Abbazia di San Salvatore Maggiore

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Abbazia di San Salvatore Maggiore
Abbazia di San Salvator Maggiore (RI)
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneLazio
LocalitàPratoianni (Concerviano)
Coordinate42°17′13.37″N 12°58′38.38″E / 42.287048°N 12.977327°E42.287048; 12.977327
ReligioneCattolica
TitolareSanto Salvatore
OrdineBenedettino
Diocesi Rieti
Consacrazione735
Sconsacrazione1979
FondatoreLucerio di Moriana
Stile architettonicoRomanico
Sito webwww.sansalvatoremaggiore.it.

L'abbazia di San Salvatore Maggiore (in latino: abbatia Sancti Salvatoris Maioris) è stata un'abbazia benedettina, fondata nell'VIII secolo e soppressa nel XVII secolo, sorta sull'altopiano del monte Letenano, nella dorsale della catena dei rilievi che formano lo spartiacque tra i bacini del Salto e del Turano. Storicamente nell'Alta Sabina, nel territorio reatino, ai margini della regione del Cicolano, attualmente il complesso monumentale di San Salvatore Maggiore è nel territorio di Pratoianni, frazione del comune di Concerviano nella provincia di Rieti. Il centro abitato più vicino è il paese di Vaccareccia, frazione, anch'essa, del comune di Concerviano.

All'abbazia sono stati soggetti, per secoli, un cospicuo numero di castelli, ovvero di centri abitati, situati nel territorio ad essa più prossimo che costituirono un'unità amministrativa denominata, in seguito, con un neologismo storico, la Signoria di San Salvatore Maggiore[1][2].

«Chi non si illumina pensando alle grandi abbazie del Lazio, per limitarci a quelle più vicine, Montecassino, Subiaco, Casamari, Farfa? Ma quella di San Salvatore Maggiore è ignorata dai più, non esistono note storiche recenti e bisogna cercare più a fondo, risalire nel tempo. Allora sì che si trova, non molto, ma certamente vengono alla luce dati e informazioni densi di significato e con riferimenti sensazionali. [...] I segni della vita che vi si è svolta, gli avvenimenti che vi sono accaduti, le impronte lasciate dalle persone che lo hanno abitato; qualcosa si vede, qualcosa si sa, qualcos'altro si intuisce, ma quanto ancora vi è celato?»

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'archivio di San Salvatore Maggiore, se mai ve ne fu uno[3], è ormai scomparso e disperso. La storia dell'abbazia, dopo la sua soppressione, è stata parzialmente ricostruita tramite le notizie raccolte qua e là negli archivi di altre istituzioni, in particolare della vicina abbazia di Farfa, ove gli storici si sono imbattuti in nozioni e menzioni sporadiche e frammentarie circa il monastero. Le notizie raccolte sono tanto più preziose quanto più rare[4].

Alto Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

Età Longobarda[modifica | modifica wikitesto]

La lapide di Sesto Tadio Nepote conservata nel corridoio fuori dal refettorio, all'interno dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore.

L'abbazia sorse sulle rovine di una preesistente villa romana, come testimoniato da materiali riutilizzati nella costruzione del complesso abbaziale tra i quali il più evidente e senz'altro la Lapide di Sesto Tadio, parte di un sarcofago utilizzato come vasca di un fontanile all'interno del complesso abbaziale. Altri indizi strutturali, evidenziati dai recenti restauri[5], confermano l'origine romana della costruzione. È probabile che la villa sulle cui vestigia venne edificata l'abbazia fosse proprio quella del senatore Tadio Nepote il cui cursus honorum fu descritto in maniera concisa e puntuale sulla sua epigrafe (CIL IX, 04119) dalla moglie Mulvia Placida e che tale villa rustica si trovasse nei pressi della Via Caecilia come avanzato alla fine dell'ottocento da Niccolò Persichetti[6].

