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Sof'ja Tolstaja

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Sof'ja Andreevna Tolstaja

Sòf'ja Andrèevna Bers, detta Sonja, coniugata Tolstàja, in russo Со́фья Андре́евна Толста́я? (Glebovo-Strešnevo, 22 agosto 1844Jasnaja Poljana, 4 novembre 1919), è stata una contessa russa, moglie di Lev Nikolàevič Tolstòj, da lei confidenzialmente chiamato «Lëvočka»,[1] dal quale ebbe tredici figli.

Assidua copista dei manoscritti di Tolstoj, oltre che sua fida amministratrice, gli visse accanto per quarantotto anni, rivelando una personalità altrettanto inquieta e attraversando con lui il dramma di una lunga e insanabile crisi coniugale che a più riprese spinse il marito ad abbandonare la famiglia.

Osteggiata dai cosiddetti tolstoiani perché restìa ad assecondare il coniuge nelle sue più ardite scelte morali, fu considerata – specie dopo la tragica morte dello scrittore – alla stregua di una moderna Santippe. Non mancò tuttavia chi la difese, apprezzando in lei non solo la donna dal carattere sensibile e deciso, ma anche la diarista e la memorialista, nonché l'autrice di narrativa.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

La biografia di Sof'ja Tolstaja, correntemente chiamata Sonja, è legata in maniera inestricabile alla storia sentimentale da lei vissuta con Lev Tolstoj, tanto che il suo diario è stato definito da Vittorio Saltini come un «romanzo d'amore»[2].

La loro relazione suscitò grande scalpore agli inizi del secolo XX e tornò a destare interesse in ogni ricorrenza che li riguardasse.[3] Nel 2010, in occasione del centenario della morte dello scrittore, si è verificata una riscoperta della figura di Sonja, con nuove edizioni delle sue opere e di quelle dei figli. Il dramma familiare che li coinvolse non ha smesso di appassionare anche per il numero di osservatori diretti che ne lasciarono testimonianza, offrendo così una molteplicità di prospettive. Come scritto da Cynthia Asquith,

«non c'è ménage su cui si possieda una documentazione più abbondante che quello dei Tolstoj. Negli ultimi anni di incubo che essi vissero insieme non si trovano meno di sette osservatori per registrare, ogni giorno, i dettagli della loro reciproca relazione.[4]»

Famiglia d'origine[modifica | modifica wikitesto]

Nata in una dacia del villaggio di Pokrovskoe, a nord-ovest di Mosca, nella tenuta di Glebovo-Strešnevo, Sonja vi trascorse ogni estate fino al matrimonio. In inverno la famiglia si trasferiva in un palazzo statale del Cremlino, poiché il padre Andrei Bers (o Behrs), di origini tedesche, era medico della corte imperiale, oltre che «consulente sanitario capo» del Senato e del Comando militare, ed esercitava la professione a tempo pieno, anche al di là degli incarichi governativi.[5]

La madre, Ljubòv' Aleksandrovna Islàvina, di nobile famiglia russa, era amica d'infanzia di Tolstoj, di due anni più anziana dello scrittore,[6] che ad undici anni se n'era innamorato, tanto da spingerla, per gelosia, giù da un balcone, rendendola claudicante per diverso tempo.[7]

Sonja aveva quattro fratelli e due sorelle. La minore, Tanja, diventerà una frequentatrice abituale di Jàsnaja Poljana e un'amica fedele di Tolstoj, al quale servirà da modello per il personaggio di Nataša Rostova.[8]

La giovane Sonja (a sinistra) con la sorella Tanja

Formazione[modifica | modifica wikitesto]

Assieme alle sorelle, Sonja ricevette la propria istruzione in casa, da parte della madre, delle governanti, di un lettore di francese e di alcuni studenti. Uno di questi, in particolare, le portò da leggere Büchner e Feuerbach, affascinandola alle concezioni materialistiche; ma la giovane, che si sentiva pur attratta dal nichilismo, tornò presto alla fede ortodossa.[9] Ella ricorderà la propria vita da ragazza come «libera, meravigliosa, limpida, per nulla turbata»[10] e perfino tesa all'ascetismo.[11]

Studiò per conseguire il diploma di maestra,[12] preparando un saggio intitolato Musica. A sedici anni si recò all'Università di Mosca per sostenere gli esami da privatista, superandoli con successo (scriverà settant'anni dopo di «andare ancora fiera» di quel diploma). Era il periodo dell'abolizione della servitù della gleba, e Sonja, come altri giovani, si sentiva entusiasta dell'evento. Conclusi gli studi, compose la novella Nataša, che vedeva come protagoniste lei e la sorella Tanja.[9]

La letteratura l'appassionava, perciò Tolstoj, che aveva circa il doppio della sua età, rappresentava per lei, prima ancora che un amico di famiglia, un modello culturale: il racconto Infanzia (1852) era stato il libro che, assieme al David Copperfield di Dickens, più l'aveva interessata, tanto che ne aveva trascritti alcuni passi per impararli a memoria, ad esempio: «Torneranno mai la freschezza, la spensieratezza, il bisogno d'amore e la forza della fede che si possiedono nell'infanzia?».[9]

Fidanzamento[modifica | modifica wikitesto]

Sonja e Lev al tempo del loro matrimonio. Il 16 dicembre 1862 la contessina appuntò: «Se potessi ucciderlo, e poi ricrearlo esattamente eguale, lo farei con piacere»[13].

Fin da giovanissimo, Tolstoj aveva pensato al matrimonio come ad un rimedio pratico di tutte le sue contraddizioni, sognando nella «felicità coniugale» un riparo dai tumultuosi desideri che lo divoravano.[14] Negli ultimi anni l'ideale matrimoniale non lo aveva più abbandonato, spingendolo a cercare in ogni volto femminile la possibilità di una completa felicità terrena.[15]

Nell'agosto del 1862 il trentaquattrenne autore di Polikuška (la prima opera che la moglie copierà)[16] prese a frequentare quasi quotidianamente casa Bers, sia a Pokrovskoe sia a Mosca.[17] Scrisse alla zia Aleksandra: «Io, vecchio imbecille sdentato, mi sono innamorato»[18] (già a quell'età Tolstoj non aveva più denti)[19]. Diede l'impressione d'essere invaghito di Liza,[20] la maggiore delle tre figlie, che aveva diciannove anni, mentre invece covava per la diciottenne Sonja un'irrefrenabile passione, confidata nelle pagine del proprio diario:

«12 settembre 1862. Sono innamorato, come non credevo si potesse esserlo. Sono pazzo, se vado avanti così, sarò costretto a spararmi. Sono stato da loro questa sera: lei è incantevole sotto tutti gli aspetti...
13 settembre 1862... Domani vado appena alzato e le dico tutto, se no mi sparo... Sono le quattro di notte... le ho scritto una lettera e gliela darò domani, cioè oggi 14. Dio mio, come ho paura di morire! La felicità e una felicità così mi sembra impossibile. Dio mio, aiutami!...[21]»

Ma il 14 settembre passò, così pure il 15. Tolstoj trascorse la giornata del 16 dai Bers, fermandosi anche la sera, quando giunse Saša, fratello di lei. Poi riuscì a chiamare Sonja in disparte e le consegnò la lettera con la proposta, che lei accettò ancor prima di averla finita di leggere.[20]

Nella lettera, Tolstoj dichiarava inoltre di essere rimasto impressionato dalla novella scritta da Sonja l'estate precedente (si era identificato con vergogna nel personaggio di Dublickij,[20] l'uomo non più giovane di cui la protagonista Nataša s'innamorava; e il 26 agosto aveva annotato nel diario «Mi ha dato da leggere un racconto. Quale forza di verità e di semplicità!»[22]); ma ella bruciò prima delle nozze i propri scritti giovanili.[9]

Il fidanzamento durò appena una settimana, durante la quale il promesso sposo le diede da leggere i propri diari, ricchi di particolari scabrosi, che la inquietarono e rattristarono molto.[20] Nel contempo, i familiari di Sonja soffrirono a doversi improvvisamente separare da lei, che ricorderà:

«Quella settimana passò come un brutto sogno. Per molti il mio matrimonio rappresentava un dolore e Lev Nicolaevič affrettava terribilmente i tempi. Mia madre diceva che bisognava anche cucire il corredo, almeno l'indispensabile. – Ma come, – disse Lev Nicolaevič – è ben vestita e per di più è sempre così elegante.[23]»

Matrimonio[modifica | modifica wikitesto]

Le nozze si celebrarono il 23 settembre a Mosca, presso il Cremlino, nella Chiesa della Natività della Vergine.[24] Tolstoj avrebbe poi descritto la cerimonia in Anna Karenina, nel capitolo del matrimonio fra Kitty e Levin, rendendo con cura sia il lato esteriore della funzione sia il processo psicologico nell'animo dello sposo.[25]

Quella stessa mattina, lo scrittore si mostrò più agitato di Sonja, che rammenterà:

«[...] lui cominciò a tormentarmi con domande e dubbi sul mio amore per lui. Mi sembrò persino che volesse fuggire, che fosse spaventato dal matrimonio. Mi misi a piangere. Arrivò mia madre e si scagliò contro Lev Nicolaevič: – Avete trovato proprio il momento giusto per turbarla, oggi c'è il matrimonio, già così è difficile [...].[26]»

Prima di partire col marito, abbracciò fra le lacrime i familiari e la madre, che lanciò un grido disperato mentre la figlia si allontanava in carrozza. Vedendo che Sonja, anziché apparire felice, non smetteva di piangere, Tolstoj rimase perplesso e seccato, ma poi ebbe verso di lei molte attenzioni nel corso del viaggio.[27]

La residenza in cui Sonja visse col marito, diventata dal 1921 una casa museo[28]

Giunsero la sera successiva a Jàsnaja Poljana, per stabilirsi nell'unica dépendance rimasta dell'antica villa padronale che anni addietro lo scrittore aveva ereditato e poi perso al gioco d'azzardo (il resto della casa era stata smontata pezzo per pezzo e ricostruita sulle terre di un vicino).[29] Decisero di risiedervi stabilmente insieme a Tat'jana Aleksandrovna Ergol'skaja, zia di Tolstoj,[24] che là viveva con altre persone, alla cui presenza Sonja dovette adattarsi,[30] nonostante avrebbe preferito una compagnia più giovane ed esuberante.[31] Scriverà il critico letterario Pietro Citati:

«Appena arrivata a Jasnaja Poljana, Sof'ja Bers rivelò un temperamento tragico quanto quello del marito. C'era, in lei, un desiderio di assoluto, una tetra forza di concentrazione, una tendenza a esasperare tutti i propri sentimenti, come armi con cui ferire soprattutto sé stessa; e continui sbalzi d'umore, che la trasportarono dalla gioia all'ansietà, dall'amore all'odio.[32]»

Proseguendo la lettura dei diari del marito, venne a sapere dell'appassionata relazione da lui intrattenuta, fra il 1858 e il 1860,[33] con Aksin'ja Anikanova Bazýkina, una vigorosa contadina di Jasnaja Poljana, dalla quale Tolstoj aveva avuto un figlio, nonostante lei fosse sposata.[34] Allo scrittore era sempre piaciuto fermarsi nelle isbe a far l'amore con le popolane[35] e in tarda età avrebbe confessato: «Io ero insaziabile»[36].

