Antonio Neirotti

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(Reindirizzamento da Antonio Neyrot)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Beato Antonio Neirotti
 

Beato

 
Nascita1423-1426, Rivoli
Morte10 aprile 1460, Tunisi
Venerato daChiesa cattolica
Beatificazione22 febbraio 1767
Santuario principaleSantuario della Madonna della Stella, Rivoli
Ricorrenza10 aprile

Antonio Neirotti o Antòni Neyrot (Rivoli, 1423-1426Tunisi, 10 aprile 1460) è stato un religioso italiano morto martire e proclamato beato il 22 febbraio 1767 da papa Clemente XIII. La sua memoria liturgica si celebra il 10 aprile.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

I documenti per la prima volta lo menzionano come postulante domenicano nel convento di San Marco di Firenze, dove fu accolto nell'ordine da Antonino Pierozzi, futuro santo.

A Firenze affrontò con impazienza[1] gli studi teologici con cui i frati si preparavano alla predicazione. L'importante biblioteca allestita da Antonino Pierozzi nel convento di San Marco conteneva opere in latino, greco, ebraico, arabo, “caldeo” e il convento di San Marco era uno dei centri di irradiamento della cultura araba in Italia[2], sicché è possibile che Antonio Neirotti abbia appreso la lingua araba a Firenze.

Richiese di essere trasferito in Sicilia, ma il priore Antonino Pierozzi si oppose e poté recarsi in Sicilia solo dopo aver fatto ricorso alla Santa Sede nella seconda metà degli anni 1450[1]. Nell'agosto del 1458 in viaggio di ritorno da Palermo a Napoli, cadde prigioniero del pirata berbero Ab ‘Umar ‘Uthmn (1435-1488), che lo condusse a Tunisi. Qui fu riscattato da un mercante genovese, ma nell'aprile del 1459 apostatò e prese moglie, e si dedicò alla traduzione del Corano, con l'aiuto di un interprete, dall'arabo al latino o all'italiano. Del suo tentativo di traduzione, che sarebbe il primo in italiano, non rimangono tracce.[3]

Dopo qualche mese si pentì della conversione all'Islam e, rifiutando le lusinghe dei maomettani, volle abiurare pubblicamente l'Islam e tornare al cristianesimo. Secondo fonti agiografiche, il ritorno al Cristianesimo sarebbe avvenuto in seguito all'apparizione di Antonino Pierozzi, che era deceduto l'anno prima.[4]

Fu perciò lapidato in una piazza di Tunisi il 10 aprile, giovedì santo, 1460. Dopo un tentativo di bruciare il corpo, il cadavere fu trascinato per le strade della città e infine abbandonato fra le immondizie.[4]

Culto[modifica | modifica wikitesto]

Dopo il martirio le spoglie di Antonio Neirotti furono riscattate da mercanti genovesi. Dopo la preparazione e il lavaggio della salma, si sarebbero accorti che emanava un gradevole profumo e la riportarono a Genova. Per interessamento di Amedeo IX di Savoia, futuro beato, nel 1469 i resti furono traslati da Genova a Rivoli e qui custoditi e venerati nella collegiata di Santa Maria della Stella.[4]

Una prima biografia fu scritta nel 1460 dal frate gerolamino Costanzo da Carpi, testimone oculare del martirio [5]. Fu ripresa da una compiuta agiografia, il Martyrium Antonianum, scritta da Francesco da Castiglione, allievo di Vittorino da Feltre, negli anni 1460 e data alle stampe a Bologna nel 1517 dal confratello Leonardo Sandri, che ricordò Antonio Neirotti anche nella sua Descrittione di tutta l'Italia [6]. Questo Martyrium fu tradotto in italiano dal domenicano Serafino Razzi e dato alle stampe nel 1577 a Firenze.

Un altro contemporaneo del Neirotti, il domenicano siciliano Pietro Ranzano, compose una biografia nel 1461 sulla base di informazioni orali raccolte a Palermo e di lettere provenienti da Tunisi.[7]

Fu beatificato il 22 febbraio 1767 da papa Clemente XIII. La sua memoria liturgica si celebra il 10 aprile.

Una chiesa a lui dedicata fu consacrata a Hammamet nel 1909.[8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Antonio Neirotti, in Santi, beati e testimoni - Enciclopedia dei santi, santiebeati.it.
  2. ^ Tommasino, op. cit., pp. 264-266
  3. ^ Tommasino, op. cit.
  4. ^ a b c Ponso, op. cit., p. 238
  5. ^ Tommasino, op. cit., p. 260
  6. ^ Tommasino, op. cit., pp. 260-261
  7. ^ Tommasino, op. cit., p. 262
  8. ^ (FR) François Dornier, Les catholiques en Tunisie au fil des jours, éd. Imprimerie Finzi, Tunis, 2000, p. 309

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN6490162906480678110009 · GND (DE1238812546 · WorldCat Identities (ENviaf-6490162906480678110009