La fondazione dell'abbazia avvenne nel 735[7] durante il regno longobardo di Liutprando ad opera di Lucerio da Moriana, compagno di Tommaso da Moriana che nel 721 aveva rifondato l'abbazia di Farfa alle pendici del monte Acuziano in Sabina. Lucerio era accompaganto da altri monaci franchi i quali, in quanto guargangi, ovvero stranieri nel regno dei longobardi, godevano di particolari privilegi che favorirono lo sviluppo del cenobio[8]. La fondazione del monastero avvenne sul monte Letenano[9] ad ottomila passi da Farfa[10] e ad otto miglia da Rieti[11].

Già a partire dall'VIII secolo la fama di santità della vita dei monaci del Letenano si sparse rapidamente ed altrettanto rapidamente si accrebbero le donazioni ricevute dall'abbazia: oltre ai lasciti testamentari[12] erano semplici privati a trasferire i loro beni al monastero così come nobili o uomini di stato ed alti ufficiali della corte longobarda di Spoleto o di quella papale di Roma che ricorrevano a donazioni per sollecitare il loro ingresso nella comunità monastica. L'abbazia vide così accrescere i propri beni[13] che furono confermati già da papa Stefano III (752-757)[14].

L'abbazia all'epoca era tanto potente che, sotto il regno di Desiderio (757-774), fu tra i protagonisti della congiura ordita ai danni dell'antipapa Costantino dal primicerio Cristoforo e dal figlio Sergio, sacellario papale, i quali, decisi ad invocare contro di lui l'aiuto di re Desiderio (757-774), onde rimuovere da loro ogni sospetto, simularono di voler abbandonare la politica e il mondo per ritirarsi a condurre vita penitente nel monastero del Salvatore[15].

Età Carolingia[modifica | modifica wikitesto]

Alla caduta di re Desiderio nel 774, Carlo Magno, già re dei franchi, si proclamò rex Francorum et Langobardorum. Il cambio di dominazione non pregiudicò la fama e e gli interessi materiali dei monastero che dopo d'aver goduto la protezione dei sovrani longobardi passò a seguire la politica pontificia, tutta ispirata a favorire i Franchi, così che San Salvatore Maggiore, insieme con Farfa e Sant' Andrea sul Soratte, venne annoverato tra i monasteri regi nel nuovo regno carolingio[16].

Quando poi, nel natale dell'800, Carlo Magno in persona soggiornò a Farfa durante il suo viaggio a Roma per essere incoronato imperatore del Sacro Romano Impero, l'abate di San Salvatore era lì insieme a quello di Farfa ad omaggiare l'imperatore il quale concesse alle due abbazie il titolo di "abbazie imperiali" ponendole di fatto, da allora, sotto la defensio imperialis[17].

Ulteriore testimonianza della vicinanza del cenobio al favore imperiale è la corrispondenza intercorsa tra l'abate Usualdo di San Salvatore ed Alcuino di York[18], il potente maestro di palazzo di Carlo Magno[19].

(LA)

«Nec enim frustra speciali vocabulo, Monachi sancti Salvatoris vocamini, sini quia estis meritis quod nomine dicimini»

(IT)

«E non senza motivo siete chiamati con un termine speciale, monaci santi del Salvatore, perché siete degni di essere chiamati così per i vostri meriti.»

IX secolo[modifica | modifica wikitesto]

Anche dopo la morte di Carlo Magno l'abbazia accrebbe ancora il suo potere tanto che il Liber Pontificalis ricorda come Pasquale I (817-824) offrì al monastero ricchi doni:

(LA)

«Fecit in monasterio Salvatoris Domini nostri lesu Christi sito in territorio Reatino vestem de Chrysoclavo cum historia qualiter idem Dominus noster lesus Christus cum Archangelis et Apostolis in coelo coruscat, mira pulchritudine, diversis ornatam margaritis. Item in jam dicto Monasterio ad ornatum sacri Altaris aliam obtulit vestem de fundato, habentes cruces de blatthin byzantea et perichysim de Chrysoclavo, mirifice ornatam.»