In gennaio, durante un soggiorno a Mosca, Sonja prese nota di un proprio incubo notturno:

«Arrivano da noi, in un giardino enorme, le nostre contadine [...], ultima arrivò A[ksin'ja] con un abito di seta nero. Mi misi a parlare con lei e mi prese una tale ira che presi non so da dove il suo bambino e mi misi a farlo a pezzi. Le gambe, la testa – tutto spezzavo, e andavo su tutte le furie. Arrivò Levočka, gli dico che mi manderanno in Siberia e lui invece mette insieme gambe, braccia, tutte le parti e mi dice che non è niente, è una bambola. Guardai ed effettivamente vidi al posto del corpo, cotone e pelle di daino. Allora provai una gran vergogna. Spesso mi tormento pensando a lei, persino adesso che sono qui a Mosca.[37]»

Il figlio illegittimo, Timofej, non verrà mai riconosciuto, e molti anni dopo lavorerà come cocchiere e conducente di slitta per i Tolstoj, chiamando il padre «signore».[34]

Subito dopo le nozze, Tolstoj completò il racconto I cosacchi, che Sonja lesse malvolentieri, fantasticando intorno alle avventure passionali che egli doveva aver vissuto nel Caucaso.[38] Le risultava insopportabile ogni passaggio in cui si parlava di donne e avrebbe voluto bruciare quelle pagine che testimoniavano il passato amoroso del marito,[39] così come, dopo il fidanzamento, aveva bruciato ogni proprio scritto, compreso il diario tenuto dall'età di undici anni.[9] Ad appena quindici giorni dal matrimonio, riprese in mano la penna con amarezza, per constatare già le prime traversìe coniugali:

«Ancora un diario, mi irrita riprendere una di quelle abitudini, che volevo abbandonare sposandomi. Prima mi succedeva di scriverlo quando c'era qualcosa che non andava e adesso, probabilmente, è lo stesso. Ho trascorso queste due settimane con lui, mio marito, in semplicità di rapporti, era tutto facile, perché era lui il mio diario, non avevo nulla da nascondergli. Invece da ieri, quando mi ha detto che non crede nel mio amore, sono veramente sconvolta. [...] Anch'io ho cominciato a non credere più nel suo amore. Mi bacia e io penso «non è la prima volta che si innamora». Anch'io sono già stata innamorata, ma con la fantasia, lui invece è stato innamorato di donne vive, reali, con un carattere, un volto, un'anima, e lui le ha amate: le ha ammirate, così come adesso ammira me. A dire il vero, la volgarità non è in me, ma nel suo passato.[40]»

Vita a Jasnaja[modifica | modifica wikitesto]

Sonja nel 1867, con il primogenito Sergèj e la secondogenita Tat'jana. Tolstoj scrisse al suocero: «È come se avessimo ricominciata la luna di miele; Sonja è incantevole con i suoi due bambini»[41].

Sonja ebbe sedici gravidanze, di cui tredici giunte a termine.[42] Allattò undici figli, anche per il volere del marito di non ricorrere, almeno per i primi tempi, ad una balia.[43] Scrisse lei stessa in una lettera:

«Mio figlio non sarebbe del tutto mio figlio se la sua vita e la sua prosperità nel primo anno di vita, il più importante, dipendessero dal latte di una estranea.[44]»

In parte si dedicò personalmente all'educazione dei bambini, insegnando loro francese, tedesco e letteratura russa, ma anche disegno, musica e danza.[45] Con i rudimenti appresi dal padre, amava occuparsi, per quanto poteva, dei contadini ammalati che venivano da lei per farsi curare.[46] Si affaccendò con regolarità a cucire e tagliare abiti per tutta la famiglia; ogni blusa in flanella grigia di Tolstoj era confezionata dalle sue mani.[47]

Sonja avvertiva la necessità di porre un freno all'esclusivo interesse del marito per il popolo, che le pareva in contrasto con la dedizione verso la famiglia.[48] Assumendosi il carico della gestione domestica, eliminò tutto ciò che potesse distrarlo dalla sua attività di scrittore di successo; fu perciò chiusa la scuola per contadini (fulcro degli studi pedagogici di Tolstoj) e gli istitutori licenziati.[14]

Nei primi anni di matrimonio, collaborò col marito alla riuscita del suo romanzo più voluminoso, ricopiandone per ben sette volte le successive stesure.[14] Gli comunicò con una punta d'ironia:

«Guerra e pace mi eleva moralmente e spiritualmente. Quando mi siedo a copiare mi proietto di colpo in un mondo poetico e a volte ho persino la sensazione che non sia il tuo romanzo a essere così bello, ma io a essere tanto intelligente.[49]»

Ella trascriveva con vivo trasporto, abbastanza velocemente da seguire col massimo interesse il romanzo e abbastanza lentamente da poterlo meditare a fondo.[50] Molti anni dopo ricorderà: «Come mi piaceva copiare Guerra e pace[49]. Quando Tolstoj interrompeva la stesura, lei gli chiedeva: «Ti prego, preparami del lavoro».[51] Sonja lo svolgeva con cura e pazienza, chinando la testa ben pettinata per decifrare le pagine redatte dal marito, colme di cancellature e correzioni, talvolta scritte in ogni senso. Al mattino Tolstoj trovava sul proprio tavolo i fogli ricopiati con una calligrafia chiara e leggibile, a cui aggiungeva altre correzioni o intere pagine annerite da fitti caratteri.[52]

Se egli doveva compiere delle ricerche presso la Biblioteca di Mosca, Sonja gli inviava per posta il proprio lavoro, ricevendo poi le nuove bozze da correggere e copiare.[51] Se il marito le era accanto, finito il lavoro sedeva con lui al pianoforte, dopo aver messo i bambini a letto, per suonare a quattro mani fino a notte fonda.[53] Altre volte si sdraiava ai suoi piedi sopra una pelle d'orso, trofeo di caccia per cui Tolstoj aveva rischiato la vita, aspettando il momento di ritirarsi ciascuno nella propria camera.[43] Vivevano entrambi un'esistenza appartata, lontana dal gran mondo, sentendosi completamente immersi nella creazione del romanzo.[53] Rammenterà Sonja:

«Non sentivo il bisogno di nient'altro, vivevo in compagnia dei personaggi di Guerra e pace, li amavo, seguivo le loro vicende, quasi fossero persone reali. La nostra vita era così piena e così straordinariamente appagata dal nostro amore reciproco, dai nostri figli e specialmente dal lavoro su quell'opera così grande e così amata prima da me e poi da tutto il mondo, che non vi era altro da desiderare.[53]»

A volte Tolstoj leggeva direttamente alla moglie le pagine che aveva scritto e lei gli comunicava le proprie impressioni. Il marito ne teneva conto e in qualche circostanza modificava il testo sulla base dei suggerimenti ricevuti,[54] il che costituiva per Sonja motivo d'orgoglio.[50] In particolare, ella gli chiedeva di eliminare quei brani che le sembravano equivoci per i giovani (ad esempio alcune scene con la bella Hélène) e Tolstoj accoglieva tali richieste.[51] In una lettera del 1864 le scrisse:

«Da buona moglie ti preoccupi di tuo marito come di te stessa, e io non riuscirò mai a dimenticare il giorno in cui mi hai detto che la parte storico-militare di Guerra e Pace, che tanto mi impegna, viene male e che l'aspetto psicologico, i caratteri e la vita familiare costituiscono la parte riuscita del libro. Niente di più vero. E non dimentico come hai saputo dirmelo.[55]»

«Quando la bambina si arrabbia, l'angelo piange e il diavolo si rallegra. Quando la bambina è buona, l'angelo si rallegra e il diavolo si annoia» (disegno e firma di Sonja)

Per la stesura dell'opera seguente, la moglie proseguì a collaborare intensamente col marito, annotando con entusiasmo:

«Noi ora scriviamo Anna Karenina veramente, voglio dire senza interruzioni. Ljovočka è sovreccitato, concentrato: ogni giorno finisce un capitolo: io ricopio accanitamente.[56]»

Compilò intanto, insieme a lui, un sillabario per il popolo; tale lavoro le piacque molto e si preoccupò di scegliere delle illustrazioni chiare ed essenziali.[57] Per l'Abbecedario e I quattro libri di lettura fu incaricata da Tolstoj di comporre delle frasi e di tradurre alcune leggende e favole celebri di varie culture, adattandole al costume russo;[58] scrisse inoltre lei stessa dei racconti, ai quali, tuttavia, il marito apportò numerose correzioni, per lo più di genere stilistico.[59] Egli aveva ricominciato, dopo quattordici anni, ad occuparsi di pedagogia, desiderando fornire alle masse una letteratura semplice ed edificante.[60] Per breve tempo tornò ad insegnare ai contadini, in una scuola allestita nella casa di Jasnaja Poljana. Sonja svolgeva con lui le lezioni, a cui assistevano i loro figli assieme ai giovani del villaggio.[46]

Crisi familiare[modifica | modifica wikitesto]

Sonja nel 1875. Il terzogenito Il'jà, tornando con la mente a quel periodo, scriverà: «Quando ho la tosse [la mamma] mi dà le pastiglie di liquirizia e le "gocce del re di Danimarca", così mi piace molto tossire. Quando la mamma mi ha messo a letto e se ne va a suonare il piano con papà, io non riesco ad addormentarmi, mi dispiace che mi abbiano lasciato solo, allora comincio a tossire [...]. Non mi addormenterei per nessuna ragione prima che sia venuta e prima che, versate dieci gocce in un bicchierino, non me le abbia fatte bere»[61].

Se i primi cinque figli (Sergej, Tat'jana, Il'ja, Lev e Marija) stavano crescendo in buona salute, lo stesso non accadde per i successivi tre: nel 1873 morì a novembre Pëtr (nato a giugno dell'anno precedente e poi ammalatosi di difterite), mentre nel 1875 morirono a febbraio Nikolàj (nato ad aprile e sofferente di idrocefalia) e il 1º novembre Varvara, a mezz'ora dal parto.[62] La stesura di Anna Karenina fu completata nell'aprile del 1877,[63] in condizioni più difficili rispetto a Guerra e pace; a questo proposito riferirà Sonja:

«[...] erano morti, uno dietro l'altro, tre figli e due zie. Mi ero ammalata anch'io, deperivo e sputavo sangue e soffrivo di un dolore alla schiena. Lev Nicolaevič era preoccupato e a Mosca [...] consultò il professor Zacharin che gli disse: «Non si tratta ancora di tisi, ma forse ha un esaurimento nervoso». E aggiunse in tono di rimprovero: «Lei comunque non deve averla risparmiata». [...] Avvilita e ammalata, scrissi a mia sorella: «È stato pubblicato il romanzo di Levočka e si dice che avrà un grande successo. La cosa mi fa un'impressione strana: nella nostra casa c'è tanto dolore e tutti intorno non fanno che festeggiarci».[64]»

Seguirono due gravidanze a buon fine: quella di Andrèj (nato nel dicembre del 1877) e quella di Michaìl (nato sul finire del 1879).[63] Ma l'animo di Tolstoj era inquieto: alla fine degli anni settanta subì un'infatuazione per la contadina Donma, cuoca di Jasnaja,[33] e nel frattempo si era radicata in lui una lacerante crisi interiore, narrata nello scritto autobiografico La confessione:

«[...] nascondevo tutte le corde perché non mi venisse la voglia d'impiccarmi ad un'asse appoggiata a due armadi nella stanza in cui la sera restavo solo per spogliarmi, e smisi di andare a caccia col fucile per non cedere alla tentazione di servirmi di un così semplice mezzo per liberarmi della vita. Io stesso non sapevo quel che volevo [...]. E questo mi accadeva proprio nel momento in cui, da ogni punto di vista, possedevo quel che generalmente si considera una completa felicità. A quell'epoca non avevo ancora cinquant'anni, avevo una buona moglie che mi amava e che io amavo, dei bei figli e un notevole patrimonio [...].[65]»

Sonja e i bambini erano al corrente di questi suoi pensieri e guardavano con terrore la trave alla quale egli aveva la tentazione di impiccarsi.[66]

L'incipit di Anna Karenina recitava: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo»[67]. Ed ecco che la famiglia di Tolstoj trovò la propria infelicità in seguito al logoramento vissuto prima dalla moglie e poi da lui stesso, che nel romanzo appena compiuto si era descritto ironicamente nel personaggio insicuro e nevrotico di Levin, ma anche, drammaticamente, nella protagonista Anna, in cui cadeva in frantumi un mondo di valori.[68] In Anna si sarebbe inoltre identificata Sonja, come lei gelosa e fiera,[69] che una dozzina d'anni dopo mediterà, per violente liti in famiglia, di gettarsi sulle rotaie di un treno in corsa.[70]

Tolstoj studiò a fondo le religioni, la filosofia, la scienza, cercando in esse le risposte alle domande che lo tormentavano. Poi si rivolse alla gente semplice e ne ammirò la fede spontanea. Iniziò a pregare nella sua stanza con fervore, toccando il suolo con la fronte (il che faceva spaventare Lev junior, quando sorprendeva il padre in quella posizione)[71]. Per tre anni frequentò assiduamente le pratiche religiose della tradizione russa, osservando con scrupolosità la quaresima e i digiuni, ma infine se ne allontanò, alla ricerca della «pura dottrina di Cristo». Decise di rompere con il proprio passato, respingendo le ricchezze accumulate, i dogmi della Chiesa ortodossa e il modello di vita familiare sognato in gioventù.[72] Queste idee di rivolta le metteva per iscritto, e Sonja, mentre ne faceva bella copia, si sentì male a leggerle, come ella poi spiegherà:

