Strage della cartiera di Mignagola

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Strage della cartiera di Mignagola
Tiporappresaglia
Dataaprile - maggio 1945
LuogoMignagola di Carbonera (TV)
StatoBandiera dell'Italia Italia
ObiettivoPresunti fascisti e militari della RSI
ResponsabiliPartigiani delle Brigate Garibaldi
Motivazioneepurazione
Conseguenze
Mortinumero incerto

La strage della cartiera di Mignagola fu perpetrata da elementi partigiani delle Brigate Garibaldi tra il 27 aprile e i primi giorni del maggio 1945, nella frazione di Mignagola, comune di Carbonera (Treviso) ai danni di numerosi militari della Repubblica Sociale Italiana e di civili fascisti o presunti tali rastrellati nella zona. I corpi rinvenuti occultati nei dintorni della cartiera di Mignagola furono 83,[1] senza tener conto di quelli uccisi altrove o gettati nel fiume Sile.

La strage della cartiera[modifica | modifica wikitesto]

Gli avvenimenti[modifica | modifica wikitesto]

Un gruppo di partigiani delle Brigate Garibaldi, negli ultimi giorni di guerra, predispose alla "Cartiera Burgo" di Mignagola di Carbonera (Treviso) un centro di detenzione improvvisato dove furono incarcerate e spesso uccise numerose persone, molte delle quali civili; alcune di esse furono torturate in modo efferato, e un centinaio furono uccise. Secondo alcuni autori e testimoni, non tutti i corpi sarebbero stati ritrovati, perché occultati, sotterrati in luoghi nascosti, bruciati nei forni della cartiera o sciolti nell'acido, gettati nei fiumi, in particolare nel Sile[2]. Come infatti racconterà molti anni dopo il (22 ottobre 2007) l'ex partigiano Aldo Tognana a Il Gazzettino:

«Quando sono scesi i partigiani dal Cansiglio e dalle montagne sono incominciate le retate. Una mattina passo il ponte di Santa Margherita e non c'era più nemmeno il parapetto del Sile. Era tutto sporco di sangue, di notte avevano portato lì prigionieri fascisti e non e li avevano uccisi e gettati nel fiume.»

Le maggiori efferatezze avvennero all'interno della cartiera, dove il comando era affidato a Gino Simionato, detto "Falco". I responsabili dell'eccidio sarebbero stati appartenenti a due brigate partigiane Garibaldi. Il comando fu inizialmente posto il 26 aprile 1945 a villa Dal Vesco, i cui tre proprietari erano stati assassinati in febbraio. Vennero creati dei posti di blocco nella strade. I fascisti, le persone sospette, militari della RSI sbandati, civili della zona più o meno compromessi con il regime fascista, possidenti locali compromessi con il passato regime, venivano inizialmente interrogati, talvolta torturati. Successivamente venivano spostati nella cartiera Burgo di Mignagola, dove era arrivata il 26 la seconda brigata.

La banda Collotti[modifica | modifica wikitesto]

Il 27 aprile era stato sequestrato ad un posto di blocco a Olmi di San Biagio di Callalta (TV) un autocarro e una automobile con sette persone, ovvero la cosiddetta "banda Collotti" che faceva capo al commissario di PS Gaetano Collotti, protagonista a Trieste della repressione antipartigiana, portata avanti con indicibili nefandezze e crudeltà, e di ammiccamenti con personaggi legati agli angloamericani, tra loro c'era anche l'amante di Collotti, in attesa di un figlio. Tutti furono portati alla Cartiera di Mignagola. I partigiani li eliminarono, compresa la donna incinta.

L'intervento del clero[modifica | modifica wikitesto]

Il giorno 29 aprile, domenica, il sacerdote don Giovanni Piliego si recò alla cartiera per confessare i prigionieri. Ma il giorno dopo apprese che vari prigionieri visitati il giorno prima erano stati fucilati. Il prete andò il giorno stesso dal vescovo di Treviso, informandolo di quel che aveva visto e chiedendogli di intervenire.[4][5][6]

L'intervento dell'esercito americano[modifica | modifica wikitesto]

Il sottotenente della Guardia Nazionale Repubblicana Luigi Lorenzi fu crocifisso a due tronchi di legno. Prima di spirare disse: "La croce che Gesù ha portato non può fare paura a un cristiano"[7].