(IT)

«Nel monastero del Salvatore nostro Signore Gesù Cristo, situato nel territorio di Rieti, [ il papa ] fece [ in dono ] un drappo di Chrysoclavus istoriato con nostro Signore Gesù Cristo in cielo in coro con gli Arcangeli e gli Apostoli, adornato con una meravigliosa bellezza e diverse perle. Allo stesso modo, in detto monastero, fu offerto un altro drappo per l'ornamento del sacro altare, fatto di tessuto di fondato, con croci di lino di Bisanzio e perichysium di Chrysoclavus, magnificamente decorato.»

Il fatto che il papa, in segno di omaggio, offrisse in dono due distinti drappi ricamati d'oro per gli altari, testimonia una volta di più del prestigio e del potere raggiunti nel IX secolo dal monastero e del fatto che, nel periodo di massimo splendore dell'abbazia, esistessero nel monastero addirittura due basiliche: una intitolata al Salvatore ed un'altra a San Pietro Apostolo[20].

Per aumentare ulteriormente l'importanza dell'abbazia anche gli abati di San Salvatore parteciparono, tra l'VIII ed il IX secolo, alla spoliazione dei cimiteri suburbani romani, ormai abbandonati, per assicurarsi delle preziose reliquie ottenendo la traslazione sul Letenano del corpo del martire Ippolito.[21]

Il culto del beato Ippolito martire, antipapa e genio della chiesa, è una delle tante particolarità[22] dei monaci del Letenano che, fedeli alle proprie origini franche e perciò considerando il loro rito speciale, quasi una gloria della loro badia che andava gelosamente conservata come una parte assai importante del patrimonio liturgico latino nel periodo pregregoriano, si rifiutavano ancora nel IX secolo di aderire al rito romano introdotto già da papa Gregorio Magno (590-604) tanto che Leone IV (847-855), propugnando l'assoluta uniformità rituale, in una lettera all'abate di San Salvatore Onorato, minacciò di scomunica l'intero monastero del Salvatore[23].

Il seguire regole indipendenti, fin dall'abbigliamento con un copricapo, una berretta, che gli valse il nome di berrettanti[24], insieme al loro tradizionale accordo con il potere civile, più volte, nei secoli a seguire, sarebbe valso ai monaci del Letenano continue accuse di insubordinazione e deviazionismo da parte dei pontefici[25].

Nel IX secolo la comunità di San Salvatore Maggiore, come quella di Farfa, continuò a godere di privilegi ducali, papali e imperiali, come dimostra quello concesso nell’872[26] da Ludovico II (855-875) il quale, dopo la sconfitta riportata a Benevento per causa del principe Adelchi, era ricorso al papa per ottenere la corona imperiale e con essa il diritto sul ducato beneventano[27]. In visita a Farfa, durante la festività della Pentecoste, Ludovico II[28] ricevette l'omaggio anche dell'abate Anastasio[29] di San Salvatore e concesse a entrambe le abbazie privilegi e guarentigie[30], mantenne però l'obbligo delle abbazie al fodrum verso l'imperatore (tale obbligò verrà annullato dal successore di Ludovico II, Carlo il Calvo, ma dovette essere in seguito ripristinato tanto che se ne trova menzione, riguardo alle due abbazie sabine, ancora nell'XI secolo)[31].

X secolo[modifica | modifica wikitesto]

Distruzione ad opera dei Saraceni (891) e ricostruzione (974)[modifica | modifica wikitesto]

Alla fine del IX secolo anche l'altopiano del Letenano, così come le vallate della Sabina, fu scosso dalle scorrerie dei predoni saraceni che nell'891 incendiarono e distrussero il complesso abbaziale[32]. I mori si acquartierarono per decenni nel territorio dell'abbazia di San Salvatore[33] e solo dopo la definitiva cacciata dalla Sabina ad opera degli armati reatini capitanati da Tachiprando nella battaglia di Trebula Mutuesca (914), prima della decisiva vittoria riportata da Giovanni X sul Garigliano (915) che pose fine alla minaccia dei Saraceni in Italia, l'abbazia venne ricostruita: la chiesa abbaziale di San Salvatore fu riconsacrata solo nel 974, ben cinquant'anni dopo quella di Farfa[34]. Da allora i monaci di San Salvatore cominciarono a festeggiare annualmente, oltre alla data della prima consacrazione della basilica del Salvatore nel 735, il 17 Gennaio, anche quella della consacrazione dopo la sua ricostruzione del 974, il 4 luglio[34].