Lev Tolstoj nel cerchio di famiglia del post-impressionista Leonid Pasternak

«Critica avversa all'ortodossia e alla chiesa [...], critica della nostra vita, biasimo per tutto ciò che facevo e facevano i miei. Era intollerabile. [...] Ma un giorno, ricordo l'anno, eravamo nel 1880, stavo scrivendo e sentii che arrossivo, il sangue mi affluì alla testa e mi sentii invadere da una crescente indignazione. Presi tutti i fogli e li portai a Lev, dichiarando che non avrei ricopiato più nulla: non posso.[73]»

Iniziò a darle il cambio, appena adulta, la figlia maggiore Tat'jana, sostituita in seguito dalle sorelle Marija (detta Maša) e Aleksandra (detta Saša).[74]

Insediamento a Mosca[modifica | modifica wikitesto]

Verso la fine del 1881 la famiglia si trasferì a Mosca per la stagione mondana (l'inverno lo era, per la nobiltà russa).[75] Tolstoj comprò allora una casa in città per risiedervi stabilmente, così da permettere ai figli ormai grandi di ricevere una migliore istruzione.[76] Sonja, che aveva appena affrontato un nuovo parto, trascorreva le giornate e le serate in compagnia dell'alta società, facendo o ricevendo visite, mentre il marito stringeva rapporti con persone d'altro genere: lavorava con i segatori di tronchi, frequentava le prigioni e gli ospizi, distribuiva il proprio denaro in ogni occasione,[77] si recava nelle fabbriche e nei mattatoi fuori città (il che contribuì a renderlo vegetariano) e ogni tanto portava con sé il figlio Lev junior.[78] Partecipò inoltre come volontario al censimento municipale per visitare il quartiere dei bassifondi di Mosca. La moglie parlava poco con lui e scambiò l'estraneità delle loro vite per un apparente ritorno alla serenità.[77] Scrisse alla sorella:

«Lev soffre d'insonnia. A volte cammina su e giù in camera sua fino alle tre del mattino. Ma è di buon umore. Dio voglia che continui così! Siamo in buona amicizia e negli ultimi tempi non abbiamo avuto che una piccola disputa.[79]»

Tolstoj invece non stava ritrovando la tranquillità. Quando la sera tornava a casa in silenzio dai propri giri, sconvolto dalle miserie a cui aveva assistito, il cuore gli si stringeva per la vergogna di fronte al lusso che lo circondava. Sonja, che aveva pensato alle inquietudini da lui vissute negli ultimi anni come ad un disturbo passeggero, vide riesplodere più forte di prima, ormai irrefrenabile, l'indignazione del marito verso lo status quo del suo nucleo familiare e della società a cui apparteneva. Egli avrebbe voluto che anche la moglie e i figli si fossero avvicinati al popolo sofferente, rinunciando alle ricchezze e ai privilegi, ma al giudizio di Sonja tali discorsi non poterono che sembrare una follia autodistruttiva.[77][80] Ricorderà:

«Ero troppo debole per cercare di affrontare questo conflitto e spesso mi abbandonavo alla disperazione fino ad ammalarmi, non vedendo vie d'uscita. Che fare? Tornare in campagna e abbandonare tutto? Ma Lev Nicolaevič non sembrava volere neppure questo [...]. Era come se il suo occhio interiore si fosse posato solo sul male e sulle sofferenze degli uomini [...]. Non sapevo come vivere con una simile visione [...]. Quella che per lui era una ricerca autentica, appassionata, per me sarebbe stata un'emulazione ottusa, addirittura distruttiva per la famiglia [...]. Se avessi distribuito tutte le mie fortune secondo il desiderio di mio marito (non si capiva a chi) e avessi vissuto in povertà con i miei nove figli, avrei dovuto lavorare per la famiglia, per nutrire, vestire, lavare, crescere i miei figli senza istruzione.[81]»

Ella aveva cercato risposte nella filosofia, appassionandosi in particolare a Platone, Seneca, Epitteto, Marco Aurelio e Spinoza, ma le distanze dal marito non fecero che aggravarsi: questi partiva spesso da Mosca per restare in solitudine a Jasnaja Poljana[82] e scrisse ad un corrispondente: «Non potete immaginare [...] a quale punto il mio vero io sia disprezzato da tutti coloro che mi circondano»[83]; ma nell'ottobre del 1883 ricevette la visita di Vladimir Čertkov, un giovane ufficiale che lo ammirava così tanto da voler fondare una nuova dottrina d'ispirazione cristiana denominata «tolstoismo», a cui presto si sarebbero aggiunti stuoli di adepti.[84] In Sonja cominciò allora a germinare una terribile gelosia verso chi stava prendendo il suo posto tra gli affetti del marito.[85] Scriverà:

«[...] mi accorsi che l'anima di mio marito, che si era aperta a me per tanti anni, mi era divenuta inaccessibile, senza una causa apparente e in modo irrimediabile, per aprirsi a uno sconosciuto, a un estraneo.[85]»

Minacce e compromessi[modifica | modifica wikitesto]

Sonja con in braccio Aleksandra, in un ritratto del 1886 di Nikolaj Nikolaevič Ge

Il 1884 fu per loro un anno di tremenda crisi. Dopo che le discussioni si erano susseguite senza altro risultato che ferite reciproche, nella notte fra il 17 e il 18 luglio Tolstoj caricò una bisaccia sulle spalle e lasciò l'abitazione.[86] Egli trascorreva intere giornate a falciare nei campi e lo sfiorò il pensiero di prendere con sé una popolana per cominciare una nuova esistenza tra i contadini.[87] Così ricorderà quella sera la figlia Tat'jana, allora ventenne:

«Lo vedo ancora mentre si allontana lungo il viale delle betulle. E vedo mia madre seduta sotto gli alberi davanti a casa. Aveva il volto sfigurato dal dolore. Con occhi tristi, spalancati e senza vita, guardava nel vuoto. Doveva mettere al mondo un bambino e sentiva già i primi dolori.[86]»

Il marito non andò lontano: sapeva che la moglie stava per partorire.[86] Ma il suo ritorno non fu caloroso; racconterà Sonja:

«Alle quattro del mattino Lev Nicolaevič tornò e, senza passare da me, si coricò sul divano nel suo studio. Malgrado i dolori atroci, io corsi da lui, che mesto non mi disse nulla.[87]»

Alle sette nacque Aleksandra.[87] Quando era incinta di lei, la madre aveva cercato di abortire. Si era recata a Tula da una levatrice, che però, venuta a conoscenza della sua identità, le aveva negato ogni aiuto per paura delle conseguenze. Sonja aveva allora provato a fare da sola, immergendosi in bagni caldi e dedicandosi a lavori pesanti, ma tutto era stato inutile.[88] La piccola avrebbe poi appreso dalla bambinaia di non essere stata voluta, ritrovandosi costantemente sola, senz'affetto né carezze, così da sviluppare un carattere rigido e chiuso.[89] Sentendosi invisa alla madre, crescerà interamente devota al padre, rappresentando per lui un importante sostegno morale.[90]

Agli inizi del 1885 Sonja assunse personalmente la gestione dei diritti d'autore del marito (con l'intenzione di raccoglierne le opere in un'edizione completa), incoraggiata nell'iniziativa da Anna Dostoevskaja, vedova di Fëdor Dostoevskij.[91] Sul finire dell'anno precedente, dopo altri mesi di tensione, la crisi era giunta al culmine: Tolstoj aveva minacciato di fuggire a Parigi o in America, mentre Sonja gli rispondeva: «Dato che non posso vivere senza di te, se parti ti uccido»,[92] ma lei stessa fu sul punto di abbandonare la casa, come avrebbe poi scritto alla sorella:

«Vedevo bene che si trattava di un pazzo. Ma quando mi disse: «Quando ci sei tu, l'aria è avvelenata», cercai una valigia e cominciai a riempirla. Volevo partire [...]. Accorsero i figli piangenti: «Resta!» Era una preghiera. Sono restata. Ma all'improvviso fui presa da singhiozzi nervosi: era semplicemente orribile. Immagina la scena. Anche Lev tremava, scosso dai singhiozzi. Provai pietà per lui. I quattro figli, Tania, Il'ja, Ljova, Maša, piangevano e gridavano.[93]»

Nel gennaio del 1886 morì il figlio Aleksèj, nato nell'ottobre del 1881.[94] Il marito continuava a risiedere per lo più a Jasnaja Poljana, assistendo con assiduità un'anziana vedova di misere condizioni.[95] Nel 1887 egli scrisse Della vita, un trattato in cui esponeva le concezioni filosofiche da lui maturate negli ultimi anni, le cui conseguenze pratiche avevano costituito la causa principale delle liti in famiglia; ma in tale circostanza i coniugi sembrarono ritrovare un'intesa.[96] Riferisce la figlia Tat'jana:

«Quest'opera grandiosa per semplicità e saggezza riuscì a toccare il cuore di mia madre. Lo testimonia la corrispondenza con la sorella: «Sono sola, del tutto sola. Ho scritto tutto il giorno. Ho copiato il lavoro di Lev [...]. Un articolo strettamente filosofico, senza tensioni, senza tendenziosità. Mi sembra profondo, ben concepito e tocca la mia coscienza». Toccava la sua coscienza a tal punto che non si accontentò di copiarlo ma lo tradusse in francese.[96]»

D'altro canto, in Tolstoj permaneva il desiderio di distribuire ogni propria ricchezza e di andare per sempre a fare la vita del contadino. Da quando la famiglia si era trasferita a Mosca, egli aveva iniziato a vestire d'abitudine come un mužik, con tanto di casacca, larghi calzoni e stivali.[75] Affidò alla moglie la gestione degli averi, oltre che delle opere già pubblicate, gravandola così di un compito amministrativo che la stremò.[97] In principio, Sonja rifiutò la proposta del marito d'intestare a lei i suoi beni (obiettando: «Come, pensi che la proprietà sia un male e quel male lo vuoi rovesciare su di me!»[98]), ma poi accettò di gestire con una delega i suoi affari e infine acconsentì che i beni venissero legalmente divisi tra lei e i figli.[97] Qualche volta partecipò ai lavori campestri, finché, non essendo abituata a quel genere di fatica, si ammalò e dovette astenersi per sempre dagli sforzi fisici.[99]

La Sonata della discordia[modifica | modifica wikitesto]

La copertina di un'edizione francese della Sonata, nella quale, attraverso il personaggio dell'uxoricida Pozdnyšev, Tolstoj dava voce alle proprie conclusioni pessimiste in materia di relazioni coniugali

A dispetto dei bollori soddisfatti in gioventù e della numerosa progenie che la moglie gli aveva garantito, Tolstoj espresse nella Sonata a Kreutzer una severa condanna verso ogni forma di rapporto sessuale, anche all'interno del matrimonio, scrivendo nella Postfazione dell'opera:

«Dovrebbe venire modificato il giudizio che si ha dell'amore carnale, in modo che uomini e donne vengano educati in famiglia e in società a non considerare, sia prima che dopo le nozze, l'amore e il rapporto carnale ad esso collegato quale condizione sublime e poetica, come si fa adesso, bensì quale condizione bestiale, umiliante per l'individuo.[100]»

Nello stesso testo, Tolstoj affermava che «non può esistere matrimonio cristiano».[101]

Agli inizi del 1890, tale romanzo circolava ampiamente in Russia attraverso copie manoscritte ed era già stato tradotto all'estero (in Danimarca e negli Stati Uniti), raccogliendo il biasimo dei religiosi come dei progressisti.[101] Il giorno di Natale, Sonja annotò nel diario:

«Sarebbe terribile restare incinta. Tutti lo verranno a sapere e ripeteranno con gioia maligna una battuta uscita ora nell'ambiente di Mosca: «Ecco la vera conclusione della Sonata a Kreutzer».[102]»

Continuava a temere che le sarebbe nato un altro bambino e questa ipotesi la tormentava.[103] Qualche mese dopo scrisse di Tolstoj: «predica la continenza, mentre nei fatti...»[104].

