 1920):

Compagni, su la regia nave Puglia, davanti alla più romana delle città dalmatiche, furono messi ai ferri e trattati con una brutalità peggio che serba venticinque marinai italiani, rei d'aver tentato d'impedire che fosse issata all'albero la bandiera jugoslava. (...) Compagni, essi hanno compiuto un alto dovere nazionale disobbedendo a ordini ignobili, ricusandosi di servire i negatori prezzolati della vittoria e i nemici insediati dell'onore d'Italia. (...) Orazio Nelson era per tutto il popolo d'Inghilterra la figura indefessa e ardente del «dovere». E sopra la divina battaglia di Trafalgar quella sola parola risplendette come una folgore più potente del sole. (...) Egli stimava che ogni marinaio, come ogni altro servitore della Patria, dovesse avere il coraggio di obbedire agli ordini contro qualunque più disperato rischio. Ma anche stimava che vi fosse un coraggio più nobile e più raro: quello di disobbedire agli ordini quando gli ordini erano in conflitto con l'onore nazionale - in conflict with national honour. Ebbene, miei compagni, tutti gli ordini che oggi vi sono dati nell'Adriatico offendono atrocemente l'onore della nazione, l'onore d'Italia. Il vincitore sublime di Trafalgar (...) giuro che lancerebbe a tutte le navi questo messaggio «La Patria oggi confida che ciascuno di voi farà il suo dovere disobbedendo». Io, miei compagni, pongo per pegno della mia e della vostra disobbedienza contro i venditori e i traditori di Roma la mia vita tutta intera devota alla più bella Causa che mai sia stata data all'uomo per la gioia e per la gloria di ben morire.


D'Annunzio pubblica il volantino La Rinunzia (Fiume, 29 dicembre 1920):

...Essi confessano di non potere abbattere la resistenza eroica dei legionarii se non distruggendo la città, se non uccidendo i cittadini inermi. Essi dichiarano di voler distruggere la città senza voler lasciare uscire il popolo! (...) Nella storia delle ignominie militari non ce n'è una più bassa (...) E tanta ferocia è esercitata contro quel miracolo d'amore che si chiama Fiume, contro l'Olocausta! (...)

I colpi contro la stanza di D'Annunzio al Palazzo del Comando . Io non posso imporre alla città eroica la rovina e la morte totale che il Governo di Roma e il Comando di Trieste le minacciano. Io rassegno nelle mani del Podestà e del Popolo di Fiume i poteri che mi furono conferiti il 12 settembre 1919 e quelli che il 9 settembre 1920 furono conferiti a me e al Collegio dei Rettori adunato in governo provvisorio. (...) Attendo che il Popolo di Fiume mi chieda di uscire dalla città, dove non venni se non per la sua salute. Ne uscirò per la sua salute. E gli lascerò in custodia i miei morti, il mio dolore e la mia vittoria.


L'alalà funebre (Fiume, 31 dicembre 1920), «Chiunque il quale» è il generale Caviglia, incauto estensore dello strafalcione:

Il fatto militare è questo. Il 24 le truppe regie dovevano occupare la città. Oggi 31 le truppe regie non sono riuscite a imprimere nella nostra linea la più lieve inflessione. Noi siamo dunque vittoriosi. (...) Il vinto di Fiume e il millantatore di Vittorio Veneto, perché noi desistiamo dal combattere, minaccia di distruggere la cerchia di San Vito con un bombardamento continuato, quartiere per quartiere. (...) Tutti gli effetti del tirannico terrore erano stati premeditati e preparati con arte grossa da colui che passerà nella storia della ferocia sgrammaticata sotto il nomignolo di «Chiunque il quale» o miei allegri compagni. (...) C'è qualcuno di voi, o miei Arditi, che abbia quella medaglia coniata dal XXX Reparto di Assaltatori dopo Fontanasecca, dopo il Monte d'Avien, dopo la Spinoncia, dopo il Solarolo, dopo il Grappa, dopo Vittorio Veneto? Una testa di morto coronata di lauro serra fra i denti scoperti il pugnale nudo e guarda fisso dalle profonde occhiaie verso l'ignoto. Stanotte i morti e i vivi hanno il medesimo aspetto e fanno il medesimo gesto. A chi l'ignoto? A noi!


Le legioni s'attendevano l'ordine di lasciare la città e di marciare a levante. Volevano disseppellire i morti. Volevano partire «coi loro morti in testa». Era il ritornello di una canzone selvaggia, nata come tutte le altre dall'amore e dal dolore sanguinanti: «Noi ce ne andremo armati - coi nostri morti in testa! » (...). I legionari se la provavano fra loro annodati in cerchio, a tempia a tempia, a gota a gota, come se soffiassero insieme sopra un tizzo acre. Prima che il fuoco divampasse, ne avevano le labbra bruciate, i volti di bragia. (Gabriele D'Annunzio, Per l'Italia degli Italiani, Milano, Bottega di Poesia, 1923; pp. 272-273).


D'Annunzio pronuncia l'orazione Riconciliazione (Fiume, 2 gennaio 1921):

...Questi italiani hanno dato il loro sangue per l'opera misteriosa del fato latino, con terribile ebrezza d'amore i nostri, e gli altri con inconsapevole tremito. (...) La martire Fiume, simile a quella sua donna che da ferro italiano ebbe tronche le due braccia di fatica e non fece lamento, si solleva sui suoi piedi piagati e col moncherino sanguinante scrive nella muraglia funebre «Credo nella Patria futura, e mi prometto alla Patria futura». Inginocchiamoci e segniamoci, armati e non armati. Crediamo e promettiamo. Davanti a questi morti che riconcilia la nostra speranza, o mie legioni eroiche, o mia forza inseparabile, giuriamoci per una lotta più vasta e per una pace di uomini liberi.

Del 3 gennaio è l'ultimo documento pubblicato, il volantino Il commiato fra le tombe, (Fiume, 3 gennaio 1921): .

D'Annunzio nel cimitero di Cosala . Ieri nel camposanto di Fiume, la volontà di ascendere, che travaglia ogni gesta di uomini, toccò l'ultima altezza. Parve la nostra vita più alta ora nel cielo dell'anima. (...) Sapevano che io li conducevo verso la sommità di una bellezza a me stesso ignota? Quante volte nelle piazze, nelle corti, nei crocicchi, nei prati, su per le colline, lungo le rive, dalla ringhiera, quante volte avevo detto a questi poeti inconsapevoli le parole della più ebbra poesia? «Chi mai potrà imitare l'accento delle nostre canzoni e la cadenza dei nostri passi? Quali combattenti marciano come noi verso l'avvenire? Non eravamo una moltitudine grigia; eravamo un giovine dio che ha rotto la catena foggiata col ferro delle cose avverse e cammina incontro a se stesso avendo l'erba e la mota appicicate alle calcagna nude». Comprendevano. Dischiudevano le labbra perché si gonfiava il cuore. Bevevano la melodia. Credevano ch'io dessi loro da mangiare il miele del mattino: «il miele senza sostanza». (...) Non eravamo legioni armate; eravamo un'armonia ascendente. (...) Nessuno rimase in piedi: nessuno delle milizie, nessuno del popolo. E colui che versò più lacrime si sentì più beato. E qualcosa di noi trasumanava; e qualcosa di grande nasceva, di là dal presente. E ogni lacrima era Italia; e ogni stilla di sangue era Italia; e ogni foglia di lauro era Italia. E nessuno di noi sapeva che fosse e di dove scendesse quella grazia. Tale fu ieri il commiato che i Legionarii diedero alla terra di Fiume. E domani a un tratto la città sarà vuota di forza come un cuore che si schianta.

Léon Kochnitzky[modifica | modifica wikitesto]

«Per il Comandante d'Annunzio, Eià, eià, eià, Alalà». (cfr. Léon Kochnitzky, «Fiume et son Prophète» LE FLAMBEAU, Anno IV n. 1, 31 gennaio 1921; pag. 4). «Eia Eia Eia Alalà» era stato il grido inaugurato da D'Annunzio per la prima volta durante l'incursione aerea su Pola (8-9 agosto 1917).


Guido Keller[modifica | modifica wikitesto]

Il Motto dei legionari era: «Me ne frego!» ed i cuori delle fanciulle si facevano rapire. Passavano svelti sfiorando la terra - il torso nudo - le gambe nervose - cantando inghirlandati di fiori dopo il nobile esercizio delle armi. (Guido Keller, in Krimer, Incontro con Guido Keller, Tivoli, Mantero, 1938; pp. 116-117).

Parto in volo. Offro al Vaticano delle rose rosse per frate Francesco - sul Quirinale lancio altre rose alla Regina ed al Popolo in segno d'amore. Su Montecitorio un arnese di ferro smaltato con delle rape legate al manico con uno striscione di stoffa rossa e un messaggio: «Guido Keller - Ala Azione nello splendore - Dona al Parlamento ed al Governo che si regge col tempo - la menzogna e la paura - la tangibilità allegorica del Loro Valore». (Guido Keller, in Krimer, Incontro con Guido Keller, Tivoli, Officine Grafiche Mantero, 1938; pag. 120).