Lo stesso giorno 30 una jeep americana con tre militari arrivò alla cartiera ordinando la cessazione delle attività. In seguito all'intimazione degli americani, la situazione si modificò alquanto, e il giorno 1º maggio il comando della prima brigata fu spostato all'asilo parrocchiale di Carbonera. Tuttavia gli arresti le torture e le uccisioni sarebbero continuati ancora nei locali della cartiera Burgo. Nei giorni successivi furono uccisi: Galli Ilio (4 maggio), Linari Umberto (1º maggio), Menegaldo Angelo (2), Scarano Rocco (3),Spinelli Enzo (3), Bellio Giacomo Arturo (7), Zamboni Luigi (5), Testa Mario (4), Vocialta Guido (3), Sartori Giovanni B. (8), Mollica Giuseppe e Monaco Nicola (primi di maggio), Morani Benito (8), Pianca Emilio (primi di maggio), Polesel Antonio (3). Il sottotenente Lorenzi Luigi della Guardia Nazionale Repubblicana fu ucciso l'8 maggio[8][9]. Il milite diciottenne della Guardia Nazionale Repubblicana Tullio Fontebasso fu ucciso il 3 maggio nella cartiera Burgo dopo un processo sommario.[10]

L'atteggiamento dei partigiani di "Falco" lascia intendere una supposta garanzia di impunità che il partigiano Romeo Marangon "Andrea" arrivò a definire come una sorta di Carta bianca della durata di cinque giorni[11].

L'intervento del CLN[modifica | modifica wikitesto]

I 6 partiti impegnati nella liberazione erano uniti nel CLN. Tuttavia il CLN aveva una funzione politica, non militare. Sul piano militare svolgeva una funzione di indirizzo, i 6 partiti (più il Partito Repubblicano che non faceva parte del CLN) avevano proprie strutture militari con una propria gerarchia, ma i rapporti con le formazioni partigiane combattenti non erano sempre facili e lineari. Il CLN ordinò un'inchiesta, estesa anche ai fatti della strage di Oderzo. A seguito dell'inchiesta il CLN, a eccidi ultimati, il 30 maggio 1945 ordinò a Ennio Caporizzi, comandante della piazza militare di Treviso, l'espulsione dalle sue file del partigiano comunista Gino Simionato detto "Falco" e poi spiccò nei suoi confronti un mandato di arresto.[12]. Prosciolto nel processo relativo ai "fatti della Burgo", fu invece condannato per l'uccisione del fascista Antonio Chinellato e per furto. Rimase in carcere dal 1946 al 1954, poi emigrò in Francia e successivamente si stabilì a Valmadonna di Alessandria sotto la protezione del Partito comunista locale.[13]

Il processo[modifica | modifica wikitesto]

Contro gli autori della strage fu istruito un processo già nell'estate del 1945 sollecitato dai familiari delle vittime. La Legione territoriale dei carabinieri di Padova, stazione di Treviso inoltrò allora un dettagliato rapporto al Tribunale civile e Penale di Treviso in cui si indicavano i luoghi in cui presumibilmente, secondo le testimonianze raccolte, erano stati occultati i corpi di numerosi fascisti.[14]

Le indagini risultano difficoltose fin dal principio a causa della reticenza di molti testimoni, tanto che un rapporto dei carabinieri riportò: Nessuno vuole parlare...tutti sono terrorizzati, perché i colpevoli sono in circolazione... coloro che potrebbero dare preziose notizie, vivono ancora sotto l'incubo della rappresaglia[15]

Il 5 gennaio 1948, il parroco di Carbonera, don Ernesto Dal Corso fu chiamato a deporre davanti al giudice istruttore Aldo Loasses circa i fatti cui aveva assistito durante le visite alla cartiera Burgo:

«La maggior parte delle uccisioni avvenne dietro una specie di processo presenziato da tali Polo Roberto, Sponchiado Antonio, Brambullo Giovanni, Zancanaro Silvio, Trevisi Gino... Ho potuto apprendere dallo stesso Sponchiado che alle ore 16 del 30 aprile era giunto l'ordine perentorio degli alleati di sospendere ogni esecuzione. Successivamente, invece, tale Simionato Gino ha ammazzato un numero di 37 persone, dicono, a colpi di badile.»