E pensare che la Sonata n. 9 di Beethoven – da cui aveva mutuato il titolo il romanzo del marito – le era sempre piaciuta: l'aveva provata al piano con la figlia Tat'jana, commuovendosi quando il primogenito Sergej l'aveva eseguita al violino, tanto da commentare nel diario: «Che forza e che espressione di tutti i sentimenti!».[105]

Al dibattito sul romanzo prese parte anche il quartogenito Lev, allora ventenne, che tra i figli era stato il più attratto dalle idee sviluppate dal padre, per poi allontanarsene maggiormente,[106] divenendo uno strenuo difensore della madre.[107] Egli scrisse Il preludio di Chopin, un racconto che prese la forma di una risposta alla Sonata,[108] opponendo alla dottrina della castità assoluta un ideale di felicità familiare simile a quello che tanto era stato caro a Tolstoj in gioventù. Lev junior lo metterà in pratica senza patire le stesse vicissitudini del padre, sposandosi presto con una svedese che gli darà dieci figli.[109]

Nel settembre del 1891, a costo di aspre liti, Sonja persuase il marito, che voleva rinunciare ai diritti d'autore su tutte le opere, a limitare tale rinuncia alle sole opere da lui scritte dopo il 1881, anno d'inizio della sua nuova vita spirituale.[70] In marzo si era recata nella capitale (che era allora San Pietroburgo) per ottenere direttamente dallo zar Alessandro III il permesso di pubblicare la Sonata, della quale aveva corretto le bozze nonostante il dispiacere per le considerazioni sul matrimonio ivi espresse dal marito.[110] Lamenterà nel diario:

«Non so perché abbiano avvicinato la Sonata a Kreutzer alla nostra vita coniugale, ma è un fatto. E tutti, dallo zar sino al fratello di mio marito e al suo migliore amico Dikov, mi hanno biasimata. Ma d'altronde perché cercare dei terzi? Io stessa ho sentito che questo racconto mi chiamava in causa, che mi infliggeva una ferita diretta, mi sminuiva agli occhi del mondo intero distruggendo ciò che restava del nostro amore.[111]»

Ricevutala a corte, lo zar si confessò ammiratore di Tolstoj e le concesse di pubblicare la Sonata nelle Opere complete da lei curate (abbastanza costose da non poter avere diffusione al di fuori della classe agiata),[112] alle quali Sonja si dedicava intensamente; era sempre stata miope e, a forza di lavorare giorno e notte alle bozze, con la vecchiaia finì per compromettere l'uso d'un occhio.[113]

Nel novembre dello stesso anno, pubblicò sulla rivista Russkija vedomosti una lettera aperta (con le parole «Tutta la mia famiglia si è dispersa per soccorrere il popolo che muore di fame...») per chiedere ai lettori di cooperare alle iniziative del marito in favore delle popolazioni della Russia centrale colpite dalla carestia. Della lettera diedero notizia tutti i giornali russi e molti di quelli stranieri, permettendo così a Sonja di raccogliere cospicue somme destinate all'acquisto di vettovaglie da inviare per ferrovia, con convogli speciali, ai centri di soccorso.[70] Con i tessuti ricevuti dalle manifatture, ella faceva inoltre confezionare, a donne indigenti che ne ricevevano un compenso, dei capi di biancheria da distribuire ai bisognosi. Tali attività proseguirono nei due anni seguenti.[114]

Tra il 1892 e il 1893 elaborò una propria risposta alla Sonata: il romanzo breve Di chi è la colpa? (Чья вина?, tradotto anche come Amore colpevole), che restò a lungo nel cassetto finché venne pubblicato postumo, una decina d'anni dopo la morte dell'autrice.[115] In quest'opera d'ispirazione autobiografica[116] Sonja narrò la vicenda di Anna, una diciottenne senza macchia che nel giorno delle nozze col trentacinquenne Prozorskij, quand'egli la bacia appassionatamente in carrozza, si sente umiliata e abusata, vedendo in lui un individuo interessato solo all'appagamento carnale. In seguito Anna s'invaghisce, in maniera puramente platonica, di un artista dall'animo sensibile, ma Prozorskij, reso furioso dalla gelosia, la uccide, scambiando il suo amore innocente per un amore colpevole.[117]

Il piccolo Ivan (detto Vanička) nel 1894

Ferita nell'anima[modifica | modifica wikitesto]

Con gli anni novanta Sonja iniziò a coltivare una serie di progetti di suicidio che avrebbero caratterizzato i suoi pensieri per circa un ventennio.[116]

Agli inizi del 1895 si allontanò da casa con l'intento di lasciarsi morire per assideramento, impressionata dalla trama del racconto Il padrone e il lavorante, che Tolstoj aveva appena terminato e consegnato a Čertkòv senza volere che la moglie lo inserisse nelle Opere complete (decisione poi cambiata per le proteste di lei).[118] Lo scrittore aveva infatti fondato dieci anni prima, con gli amici tolstoiani, la casa editrice Posrednik, entrata col tempo sempre più in concorrenza con i progetti editoriali curati dalla contessa.[91]

In febbraio, l'improvvisa morte per scarlattina del figlioletto Ivàn, di sette anni, la segnò indelebilmente.[119] Un giorno gridò, fuori di sé: «Perché, perché doveva essere Vanička e non Aleksandra?» e la bambina udì quelle parole terribili.[89] Sonja, che aveva concentrato sull'ultimogenito tutto l'amore di cui era ancora capace,[119] fu presa dalla disperazione e cercò rifugio nella preghiera. Per non lasciarla sola, Tolstoj – che si era allontanato sempre più dalla fede ortodossa – l'aspettava fuori dalla chiesa e la riaccompagnava a casa.[120] A distanza di un anno e mezzo da quel lutto, lei scriverà alla sorella:

«Dopo la morte di Vanička non ho più ritrovato il mio equilibrio. Lev è tenero e paziente con me, e io sento che da qualche tempo agisce su di me proteggendo la mia anima. Mi aiuta incessantemente con attenzioni e bontà, perché ha capito che ho perduto il mio equilibrio morale.[121]»

Nella stessa lettera comunicò il sollievo di aver riscoperto la passione per la musica (grazie ad un soggiorno estivo in casa Tolstoj del compositore e pianista Sergej Ivanovič Taneev,[122] che a Sonja parve essere stato mandato da Vanička)[123]:

«La musica è tutta la mia vita. Soltanto la musica mi permette di vivere. Studio, leggo, compero spartiti, vado ai concerti. E mi accorgo di farlo troppo tardi. Faccio progressi minimi e mi dispiace. Mi ha preso una specie di mania. Ma cosa posso aspettarmi da un'anima ferita?[121]»

Il marito, d'altra parte, era preoccupato dell'entusiasmo suscitato in lei da Taneev, e riuscì a calmare le proprie crisi di gelosia solo durante una sosta al monastero di Òptina Pùstyn', nell'agosto del 1896.[124]

Nel luglio del 1898, per insofferenza verso la situazione familiare, lo scrittore progettò di fuggire in Finlandia con l'aiuto di alcuni amici, ma vi rinunciò poco dopo.[125] In novembre, con il supporto della cognata Tanja, cercò senza successo di convincere la moglie a rompere i rapporti con Taneev, per il quale Sonja aveva ammesso di provare un sentimento platonico.[126] Ella iniziò nel medesimo anno la lunga copiatura di Resurrezione,[127] mal sopportando certe descrizioni contenute nel romanzo,[128] dato che il marito si era ispirato per la trama al ricordo di Gaša, un'innocente cameriera da lui sedotta in gioventù, che aveva preso una cattiva strada dopo essere stata licenziata e abbandonata a sé stessa.[129]

Ritorno a Jasnaja[modifica | modifica wikitesto]

Sonja accanto al marito ammalato, nel maggio del 1902 a Gaspra, in Crimea

Nel 1901, dopo che Tolstoj fu scomunicato dal Santo Sinodo (a cui Sonja inviò una lettera addolorata, quanto vana)[130], ella si stabilì con lui in Crimea per farlo rimettere da una serie di acciacchi, ma nel gennaio del 1902 il marito si ammalò gravemente di polmonite, e in aprile, mentre era ancora convalescente, di tifo.[131] Fino alla guarigione, fu accudito instancabilmente dalla moglie, che ebbe a riferire così le proprie attenzioni:

«Ogni sera metto a letto mio marito come un bambino: gli fascio il ventre con una compressa d'acqua e di canfora, gli preparo del latte in un bicchiere, poso presso di lui il suo orologio, un campanello, lo svesto, lo rimbocco. Poi mi siedo nel salone e leggo i giornali fino a che lui non si addormenti.[132]»

Sonja dipinge la copia di un ritratto[133] di Il'ja Efimovič Repin

La famiglia non riprese più a vivere a Mosca,[134] ma fece il viaggio di ritorno, in luglio, verso Jasnaja Poljana.[131] Qui i coniugi ritrovarono serenità, dedicandosi ciascuno alle proprie occupazioni. Sonja frequentava spesso il Museo storico di Mosca, impegnata nella stesura delle proprie memorie ed immersa nell'hobby della pittura,[134] in merito al quale ricorderà:

«[...] ero in preda a una terribile esaltazione e lavoravo giornate intere e spesso anche di notte. Com'era accaduto per la musica, m'immersi completamente nella pittura. Lev Nicolaevič diceva, scherzando, che mi ero ammalata di un morbo chiamato «ritrattite» e che era preoccupato per la mia salute.[135]»

Scoraggiata dalla forte miopia di cui soffriva, si dedicò poco alla pittura dal vero, concentrandosi a copiare le celebri opere presenti in salotto, come il ritratto[136] di Tolstoj di Ivan Nikolaevič Kramskoj.[134]

Nel 1903 la vita familiare proseguì in grande tranquillità. La tenuta era mèta di numerosi visitatori da tutto il mondo e i litigi si fecero meno frequenti.[137] Ma nel 1904 la stabilità coniugale tornò al punto di rottura per la gelosia che Sonja aveva ripreso ad instillare nel marito corteggiando Taneev,[138] rimasto negli anni un ospite abituale della casa. Ella gli aveva scritto una lettera d'amore, che Taneev – poco interessato alle donne – aveva distrutto.[139] Suscitando finanche l'irritazione di Aleksandra, la contessa si mostrava allegra ed emozionata in presenza del grassoccio pianista, per poi singhiozzare addirittura di commozione quando egli le suonava una delle Romanze senza parole di Felix Mendelssohn.[140]

In agosto, mentre infuriava la guerra russo-giapponese, Sonja visse la dolorosa esperienza di veder partire il figlio Andrej per il fronte. Lo accompagnò a Tambov, dove assistette con le altre madri al viaggio – spesso di sola andata – dei vagoni carichi di giovani soldati.[141]

Lo scrittore, che nei mesi precedenti aveva composto l'appassionato appello pacifista Ricredetevi!, rimase sdegnato dal comportamento di Andrej,[137] a lui sempre ostile,[142] così come da quello di Lev junior, il quale, nuovamente in contrasto col padre, pubblicò un articolo a favore del conflitto in corso.[143] Come se non bastasse, anche il figlio Michail aveva intrapreso da diversi anni la carriera militare.[144] Andrej, invece, fu congedato dopo qualche mese per disturbi nervosi.[137]

Tolstoj ricominciò a meditare la fuga, dapprima nel maggio del 1906 (lamentandosi nel diario di «quanta poca efficacia abbia tra gli uomini la verità. E soprattutto qui in casa»[145]) e poi sul finire dell'anno successivo, indignato perché Sonja aveva fatto arrestare alcuni contadini, colpevoli d'un furto di cavoli dall'orto, ed aveva richiesto che la casa fosse sorvegliata dalle guardie.[125] Nel frattempo, un grave lutto li aveva colpiti: la morte della figlia Marija, di trentacinque anni, per polmonite.[146]

Nel maggio del 1909 Sonja trovò il manoscritto de Il diavolo, che il marito aveva composto vent'anni prima,[33] nascondendolo sotto la fodera interna di una poltrona, affinché lei non lo leggesse.[147] Per la trama di questo racconto Tolstoj si era ispirato, oltre che alla storia di un conoscente, anche alla propria relazione con Aksin'ja e alla successiva infatuazione per Donma.[33] Sonja non la prese bene e ci fu una violenta lite.[148] Dal canto suo, Tolstoj appuntò in giugno:

«Ho guardato gambe nude, mi sono ricordato di Aksin'ja [...] e io non le chiedo perdono, non mi sono pentito, non mi pento ogni ora che passa e oso condannare gli altri.[149]»