Giovanni Comisso[modifica | modifica wikitesto]

Guido Keller mi raccontò di avere formato in quei giorni una compagnia destinata alla guardia del Comandante, compagnia che aveva denominato «La Disperata». Molti soldati venuti volontari dall'Italia, essendo privi di documenti non erano stati accolti dal Comando e invece di andare via si erano accampati nei grandi cantieri navali della città. Andato a vedere cosa vi facevano, trovò che se ne stavano nudi a tuffarsi dalle prue delle navi immobilizzate, altri cercavano di manovrare vecchie locomotive che un tempo correvano tra Fiume e Budapest, altri arrampicati sulle gru, cantavano. Gli apparvero ebri e felici, li fece radunare e li passò in rassegna: erano tutti bellissimi, fierissimi e li giudicò i migliori soldati di Fiume. Inquadrò questi soldati che tutti chiamavano i disperati per la loro situazione di abbandono e li offerse al Comandante come una guardia personale. La sua decisione fece scandalo tra gli ufficiali superiori, ma il Comandante accettò l'offerta. Con la creazione di questa compagnia, Keller aveva cominciato a realizzare le sue idee di un nuovo ordine militare.


Grande parte del giorno questi nuovi soldati facevano esercizio di nuoto e di voga, cantavano e marciavano attraverso la città a torso nudo con calzoncini corti, non avevano obbligo di rimanere chiusi in caserma, ma gli stessi esercizi con la loro piacevolezza li persuadevano a tenersi raggruppati e alla sera per loro divertimento se ne andavano in una località deserta chiamata La torretta, dove divisi in due schiere iniziavano veri combattimenti a bombe a mano, e non mancavano i feriti (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso, 1951; pp. 59-60).


Il governo di Roma, la massoneria, la Banca Commerciale, e quasi tutti i partiti in lotta in Italia avevano in Fiume i loro emissari e costoro, anche legionari, si erano fatti avanti fiancheggiando D'Annunzio per influenzare le sue decisioni. Soprattutto si temeva in Italia che in Fiume si instaurasse un movimento radicalmente rivoluzionario in accordo con i partiti estremi e questi potessero trovare nell'esercito legionario quella forza militare che non avevano. (...) D'Annunzio, senza rinunciare ai nostri diritti sulla città italiana che voleva essere riunita alla patria, meditava intanto di assumere in sé e di accordare le idee migliori di tutti i movimenti politici e di conformarle alla più pura tradizione italiana. Questo per la politica interna, per quella estera meditava un'unione di tutti i popoli oppressi dalle potenze capitalistiche per ribellarsi alla loro egemonia. (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso - Libreria Canova, 1951; pag. 62)


Tu devi sapere che sei giunto in una città pericolosa per i tuoi giovani anni. Qui si fa senza alcun ritegno tutto ciò che si vuole. Le forme di vita più basse e più elevate qui s'alternano non altrimenti che la luce e le tenebre. (Giovanni Comisso, Il porto dell'amore, Treviso, Vianello, 1924; pag. 12).


Non ho mai visto ufficiali perdere le notti nel giocare alle carte, tutti i divertimenti erano indirizzati verso ebrezze immediate dei sensi. Durante la guerra certi nostri aviatori per sostenersi nei voli senza tregua, che avrebbero potuto addormentarli e perderli, usavano fiutare la cocaina. Alcuni di questi aviatori ne diffusero l'uso in Fiume, molti tenevano nel taschino della giubba una piccola scatola d'oro con la droga ravvivante. I miei amici la prendevano e invano volevano indurmi a provarla. Rispondevo loro che ero già in continuo stato di ebrezza. (...) Gli amori furono veramente senza limiti: la città fu effettivamente italianizzata nel sangue. Non si ebbero drammi di gelosia da parte di uomini, ma da parte di donne: le donne si disputavano l'italiano. Si vedevano gli arditi accompagnati dalle loro donne vestite di grigioverde. Nel disordine degli amori le malattie serpeggiavano diffondendosi... (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso - Libreria Canova, 1951; pp. 73-75).


..Voi, serbo, avete comandato alla vostra famiglia col bastone. Noi invece comandiamo con l'amore. E la vostra razza a contatto con la nostra, si è squagliata come neve al sole. I vostri figli hanno sentito che noi comandiamo col bacio e sono venuti da noi. Il fatto è semplice, perché bisogna sapere che tutto nel mondo aspira all'amore. (Giovanni Comisso, Al vento dell'Adriatico, Torino, Fratelli Ribet Editori, 1928; pag. 103. E' la seconda edizione, con titolo modificato, de Il Porto dell'Amore). .


Guai se gli accadeva di preferire un reparto a un altro, ne sorgevano gelosie terribili, dove il reparto meno favorito andava a bloccare l'altro nella sua caserma puntando le mitragliatrici. Da prima a palazzo montava di guardia solo la Disperata, ma in seguito, per evitare che gli altri reparti ingelositi si accoltellassero con questa compagnia, dovette concedere per turno a tutti lo stesso onore. I suoi discorsi, i suoi proclami, furono belli come le sue migliori opere letterarie, certo i più influenti, perché i legionari a quelle parole non davano peso alla loro vita nel seguirle. (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso, 1951; pp. 77-78).

Un giorno [Gabriele D'Annunzio] dalla finestra del suo ufficio vide gli arditi che se ne andavano a due a due presi per mano verso la collina e li indicò dicendo: «Guardate i miei soldati, se ne vanno a coppie come i soldati di Pericle» [nella seconda edizione del 1963 è riportato invece: «come la legione tebana»]. (...) A primavera faceva ogni giorno con un reparto diverso passeggiate per i monti e ritornava cantando con i soldati che tenevano rami fioriti infissi nella canna dei moschetti... (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso - Libreria Canova, 1951; (pp. 77-78).


I legionari erano furenti contro il governo nazionale e nella rabbia si strappavano i distintivi dell'esercito italiano, al posto delle stellette si met-tevano i francobolli di Fiume. In Italia nessuno si era mosso a nostro favore, i partiti che dapprima ci avevano dato assistenza nulla fecero per noi. Tutta l'Italia ci avrebbe lasciati trucidare. Le truppe che ci erano venute ad assalire nella vigilia di Natale erano state eccitate con premi e con bevande. Il governo di Roma approfittò delle feste natalizie durante le quali non sarebbero usciti i giornali per compiere tranquillamente l'operazione. Il Comandante dalla nostra radio fece trasmettere a tutto il mondo l'annuncio del sacrificio mentre si compiva. (Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Edizioni di Treviso - Libreria Canova, 1951; pag. 111).

Krimer[modifica | modifica wikitesto]

Amava la poesia e, poeta anche lui, vagheggiava la realizzazione della «Città di Vita», della città degli artisti e per gli artisti; città senza leggi e senza agenti d'ordine; senza cimiteri e senza banche. Una città isolata, magari in un isolotto del Mediterraneo, senza strade simmetriche e senza case standard. (Krimer, Incontro con Guido Keller, Tivoli, Officine Grafiche Mantero, 1938; pp. 85-86).

Mario Carli[modifica | modifica wikitesto]

Questa «Disperata» fu la falange eletta dei legionarii: la guardia del corpo del Comandante: manipolo di uomini decisi, spregiudicati, violenti nell'adorazione e nell'impeto: fiore della rivolta e della libertà, passato attraverso il setaccio della guerra e degli stati d'animo, se non delle idee, rivoluzionari. Erano mastini ed erano fanciulli: sicuri come truppe di colore, consapevoli come «soldati della morte», lieti e canori come atleti in gara continua. Alcuni elementi moralmente impuri non la deturparono, ma le diedero un colore crepuscolare di gente maledetta dai saggi e dai mediocri, che costituì il suo fascino più orgoglioso. (Mario Carli, Trillirì. Romanzo, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 174-175).


Prendendo la Russia come modello tipico di rivoluzione sociale, si vede anzitutto che il bolscevismo è stato un movimento, non tanto grettamente espropriatore, quanto rinnovatore, perché ha voluto ricostituire in base a ideali vasti e profondi l'edificio sociale, assurdamente sbilenco sotto il decrepito regime zarista. Inoltre il bolscevismo russo, animato da un potente soffio di misticismo, non si è mosso con quei criterii di pacifismo codardo, che fanno dei cortei proletarii italiani altrettante processioni d'innocenti agnellini (...). Il popolo russo ha saputo anche difendere la sua rivoluzione, e gli eserciti di Lenin si sono battuti, spesso, vittoriosamente, contro i bianchi paladini della reazione. Assodato poi che i socialisti italiani non credono nella rivoluzione, non la vogliono e non fanno nulla per provocarla, possiamo stabilire in modo definitivo che noi legionarii non avremo mai alcun contatto, e neppure alcun cenno d'approccio, con quella ottusa cocciuta grettissima cretinissima Chiesa che è il Partito Ufficiale Socialista italiano... (Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume, Milano, Facchi Editore, 1920; pag. 106-107).

Il nostro sogno più caro di artisti e di lottatori è sempre stato quello di sollevare la miseria materiale e spirituale delle masse, e se domani avremo modo di sopprimere in loro prima la fame, poi l'ignoranza, potremo dire di aver raggiunto uno degli obiettivi fondamentali di tutta la nostra azione. Noi chiediamo di meglio che chiamare accanto alle élites anche i rappresentanti del «numero» a partecipare alla vita collettiva, a decidere dei propri interessi e del proprio destino. Il soviet (altra parola-spauracchio per i mosci borghesi di tutti gli Stati) è un prodotto così ragionevole e così utile dei nuovi tempi, ed è già così diffuso, sotto la forma sindacale, negli ambienti amministrativi e industriali, che non si capisce perché non debba entrare senz'altro nella vita politica e militare (...). Indiscutibilmente Fiume e Mosca sono due rive luminose. Bisogna, al più presto, gettare un ponte fra queste due rive (ib. pp. 109-110).