Il 18 dicembre 1948, i carabinieri della stazione di Silea inviarono al giudice Loasses un rapporto in cui indicavano i presumibili componenti del tribunale del popolo istituito nella cartiera Burgo (tra cui Polo Roberto (Tedesco), Caldato Marcello (Sauro), Sponchiado Antonio (Fortunello))[17].

Il 31 marzo 1949, il partigiano Marcello Caldato detto "Sauro" così testimoniò circa il proprio coinvolgimento nei fatti e sulle azioni criminose commesse da Gino Simionato "Falco":

«Dopo che dal comando Piazza di Treviso era venuto l'ordine di sospendere le esecuzioni, credo che non ne siano più state fatte, anzi in cartiera lo posso escludere, fuori non lo posso sapere. Delle uccisioni fatte dal Falco, posso dire quanto mi è stato riferito, perché, se ben ricordo, i fatti sono avvenuti nel pomeriggio del 28; non posso dire se tale data sia precisa. Mi è stato riferito che nel pomeriggio sono venuti in cartiera Falco, Barba (Chiarin Enrico) e altri partigiani con un'autoblinda, reduci da un combattimento sostenuto a Monastier, dove era stato ucciso un cugino di Barba e un fratello di Falco i quali chiesero se ci fossero persone già condannate da fucilare. Fu loro detto di no e che invece che c'erano 15 elementi della GNR che si erano arresi alla caserma Salsa, dopo aver consumato tutte le munizioni e dopo aver ucciso, sparando, il partigiano Laganà e ferito un altro partigiano che si avvicinavano alla caserma con bandiera bianca per intimare la resa. Mi fu detto che Falco, Barba e qualche altro entrarono nello stanzone dove erano rinchiusi e li fecero fuori a colpi di Sten... »»

Ancora il 7 luglio 1949, il partigiano Marcello Ranzato testimoniò circa gli avvenimenti che si svolgevano all'interno della cartiera, in particolare circa lo svolgimento dei processi sommari e le relative fucilazioni:

«All'epoca della liberazione mi trovavo alla cartiera di Burgo in qualità di partigiano. Posso dire che a cura della brigata Wladimiro erano stati armati parecchi volontari col compito precipuo di disturbare i movimenti delle colonne tedesche in ritirata e di far prigionieri tedeschi e fascisti. Tutti i prigionieri venivano portati in cartiera: i tedeschi senza che loro venisse torto un capello venivano custoditi nel garage; i fascisti invece in altri locali del pianterreno degli uffici della cartiera. Questi venivano bastonati e seviziati, tanto che alle volte udivo urla e rumore di percosse. Venivano anche fatti processi sommari nei quali so che fungeva da giudice certo Sauro (Marcello Caldato) e Polo (Roberto), e altri dei quali mi sfugge il nome. Ho sentito dire che se gli imputati non erano rei confessi, venivano percossi. Poi gli imputati venivano portati fuori dove, alla massa dei partigiani che subito si affollavano intorno ad essi, Polo leggeva il capo d'imputazione e quindi chiedeva quale fosse la pena da infliggere. In genere dalla massa partivano grida di "A morte!". Preciso che a questo scopo i partigiani venivano adunati a suon di tromba. Dopo le condanne, o si trovavano volontari per formare il plotone di esecuzione, oppure venivano fuori i capi che eseguivano la sentenza. Qualche volta Roberto Polo rampognava i partigiani -se non si presentavano- per il poco coraggio che dimostravano. Anche Simionato Gino (Falco) era uno dei più attivi seviziatori e percuoteva le sue vittime con zappe o badili nelle ore notturne.»