In luglio lo scrittore, ormai ottantenne, fu invitato al congresso della pace a Stoccolma e iniziò a preparare una conferenza. La moglie lottò con lui parecchi giorni per dissuaderlo dal fare un viaggio così lungo e come ultima carta minacciò di uccidersi con la morfina; Tolstoj le strappò di mano la boccetta e rinunciò a partire.[150] Ma Sonja non si dava pace: la ossessionava l'idea che i discepoli del marito – che lei chiamava «gli oscuri»[151] o «i tenebrosi»[152] – volessero avvelenarla[153] e che tra lui e Čertkov vi fosse un amore omosessuale[154] (quest'ultimo sospetto era basato su un vecchio foglio dei diari di Tolstoj[155]). Ella aveva ormai del tutto rinunciato a continuare il lavoro di copiatura degli scritti del coniuge, ma non sopportava che la sostituissero i tolstoiani insieme alla figlia minore.[153] Spiegherà Tat'jana:

«Quando attraversava il locale dove si copiava a macchina, la figlia Aleksandra e il segretario di mio padre smettevano di lavorare, tacevano e qualche volta per evitare «spiegazioni» nascondevano i manoscritti che stavano copiando. Non le sfuggiva l'atmosfera di sospetto che regnava in quella stanza e ne era irritata. Il suo sistema nervoso denotava scompensi già rintracciabili nell'età della giovinezza. Ora si svilupparono al punto da trasformarsi in malattia mentale. Non riusciva più a dominarsi, e le crisi acute si succedevano frequenti.[156]»

Di lì a un anno il marito, d'accordo con le figlie Tat'jana e Aleksandra, avrebbe portato da Sonja, per una visita, il neuropatologo Grigorij Ivanovič Rossolimo, che avrebbe formulato la seguente diagnosi: «degenerescenza doppia: paranoica e isterica con predominanza della prima».[157]

Nel 1910 il travaglio proseguì da gennaio a maggio, ma senza gravi scontri. In primavera Tolstoj espresse ancora a Sonja la volontà di cambiare vita «con o senza di lei», ma glielo comunicò con tenerezza, abbracciandola.[35]

L'ultima estate insieme[modifica | modifica wikitesto]

In occasione dell'ottantesimo compleanno di Tolstoj, il pioniere della cinematografia Aleksandr Osipovič Drankov girò questo filmato a Jasnaja, dove Sonja è ripresa mentre raccoglie dei fiori in giardino

Alla fine di maggio la situazione precipitò nuovamente, dopo che la moglie era tornata a chiedere che l'abitazione fosse presidiata dalle guardie.[158] Tolstoj si trasferì in giugno dall'amico Čertkov, vicino a Mosca, dove rifletté sul da farsi,[153] annotando nel diario:

«Voglio tentare di continuare con metodo la lotta con Sonja per il bene, per l'amore. Da lontano sembra possibile. Cercherò di farlo anche quando sarò accanto a lei... Ci è stata donata una cosa sola, e questo bene non può esserci tolto: l'amore.[159]»

Sonja gl'inviò un telegramma, supplicandolo di tornare. Lo scrittore acconsentì, ma una volta a casa la trovò, secondo le proprie parole, «in uno stato d'isteria e d'esaltazione che non è possibile descrivere»[159]. I giornali avevano appena diffuso la notizia (vera) che Tolstoj aveva affidato a Čertkov i propri vecchi diari, sottraendoli così alla custodia della moglie, che ne pretese la restituzione. Ella inoltre lesse di nascosto l'appunto in cui il marito parlava della «lotta con Sonja per il bene» e per protesta uscì di casa in piena notte sotto la pioggia, tornando infradiciata al mattino.[158] Dopo qualche giorno, Sonja scappò ancora in giardino di notte, ma questa volta Lev junior, che si era impuntato a spalleggiare la madre, ordinò al padre di andarla a cercare; la scenata proseguì fino alle quattro del mattino facendo sentire Tolstoj terribilmente umiliato.[160]

Fu allora che egli scrisse il suo ultimo testamento, in cui cedeva al pubblico dominio tutti i diritti d'autore, anche quelli delle opere antecedenti al 1881, privando così la famiglia di ogni rendita derivante dai lavori che Sonja aveva copiato con tanta fatica. Il documento fu firmato da Tolstoj il 22 luglio 1910, durante un incontro segreto organizzato nel bosco da Čertkov, che avrebbe quindi potuto pubblicare liberamente gli scritti del maestro, compresi i romanzi.[161] Dato che la legge imponeva di nominare un erede, Tolstoj designò Aleksandra affinché facesse valere le sue volontà, affidando a Čertkov la cura e l'amministrazione delle opere.[153] Le rendite concernenti gli scritti postumi sarebbero state destinate all'acquisto di terre per i contadini.[161]

Il 25 dello stesso mese, Sonja si allontanò in pianto da Jasnaja, portando con sé del veleno. Il figlio Andrej la incontrò alla stazione di Tula e la ricondusse a casa; qui Andrej litigò col padre, cercando poi di accordarsi con Lev junior per farlo interdire.[158]

Nei giorni seguenti, Tolstoj ritrovò Sonja tranquilla e amorevole, addirittura più che in passato. Sospettò allora che ella avesse intuito qualcosa e che mirasse, con le buone, a farlo recedere dalle sue decisioni. Verso la fine del mese iniziò un nuovo diario – custodito nello stivale perché non potessero leggerlo né la moglie né Čertkov[162] – in cui scrisse:

«Oggi devo annotare una cosa: se i sospetti di certi amici sono giustificati, il tentativo di raggiungere lo scopo con le carezze è cominciato. Da qualche giorno mi bacia la mano, cosa che non ha mai fatto prima. Non avvengono scene, neppure di disperazione. [...] Čertkov mi ha trascinato in una lotta penosa, che mi ripugna.[159]»

Il 2 agosto giunse alla conclusione di essersi comportato male nei confronti di Sonja, se non altro per aver agito di nascosto, alle sue spalle. Lo comunicò a Čertkov, che gli rispose con una lunga lettera, piena di aspri giudizi sulla famiglia di Tolstoj, il quale si pentì di aver messo in discussione i consigli dell'amico. Sonja ricominciò intanto a minacciare il suicidio, esigendo questa volta che il marito troncasse ogni rapporto con Čertkov.[162]

Mentre la moglie era assente, lo scrittore fu invitato dalla figlia Tat'jana a trascorrere un soggiorno nella sua proprietà, per riprendersi dalle recenti tensioni. Ma Sonja giunse in tempo per supplicarli, fra le lacrime, di venire con loro, dato che aveva paura di restare da sola. «Riposare», chiedeva alla figlia, «di che? Del mio amore? Delle cure che ho per lui? Cosa diresti se ti portassero via il marito perché, lontano, si riposi da te?». Partiti perciò insieme, trascorsero due settimane di relativa tranquillità, al termine delle quali Sonja tornò a Jasnaja per certi affari.[163] Tolstoj allora scrisse:

Sonja col marito, sei settimane prima che lui morisse. In un appunto scherzoso del 1873 Tolstoj aveva scritto: «Io sono il malato numero uno di quell'ospedale per pazzi che è la mia casa di Jàsnaja Poljàna. Temperamento sanguigno. Categoria degli alienati tranquilli. La mia follia consiste nel credere di poter cambiare con le parole la vita degli altri»[164].

«Ci ha salutato in modo commovente. Ha chiesto perdono a tutti. Sento per lei molto amore, fatto di pietà.[165]»

Il 2 settembre, prima del rientro del marito, Sonja chiamò un sacerdote per far benedire la casa con l'acqua santa, onde scacciarne lo spirito di Čertkov.[166] Quando Tolstoj fu messo al corrente dell'iniziativa, annotò nel diario:

«Tieni duro, bravo Leone Nicolaevič. Cerco di farlo. [...] Quel che mi resta penoso, è che nel numero delle sue idee pazze c'è quella di presentarmi come se io avessi perso la ragione, per rendere così inoperante il mio testamento.[167]»

Egli si sentiva depresso e provava terrore all'idea di tornare a Jasnaja;[166] difatti là ricominciarono le liti. In una lettera del 12 settembre, la moglie gli scrisse:

«I mezzi cui sono ricorsa sono stati sicuramente i peggiori, i più grossolani, i più cattivi, i più crudeli per te e più ancora per me stessa, e li deploro amaramente. Ma ero io padrona di me? Non credo. Tutto s'era debilitato, la mia volontà, la mia anima, il mio cuore, il mio corpo stesso. I rari barlumi del tuo antico amore per me in questi ultimi tempi mi hanno resa ineffabilmente felice; quanto al mio amore per te, origine di tutti i miei gesti, anche i più gelosi e i più insensati, questo amore non si è mai affievolito, e vivrà in me fino alla fine dei miei giorni.[168]»

Un tragico ottobre[modifica | modifica wikitesto]

Il 3 ottobre lo scrittore svenne a tavola, accusando una crisi cardiaca accompagnata da convulsioni. Sonja, ritenendosene la principale responsabile, si mise a pregare in ginocchio ai piedi del marito: «Signore! Perdonami. Sì, sono io la colpevole. Signore, per questa volta non ancora, non ancora!».[169]

Facendo appello alle proprie migliori intenzioni, chiese lei stessa a Čertkov di riprendere le visite e si riconciliò momentaneamente con Aleksandra.[169] Dopo due giorni, Tolstoj superò la malattia, ma la moglie, avendo trovato il diario che lui custodiva negli stivali, non seppe trattenersi dal fare nuove scenate e nelle settimane successive non smise di frugare tra gli effetti personali del marito.[170] Si arrivò così alla fatidica notte, tra il 27 e il 28 ottobre, quando la ripugnante sensazione di essere spiato fece scattare in Tolstoj la definitiva decisione di fuggire, come spiegato l'indomani nel diario:

«Mi sono svegliato e, come le notti precedenti, ho udito delle porte che si aprivano e dei passi. [...] ho visto dalla fessura una viva luce nello studio e un rumore di carte smosse; era Sofija Andreevna che cercava qualcosa e senza dubbio leggeva. [...] Ancora dei passi, la porta si apre prudentemente e lei entra. Non so perché, ma ciò ha sollevato in me un disgusto, un'indignazione irresistibile... Volevo addormentarmi, ma non ho potuto, ho passato quasi un'ora a girarmi da una parte e dall'altra, ho acceso una candela e mi sono seduto. Ed ecco, Sofija Andreevna apre la porta ed entra. Mi interroga «sulla mia salute» e si stupisce della luce che mi vede vicino. Il disgusto e l'indignazione aumentano, soffoco: conto le mie pulsazioni: 97. Non posso restare coricato e prendo d'un tratto la decisione irrevocabile di partire.[171]»

Egli, date le sue condizioni di salute, era probabilmente consapevole di stare andando incontro alla morte.[172] Al mattino, Aleksandra consegnò alla madre una lettera di Tolstoj. Dopo aver letto le prime righe con le parole «la mia partenza ti farà dispiacere», Sonja corse in giardino e poi nel bosco, dove si lasciò cadere nello stagno, dal quale fu subito ripescata dalla stessa Saša.[173] Lo scrittore, accompagnato dal suo medico ed amico Dušàn Makovitskij, si diresse nel frattempo al monastero di Optina e da lì arrivò il 29 a Šamàrdino, presso il convento della sorella Màrija, dove in breve lo raggiunse Aleksandra, avvisata dal padre per lettera.[174]

Per ricondurre a casa il coniuge, Sonja aveva ricercato la complicità della figlia minore,[173] ma questa seguì invece il padre nella sua fuga. Sulle tracce di Tolstoj si era messo anche Andrej, che avrebbe potuto giungere dal padre da un momento all'altro.[175] Nella notte tra il 30 e il 31, lo scrittore decise quindi di ripartire, verso i luoghi che più gli ricordavano la giovinezza: la Romania, il Caucaso.[176] Sonja intanto aveva smesso di mangiare e veniva sorvegliata in ogni istante perché le fosse impedito di compiere altri gesti disperati.[177] Il marito le scrisse allora l'ultima lettera, conclusa con queste riflessioni:

«Tornare con te mentre perdura il tuo stato significherebbe per me rinunciare alla vita: ed io non mi considero in diritto di farlo. Addio cara Sonja. Dio ti aiuti. La vita non è uno scherzo, e non abbiamo diritto di abbandonarla così. È anche irragionevole misurarla secondo la durata del tempo, forse i mesi che ci rimangono da vivere sono più importanti di tutti gli anni vissuti: bisogna viverli bene.[178]»