Guido Keller aveva preparata e animata l'impresa fiumana col suo entusiasmo geniale di combinatore di piani. Spirito sottile, penetrante, arguto e pensoso, aveva delle doti futuriste di demolitore e sfottitore. Conosceva la frenesia dell'azione e la calma superiore della cerebralità pura. Amava la vita da uomo immaginoso e beffardo, che sapeva giocare con le cose e con gli uomini e inventare divertimenti paradossali. (...) Nel campo di Mirafiori (da lui ribattezzato Miramosche) aveva fondato nel 1915 la «confraternita dei peli al vento» che aveva il compito di cresimare ogni aviatore novizio, tosandogli per intiero i capelli e spargendoli al vento.

Il Comandante caporale d'onore degli Arditi . Fu da questo che d'Annunzio prese lo spunto per battezzare gli aviatori (e poi i legionarii di Fiume) «teste di ferro». Erano note le sue ricognizioni in pigiama, sul suo apparecchio da caccia. Bruno si ricordava di averlo trovato qualche volta, dopo un volo rischioso, disteso sotto un albero, completamente nudo, immerso nella lettura di un giornale o di un libro. A bordo del suo apparecchio c'era sempre un minuscolo servizio da the, e fiori, sigarette, scatole di biscotti: un vero salotto volante. (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 153-154).


Furst, il tipo più malizioso e sollazzevole, meno bellicoso meno utile e più simpatico, dell'impresa: giornalista e nottambulo, complottatore e bevitore, grande ammiratore di Keller e suo complice nelle beffe fantasiose e ammonitrici fatte agli organi ufficiali della Città; e Mino Somenzi, lo scultore monumentista e avanguardista, dalla testa geniale e orgogliosa di pazzo illuminato, issata sopra un collo altissimo che si lasciava ravvolgere da una cravatta lunga come la marcia di Ronchi: mago chilometrico e stupefacente, dai gesti di fachiro, dal tono imperioso, dalla voce stentorea, braccia-rastrelli di roulette e gambe-trampoli della Landa, nero, misterioso, elegante, febbrile, interessantissimo; (...) e Cerati, il futuro redattore della «Testa di Ferro», il mio compagno ardito-futurista, giunto poi per la nostra idea fino alle ultime conseguenze: al carcere e alle Assise, superate stoicamente e brillantemente; e Sandro Forti, l'acuto cervello precocissimo, duttile e intuitivo, capace di passare da una lirica ultra-avvenirista a un misurato articolo di economia politica (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 201-202). Non posso evitare di descrivere Attilio Crepas e Luciano Barbesti. (...) Essi rappresentano il più stupefacente fenomeno di auto-valorizzazione attraverso il trucco e la fantasia (...). Egli [Attilio Crepas] aveva, alla fine della guerra, costituito nella sua Ferrara un Fascio futurista, i cui dirigenti erano due valorosissimi mutilati ed arditi, il maggiore Ronchis e il tenente Imegli... mai esistiti sulla faccia della terra. I giornali d'avanguardia del 1918 furono pieni del nome di questi due signori, che svolgevano una propaganda febbrile e un'organizzazione poderosa... nel cervello di Attilio Crepas. Il quale, smentito e smascherato più volte, non si lasciò mai turbare né imbavagliare, e continuò imperterrito la sua«azione» politico-giornalistico-letteraria, recandosi a Fiume la prima volta in divisa di sergente degli arditi, con sei o sette nastrini di medaglie sul petto; respinto, ritornandovi tranquillamente, con qualche medaglia di meno ma con lo stesso inalterabile aplomb. Non so, in verità, se ammirare di più questo grandioso mistificatore o il suo affine Barbesti, magnifico esemplare anche lui della stessa tendenza, con più scaltrezza forse e più praticità: pieno di medaglie, di ferite, di gradi immaginarii, piene le tasche di bombe non immaginarie, girava le vie di Fiume e di Milano palpando allegramente i suoi petardi, che non si sa a che cosa dovessero servire. Accusato, accusava a sua volta, e riusciva a ottenere libertà facendo chiudere nel carcere fiumano alcuni fra i più noti legionarii. Interessantissimo questo elegante ragazzo rossiccio, dai modi aristocratici e dall'r scivolante, geniale e amorale, capace di negare le cose più evidenti e di affermare le più assurde con una sicurezza da render perplessi. (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 202-203).


Siamo poeti. Evviva! Ma dei poeti che vogliono e sanno vivere. Dei cercatori di formule nuove e di sostanza occulta. Ci siamo lanciati allegramente in questa suprema avventura dello spirito, in fondo alla quale ignoriamo ciò che ci attende. Intanto, chiamateci pure «bolscevichi». Credo che nel nostro spirito, munito di ogni comfort, ci sia posto anche per il bolscevismo. Ma non limitateci, per carità! (...) Non vogliamo cartellini o barriere o traguardi fissi. (...) Intanto Gabriele d'Annunzio oggi è chiamato «compagno» dai proletari di Fiume, come ieri fu chiamato «caporale» dagli arditi e «sergente» dai bersaglieri. Non meravigliatevi di nulla: domani egli potrebbe celebrare un rito di fachiri o danzare una «fantasia» con gli arabi civilizzatissimi dell'Egitto. (Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume, Milano, Facchi Editore, 1920; pp. 124-125).


I comizi e i cortei di Fiume si formano istantaneamente, con rapidità fulminea: basta che una sirena fischi o che una fanfara suoni, e la dimostrazione è composta, e dilaga per tutta la città. (...) Basta vivere qui in un giorno di festa, per afferrare il lato veramente futurista di questi movimenti di folla. Il fatto che essa è composta per metà almeno di donne, contribuisce a renderla più fresca e più lirica. (...) Non avevo mai udito una piazza o un teatro gremito cantare con tanta violenza appassionata l'Inno degli Arditi, che qui tutti sanno a memoria e che ha preso il posto della Marcia Reale come inno ufficiale di tutte le occasioni. (Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume, Milano, Facchi Editore, 1920; pag. 143).


...Istantaneamente, con la fanfara degli Arditi, si formò un corteo. Uno di quei cortei fiumani dinamizzati fino a diventare un misto di soldatesco, di goliardico e di carnevalesco, che furono poi imitati in Italia dai fascisti e dai legionarii. Una fiumana torrenziale di gente che si teneva strettamente abbracciata, da un lato all'altro della strada, formando scaglioni compatti e travolgenti come ondate di una marea demoniaca. E canti e voci scoppianti di ardore e grida di amore e risate fresche e affermazioni imperiose. Donne e uomini commisti, senza riguardo, senza bisogno di conoscersi, contatti di gomiti stretti, quasi a comunicarsi magneticamente un sentimento implacabile che straripava nei guizzi delle persone colte da frenesia. (...) «Se non ci conoscete / guardateci sul petto. / Noi siamo i disertori / ma non di Caporetto». I vecchi erano sempre assenti da questi cortei (...). Invece c'erano alla testa quei meravigliosi manipoli di futuristi e di arditi, capeggiati prima da Marinetti, stupendo arringatore di folle, poi da altri, non così geniali ma altrettanto dinamici: da Riccardo Gigante (...); da Caliceti (...); da Benagli (...); da Cabruna (...); da Castelbarco... (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 206-207).  	



Così il Reparto degli Ignoranti, comandato dall'ignorantissimo Capitano Argentino, ha proclamato di credere prima in d'Annunzio, poi in dio, poi nel suo capitano. (Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume, Milano, Facchi Editore, 1920; pag. 74).


Fiume: Città-Simbolo, Città-Fulcro, Città-Polo, Città-Arcobaleno! (...) Sei stata il rifugio di ogni sorta di individui: dal purissimo combattente all'avventuriero più losco; dall'accorto pescatore politico all'artista geniale che aveva sete di un clima lirico e veniva a cercarlo sul tuo molo vibrante di canzoni; dall'idealista che veniva in traccia dell'Italia al mercante che veniva in traccia di Korosone; dal giornalista in fregola di corrispondenze sensazionali alla spia del regio cagoiano governo; dal soldato che obbediva disobbedendo, al generale che si aggrappava alla gloria fiumana per colmare la lacuna di quella mancata sul Carso o per aggiungere alle medaglie al valore il falso fulgore di una medaglietta parlamentare; dal colonnello in cerca di avventure femminili al pederasta in cerca di avventure maschili... Un po' di tutto è venuto a te, divina Fiume: purezza, ardore, ardimento, vanità, cocaina, fede, ipocrisia, moneta falsa, voracità, sacrificio. E tutto ciò tu hai accolto beatamente, fiduciosamente, perché tutto ciò si chiamava, indistintamente, Italia. Ma l'anima e il cuore della spedizione legionaria erano solo in quei pochi - né troppo vicini né troppo lontani a d'Annunzio - che avevano portato a Fiume una coscienza nuova, tendenze a nuove forme e a nuovi ritmi di vita (...). Fiume doveva essere, per loro, l'avanguardia di tutti i popoli in marcia verso l'avvenire, l'isola di prodigio che avrebbe dovuto muoversi attraverso gli oceani, portando la sua luce incandescente ai continenti affogati nel buio dell'affarismo brutale. Questo gruppo di illuminati, di invasati, di mistici precorritori, riuscì a creare nella Città del Carnaro quell'atmosfera di spasimo verso l'avvenire e di lirica ribellione alle vecchie fedi e alle formule antiche, che è stata detta «fiumanesimo». (Mario Carli, Trillirì, Piacenza, Edizioni Futuriste di Poesia della Società Tipografica Editoriale Porta, 1922; pp. 165-167).