Il 20 dicembre 1949, il fascista Egidio Callegari, superstite della cartiera Burgo, testimoniò circa l'uccisione dell'ausiliaria Armida Spellanzon:

«La signorina fu coperta di improperi, ingiurie ed altro. Le fu detto che, piuttosto che fare l'ausiliaria, sarebbe stato meglio fare la troia. Successivamente fummo prelevati e portati al comando dei partigiani nella cartiera Mignagola. Lì fummo separati: lei in una stanza e io in un'altra. Qui subimmo un altro interrogatorio dal comandante "Sauro" (Marcello Caldato). Io ebbi in seguito il permesso di uscire, la signorina no. Questa fu prelevata e portata in uno stanzone; fu messa insieme ad altre persone che colà attendevano. Qui furono tutti trucidati; potevano essere in tutto una quindicina. Intesi i colpi di mitra. Prima della sparatoria intesi una voce che gridava "Tutti a morte", seguita da un urlo emesso immagino, dalle persone rinchiuse nello stanzone. Sentii distinta la voce della signorina: "No, no!". Dopo non sentii altro.»

La sentenza[modifica | modifica wikitesto]

Il processo ebbe conclusione il 24 giugno 1954 con l'assoluzione in istruttoria degli imputati, infatti, dopo aver appurato i fatti criminosi e gli autori degli stessi, si ritenne corretto "non doversi procedere" poiché gli omicidi avvennero nel corso della guerra di liberazione e che quindi ricadessero nell'Amnistia Togliatti. Segue il testo della sentenza del Giudice istruttore di Treviso Favara:

«1 Simionato Gino detto "Falco" alias "Buriccio" di Luigi e di Emma Borgo, nato il 7.XI.1920 a Preganziol e ivi residente;
2 Ignoti
Imputati di omicidio volontario ai sensi dell'art. 575 C.P. in relazione all'art. 81 cpv. C.P. e per taluni casi anche art. 61, n. 4 C.P. per avere negli ultimi giorni di aprile ed i primi di maggio 1945, in Mignagola e in altre località del mandamento di Treviso, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, adoperando talvolta sevizie o agendo con crudeltà, cagionato la morte delle seguenti persone, catturate nel corso dei ripetuti rastrellamenti compiuti da formazioni partigiane impegnate nella lotta contro i fascisti o altri collaborazionisti dei tedeschi invasori o ritenuti tali:
1) Vocialta Guido, 2) Frasson Narciso, 3) Pessot Angelo, 4) Tiveron Antonio, 5) Schileo Carlo, 6) Saccani Francesco, 7) Polesel Benvenuto, 8) Pianca Emilio, 9) Monaco Nicolò, 10 Collotti Gaetano, 11) Paccon Bruno, 12) Reffo Vasco, 13) Speranzon Armida, 14) Scarano Rocco, 15) Spinelli Enzo, 16) Facco Mario, 17) Poggi Mario, 18) Menegaldo Angelo, 19) Mion Luigi, 20) De Biasi Candido, 21) Mion Pietro, 22) Fontebasso Massimo, 23) Fontebasso Tullio, 24) Faccini Teseo, 25) Carniato Rino, 26) Testa Mario, 27) Galli Illio, 28) Lorenzi Luigi, 29) Faedi Antonio, 30) Brunelli Guido, 31) Annichiarico Fedele, 32) Bellio Giacomo, 33) Muffato Ferdinando...
Per quanto sia altamente deplorevole la indiscriminazione con cui taluni partigiani o patrioti ebbero a sfogare la mal repressa rabbia, troppo spesso senza accertarsi prima della colpevolezza dei singoli individui rastrellati, fra i quali si trovavano certamente giovani aderenti al movimento contrario non per loro volontà, bensì per necessità o per costrizione; per quanto ripugni il pensiero che questi ultimi abbiano meritato di avere la vita stroncata, per mere apparenze e presunzioni, alle volte fallaci, resta pur fuori discussione l'intenzione, offuscata sia pure da torbide passioni di parte, mirante alla rappresaglia e allo sterminio contro chi direttamente o indirettamente aveva prestato il proprio braccio o la propria mente al servizio del nemico invasore e quindi estranea a ogni motivo o fine di vendetta personale non politica.
P.Q.M. visto gli art. 378,591 C.P.P., 151 C.P. e 2 e 4 N.1D.P. 22-6-1946, n.4 e 1 comma primo D.L.L. 17-XI-1945, n.719, sulle conformi conclusioni del P.M. dichiara non doversi procedere a carico degli imputati indicati in epigrafe in ordine ai reati loro rubricati, perché estinti per effetto amnistia.
Treviso, 24 giugno 1954
Il Giudice Istruttore Favara»

