Solitudine

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(Reindirizzamento da Solitudine (società))
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Solitudine (disambigua).
Solitudine di Frederick Leighton

La solitudine è una condizione e un sentimento umano nei quali l'individuo si isola per scelta propria (se di indole solitaria), per vicende personali e accidentali di vita, o perché isolato o ostracizzato dagli altri esseri umani, generando un rapporto (non sempre) privilegiato con se stesso. Animale sociale per definizione, l'uomo anche in condizione di solitudine è coinvolto sempre in un intimo dialogo con gli altri. Quindi, più che alla socialità la solitudine si oppone alla socievolezza. Talvolta è il prodotto della timidezza e/o dell'apatia, talaltra di una scelta consapevole. In lingua inglese il concetto viene espresso con due differenti vocaboli, solitude e loneliness, che si riferiscono rispettivamente al piacere e al dolore provati in condizioni di esclusione.[1]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

«La solitudine è indipendenza: l'avevo desiderata e me l'ero conquistata in tanti anni. Era fredda, questo sì, ma era anche silenziosa, meravigliosamente silenziosa e grande come lo spazio freddo e silente nel quale girano gli astri.»

Scrive Maria Miceli (Sentirsi soli, 2003):

«la solitudine è qualcosa di più che un'esperienza diffusa. Sotto certi aspetti è un'esperienza necessaria, ineluttabilmente connessa alla condizione umana. È la nostra stessa individualità a imporci la solitudine; non è possibile sfuggirle se non a costo di perdere la nostra identità»

È universalmente riconosciuta come la principale causa di depressione favorita da un'urbanizzazione mal gestita; non a caso le abitazioni di maggior valore sono allocate dentro o in prossimità ad aree di aggregazione sociale per il riconoscimento offerto alla dignità degli individui.

John T. Cacioppo e William Patrick a pagina 185 (nel cap. In conflitto per natura) cita una frase del Paradiso perduto di John Milton[3] perché sintetizza bene la condizione umana:

«La mente in se stessa alberga, e in sé può trasformare
Nel ciel l'inferno e nell'inferno il cielo.»

A pag. 275 (nel cap. Il potere della connessione sociale) spiegano come nella mente la fede (delle persone isolate) si idealizza spontaneamente con le proprie idee (giuste e/o sbagliate) per il bisogno di antropomorfizzare; il successo delle megachiese americane nei sobborghi urbanizzati è dovuto quindi al bisogno umano di incontro, riunione e appartenenza collettiva.

Il saggio conclude che l'uomo come essere sociale non può fare a meno degli altri per tempi molto lunghi, ma segue un cammino di benessere psicofisico tendenzialmente condizionato da comportamenti etici collaborativi.

Per il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, solo chi è capace di solitudine è capace di comunione.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Alfie Kohn, La fine della competizione, ISBN 88-8089-298-3, Baldini&Castoldi, Milano 1999
  • Antonio Lo Iacono, Psicologia della solitudine, Editori Riuniti, Roma 2003
  • Maria Miceli, Sentirsi soli, Il Mulino, Bologna 2003
  • Francoise Dolto,Solitudine felice,Oscar Mondadori, 1997
  • John T. Cacioppo, William Patrick, Solitudine, ISBN 978-884281546-4, il Saggiatore 2009
  • Adriano Zamperini, L'ostracismo. Essere esclusi, respinti, ignorati, Einaudi, 2010 ISBN 978-88-06-20371-9.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàThesaurus BNCF 19243 · LCCN (ENsh85124673 · J9U (ENHE987007556068205171 · NDL (ENJA00566111