Ebbene, compagni memori, quella stessa deduzione e quello sdegno rovente e quel desiderio di fuggire dalle città per tornare subito «lassù» dove c'era dell'amore e dell'eroismo, dove c'era bontà generosa e coraggio e giovinezza vera, io l'ho sentito in questi giorni, affacciandomi in una città qualunque dell'Italia dopo un lungo periodo di delizioso esilio fiumano. Nausea, schifo, indignazione. Bisogno di ribellarsi e di roteare un poderoso randello frantumando tutto ciò che si ha intorno. Bisogno di urlare con violenza nel bel mezzo di un ambiente vigliaccamente tranquillo ed elegante. Desiderio prepotente di dire ad ogni passo, ad ogni muso che s'incontra, ad ogni smorfia che si sorprende: - Porci! Carogne! Miserabili! (Mario Carli, Con D'Annunzio a Fiume, Milano, Facchi, 1920; pag. 132).

Sante Ceccherini[modifica | modifica wikitesto]

...Mi corre l'obbligo di avvertire che il Furst è altresì fortemente indiziato come un professionista della pederastia (...). E il peggio è che i soggetti fatti segno delle oscene mire libidinose del Furst, apparterrebbero - a quanto pare - ai più bassi strati della gerarchia militare e della società (soldati, camerieri, facchini) in conseguenza di che la inchiesta da esperirsi, mediante raccolta delle testimonianze di tutti costoro, implicherebbe una inevitabile pubblicità. Ciò posto, e poiché il Furst è alle dirette dipendenze di V.S. io mi son fatto dovere di soprassedere agli accertamenti di cui trattasi, non senza significarle per altro che, data la corrente disistima e il disprezzo, che ormai avvolge il Furst, così nell'ambiente militare che in quello civile, converrebbe ed urgerebbe di addivenire al di lui allontanamento. Faccio inoltre presente che il Furst continua sfrontatamente a vivere da signore nell'albergo Europa, senza pagare, perloché il suo debito, che una ventina di giorni fa ammontava a 4569 corone, a quest'ora dev'essere sensibilmente accresciuto. (Sante Ceccherini, dal documento n. 738 25 gennaio 1920. Per gentile concessione della Fondazione del Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera).


Sul suo onore di soldato, può negare egli d'avere (...) solennemente dichiarato a mio figlio, tenente di Vascello, che la sua posizione non era più originata da cause politiche, che non era più questione di monarchia o di repubblica, ma soltanto di profondi odii personali derivati da offese rivolte da legionarii a lui ed ai suoi carabinieri? E se non lo può negare perché non cercò di difendere la sua persona con i mezzi cavallereschi in uso e volle invece anteporla alla Santa Causa cui aveva solennemente giurato fede? E per un incidente spiacevole quale un ignobile furto compiuto da alcuni arditi fatti arrestare dal Comandante, non parve sproporzionata reazione un complotto armato, la violenta infrazione d'un giuramento di fedeltà alla Città; l'abbandono improvviso della Città stessa senza consentire nemmeno che si potesse supplire al principale servizio d'ordine venuto a mancare di colpo, da un'ora all'altra? Non ebbe il suo ultimatum al Comando, la forma di un ricatto? Il servizio di polizia che oggi fanno i suoi carabinieri alle stazioni di Mattuglie e di Trieste: lo zelo con cui cercano di arrestare tutti coloro che fino a ieri furono loro fratelli di fede e di legione, non ha tutto l'aspetto della feroce vendetta di gente delusa in qualche folle speranza? (...) E potrei continuare (...), domandando al Capitano Vadalà anche il perché egli passò prima la barra, e di corsa veloce, lasciando a me la cura di salvare i suoi carabinieri, e tante altre cose ancora; preferisco finire rimanendo (...) nel dubbio che i «profondi occhi dolcissimi» del Capitano Vadalà, citati dal suo corrispondente debbono avere anche, guardando l'azzurro mare del Carnaro, una tinta non lieve di rimorso. (Sante Ceccherini, Una vivace smentita del Generale Ceccherini al capitano Rocco Vadalà, Fiume, 26/5/1920).

Ludovico Toeplitz[modifica | modifica wikitesto]

Da quale misteriosa voragine / erompe / questa sete / di ribellione / di rossa ribellione / che mi agita / che mi fa spasimare / urlare / piangere coll'ignoto che piange / incendiare con chi sogna i bagliori selvaggi / sulle putride macerie dell'odierno / fastello? // Chi mi ha insegnato / la parola / che so dire al cuore dell'uomo / affranto, / che so dire al coraggio dell'uomo / sgomento, / che so dire a chiunque mi guardi / negli occhi, / assetato di vita? // (...) Mia madre? / Forse. / Mio padre? Forse. / Entrambi senza saperlo // (...) Non essi. / Il sangue loro. // - Di mio nonno / Bonaventura / Il sangue che s'era macerato, / per secoli / nel ghetto di Varsavia. // Ebreo polacco. Frustato. Umiliato. / Disprezzato come la cosa immonda - // (...) Io sono il bastardo / di due razze avverse / da secoli. // (...) Ho l'altera sicurezza / dell'uno; / ho la ribellione dell'altro: / urlano in me / tutte le bastonate / tutte le ingiurie / tutti gli sputi / che l'uno ha dato all'altro. // (...) Uomo. / Crogiolo di civiltà. / Mescolamento di razze. / Liberazione. / Verità / Luce. / Vento. / Aria, aria, aria. // Sete di rinnovamento. / Ribellione. // Adorazione del Sole. (da Liberazione, in Ludovico Toeplitz, Si rinnova la vita, Firenze, R. Bemporad & Figlio Editori, 1922; pp. 197 - 205).


Generale Nigra[modifica | modifica wikitesto]

Il signor Generale Nigra, dal giorno in cui ebbe l'onore di assumere il comando della 45.a Divisione, non cessò di dimostrare al Comandante di Fiume, alle truppe fiumane, alla Causa nazionale la più cruda inimicizia. Alle denigrazioni, alle vessazioni, ai sorprusi d'ogni genere volle aggiungere cotidianamente le più basse ingiurie. (...) Ma a proposito del Comandante, l'ultima contumelia fu espressa in questi termini: «Chi sceglie a sua guardia d'onore manigoldi non può essere se non il più gran manigoldo». Per rispondere a questa brevità cesarea, nella notte del 27 gennaio, presi gli ordini del Comandante, i «manigoldi» della Guardia, con una speditezza ed una eleganza incomparabili, hanno compiuto la cattura del nemico. Il Generale Nigra, prigioniero, si è affrettato a dichiarare la sua venerazione verso il Comandante, il suo sviscerato amore per la Causa di Fiume, e la sua stima senza limiti per i Legionari. Egli ha perfino chiesto il nastrino dei colori fiumani per ornarsene! Come era stato giudicato il Capo, ora è giudicato l'uomo... (Dal volantino Il Generale Nigra Com.te la 45.a Divisione prigioniero dei Legionarii di Fiume, Fiume, 27 gennaio 1920).


F.T. Marinetti[modifica | modifica wikitesto]

Ai socialisti ufficiali noi domandiamo: 1) siete voi disposti come noi a liberare l'Italia dal Papato? 2) vendere il nostro patrimonio artistico per favorire tutte le classi povere e particolarmente il proletariato degli artisti? 3) abolire radicalmente tribunali, polizie, questure e carceri? Se non avete queste tre volontà rivoluzionarie, siete dei conservatori, archeologi clericali polizieschi e reazionari sotto la vostra vernice di comunismo rosso (...). Non soltanto siamo più rivoluzionari di voi, socialisti ufficiali, ma siamo al di là della vostra rivoluzione. Al vostro immenso sistema di ventri comunicanti e livellati, al vostro tedioso refettorio tesserato, noi opponiamo il nostro meraviglioso paradiso anarchico di libertà assoluta, arte, genialità, progresso, eroismo, fantasia, entusiasmo, gaiezza, varietà, novità, velocità, record. (...) Vi sono masse umane tenebrose flaccide, cieche senza luce né speranza né volontà. Le rimorchieremo. Vi sono anime che combattono senza generosità per conquistare il piedestallo, l'aureola o la posizione. Convertiremo queste anime meschine ad una alta eleganza spirituale. Bisogna dare a tutti la volontà di pensare, creare, svegliare, rinnovare, e distruggere in tutti la volontà di subire, conservare, plagiare. (...) Solo l'inebriante alcool dell'arte potrà finalmente sostituire e abolire il tedioso volgare e sanguinario alcool domenicale delle taverne del proletariato. (...) L'Arte e gli Artisti rivoluzionari al potere. (F.T. Marinetti, Al di là del comunismo in Futurismo e Fascismo, Foligno, Campitelli, 1924; pp. 215-218).


Grazie a noi il tempo verrà in cui la vita non sarà più semplicemente una vita di pane e di fatica, né una vita d'ozio, ma in cui la vita sarà vita-opera d'arte. Ogni uomo vivrà il suo miglior romanzo possibile. Gli spiriti più geniali vivranno il loro miglior poema possibile. Non vi saranno gare di rapacità né di prestigio. Gli uomini gareggeranno in ispirazione lirica, originalità, eleganza musicale, sorpresa, giocondità, elasticità spirituale. Non avremo il paradiso terrestre, ma l'inferno economico sarà rallegrato e pacificato dalle innumerevoli feste dell'Arte. (F.T. Marinetti, Al di là del comunismo in Futurismo e Fascismo, Foligno, Campitelli, 1924; pp. 220-221).

Cesare Cerati[modifica | modifica wikitesto]

Sandro [Forti] fu, con me, tra i fondatori del giornale dei legionari. Forse, anche con Sandro, fu il futurismo che ci avvicinò. Ma ben più profondi motivi ci legarono. Io sognavo, Sandro ragionava. Era un costruttore, Sandro, ed infatti - dove gli fu possibile nonostante tutte le difficoltà - più tardi costruì.