Si aprì allora un nuovo periodo di fervida ricostruzione[35] e anche il monastero del Salvatore ricominciò a recuperare ed accrescere il proprio patrimonio, sotto l'intervento diretto, dell'imperatore Ottone II e di sua moglie Teofano (973-983), nipote dell'imperatore romano d'oriente[1].

Basso Medioevo[modifica | modifica wikitesto]

XI secolo[modifica | modifica wikitesto]

I rapporti con Farfa[modifica | modifica wikitesto]

Già dall'VIII secolo il patrimonio del monastero di San Salvatore Maggiore, favorito dai gastaldi di Rieti, dai duchi di Spoleto e dai papi, contava proprietà nei dintorni dell'abbazia, sull'altopiano del Letenano, nel territorio detto delle "Plage", situato tra la Valle del fiume Salto e quella del fiume Turano in direzione di Rieti, nella piana reatina, in Sabina, nell'Abruzzo e nelle Marche.

Le donazioni all'abbazia di San Salvatore erano spesso in territori contigui alle donazioni fatte nello stesso periodo all'abbazia di Farfa[36] tanto che non solo in Sabina i beni di San Salvatore e quelli di Farfa erano frastagliati ed intersecati tra loro[37]. Non stupisce allora che nel regesto farfense si trovino dei documenti che testimonino degli accordi[38][39] e, a parte rari casi di dispute nell'attribuzione di proprietà[40], le due comunità monastiche vissero per più secoli in assoluta concordia[41] tanto da considerarsi come un'unica famiglia, memori della comune fondazione da parte degli stessi monaci franchi e tanto da scambiarsi visite reciproche[42] se non addirittura favorire lo scambio di membri tra le due comunità.

L'apice delle relazioni tra Farfa e San Salvatore Maggiore si raggiunse tra la fine del IX e l'inizio del secolo X, sotto la guida degli abati Ugo I di Farfa e Landuino di San Salvatore come dimostrato dalle missive intercorse tra le guide dei due monasteri conservate negli archivi farfensi[43] che documentano degli accordi e delle consuetudini tra i due monasteri ed i loro abati uniti da una vero e proprio rapporto di amicizia[44].

La cortesia da parte degli abati di San Salvatore verso quelli di Farfa in materia di possedimenti e attribuzioni di chiese, monasteri e dei relativi benefici non venne però estesa ai vescovi della diocesi di Sabina[45] né a quelli della diocesi reatina. Negli archivi pontifici, in quelli della Sabina, dell'Abruzzo e delle Marche, ove si trovavano i possedimenti dell'abbazia, numerose sono le tracce delle dispute che gli abati di San Salvatore dovettero affrontare nei secoli per conservare ed accrescere i propri domini e non sempre l'abate di San Salvatore giocava il ruolo di difensore: capitava anche, infatti, che, in virtù dei privilegi loro concessi, gli abati cercassero di eludere i diritti dei vescovi nel territorio dei quali si trovavano i loro possedimenti[46].