Il numero delle vittime[modifica | modifica wikitesto]

I metodi usati per eliminare i cadaveri non permisero un accertamento del numero delle vittime. Vi sono fonti contrastanti: un sopravvissuto, maresciallo della Guardia Nazionale Repubblicana, parlò di 2000 fascisti internati di cui 900 fucilati[22]; il parroco di Carbonera parlò invece di 92 vittime uccise nel giro di 10-12 giorni. La stessa cifra è riportata nelle relazioni della polizia allegate agli atti del processo.[23] Al di là dei numeri riportati dalle testimonianze, i corpi occultati e successivamente rinvenuti nei dintorni della cartiera di Mignagola furono 83.[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45, Deposizione del maresciallo Carlo Pampararo al giudice istruttore Aldo Loasses il 24 marzo 1949: "Al momento della esumazione avvenuta nel giugno 1945, erano state predisposte 125 casse, delle quali sono state adoperate solo 83"
  2. ^ Ives Bizzi, la Resistenza nel trevigiano - 7 - Giacobino Ed., Treviso, 2003, pag. 114 - Testimonianza di Gianni Zonta
  3. ^ Il Gazzettino, 22 ottobre 2007
  4. ^ Giorgio Morlin, La Chiesa di Treviso dall'8 settembre 1943 al 18 aprile 1948, pag 299: "Nella Cartiera Burgo a Mignagola di Carbonera, nell'ultima settimana di aprile viene messo in piedi uno di questi pseudo-tribunali. Per 3 o 4 giorni si susseguono le uccisioni a ritmo serrato, seminando il terrore tra la popolazione del territorio, all'insaputa del CLN di Treviso. Su pressione anche del vescovo Mantiero, fortunatamente gli Alleati intervengono per mettere fine al caos e alle uccisioni indiscriminate".
  5. ^ Archivio diocesano di Treviso, busta 7 fogli 10 e 11, lettera inviata il 30 aprile: "Mi giunge notizia dei fatti di sangue avvenuti nella passata notte. Mi permetto di richiamare l'attenzione della S.V. e di tutto codesto spettabile comitato di Liberazione perché sia posta ogni vigilanza affinché la gioia di questi giorni non sia turbata da altro spargimento di sangue fraterno. La giustizia perché sia data, deve seguire le vie della legalità e serenità"
  6. ^ Archivio diocesano di Treviso, busta 7 fogli 10 e 11, lettera di risposta inviata anch'essa il 30 aprile: "Il Comitato di Liberazione Nazionale e il comando militare concordano perfettamente con le idee espresse nella lettera stessa e deprecano quanto è avvenuto nella scorsa notte e assicurano di aver rinnovato disposizioni severissime già impartite, perché nessun ulteriore incidente debba turbare l'ordine pubblico"
  7. ^ Giano Accame, La morte dei fascisti, Mursia, 2010, Milano, foto tra le pagg. 182-183
  8. ^ Registro dei morti Comune di Carbonera
  9. ^ Ernesto Brunetta, 1945: La cartiera Burgo e la guerriglia in pianura, Istresco, Treviso 2009
  10. ^ Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45, Deposizione dei partigiani Attilio Sartor 1º luglio 1948 e Luigi Grava 2 luglio 1948
  11. ^ Ives Bizzi, la Resistenza nel trevigiano - 8 - Giacobino Ed., Treviso, 2003, pag. 102 - Testimonianza del partigiano Romeo Marangon "Andrea": "Dopo la liberazione abbiamo avuto cinque giorni di carta bianca. Abbiamo continuato gli arresti. Gli arrestati li abbiamo portati in parte al Pio X, dove erano stati costituiti tribunali partigiani. Un altro tribunale era in Prefettura. In Italia esisteva ancora la pena di morte e così quella parte di fascisti maggiormente responsabile veniva processata ed ognuno pagava le proprie colpe. Una parte, quella meno responsabile, è stata portata in carcere, gli altri più colpevoli, rei confessi, sono stati passati per le armi nel poligono di tiro di Breda di Piave. Cessati i giorni di Carta bianca , sono iniziati i processi in tribunale