Mario Cerati Amici dispersi . Tutti presi da un'idea che non rinnegammo mai, portammo il nostro contributo di fede e di lavoro alla edificazione della Città di Vita, i suoi Statuti restano, documento e promessa. Vivemmo insieme undici mesi, in quell'atmosfera di esaltazione rovente che non può esser compresa da chi non la sofferse (o godette). Poi portammo il giornale a Milano. Avevamo creduto che la nazione fosse matura per accogliere la nostra propaganda. Sapevamo che certe proclamate simpatie erano basate solo su interessi elettoralistici, ma contavamo su altre forze che poi solo in parte ci seguirono quando si giunse alle tragiche giornate del Natale. Comunque pagammo di persona, dimostrando - non fosse altro - la nostra buona fede e la sincerità delle nostre aspirazioni. (Cesare Cerati, Amici dispersi, dattiloscritto inedito, 1960 ca





Garibaldo Marussi[modifica | modifica wikitesto]

Non si lagnava la gente: c'era nell'aria odore di vita provvisoria; come se ognuno fosse preso da un sogno che sarebbe, inevitabilmente, svanito. (...) Ora la città respirava e il Palazzo era diventato di tutti. Non vi badavano quasi e se non fosse stato per il Comandante che lo abitava nessuno avrebbe più pensato a lui che invece, era destinato a sostenere una parte di estrema importanza nella vita della città. Attorno a lui si assiepava il popolo quando aveva bisogno di saziare la sua fame con le parole. Allora la massa diventava allucinata, strepitava e urlava per ore intere sotto alle sue mura, aggrappata alle lance delle inferriate, appiattita sotto i lauri, sbattuta contro le colonne e sulla ghiaia, perché il popolo sopravveniente a ondate, disertate le case, abbandonato il lavoro, aveva necessità di sentirsi svegliare e scuotere. Tutto pareva dovesse durare millenni. La vita scorreva radicata inconsapevolmente a quelle cose: gli uomini venuti di là dal mare, di là dalle montagne, giovani e vecchi, pensavano solo a un eterno presente. Era un mondo, quello, che viveva un suo clima innaturale, rumore d'armi, canzoni, discorsi. L'ebbrezza dell'avventura aveva avvolto tutti col suo fantasmagorico mantello e li faceva credere in forme surreali di vita (...). Venivano a Fiume, come al tempio dei miracoli, i rappresentanti dei popoli oppressi (...).

Primo Anniversario del 20 settembre (1920) . Passavano tutti per le sale del Palazzo ove il poeta accendeva, viva, avanti ai loro occhi la fittizia realtà dei sogni. I detronizzati, gli spodestati, gli esiliati, gli oppressi, venivano a quella nuova mecca, collocata sulle sponde orientali dell'Adriatico, per fiutare l'ascis di cui avevano bisogno onde affrontare ancora la vita e cancellare le vecchie, continue delusioni. (Garibaldo Marussi, Assalto al palazzo, Ancona, All'Insegna del Conero, 1940; pg. 14 e pp. 144-146).


ancora Léon Kochnitzky[modifica | modifica wikitesto]

Une fanfare éclate: ecco passa la banda; une musique militaire traverse la ville; cela arrive à peu près trois ou quatre fois par jour à Fiume. Et chaque fois, tout le monde se précipite; on suit les musiciens, on les entoure; un cortège se forme: bientot la foule suit la musique sur le corso, vers la piazza Dante; quand la fanfare, à bout de souffle, s'arretête, les épigones reprennent le refrain, chantent, acclament, trépignent; le plus souvent, ils arrivent devant le palais et ne consentent a se disperser qu'après avoir vu leur idole: d'Annunzio et après avoir poussé de frénetiques «Alalà» en son honneur. (...) Je n'oublierai jamais la fête de San Vito, patron de Fiume, le 15 juin 1920 (...), on dansait partout: sur la place, aux carrefours, et sur le mole; on dansait, on chantait le jour, le soir et la nuit; ce n'etait pas la mollesse volupteuse des barcarolles vénitiennes; c'était une bacchanale déchaînée; au son des fanfares martiales on voyait tournoyer en rondes échevelées les soldats, les marins, les femmes, les civils (...). D'autres appelleront cela de l'hystérie. C'est le Bal des Ardents. Devant le monde hostile et lache, bravant le rire aigu des foules viles, Fiume danse devant la mort. Elle est un coeur, un torche. Elle est une Arche. (Léon Kochnitzky «Fiume et son Prophète» LE FLAMBEAU Anno IV n. 1, 31 gennaio 1921; pp. 19-23).



...Je m'installai au Comando en qualité d'attaché au secrétariat particulier du commandant Gabriele d'Annunzio. A partir de ce moment, je vécus de la vie ardente des légionnaires, je cherchai à leur rassembler le plus possible; les travaux et les jours se succèdent; le reste du monde nous apparaît comme quelque chose de gris et de vague, l'aer perso dont parle Dante. Je respire dans la grande clarté qui rayonne de Gabriel d'Annunzio et de ce rayonnement, je vis. Je ne suis plus qu'un instrument sans volonté, un outil insensible entre les mains de l'artisan merveilleux. Il me plaît de n' être que cela. Cet épigonisme déférent n'a rien qui me puisse diminuer, amoindrir. (...) Je remercie Dieu qui m'a mis en contact direct et quotidien avec la plus parfaite de ses créatures et je considère attentivement ce prodigieux phénomène dans ses grandeurs et dans ses petitesses, dans sa puissance et dans sa faiblesse. (...) Cervantes n'entendait rien à la diplomatie. Lamartine ne savait pas commander une armée; Napoléon n'a pas écrit les Laudi. Le commandant de Fiume, le plus grand poète de notre age, est aussi un homme de guerre et un homme d'Etat. Les «Arditi» ne sont pas indignes d'un tel chef! Qu'ils sont beaux à voir lorsqu'ils s'en vont, aux soirs d'hiver, par les petites rues de la vieille ville; poignard au flanc, la gorge nue, ne semblent-ils pas, avec leur chaperon noir et leur chemise de toile noire, «Les sombres Séraphins d'une autre Apocalypse», de l'Apocalypse effrayante que nous vivons, écroulement du monde occidental? (Léon Kochnitzky, «Fiume et son Prophète» LE FLAMBEAU, Anno IV n. 1, 31 gennaio 1921; pp. 13-14).



Fiume viveva unicamente del suo porto. Il blocco paralizza la città, l'anemia la fa morir di morte lenta. Magazzini senza traffico, mediatori senza occupazione, marinai senza imbarco, armatori rovinati, dappertutto il lavoro fermato, la penuria: la fame, la malattia all'uscio del povero, diventano alla soglia del ricco la tentazione; l'adito agli affari loschi e ai mercati non confessabili è aperto: si comincia collo speculare, poi s'inganna, si baratta, si truffa. Si deve pur vivere; e si diventa «incettatori», o meglio pescicani (Léon Kochnitzky, La Quinta Stagione o I Centauri di Fiume, Bologna, Zanichelli, 1922; pag. 35).





Un corrispondente della Morning Post scrisse un giorno sullo scandalo che avrebbe provato un colonnello inglese, rigido come un mannequin, se avesse veduto sfilare un reggimento di legionari; al che il mordace Kochnitzky (...) gli obiettò: «Gabriele d'Annunzio non è un colonnello inglese, per fortuna». Eppure proprio il Kochnitzky indossava una giacca nera irreprensibile, che costituiva una vera stonatura fra le sgargianti e variopinte uniformi in circolazione, parecchie di un kaki terroso, appena ritagliate da migliaia di teli da tenda inglesi trovati in città. Taluni portavano abbondanti cravatte a svolazzo, altri preferivano la scollatura, v'era chi girava col fez degli arditi, chi l'aveva definitivamente sostituito da folte chiome pettinate all'indietro; la compagnia«d'Annunzio» usava i pantaloni corti; tutti indistintamente avevano un debole per il pugnale a sghimbescio infilato in modo da rimanere a portata di mano (Federico Augusto Perini-Bembo, D'Annunzio e Fiume per l'ordine nuovo. Prodromi momenti e conseguenze nazionali ed internazionali della «marcia di Ronchi», Firenze, Carlo Cya, , 1944; pp. 126-127).

sciopero[modifica | modifica wikitesto]

Saper conquistare un contratto equo non è grande poesia? L'incontro viene riassunto nel manifesto Questo basta e non basta (Fiume d'Italia, 9 aprile 1920):

E in quella sala decente c'era veramente la figura della fame, c'era veramente la figura della miseria. Rivivevano le imagini delle mie domeniche d'udienza, con un rilievo crudele: le donne scarne, quasi esangui, esauste, che avevano venduto l'ultima masserizia e l'ultimo cencio; i bambini macilenti, (...) con un insostenibile sguardo che pareva passare attraverso le palpebre pavonazze; gli uomini malati, non so che fioche e roche disperazioni avvolte in una sciarpa di lana senza colore, avanzi insepolti della fatica che scava i polmoni, curva le ossa, brucia gli occhi, corrode le viscere. (...) E penavo per loro, e lottavo per loro. (...) Disputavo per loro il tozzo e il centesimo, come il padre, come il marito, come il fratello, come il figliuolo, come tutti quegli uomini amari che erano mal seduti su quelle poltrone molli e avevano dietro di sé il focolare, il desco, la culla. Questo costa tanto, e quest'altro costa tanto. Questo conviene, e questo non conviene. Questo basta, e questo non basta. Trattavamo dunque del ventre? No, trattavamo anche dell'anima. Facevamo anche un'opera d'anima. Di tratto in tratto passavano sopra noi il soffio umano e il fremito umano di quelli che laggiù radunati aspettavano all'aria aperta, con le mani libere dagli arnesi del lavoro, con il cuore libero dall'oppressione della servitù, con il dolore avido di chi sta per creare inconsapevolmente. (...) L'ordine nuovo non può sorgere se non dal tumulto del fervore e della lotta, misurato dal battito di tutti i cuori fraterni. E non può essere se non un ordine lirico, nel senso vigoroso e impetuoso della parola. Ogni vita nuova d'una gente nobile è uno sforzo lirico. Ogni sentimento unanime e creatore è una potenza lirica. Per ciò è buono ed è giusto che ne sia oggi interprete un poeta armato. Questo basta e non basta. (...)