La stazione ferroviaria di Astapovo, poi ribattezzata «Lev Tolstoj»

Trascorsa in treno la giornata del 31, Tolstoj venne fatto scendere ad Astàpovo: aveva preso freddo e misurava 40° di febbre, perciò non era in grado di proseguire il viaggio.[174]

Separati ad Astapovo[modifica | modifica wikitesto]

Mentre lo scrittore giaceva ammalato presso il modesto alloggio del capostazione, i suoi familiari a Jasnaja vennero informati per telegrafo da un giornalista,[179] cosicché nella notte fra il 2 e il 3 novembre Sonja raggiunse Astapovo con un treno speciale, accompagnata da Tat'jana, Andrej e Michail, assieme ad un gruppo di medici e infermieri. Il loro vagone fu spinto su un binario morto per sostarvi il tempo necessario. Poco prima erano arrivati il primogenito Sergej e Čertkov, messi entrambi al corrente da Aleksandra.[180]

Tolstoj parlò con Sergej e poi con Tat'jana, dettando un telegramma ai figli che credeva fossero rimasti a Jasnaja accanto a Sonja: «Vi prego di trattenere la mamma. Nel mio stato di debolezza il cuore non sopporterebbe un incontro».[181] La moglie attendeva nel vagone che il marito la facesse chiamare, ma questo non avvenne. Ella poté solo avvicinarsi alla finestra della stanza dove lui stava morendo, nel tentativo di vedere o udire qualche cosa.[182] Tolstoj fece velare la finestra con una tendina, perché gli era sembrato di vedere un volto di donna che cercava di sbirciare dentro.[181]

Alcune settimane prima di fuggire, egli aveva annotato nel proprio diario intimo: «Abbiamo organizzato male le cose. Un fardello troppo pesante ricade sulle spalle di Sonja».[183] In fin di vita, ripeté quelle stesse parole a Tat'jana, che riferirà:

«[...] mi domandò: «Chi è rimasto con la mamma?» [...] Mi fece molte domande perché desiderava conoscere i particolari. E quando gli dissi: «Parlare di questo non ti mette in agitazione?», con molta forza replicò: «Parla, parla pure, cosa può esserci di più importante per me?» Continuò a interrogarmi a lungo e minuziosamente su di lei. [...] mi disse: «Molte cose ricadono su Sonja. Non abbiamo agito bene». Mi si arrestò il respiro dall'emozione. Volevo fargli ripetere cosa aveva detto per essere sicura di avere capito bene. Gli chiesi: «Cos'hai detto papà? [...]» E lui ripeté: «Su Sonja, su Sonja, molte cose ricadono». Gli domandai: «Vuoi vederla? Vuoi vedere Sofia?» Ma non aveva più coscienza. Non riuscii ad avere una risposta, un segno d'assenso, un gesto di rifiuto.[181]»

Lev junior, che in quel momento stava tornando da Parigi, dichiarerà:

«Se fossi stato presente, le avrei aperto con la forza un varco verso colui che l'amava e che lei amava più di ogni cosa al mondo e nulla avrebbe potuto trattenermi.[184]»

Quando alle cinque del mattino del 7 novembre fu permesso alla moglie di entrare nella stanza, Tolstoj aveva ormai perso per sempre conoscenza.[180] Sonja si precipitò al suo capezzale, sussurrandogli all'orecchio parole d'amore. Sperava che, se è vero che l'udito è l'ultimo senso che rimane al momento della morte, il marito avrebbe potuto sentirla. Ma Tolstoj non riusciva più a parlare ed emise soltanto pochi profondi sospiri.[185] Ella gli restò accanto, come impietrita, per i giorni e le notti che seguirono, finché il corpo esanime dello scrittore fu trasportato via per il funerale.[186]

Ultimi anni[modifica | modifica wikitesto]

Nonostante il marito l'avesse esclusa dal testamento, Sonja poté continuare a vivere agiatamente grazie ad una pensione concessale dallo zar Nicola II.[187] Nel 1912 pubblicò sul giornale La parola russa il racconto Il matrimonio con Lev Nikolaevič Tolstoj, basato su alcuni ricordi annotati anni prima nel diario.[188]

Nel 1913 scrisse e diede alle stampe una Breve autobiografia,[189] in cui riassunse e completò quanto già andava raccogliendo da lunghi anni nelle proprie memorie, rimaste incompiute, intitolate La mia vita.[190] Nel frattempo venne firmato contro di lei, in favore della figlia Aleksandra, un appello a proposito del possesso dei manoscritti del marito. Anche al Mahatma Gandhi – fervente estimatore delle idee di Tolstoj – fu chiesto di firmare, ma questi preferì scrivere direttamente alla vedova, ricevendone una risposta che non gli fece buona impressione.[191]

Almeno in una certa misura, avvenne in Sonja, nell'ultima parte della sua vita, quel cambiamento interiore che il coniuge tanto aveva desiderato anche per lei, come riferirà Tat'jana:

«Si è resa conto dell'avvicinarsi della morte e l'ha accettata e accolta umilmente. Gli ultimi anni di vita le avevano portato tranquillità. Ciò che il marito sognava per lei si era in parte avverato. La trasformazione interiore per la quale egli avrebbe sacrificato la gloria. Era meno estranea alle idee di mio padre. Era diventata vegetariana. Si mostrava buona con chi le stava intorno [...].[192]»

Morì di polmonite (come il marito e la quintogenita Marija) nel 1919, durante la guerra civile russa, poco dopo la requisizione di Jasnaja Poljana da parte del locale comando bolscevico.[144] Destino volle che in quell'anno morisse a Jasnaja anche Aksin'ja, che più di ogni altra donna aveva suscitato la sua gelosia.[148] La contessa ebbe la gioia di essere assistita al capezzale da Aleksandra, divenuta infermiera, con la quale aveva patito gravi dissapori.[192] Il suo corpo non fu sepolto accanto a quello del marito, come ella aveva desiderato, bensì nel cimitero della chiesa parrocchiale, a due chilometri da Jasnaja, dove riposano anche altri membri della famiglia Tolstoj, tra cui la figlia Marija.[193]

Fama[modifica | modifica wikitesto]

Sonja mentre siede a capotavola, con vicino il marito ed accanto a lui Čertkov

Sonja invecchiò nella paura di ciò che i posteri avrebbero detto di lei. Tale incubo l'aveva spinta al punto di voler controllare le annotazioni quotidiane del marito, per espungerne i passi che in futuro avrebbero potuto metterla in cattiva luce.[194] In una lettera del 1895 gli aveva chiesto:

«Perché dunque, tutte le volte che nomini il mio nome nel tuo diario, lo fai con tanto astio? Perché vuoi che le generazioni future e i nostri stessi nipoti spregino il mio nome come quello di una sposa frivola e cattiva, che ti ha reso infelice?[195]»

Sonja (al centro) con gli otto figli che raggiunsero l'età adulta (da sinistra: Sergej, Andrej, Tat'jana, Lev, Michail, Marija, Il'ja e Aleksandra). In tutto furono tredici:
1) Sergej, detto Serëža (1863 – 1947)
2) Tat'jana, detta Tanja (1864 – 1950)
3) Il'ja (1866 – 1933)
4) Lev, detto Lëva (1869 – 1945)
5) Marija, detta Maša (1871 – 1906)
6) Pëtr, detto Petja (1872 – 1873)
7) Nikolaj (1874 – 1875)
8) Varvara (1875 – 1875)
9) Andrej (1877 – 1916)
10) Michail (1879 – 1944)
11) Aleksej (1881 – 1886)
12) Aleksandra, detta Saša (1884 – 1979)
13) Ivan, detto Vanička (1888 – 1895)[144]

Ma a scrivere contro di lei sarebbero stati soprattutto i seguaci del marito, in difesa di quest'ultimo. Il futuro premio Nobel Romain Rolland, nella sua biografia di Tolstoj del 1911, la considerò una moderna Santippe.[183] Victor Lebrun, ex segretario di Tolstoj, non avrebbe utilizzato mezzi termini:

«Il male che quella donna fece al marito e all'umanità è incalcolabile. Era insistente, senza alcuna pietà, e niente la fermava nei suoi mezzi di attacco. [...] per difetti innati era incapace d'essere, secondo l'espressione di Gogol', «la guardia dell'anima di suo marito», come lo fu ad esempio la moglie di Gandhi [...]. Mentre il marito lottava da solo contro i potenti delle terra, la contessa Sofia non si stancava mai di minacciarlo puntandogli il pugnale alla schiena.[196]»

Altre testimonianze dell'epoca, seguendo un'impronta imposta da Vladimir Čertkov, presentarono lo scrittore come un martire vittima della moglie.[197] Čertkov e i suoi collaboratori recuperarono inoltre per la pubblicazione quelle note che Tolstoj stesso aveva cancellato dai propri diari perché recriminatorie nei confronti della moglie;[198] omisero invece vari riferimenti a lei favorevoli dagli appunti e dalle lettere del marito.[199]

Maksim Gor'kij fu uno dei pochi a delineare Sonja in termini positivi,[197] così come Dmitrij Petrovič Mirskij, che la definì «una sposa, una madre e una padrona di casa ideale»[200]. Giovanni Pascoli la menzionò nel suo poema italico intitolato Tolstoi (1911), definendola «saggia»[201].

I figli si divisero: Aleksandra la attaccò,[197] mentre Lev junior, in risposta a Rolland che aveva dipinto Sonja come una donna incapace di «capire»,[183] argomentò che ella «era in grado di capire perfettamente non solo tutto ciò che Tolstoj scriveva, ma anche le cause profonde, che per gli altri restavano nascoste, e le ragioni per le quali da scrittore si andava trasformando in profeta»[202]. Tat'jana intervenne, ormai anziana, col dichiarato intento di ripristinare l'imparzialità, giustificando sia il padre sia la madre.[203] Enzo Biagi osserverà che: «A parte il cattivo e accidioso carattere di Sofija, largamente riconosciuto, Tolstoj non doveva essere un marito comodo»[204], mentre Simone de Beauvoir ritenne inutile parlare di colpe, di fronte al dramma vissuto dalla contessa:

«Che abbia avuto torto o ragione non cambia nulla all'orrore della sua situazione: per tutta la vita non ha fatto che subire, in mezzo a recriminazioni continue gli amplessi coniugali, la maternità, la solitudine, il modo di vivere che il marito le imponeva. [...] non aveva alcuna ragione positiva di far tacere i suoi sentimenti di rivolta e nessun mezzo efficace per esprimerli.[205]»

Nella seconda metà del Novecento il dibattito non si spense. Viktor Borisovič Šklovskij tratteggiò la moglie dello scrittore come una borghese con pretese aristocratiche, di cultura ristretta,[206] troppo legata alla realtà presente:

«Sofija era una persona media, fornita di buon senso, ossia della somma dei pregiudizi del tempo. Il futuro non esisteva per lei. [...] ella scrisse: «se potessi uccidere anche lui e poi ricrearlo nuovo, tale e quale, lo farei con gioia». Non voleva ricrearlo tale e quale, ma simile a se stessa, ai Bers in generale: un uomo comune. [...] In quella casa essa fu l'ambasciatrice della realtà.[207]»

Sulla stessa linea Grazia Cherchi, che ha identificato nella noia la principale componente della personalità di Sonja, una noia da «piccola borghese fatta e sputata»[208]. Ancor più aspro il giudizio del Nobel Elias Canetti, che ha attribuito alla contessa una volontà violentemente possessiva e distruttiva:

«È sua moglie, alleata con i figli, che gli dà la caccia a morte. Ella si vendica della guerra che Tolstoj ha combattuto contro il suo sesso e contro il denaro; e bisogna dire che soprattutto le importa il denaro [...]. La sua paranoia le dice che di Tolstoj non resterà altro che i manoscritti e i diari: quelli devono essere suoi [...]. E le riesce, con virtù diabolica, di devastare gli ultimi anni di quella vita.[209]»

Come descritto da Tat'jana, sua madre si era difesa «davanti a tutto: parando in anticipo gli attacchi che sapeva un giorno le avrebbero sferrato. E sapeva anche chi»[192]. Il diario di Sonja trovò un interessato lettore in Stalin,[210] ricevendo in seguito un particolare apprezzamento da parte del Nobel Doris Lessing, che vi ha colto una significativa descrizione della condizione femminile del passato, utile al cammino delle nuove generazioni:

«Mentre lo leggevo, mi sentivo così coinvolta che mi sono ritrovata a sognare Sof'ja, a parlarle in prima persona, nel disperato tentativo di raggiungerla per offrire parole di conforto al suo dolore. Spero che questo memoriale delle sue battaglie sia di aiuto e ispirazione alle generazioni presenti e future.[211]»

Non a caso l'attrice Helen Mirren, che ha interpretato il personaggio di Sonja nel film The Last Station (2009), ha dichiarato di provare per lei una forte empatia, nonostante non le accomunassero grandi somiglianze.[212]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Vezzeggiativo di «Lev» variante russa del nome proprio di persona «Leone».
    V. Lebrun, p. 146.
  2. ^ V. Saltini, l'Espresso, citato in C. Cacciari et aliae, p. 35.
  3. ^ C. Cacciari et aliae, p. 27.
  4. ^ C. Asquith, citata in C. Cacciari et aliae, p. 28.
  5. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, pp. 149 e 152.
  6. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, pp. 150-151 e 155.
    Il nonno materno di Ljubov' Islavina era il conte Pëtr Vasil'evič Zavadovskij, favorito di Caterina II e primo Ministro dell'Educazione sotto Alessandro I. (ivi, p. 150)
  7. ^ I. Sibaldi, p. XCIII.
  8. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, pp. 15 e 24.
    Tat'jana Andrèevna Bers (1846 – 1925) sposerà Aleksandr Kozminskij e pubblicherà le memorie La mia vita in casa e a Jasnaja Poljana. (T. Tolstoj, p. 34)
  9. ^ a b c d e Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, pp. 152-154.
  10. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 21.
  11. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 99.
  12. ^ C. Cacciari et aliae, p. 9.
  13. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 35; qui nella traduzione di P. Citati, p. 87.
    Si veda alla sezione Fama il commento di Šklovskij su questa frase.
  14. ^ a b c S. Vitale, p. XVIII.
  15. ^ P. Citati, p. 79.
  16. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 159.
  17. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 155.
  18. ^ Lev Tolstoj, citato in AA.VV., p. 14.
  19. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 48.
  20. ^ a b c d S. Tolstaja, Diari, pp. 23-25.
  21. ^ Lev Tolstoj, citato in S. Tolstaja, Diari, p. 23.
  22. ^ Lev Tolstoj, citato in S. Tolstaja, Diari, p. 21; C. Cacciari et aliae, p. 10.
  23. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 25.
  24. ^ a b Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 156.
  25. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 27.
  26. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 26.
  27. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 28.
  28. ^ (EN) Sito ufficiale del Museo di Jasnaja Poljana, su yasnayapolyana.ru. URL consultato l'8 dicembre 2011 (archiviato dall'url originale il 3 gennaio 2007).
  29. ^ AA.VV., p. 11.
  30. ^ T. Tolstoj, p. 227.
  31. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 51.
  32. ^ P. Citati, p. 86.
  33. ^ a b c d I. Sibaldi, vol. 2°, p. 1461.
  34. ^ a b I. Sibaldi, p. XC; E. Biagi, p. 47.
  35. ^ a b A. Cavallari, p. 46.
  36. ^ Lev Tolstoj, citato in E. Biagi, p. 47.
    Confiderà anche: «Qui, nel villaggio, conoscevo una donna [...]. Costei organizzava per me degli incontri con donne simili a lei, ed ecco che una volta, in una notte profonda e tenebrosa, traversai il villaggio e gettai un'occhiata nel suo vicolo [...]. Tutto era deserto intorno, non il minimo rumore, non una luce nel villaggio. Solo in basso, dalla sua finestra, traspariva un fascio di luce. Mi avvicinai allora a quella finestra, tutto era calmo e non c'era nessuno nella piccola isba. La lampada ardeva dinanzi alle immagini sacre e lei, completamente sola, in piedi, si faceva il segno della croce e pregava, pregava inginocchiandosi poi, prosternandosi fino a terra, si rialzava e pregava ancora e si prosternava di nuovo. Restai a lungo nell'oscurità a osservarla. Aveva molti peccati sulla coscienza... Lo sapevo, ma come pregava! Quella sera non ho voluto disturbarla». (citato in V. Lebrun, pp. 98-99)
  37. ^ S. Tolstaja, Diari, pp. 35-36.
  38. ^ P. Citati, p. 87.
  39. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 35.
  40. ^ S. Tolstaja, Diari, 8 ottobre 1862, pp. 30-31.
    Dal canto suo, Tolstoj avrebbe annotato otto mesi dopo: «Il mio io dov'è? Quell'io che amavo e conoscevo, che talora appariva all'improvviso procurandomi piacere e spavento? Sono piccolo e insignificante. Peggio: lo sono diventato da quando mi trovo sposato a una donna che amo». (18 giugno 1863, citato in T. Tolstoj, p. 225)
  41. ^ Lev Tolstoj, citato in T. Tolstoj, p. 229.
  42. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 257.
  43. ^ a b T. Tolstoj, pp. 228-229.
  44. ^ S. Tolstaja, citata in T. Tolstoj, p. 231.
  45. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 168.
  46. ^ a b Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, pp. 169-170.
  47. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 53.
  48. ^ S. Tolstaja, Diari, 23 novembre 1862, pp. 33-34.
    «Mi indispone proprio con il suo popolo! Io sento che bisogna che scelga tra la famiglia che io personifico e il popolo, che egli ama di un amore così ardente. È egoismo. Tanto peggio. Io vivo per lui, vivo di lui e voglio lo stesso da parte sua [...]». (ibidem)
  49. ^ a b Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 158.
  50. ^ a b S. Tolstaja, 12 novembre 1866, citata in C. Cacciari et aliae, p. 21.
  51. ^ a b c Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, pp. 158-160.
  52. ^ T. Tolstoj, pp. 47-48; P. Citati, p. 90.
  53. ^ a b c Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 157.
  54. ^ T. Tolstoj, p. 230.
  55. ^ Lev Tolstoj, citato in T. Tolstoj, p. 230.
  56. ^ S. Tolstaja, citata in T. Tolstoj, didascalia a un'illustrazione fuori testo.
  57. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 54.
  58. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 175.
  59. ^ I. Sibaldi, p. 1211.
  60. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, pp. 162-163.
  61. ^ Il'ja Tolstoj, Tolstoj, ricordi di uno dei suoi figli, citato in T. Tolstoj, p. 49.
    Il'ja ricorderà inoltre: «Ogni cosa dipende da lei. [...] Sta sempre allattando, corre da un capo all'altro della casa per tutta la giornata. Con lei si possono fare i capricci, ma di tanto in tanto si arrabbia e ci punisce. Sa tutto meglio di tutti. Sa che ci si deve lavare tutti i giorni, che a desinare bisogna mangiare la minestra, parlare francese, comportarsi bene, non strisciare i piedi per terra, non mettere i gomiti sul tavolo. Se dice che non si deve andar fuori a giocare perché pioverà, si può essere sicuri che pioverà davvero, perciò bisogna obbedirle». (citato in ivi, pp. 48-49)
  62. ^ I. Sibaldi, pp. XCVI-XCVIII e CXXI.
  63. ^ a b I. Sibaldi, pp. XCVIII-XCIX.
  64. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 163.
  65. ^ Lev Tolstoj, La confessione, a cura di Gianlorenzo Pacini, Milano, SE, 2000, cap. IV, p. 28. ISBN 88-7710-465-1
  66. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 121.
  67. ^ Lev Tolstoj, Anna Karenina, traduzione di Leone Ginzburg, Torino, Einaudi, 1993, p. 5. ISBN 88-06-13273-3
  68. ^ S. Vitale, p. XXXV.
  69. ^ P. Citati, pp. 294-295; C. Cacciari et aliae, p. 30.
  70. ^ a b c I. Sibaldi, p. CVII.
  71. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, pp. 121-123.
  72. ^ T. Tolstoj, pp. 234-236.
  73. ^ S. Tolstaja, citata in T. Tolstoj, p. 243.
  74. ^ T. Tolstoj, p. 48.
  75. ^ a b I. Sibaldi, p. C.
  76. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, pp. 169 e 171.
  77. ^ a b c T. Tolstoj, pp. 237-241.
  78. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 116.
  79. ^ S. Tolstaja, citata in T. Tolstoj, p. 242.
  80. ^ Scriverà Enzo Biagi, dopo aver visitato l'edificio che ospitava la famiglia Tolstoj a Mosca: «Sofija Andrejevna aveva riempito il suo salotto di tappeti, di un gusto che oggi diremmo dannunziano: mobili, tendine inamidate, lumiere di opaline, denunciano, più che il benessere, quel lusso che tormentava Lev Nikolajevič perché lo induceva a considerare la sua esistenza un vergognoso privilegio, e a paragonarla con la miseria della gente». (E. Biagi, p. 46)
  81. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, pp. 171 e 173-174.
  82. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 174.
  83. ^ Lev Tolstoj, citato in T. Tolstoj, p. 243.
  84. ^ I. Sibaldi, p. CII.
  85. ^ a b Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 171.
  86. ^ a b c T. Tolstoj, pp. 244-245.
  87. ^ a b c Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 177.
  88. ^ C. Cacciari et aliae, p. 12.
  89. ^ a b P. Citati, p. 302.
  90. ^ V. Lebrun, p. 155.
  91. ^ a b I. Sibaldi, p. CIII.
  92. ^ T. Tolstoj, pp. 245-246.
  93. ^ S. Tolstaja, citata in T. Tolstoj, pp. 245-246.
  94. ^ I. Sibaldi, pp. C e CIII.
  95. ^ I. Sibaldi, p. CIV.
  96. ^ a b T. Tolstoj, pp. 248-249.
  97. ^ a b Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 178.
  98. ^ S. Tolstaja, citata in T. Tolstoj, p. 252.
  99. ^ T. Tolstoj, pp. 251-253.
  100. ^ Lev Tolstoj, citato in Miriam Capaldo, L'amore ai tempi di Tolstoj, in L. L. Tolstoj, Il preludio di Chopin, p. XVIII.
  101. ^ a b I. Sibaldi, p. CVI.
  102. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 113.
  103. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 120.
  104. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 131.
  105. ^ S. Tolstaja, Diari, pp. 98 e 120.
  106. ^ T. Tolstoj, p. 251.
  107. ^ T. Tolstoj, p. 267.
  108. ^ Lev junior, allora ventenne, pubblicò la stesura definitiva del racconto nel 1898 (L. L. Tolstoj, Il preludio di Chopin, pp. XIX e 3).
  109. ^ Marta Albertini, Introduzione, in L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 5.
  110. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 138.
    Si veda anche quanto scritto da Doris Lessing: «La Sonata a Kreutzer – che la povera Sof'ja, pur odiandola, dovette copiare – mi sembra una classica descrizione dell'omosessualità maschile». (dalla Prefazione a S. Tolstaja, Diari, p. 7)
  111. ^ S. Tolstaja, citata in Miriam Capaldo, L'amore ai tempi di Tolstoj, in L. L. Tolstoj, Il preludio di Chopin, p. XIX.
  112. ^ I. Sibaldi, pp. CVI-CVII.
  113. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 60.
  114. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 180.
  115. ^ Miriam Capaldo, L'amore ai tempi di Tolstoj, in L. L. Tolstoj, Il preludio di Chopin, p. XIX.
  116. ^ a b C. Cacciari et aliae, p. 13.
  117. ^ S. Tolstaja, Amore colpevole.
  118. ^ I. Sibaldi, p. CVIII; AA.VV., p. 20.
  119. ^ a b T. Tolstoj, pp. 254.
  120. ^ T. Tolstoj, pp. 257.
  121. ^ a b S. Tolstaja, citata in T. Tolstoj, p. 258.
  122. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 182.
  123. ^ P. Citati, p. 297.
  124. ^ A. Cavallari, pp. 39-40.