  12. ^ Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45, lettera di Ennio Caporizzi, comandante della piazza militare di Treviso al comando militare alleato, ai carabinieri e al CLN di Treviso: "Oggetto. Cattura ex Patriota "Falco". Comunico che l'ex Patriota Simionato Gino detto "Falco" è stato espulso dal Corpo Volontari della Libertà. Attualmente è ricercato, per ordiner di questo comando zona, da tutte le brigate dipendenti a causa dei vari reati da lui commessi".
  13. ^ Ernesto Brunetta, 1945: La cartiera Burgo e la guerriglia in pianura, Istresco, Treviso 2009; Antonio Serena, La cartiera della morte, Mursia, Milano, 2009; Antonio Serena, I giorni di Caino, Panda, Padova, 1990, testimonianza del figlio del "Falco"
  14. ^ Legione territoriale carabinieri di Padova, stazione di Treviso, Rapporto n° 14 firmato dal maresciallo Mario Pastro, Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45: Nei pressi della cartiera di Carbonera, nel campo di certo Romeo, risultano sepolti, in una fossa comune, cinque cadaveri; nell'appezzamento di terra sito dietro la chiesa di Mignagola sono sepolti tre cadaveri; nel cimitero di Pezzan di Carbonera, un cadavere; nelle immediate adiacenze dell'abitato di Mignagola risulterebbe sepolto un numero rilevante di cadaveri che il parroco del luogo vorrebbe far ascendere a un centinaio; tra i comuni di Breda e Maserada risulterebbero sepolti in un campo di granoturco circa trenta cadaveri.|Rapporto dei carabinieri alla Procura in seguito alle denunce dei familiari
  15. ^ Legione territoriale carabinieri di Padova, stazione di Fiera di Silea, Rapporto n° 146, 30 ottobre 1946, firmato dal brigadiere Carlo Pampararo, Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45
  16. ^ Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45, Deposizione del parroco di Carbonera don Ernesto Dal Corso al giudice istruttore Aldo Loasses datato 5 gennaio 1948
  17. ^ Legione territoriale carabinieri di Padova, stazione di Silea, Rapporto n° 192 indirizzato al giudice istruttore Aldo Loasses datato 18 dicembre 1948, Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45: "Pare componessero il famoso tribunale del popolo di Mignagola i sottonotati: Polo Roberto (Tedesco), Caldato Marcello (Sauro), Sponchiado Antonio (Fortunello), Boschin Egidio (Macario). Erano anche comandanti o capi i sottonotati; Pagnossin Domenico e Torresan Ernesto
  18. ^ Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45, Deposizione di Marcello Caldato "Sauro" al giudice istruttore Aldo Loasses datato 31 marzo 1949
  19. ^ Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45, Deposizione di Marcello Ranzato al giudice istruttore Aldo Loasses datato 7 luglio 1949
  20. ^ Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45, Deposizione di Egidio Callegari al giudice istruttore Aldo Loasses datato 20 dicembre 1949
  21. ^ Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45, Sentenza del giudice istruttore Favara datato 24 giugno 1954
  22. ^ Tribunale civile e Penale di Treviso, fasc. proc. 487/45, Deposizione del maresciallo Carlo Pampararo al giudice istruttore Aldo Loasses il 24 marzo 1949
  23. ^ Ernesto Brunetta, 1945: La cartiera Burgo e la guerriglia in pianura, Istresco, Treviso 2009; Antonio Serena, La cartiera della morte, Mursia, Milano, 2009; Antonio Serena, I giorni di Caino, Panda, Padova, 1990

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]