C'erano da una parte i datori di lavoro e dall'altra parte i lavoratori. Mi venne fatto di guardare le mani degli uni e degli altri: mani che si disponevano a serrare e mani che si disponevano a strappare. Bisognava finirla prima di sera. La declinazione del sole accompagnava la lotta. (...) Che m'importa delle dottrine? Ieri fu compiuta un'azione plastica, un'opera di vita. Quelli che vangano ed arano la terra, quelli che scavano il carbone e i metalli, quelli che fondono il ferro, quelli che si consumano all'ardore delle officine, quelli portano la vita eterna come io la porto...

carta carnaro[modifica | modifica wikitesto]

L'articolo XIV recita:

Tre sono le credenze religiose collocate sopra tutte le altre nella università dei comuni giurati: la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l'uomo rifatto intero dalla libertà; l'uomo intero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono; il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia bene eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo.


sagra tutte fiamme[modifica | modifica wikitesto]

La sagra di tutte le fiamme, (Fiume, 1 novembre 1920): . La radunata dei Legionarii nel Teatro Fenice, alle 11 di ieri mattina, superò per ardore e per splendore tutte le altre, dal settembre di Ronchi a questa vigilia del settembre di libertà. (...) [Parla d'Annunzio] In mezzo a questo campo trincerato noi abbiamo posto le fondamenta d'una città di vita, d'una città novissima. (...) Qui, in questo breve libro, è il disegno della vostra architettura, è il lineamento del vostro edifizio. Voi avete posto mano a queste pagine. Queste pagine sono vostre. (...) Siamo liberi e nuovi, non oggi soltanto, ma dal giorno in cui la nostra prima autoblindata spezzò la barra dei buffoni con le due branche dei suoi tagliafili. La volontà di rivolta e la volontà di rinnovazione hanno creato in noi questo sentimento di libertà non conosciuto neppure dai più rapidi precursori. Non disobbediamo a nessuno perché obbediamo all'amore. Non prendiamo nulla perché tutto è nostro. (...) Io mi propongo di fare del mio esercito uno strumento di guerra sempre più vigoroso e spedito. Lungi dal reprimere quello spirito di autonomia che si va manifestando nei varii reparti, io voglio anzi secondarlo. Ogni reparto dev'essere una perfetta unità tattica, dotato di tutti quei mezzi che gli consentano di svolgere efficacemente un'operazione senz'altro concorso. (...) A ogni reparto io voglio lasciare una larga autonomia nelle questioni interne, anche quando per necessità tattiche mi convenisse formare aggruppamenti. A ogni reparto voglio lasciare una certa libertà nella foggia ma non senza stile, cosicché l'uno si distingua nobilmente dall'altro e ciascuno rafforzi il suo rilievo e approfondisca il suo stampo...


Ferdinando Gerra[modifica | modifica wikitesto]

Nella notte il governo provvisorio della Reggenza emanava il seguente comunicato ufficiale: «Si annunzia che nel convegno di Rapallo fu stabilito fra il Governo di Roma e il Governo di Belgrado un accordo definitivo, il quale riduce la continuità fra la terra della Patria e la terra della Reggenza a una stretta linea litoranea tagiata nella zona a ostroponente di Castua. Si annunzia che nello stesso accordo furono definiti i termini di un nominato Stato indipendente di Fiume costretto nei confini dell'antico Corpus Separatum ungarico. Ora il Governo della Reggenza italiana del Carnaro dichiara di non poter riconoscere ai delegati convenuti a Rapallo il diritto di determinare il territorio e i confini di essa Reggenza senza che al dibattito siano stati ammessi i suoi Delegati: e aggiunge che ritiene non accettabili e non attuabili le deliberazioni illegali... (Ferdinando Gerra, L'impresa di Fiume, Milano, Longanesi, 1966: pag. 540).


Yoga=Unione! Unione di che cosa? Dei nostri principi umani che sono differenziati dalle nostre statiche ovagrigiastre perplessità di artificiosi costruttori di più o meno idiote tavole di valori allo scopo d'insegnamento di quel volapuk delle passioni che è chiamato MORALE. Un certo numero di spregiudicati fiumani si riuniscono per iniziare una potente lotta contro le persone, lotta che sarà vinta dagli individui. (...) Decidono codesti sciagurati che vogliono guarire l'epidermide terrestre dalla noiosa malattia dermosifilopatica chiamata UOMO PERSONALE (...) decidono di insegnare la scienza dell'Amore, cioè della Trasformazione. L'Amore come sensazione, come sentimento, come idea; interpretano la filosofia non come amore della Scienza, ma come Scienza. dell'Amore - decidono di fornire all'uomo il necessario per distruggere il Cielo per dare il Senso iniziatico della Terra. (dal manifesto Fondazione a Fiume della Yoga in Gerra 1966: pp. 482-483)


Zara il volantino[modifica | modifica wikitesto]

I morituri vi salutano. I morituri salutano la Patria vicina e la Patria lontana. Essi dedicano il loro sacrifizio all'avvenire. (...) Il vittoriosissimo Birro della disfatta ammassa intorno a Fiume i suoi Carabinieri. La città è stretta da quei gendarmi che l'antecessore adoperava a schiaffeggiare i mutilati, ad atterrare i martiri sopravvissuti, a calpestare il tricolore. (...) Eia, fratelli! Se sarò colpito nella gola, troverò tuttavia la forza di sputare il mio sangue e di gettare il mio grido. Turatevi gli orecchi con un po' di fango fiscale. Viva l'Italia! . E il 5 dicembre fa lanciare su Zara il volantino Un uomo è perduto. Un uomo resta, (Fiume, 5 dicembre 1920): Che cosa sia la Patria lo sapete voi che per averla, per riaverla, soffrite da quindici mesi tutte le tutte le torture e tutte le miserie (...). Sapete voi quel che è accaduto a Zara? (...) I disertori di Zara hanno percosso col calcio del fucile le popolane urlanti che tentavano di aggrapparsi a loro perché non abbandonassero la città infelice che li aveva ricevuti in ginocchio, che li aveva tenuti in religioso amore, che non aveva mai dubitato del loro giuramento. (...) Udite. Il Governatore della Dalmazia e delle Isole Curzolane, l'Ammiraglio Enrico Millo, il 2 dicembre, in Zara la Santa, ai cittadini del Comitato di salute Pubblica silenziosi e severi, in presenza del generale Taranto e del capitano di vascello Bucci, complici indifferenti, dichiarò di essere intero al servigio del regio Governo. (...) Egli ha risposto: «Obbedisco». Io rispondo: «Disobbedisco». (...) Un uomo è perduto. Un uomo resta. Rinnovelliamo il ritornello della vecchia canzone repubblicana: «Finché ci sieno tre uomini in piedi, ci può essere un regno di meno nel mondo»...


Agli Italiani[modifica | modifica wikitesto]

Agli Italiani (Fiume, Stab. Tip. de «La Vedetta d'Italia», 26 dicembre 1920): . Ci sono di là dall'Adriatico Italiani che, incapaci di sollevarsi e di fare giustizia, sentano almeno la vergogna? (...) O vigliacchi d'Italia, sono tutt'ora vivo e implacabile. E, mentre m'ero preparato ieri al sacrifizio e avevo già confortato la mia anima, oggi mi dispongo a difendere con tutte le armi la mia vita. L'ho offerta cento e cento volte nella mia guerra sorridendo. Ma non vale la pena di gettarla oggi in servigio di un popolo che non si cura di distogliere neppure per un attimo dalle gozzoviglie natalizie la sua ingordigia, mentre il suo Governo fa assassinare con fredda determinazione una gente di sublime virtù come questa che da sedici mesi patisce e lotta al nostro fianco e non è mai stanca di patire e di lottare. Hanno coperto l'assassinio tre giorni di silenzio bene scelti. E nel quarto giorno l'assassinio sarà glorificato.

Dicembre 1920. D'Annunzio con i legionari nei pressi di una barriera a difesa della città . O vecchia Italia, tieniti il tuo vecchio che di te è degno. Noi siamo d'un'altra Patria e crediamo negli eroi.


Era il principio della primavera 1921. Fiume era come un libro aperto, su cui qualcuno abbia interrotto la lettura, e io entrai di colpo in quell'atmosfera, e i miei occhi caddero sulla pagina culminante e drammatica. (...) Fiume era in un regime stranissimo da cui poi la liberò il colpo di dopo le elezioni. Porto Baros era in mano dei legionari, e davanti al porto grande stazionava una nave da guerra, il «Marsala». I bacini del grande porto, deserti, le macchine e le gru inerti come scheletri (...). Ma a Porto Baros quattro bastimenti si vedevano da lontano animatissimi, dal faro sventolava una bandiera tricolore, sulla diga presso il faro la tenda delle sentinelle del presidio assediato, presso la banchina quattro carabinieri di sentinella, e di fronte a loro uno dei legionari del presidio assediato, col fucile, il fez nero, la camicia rossa. Dal «Marsala» ancorato nel porto coi suoi cannoni protesi verso la città, si potevano vedere assai bene con un cannocchiale quelli che chiamavano ribelli. (...) Mi ricordo certi pomeriggi stagnanti in cui dall'Eneo quei disperati facevano sentire lo scoppio delle loro granate a mano che rompevano la monotonia dell'assedio e dell'attesa con le loro innocue esercitazioni. Erano come scoppi di collera. (...) Erano come belve in gabbia, e rifacevano mille volte la strada lungo il bastione del faro. Li comandava il tenente Tonacci. (...) Fiume era stata per qualche tempo il palcoscenico su cui si erano puntati stupiti gli occhi del mondo, e ora si avvolgeva in una inerzia infinita e in una malinconia da esilio. Il dramma creato da D'Annunzio, anche se egli era assente, si svolgeva fino all'ultimo atto. E io vidi quest'ultimo atto una mattina. Sul mare un poco gonfio, navi si delinearono raggiungendo l'orizzonte e non lasciando più che gli avvolgimenti del fumo. Erano le navi che riportavano ad Ancona gli assediati di porto Baros stremati. (...) .