  125. ^ a b I. Sibaldi, p. CXI.
  126. ^ C. Cacciari et aliae, pp. 80-85.
  127. ^ C. Cacciari et aliae, p. 14.
  128. ^ C. Cacciari et aliae, pp. 84-85.
  129. ^ AA.VV., p. 44.
  130. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 176.
  131. ^ a b I. Sibaldi, pp. CXII-CXIII.
  132. ^ S. Tolstaja, citata in P. Citati, p. 297.
  133. ^ L'originale è visibile alle spalle di Repin che legge la notizia della morte di Tolstoj, nello scatto – su Wikimedia Commons: Bulla RepinreadsTolstoydeath – del fotografo russo Karl Bulla.
  134. ^ a b c Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, pp. 184-185.
  135. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 184.
  136. ^ Visibile su Wikimedia Commons: Leon Tolstoi.
  137. ^ a b c I. Sibaldi, pp. CXIII-CXIV.
  138. ^ A. Cavallari, p. 17.
  139. ^ A. Cavallari, p. 83.
  140. ^ P. Citati, p. 304.
  141. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 186.
  142. ^ A. Cavallari, p. 42.
  143. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 108.
  144. ^ a b c I. Sibaldi, p. CXXI.
  145. ^ Lev Tolstoj, citato in I. Sibaldi, p. CXI.
  146. ^ Nel novembre del 1906. I. Sibaldi, p. CXI.
  147. ^ A. Cavallari, p. 10.
  148. ^ a b I. Sibaldi, vol. 2°, p. 1462.
  149. ^ Lev Tolstoj, citato in I. Sibaldi, vol. 2°, p. 1462.
  150. ^ V. Lebrun, p. 159.
  151. ^ V. Lebrun, pp. 36-37.
  152. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 217.
  153. ^ a b c d T. Tolstoj, pp. 265-267.
  154. ^ I. Sibaldi, p. CXVIII.
  155. ^ P. Citati, p. 295.
    In data 29 novembre 1851: «Non sono mai stato innamorato di donne. [...] Di uomini mi sono innamorato molto spesso [...]. L'esempio più strano di una simpatia in qualche modo insolita è Gotier. Con lui non c'è stato assolutamente alcun rapporto, oltre che per l'acquisto di libri. Sentivo una vampa di calore quando lui entrava nella stanza. L'amore per Islavin mi ha guastato tutti gli otto mesi di vita a Pietroburgo. Sebbene inconsciamente, io di null'altro mi preoccupavo che di piacergli. Tutti gli uomini che ho amato lo hanno sentito, e ho notato che facevano uno sforzo per non guardarmi. [...] La bellezza ha sempre avuto molta influenza nella scelta; si veda l'esempio di Djakov; non dimenticherò mai le notti quando io e lui uscivamo da Pirogovo e avevo voglia di abbracciarlo e di piangere. In tale sentimento c'era sensualità, ma è impossibile dire in che misura; perché [...] l'immaginazione non mi ha mai disegnato quadri lubrici, e ne ho al contrario un terribile disgusto». (dai Diari, traduzione di Silvio Bernardini, Milano, Longanesi, 1980, pp. 52-54)
  156. ^ T. Tolstoj, p. 266.
  157. ^ C. Cacciari et aliae, pp. 14 e 87.
  158. ^ a b c A. Cavallari, pp. 47-48.
  159. ^ a b c Lev Tolstoj, citato in T. Tolstoj, pp. 266-268.
  160. ^ V. Lebrun, p. 160; A. Cavallari, p. 47.
  161. ^ a b L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, pp. 129 e 145-146.
  162. ^ a b T. Tolstoj, pp. 268-270.
  163. ^ T. Tolstoj, p. 271.
  164. ^ Lev Tolstoj, citato in AA.VV., p. 5.
  165. ^ Lev Tolstoj, citato in T. Tolstoj, p. 271.
  166. ^ a b V. Lebrun, pp. 161-162; A. Cavallari, p. 49.
  167. ^ Lev Tolstoj, citato in V. Lebrun, p. 162.
  168. ^ S. Tolstaja, citata in AA.VV., p. 28.
  169. ^ a b T. Tolstoj, p. 273.
  170. ^ A. Cavallari, p. 49.
  171. ^ Lev Tolstoj, citato in C. Cacciari et aliae, pp. 44-45.
  172. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, pp. 14-15.
  173. ^ a b A. Cavallari, pp. 27-28.
  174. ^ a b I. Sibaldi, p. CXIX.
  175. ^ A. Cavallari, p. 57.
  176. ^ A. Cavallari, p. 63.
  177. ^ A. Cavallari, pp. 58-59.
  178. ^ Lev Tolstoj, citato in A. Cavallari, p. 62.
  179. ^ T. Tolstoj, pp. 276-277.
  180. ^ a b I. Sibaldi, p. CXX.
  181. ^ a b c T. Tolstoj, p. 278.
  182. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, pp. 135-136.
  183. ^ a b c L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 52.
  184. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 135.
  185. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 136.
  186. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 193.
  187. ^ Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 195.
  188. ^ S. Tolstaja, Diari, p. 15, nota.
  189. ^ C. Cacciari et aliae, pp. 15 e 29; Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, p. 196.
  190. ^ S. Tolstaja, My Life anche Breve autobiografia in S. Tolstaja, Amore colpevole, pp. 176 e 184.
  191. ^ P. Bori, G. Sofri, p. 123.
  192. ^ a b c T. Tolstoj, p. 280.
  193. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 14.
  194. ^ T. Tolstoj, pp. 264 e 280.
  195. ^ S. Tolstaja, citata in AA.VV., p. 27.
  196. ^ V. Lebrun, pp. 147 e 151.
    Lebrun aggiunge: «Scriveva contro di lui nei giornali, si rivolgeva al clero, alla polizia, allo Zar. E, come poteva, sollevava contro di lui i suoi figli. [...] E Leone Nicolaevič, con il suo cuore sensibile e la sua pazienza senza limite, con il suo dogma dell'amore cristiano, aveva pietà di lei e cedeva, cedeva sempre». (ivi, p. 151)
    Di segno opposto Doris Lessing, che descrive Tolstoj come «un pessimo marito – sessualmente irrispettoso – sotto tutti i punti di vista. [...] La verità era che il grande Tolstoj era una sorta di mostro». (dalla Prefazione a S. Tolstaja, Diari, p. 7)
  197. ^ a b c Daniel Gillès, Premessa, in T. Tolstoj, p. 218.
  198. ^ C. Cacciari et aliae, p. 41.
  199. ^ C. Cacciari et aliae, p. 29.
  200. ^ D. P. Mirskij, Storia della letteratura russa (1927), citato in C. Cacciari et aliae, p. 33.
  201. ^ E Dio gridò: «Chi ama padre o madre | su me, non è degno di me. Chi ama, | più di me, figlio o figlia, non è degno | di me. E chi non prende la sua croce | e segue me, non è degno di me». | Ed e' vestì la veste rossa e i crudi | calzari mise, e la natal sua casa | lasciò, lasciò la saggia moglie e i figli, | e per la steppa il vecchio ossuto e grande | sparì. (G. Pascoli, Tutte le poesie, a cura di Arnaldo Colasanti, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma, p. 644. ISBN 88-8289-336-7)
  202. ^ L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, pp. 59-60.
  203. ^ T. Tolstoj, pp. 221 e 281.
    Così Tat'jana conclude le proprie memorie: «Vicinissimi l'uno all'altro ma anche infinitamente lontani l'uno dall'altro. [...] Chi può prendersi la responsabilità di indicare il colpevole? [...] Possiamo rimproverare a mia madre di non essere stata capace di seguire il marito nella sua ascesa? Più che una colpa è stata una sventura. Una sventura che l'ha schiantata. Mio padre è forse colpevole, se ha voluto salvare ciò di cui "a volte avvertiva in sé la presenza" e di salvarlo a costo della vita?». (ivi, p. 281)
  204. ^ E. Biagi, p. 47.
  205. ^ S. de Beauvoir, Il secondo sesso (1949), citato in C. Cacciari et aliae, p. 36.
  206. ^ C. Cacciari et aliae, p. 31.
  207. ^ V. Šklovskij, Tolstoj (1963), citato in C. Cacciari et aliae, p. 31.
  208. ^ G. Cherchi, citata in C. Cacciari et aliae, pp. 34-35.
  209. ^ E. Canetti, Tolstoj l'ultimo avo in Potere e sopravvivenza (1972), citato in C. Cacciari et aliae, p. 30.
  210. ^ Scrive lo storico Donald Rayfield: «[Stalin] apprezzava la nudità femminile [...]. Quando [...] di nuovo vedovo, lesse il diario che la moglie di Tolstoj tenne nel 1910, l'ultimo e il più infelice anno di una vita coniugale burrascosa, Stalin trovò molto da commentare soprattutto nel seguente appunto di Sofia Tolstaia: "Solo i Trubezkoj, marito e moglie, si bagnarono insieme nel fiume, e così facendo ci stupirono"». (D. Rayfield, Stalin e i suoi boia, traduzione di Stefania De Franco, Milano, Garzanti, 2005, p. 57. ISBN 88-11-69386-1)
    Sonja si riferiva ad un episodio poi narrato dal figlio Lev: «Paolo Trubeckoj venne diverse volte a Jasnaja per eseguire le famose sculture di mio padre. [...] Un giorno Trubeckoj andò a fare un bagno in compagnia della sua giovane moglie. Mio padre ne fu indignato. Trubeckoj, per difendersi, esaltò la bellezza del nudo». (L. L. Tolstoj, La verità su mio padre, p. 43)
  211. ^ Doris Lessing, Prefazione a S. Tolstaja, Diari, p. 8.
  212. ^ Marcella Peruggini, "The Last Station": incontro con Hoffman e Mirren [collegamento interrotto], su film.35mm.it, 35mm.it, 19 ottobre 2009. URL consultato il 27 ottobre 2011.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • AA.VV., Lev Tolstòj, direttore Enzo Orlandi, collana I giganti, Verona, Arnoldo Mondadori Editore, 1970, ISBN non esistente.
  • Cynthia Asquith, Sposata a Tolstoj, traduzione di G. Romano, Milano, Bompiani, 1963, ISBN non esistente.
  • Enzo Biagi, Russia, Milano, Rizzoli, 1977, ISBN non esistente.
  • Pier Cesare Bori, Gianni Sofri, Gandhi e Tolstoj: un carteggio e dintorni, Bologna, Il mulino, 1985, ISBN 88-15-00793-8.
  • Cristina Cacciari, Veronica Cavicchioni e Marina Mizzau, Il caso Sofija Tolstoj, Verona, Essedue edizioni, 1981, ISBN non esistente.
  • Alberto Cavallari, La fuga di Tolstoj, Torino, Einaudi, 1986, ISBN 88-06-59385-4.
  • Pietro Citati, Tolstoj, Milano, Longanesi, 1983, ISBN non esistente.
  • Victor Lebrun, Devoto a Tolstoj, traduzione di Dino Naldini, Milano, Lerici Editori, 1963, ISBN non esistente.
  • Igor Sibaldi, Introduzione, Cronologia, Note ai testi, in Lev Tolstoj, tutti i racconti, collana I Meridiani Collezione, vol. 1, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2005, ISBN 88-04-55275-1.
  • Igor Sibaldi, Note ai testi, in Lev Tolstoj, tutti i racconti, collana I Meridiani Collezione, vol. 2, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2006, ISBN 88-04-55518-1.
  • Lev L'vovič Tolstoj, La verità su mio padre, traduzione di Marta Albertini, Milano, Archinto, 2004, ISBN 88-7768-378-3.
  • Lev L'vovič Tolstoj, Il preludio di Chopin, traduzione di Miriam Capaldo, collana ASCE, Roma, Editori Riuniti, 2010, ISBN 978-88-359-9015-4.
  • Tatiana Tolstoj, Anni con mio padre, traduzione di Roberto Rebora, Milano, Garzanti, 1978, ISBN non esistente.
  • Serena Vitale, Introduzione, in Lev Tolstoj, Resurrezione, Milano, Garzanti, 2002, ISBN 88-11-36157-5.

Opere di Sof'ja Tolstaja[modifica | modifica wikitesto]

  • Sof'ja Tolstaja, Amore colpevole, traduzione di Nadia Cicognini, con in appendice la Breve autobiografia della contessa Sof'ja Andreevna Tolstaja, La Tartaruga, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2009, ISBN 978-88-7738-476-8.
  • Sof'ja Tolstaja, I diari: 1862-1910, traduzione di Francesca Ruffini e Raffaella Setti Bevilacqua, prefazione di Doris Lessing, traduzione della prefazione di Raffaella Patriarca, preceduti da Il matrimonio con Lev Nikolaevič Tolstoj, La Tartaruga, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2010, ISBN 978-88-7738-485-0.
  • (EN) Sofia Andreevna Tolstaya, My Life, traduzione di John Woodsworth e Arkadi Klioutchanski, introduzione e cura di Andrew Donskov, Ottawa, University of Ottawa Press, 2010, ISBN 978-0-7766-3042-7.

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