Corrado Alvaro[modifica | modifica wikitesto]

E io non vedevo più le sagome delle navi, ma mi pareva di scorgere gigantesco un cumulo d'uomini sdraiati sul ponte della nave, guardare il mare conteso e la costa di Fiume che tra poco sarebbe stata un ricordo, e verso cui sarebbero tante volte tornati i pensieri, come alle contrade dove si è stati giovani, forti, audaci. (...) Dico che a Fiume in quei giorni non ci si stava bene. La città viveva solo in piazza e in qualche caffè (...). Si continuò così a incollare sulle lettere francobolli con la testa del Comandante e a vedere nei negozi fotografie delle cinque giornate, a guardare le bandiere tricolori esposte alle finestre, in un'aria di aspettazione, e ad osservare con una stanca curiosità i segni della città che divennero famosi nei giornali. (...) Le prime notizie della votazione che risultava favorevole all'autonomia della città, le portò qualcuno con un sorriso storto e il viso livido. (...) Un'automobile piombò sulla piazza, carica d'uomini, e ci si sforzò bene a guardare se quelle aste che portavano in mano erano fucili. Una donna, coi capelli al vento, in piedi tra tutti quei giovani, gridava un grido di guerra, e per quanto ci si sia abituati a vedere codeste cose nei simboli patriottici, tuttavia non si poté fare a meno di pensare al suo sesso che là in mezzo diveniva aspro e nuovo (...). Nelle sale del palazzo dove eravamo entrati a chiedere la verità, v'era una folla di donne e di soldati vestiti da arditi. Una di quelle piangeva davanti a un tavolo da cui eran volate in terra le carte, e uno di codesti soldati gridava afferrandola tra le braccia: «Non piangere. Ci siamo qua noi». (...) Ma quando tentammo di parlare con un capo, un capitano siciliano, compreso dal suo ufficio, ci pregava di aspettare, dicendoci che la situazione era grave, che noi non potevamo telegrafare perché a Fiume c'era l'Italia, che Fiume era contro tutto il mondo, che tutti erano morti, che non esisteva più nulla e nessuno (Corrado Alvaro, «Fiume 1921», in Roma vestita di nuovo, Milano, Bompiani, 1957; pp. 191-198).





== Tra il 1921 e il 1925 i legionari cercheranno senza successo di organizzarsi come forza politica e saranno oggetto, insieme agli arditi, delle rappresaglie poliziesche del governo mussoliniano, subendo pestaggi, perquisizioni, arresti. Proveranno in tutti i modi a coinvolgere il «Comandante» nelle loro iniziative, ma è del tutto evidente che le battaglie parlamentari o associazionistiche non potevano minimamente riguardarlo. da [1]==

stragi nazifasiste Cuneo[modifica | modifica wikitesto]

NAZISTI E FASCISTI WH= Wermacht/ WHP=paracadutisti di reparti Wehrmacht/ BR= 34/ma divisione “Brandenburgo”/ AJ=Alpenjager SS= Shutz Staffen, o Ghestapo/ SSP= paracadutisti delle SS/ HG= divisione SS paracadutisti “Hermann Goering”/ DR= divisione SS “Das Reich”/ AH= divisione SS Leibestendarte “Adolf Hitler”/ RF= 16/ma divisione SS “Reichsfuhrer”/ CO= collaborazionisti cosacchi/ FEL= Feldgendarmerie RSI= reparti militari dell’esercito, tribunale militare speciale, formazioni del PFR, strutture di polizia e corpi speciali della Repubblica di Salò/ CN= Camicie nere/ BN= Brigate nere/ GNR= Guardia nazionale repubblicana/ SSI= SS italiane/ XM= Decima Mas/ Par= paracadutisti fascisti della Nembo in forza alla X Mas/ TA= Legione Tagliamento/ MO= Divisione Monterosa/ FG= Divisione Folgore/ LT= Divisione Littorio/ SM= Divisione San Marco/ CAP= Cacciatori degli Appennini/ ANT= altre formazioni fasciste antiguerriglia/ UPI= Ufficio politico investigativo (polizia segreta del Pfr) / PAI= Polizia Africa Italiana/ GDF= Guardia di Finanza del governo di Salò AREA TERRITORIALE DELL’ECCIDIO CIT= città / MON= montagna / PIA= pianura/ CAM= campagna generica, zona collinare/ COS= zona costiere/ PAD= padule/ EST= estero

VITTIME ud = uomini e donne // udb = uomini, donne e bambini // db = donne e bambini // vb = vecchi e bambini

TIPOLOGIA P = eccidio preventivo per motivazioni militari // R = eccidio per rappresaglia // V = eccidio per odio razziale e/o vendetta contro i soldati italiani, le popolazioni civili e i partigiani ; eccidio dopo processo sommario davanti a un tribunale speciale di Salò o a un tribunale militare tedesco // N = eccidio senza motivazione apparente.


il repubblichino[modifica | modifica wikitesto]

dal sito bersaglieri

«Marco Ruzzi, laureato in lettere moderne ad indirizzo storico contemporaneo all’Università di Torino con una tesi sulla organizzazione politico militare della Repubblica Sociale Italiana, lavora da alcuni anni come ricercatore-archivista presso l’Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Cuneo. Ha preso parte alla ricerca regionale “Partigianato Piemontese e società civile” ed ha pubblicato numerosi articoli, quasi tutti di tematiche militari. Ha curato la pubblicazione del diario partigiano del comandante Raimondo Paglieri. È autore dei saggi: “Garibaldini in Val Varaita 1943-1945. Tra valori e contraddizioni” (ANPI, 1997), “Nascita di una democrazia. Cuneo 1945-1948” (AutAut, 1999) (Istituto Storico della Resistenza di Cuneo, 2001).»

[2]

dal Notiziario istituto storico Resistenza Cuneo e provincia,N°34 Dicembre 1998. titolo del lavoro di Michele Calandri attuale direttore dell'istituto:


Quale onore fedelta' della divisione Monterosa della RSI?Il battaglione Bassano nelle valli Maira e Varaitapag. 141


  • in tale lavoro vengono ricordate le imprese per mantenere l'ordine del Battaglione "Bassano",
  • Adami e' citato esplicitamente come mantenitore di ordine,assieme ad un altro della divisione Littorio,
  • con ben specificato che nonostante i partigiani avessero avuto ,(quando le due divisioni,con altre formazioni nazifasciste,divennero operative ne 1944 ,in accordo con alleati era che avrebbero permesso ai disertori la fuga in Francia)l'indicazione del comando partigiano era di non attaccarle per provocarne sfrangiamenti e disserzioni nel battaglione: e il battaglione per lungo periodo non fu disturbato
  • Di converso l'Adami si distinse,con collega della divisione Littorio (ci son nomi e cognomi) invece per far terra bruciata ai partigiani,preventivamente, compreso il lavoro di infiltrato :in generale il metodo era intimidazioni torture e morti verso i civili,(furono anche finiti partigiani feriti dopo il combattimento,ma questo e' di "minor peso",se vogliamo nell'ottica di quel periodo e delle formazioni nazifasciste ),Adami aveva come uomo di fiducia un malfattore comune che si dedicava alle operazioni di convincere i contadini a non aiutare i partigiani(c'e' anche il nome volendo)che pero' si prese solo otto anni di carcere, questi sono i dati e poi vedete un po' che far della pagina,
  • non e' difficile pensare che questo era un criminale di guerra oppure collegato a personaggi e/od ad azioni cosi' considerate in quanto vennero uccisi civili disarmati,prigionieri feriti,prigionieri consegnati ai tedeschi e finiti in campo di concentramento e non piu' ritornati(ci sono i nomi)

da fare istituto resistenza cuneo mi serve per Verzuolo [3] [4] [5] [6]

«Gli alpini della Monterosai vennero addestrati in Germania, come gli alpini della divisione Littoria, Italia e San Marco. Venne addestrato lo stesso Pavan (Pavan era il crudele tenente Adani di Perugia aveva preso questo nome per cammufarsi assieme ai partigiani), ricordato ancora oggi nella valle per l'astuzia e la crudeltà col quale compiva le operazioni militari. Molti ricordano che interrogava col famoso "pugno di ferro", andava presso le cartiere Burgo a prendere i padri dei partigiani per portarli a piedi a Costigliole a subire estenuanti interrogatori. Quando la guerra è ormai persa cercherà di fuggire ma verrà catturato e giustiziato dopo processo popolare presso le caserme "Musso" di Saluzzo.»

«Vidi anche quando uccisero il sergente amico di Pavan,c'era anche un compaesano,ora morto,che aveva nello stomaco ancora il foro del moschetto col quale l'avevano torturato…fattostà che lo presero due russi e lo fucilarono al cimitero. Pavan so che solo Bellini non lo toccò quando lo catturarono,gli altri gliene darono tante prima di ammazzarlo."»

«Il 21 agosto 1944 la Val Varaita venne attaccata da ingenti forze corazzate tedesche appoggiate da due aerei. Una bomba colpì in pieno l'abitazione della sorella che rimase uccisa assieme ad altri 5 familiari. Nella notte del 19 ottobre 1944, cento tedeschi, detti il "Corpo dei Marescialli" circondarono due baite della Masueria, guidati da una spia fascista che si era infiltrata nel Distaccamento Savorgan 5 mesi prima, allo scopo di riscuotere la taglia che gravava sul Comandante Elio e sul Medico della Brigata dott. Gian Piero Balassi, i quali, per essere stati chiamati altrove, non pernottarono quella notte in quel Distaccamento. Tre partigiani caddero sul posto e due furono bruciati, feriti ma ancora vivi, assieme alla baita. Gli altri furono deportati nei campi di sterminio, eccetto Silvestro Michele, classe 1914, di Cavallino (Lecce), che venne massacrato fino alla morte nelle carceri di Saluzzo. Il 6 marzo 1945 la Compagnia antipartigiana del famigerato ten. Pavan, sorprendeva e uccideva barbaramente il Comandante della Brigata Ernesto Casavechia, il Commissario Giorgio Minerbi e altri 7 Garibaldini.»

          • tanto per chiarire ai le parti in neretto son mie considerazioni personali che serviranno a modificare la pagina,come mi e'stato da piu' parti richiesto .

Adriano Adami, noto anche come Pavan, (Perugia 1922 - Saluzzo 1945) è stato Tenente nella Divisione Alpini Monterosa dell'esercito della Repubblica sociale italiana.

Inserire storia breve del battaglione Bassano del Monterosa e del Littorio,con la sintesi delle loro operazioni in zona:specificando sopratutto che per un errore del comando partigiano,desumo,per un lungo periodo fu vietato di attaccare i contingenti italiani sperando,come avenne per Genova,fra l'altro,nella defezione dei soldati che avrebbero avuto confine aperto per fuga in Francia tramite accordo con alleati,quindi l'Adami non fu "provocato" come si desume dal testo,ma se le ndava acercare le rogne,era considerato tanto coraggioso e spregiudicato quanto crudele

Nacque a Perugia da una famiglia con trascorsi militari, frequentò sotto il fascismo l'Università sino a quando, nel corso della seconda guerra mondiale si arruolò nel regio esercito per andare a combattere in Croazia con il grado di sottotetenente nel 1941.

Dopo l'8 Settembre 1943 aderì alla Repubblica sociale italiana. La sua scelta, e quella dei tanti giovani trovatisi nelle stesse situazioni, può essere descritta dalle parole dell'ex-deputato e dirigente comunista Giorgio Amendola (Lettere a Milano, Ricordi e documenti, 1939-1945, Roma 1973, pag. 176 sg.):

«Ma vi era, certamente ristretta, ma più impegnata, anche l'adesione di gruppi di giovani che avevano assistito con disgusto al crollo delle loro speranze...e che avevano subito come un oltraggio il cinico doppio giocho praticato dalla monarchia e da Badoglio, e quello che appariva il tradimento degli impegni ancora rinnovati con l'alleato tedesco. Era tuttavia percepibile...fin dai primi giorni, una motivazione di carattere ideale, la volontà di rivincita su tutte le capitolazioni, un disperato bisogno di finire in modo da riscattare le viltà e i tradimenti.»

da togliere in quanto reputo sia citata a sproposito la citazione visto il personaggio di cui stiamo parlando,per me e' tutta la citazione a sproposito visto anche chila ha scritta,considerazione personale ma suffragabile in quanto i fascisti della RSI alleati dei nazisti applicavano come metodo di deterrenza la tortura verso i civili ed i prigionieri le bande partigiane,no,in quanto non c'era se vogliamo metterla squallidamente sul pratico nessun bisogno di detterreanza :i nazisti erano gia' abbastanza odiati e quindi ben poco aiutati dalle popolazioni Combatté nelle Alpi tra la Liguria ed il Piemonte, distinguendosi subito per le proprie capacità, tanto da divenire, così giovane, tenente di una divisione del neo costituito esercito della R.S.I. (fusosi con la Guardia nazionale repubblicana nell'Agosto del '44) ed unico responsabile di una vasta zona di operazioni durante tutto l'autunno ed inverno del 1944-1945,non era l'unico responsabile delle operazioni,specificare . Alla testa di un reparto esiguo e mal equipaggiato si occupava di un ampio territorio del cuneese comprendente i comuni di Sampeyre, Casteldelfino, Pontechianale, Costigliole Saluzzo, Brossasco e Venasca,comprendeva anche altre zone debbo controllare. Il suo compito era quello di perlustrare ed assicurare le retrovie, contrastando le azioni di disturbo dei partigiani locali, che audacemente si spingevano fin nei centri abitati per scardinare il sistema difensivo italo-tedesco il suo compito era di disuadere i locali ad aiutare i partigiani col mezzo della coercizione tortura compresa. A lui vennero affidate anche missioni di spionaggio con il nome di battaglia di Pavan.[1] La spietata logica della guerra civile,' spinse purtroppo i giovani di entrambi gli schieramenti, a versare sangue italiano.non fu guerra civile ed e' dimostrabile in gergo militare;inutile star a discutere se qualche imbeccile revisionista di sinistra a cominciato a chiamarla figuriamoci i fascisti cosi

Tali rastrellamenti avevano però reso l' Adami particolarmente inviso al C.L.N.A.I. ed alle popolazioni locali come e' stato giustiziato secondo alcune testimonianze lo dimostra, tanto che furono indette delle vere e proprie cacce all'uomo per scovarlo,fu beccato mentre scappava si buon modificare o lasciar cosi'. Pochi giorni dopo il definitivo termine delle ostilità,pare che le ostilita' non fossero ancora cessate ma debbo capirlo meglio,ma comunque ha poca importanza,non e' che col 25 Aprile tutto a posto e nessuno ha piu' sparato fu fatto prigioniero nei pressi di Crissolo e, dopo essere stato processato e condannato, venne fucilato alla schiena il 2 Maggio insieme ad altri commilitoni. Secondo fonti di parte antifascista l'Adami fu processato e giustiziato perché aveva particolarmente infierito sui gruppi della Resistenza.[2] La sua persona fu rispettata dai partigiani, né fu sottoposto a tortura prima di morire, purtuttavia, secondo fonti di parte fascista, alcuni popolani, dopo l'esecuzione, si accanirono sul suo cadavere, sfigurandolo.[3] Da fonte di testimoni non fu fatta offesa al cadavere ma fu pestato da un gruppo di cui faceva parte uno che adami aveva torturato ed era sopravissuto nonostante gli ordine del comandante,citare il nome ,di fucilarlo subito ,l'intervento di 2 soldati partigiani russi che hanno proceduto alla fucilazione ha interotto il possibile linciaggio --Lupo rosso 12:35, 21 mag 2007 (CEST)

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Enciclopedia dell'antifascismo in VI volumi, Diretta prima da Pietro Secchia, poi da Enzo Nizza e curata da Ambrogio Donini,Celso Ghini, Pietro Grifone, Enzo Collotti ed Enzo Nizza, pag. 811, Milano 1976.
  2. ^ .Da fonte di persunti testimoni non fu fatta offesa al cadavere ma fu pestato da un gruppo di cui faceva parte uno che adami aveva torturato ed era sopravissuto nonostante gli ordine del comandante,citare il nome di fucilarlo subito ,l'intervento di 2 soldati partigiani russi che hanno proceduto alla fucilazione ha interotto il possibile linciaggio Enciclopedia dell'antifascismo Vol III cit.
  3. ^ Il processo fu celebrato in data 2 Maggio ed alle cinque del pomeriggio Adami ed altri quattro vengono fucilati alla schiena. ma non basta, al tenente Adami viene riservato un trattamento particolare...la marmaglia(marmaglia un Belin)...sfoga i suoi istinti a calci e bastonate sul corpo privo di vita...( Da: Il Male assoluto di Liliana Peirano, Mondovì 1998, pag.78.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Pietro Secchi, Enzo Nizza (Direttori); Ambrogio Donini, Celso Ghini, Pietro Grifone, Enzo Collotti ed Enzo Nizza (curatori), Enciclopedia dell'Antifascismo, Milano 1976
  • Liliana Peirano Il male assoluto, Mondovì 1998.
  • Notiziario istituto storico resistenza in cuneo e provincia,2 semestre 1988 direttore Michele Calandri,saggio:quale " onore e fedelta'"della divisione Monterosa della RSI?Il battaglione Bassano nella valli Maira e Varaita, di Michele Calandri pag. 141

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]


Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Pietro Secchi, Enzo Nizza (Direttori); Ambrogio Donini, Celso Ghini, Pietro Grifone, Enzo Collotti ed Enzo Nizza (curatori), Enciclopedia dell'Antifascismo, Milano 1976
  • Liliana Peirano Il male assoluto, Mondovì 1998.
  • Notiziario istituto storico resistenza in cuneo e provincia,2 semestre 1988 direttore Michele Calandri,saggio:quale " onore e fedelta'"della divisione Monterosa della RSI?Il battaglione Bassano nella valli Maira e Varaita, di Michele Calandri pag. 141

Aproffondimenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

occorre aggiungere l'indirizzo del quadro sinottico delle stragi nazifasiste in Italia dell'universita' di Pisa in cui ben compaiono i nomi del Littorio e del Monterosa e cio' estrettamente i tema con l'argomento