Lo scriptorium di San Salvatore Maggiore[modifica | modifica wikitesto]

Dalla corrispondenza tra le due abbazie si intuiscono molte informazioni come il fatto che l'archivio di Farfa doveva essere stato d'aiuto anche agli abati di San Salvatore per ricostruire la propria storia e forse per prevalere nelle dispute sul possedimento di beni in cui periodicamente erano coinvolti. Sebbene dell'archivio di San Salvatore si siano perse le tracce, questo non deve far pensare che i monaci del Letenano non coltivassero la scrittura al pari degli altri monasteri benedettini del loro tempo: tutt'altro. Altre fonti documentali, infatti, lasciano intendere come anche sul Letenano esistesse, almeno a partire dall'XI secolo, uno scriptorium e che i codici in esso prodotti avessero diffusione nelle chiese di Roma e negli altri monasteri della penisola se non del resto d'Europa[47][48] come anche il fatto che addirittura i pontefici si valessero dello scriptorium del monastero di San Salvatore[49].

XII secolo[modifica | modifica wikitesto]

Lotte tra papato ed impero[modifica | modifica wikitesto]

Nel XII secolo si assistette nelle terre dell'abbazia, come nel resto d'Europa alle lotte tra impero e papato, conclusesi con il predominio di quest'ultimo dopo il concordato di Worms nel 1122.

L'esito dello scontro tra il partito papale e quello imperiale non poté non avere ripercussioni sull'abbazia di San Salvatore così come su quella di Farfa che dalla defensio imperialis passarono alla subiectio papalis. Il processo fu lungo e tormentato come tormentati furono per le abbazie gli anni a cavallo tra l'XI ed il XII secolo.

Federico I Barbarossa (1155-1190) - I normanni e la definizione della linea di confine[modifica | modifica wikitesto]

La situazione nelle terre dell'abbazia di San Salvatore Maggiore si complicò alla metà del XII secolo allorquando, da una parte la conquista normanna del meridione d'Italia giunse proprio alle porte del monastero[50], e dall'altra, l'elezione ad imperatore di Federico I Barbarossa (1155-1190) rinfocolò le speranze del partito imperiale.

Già nel 1155, durante la sua prima discesa a Roma, Federico I, volle trattare le due abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore come già prima d'allora gli imperatori avevano fatto ovvero domandando fedeltà in cambio di protezione. È possibile, dunque, che l'imperatore si sia rivolto all'abbazia di Farfa e a quella di San Salvatore Maggiore perché concedessero delle terre loro sottoposte a membri di famiglie nobili a lui fedeli[51]: questi sarebbero quindi divenuti feudatari o almeno concessionari delle abbazie con lo scopo di rafforzare militarmente il territorio limitrofo alle abbazie, edificando una serie di castra con il compito di contrastare eventuali incursioni normanne da sud e da est ben prima che, nel 1176, avanti della battaglia di Legnano del 29 maggio, parte dell'esercito imperiale dirottato verso il regno normanno, agli ordini dell'arcivescovo Cristiano di Magonza, cancelliere di Germania, sconfiggesse il 16 marzo a Carsoli l'esercito del re Guglielmo II guidato da Ruggero conte di Andria e da Tancredi conte di Lecce nell'unico confronto diretto tra le armate imperiali e quelle normanne.

Già prima della morte dell'imperatore Barbarossa, nel 1185, la questione della definizione del confine meridionale delle terre imperiali avrebbe trovato la sua soluzione attraverso la diplomazia con un'accorta politica matrimoniale: l'unione tra Enrico VI, figlio del Barbarossa e Costanza d'Altavilla, figlia del re normanno Ruggero II[52]. Proprio per l'importanza diplomatica che rivestiva in assenza dello sposo, accorso in Germania per la morte improvvisa della madre, il matrimonio venne celebrato per procura, a Rieti, prima città in territorio imperiale al di là del confine.

Con la morte dell'imperatore Barbarossa i piatti della bilancia tornarono a pendere dalla parte della curia papale per cui anche a San Salvatore, come a Farfa riprese il processo di riconoscimento del monastero come Romanae ecclesiae immediate subiectum.

Il patrimonio del monastero venne perciò, da allora in poi, confermato dai pontefici attraverso delle bolle papali a partire da quella del 27 Maggio 1191[53], con cui il papa Celestino III[54] pose San Salvatore Maggiore sotto la protezione papale, confermandone allo stesso tempo i beni: per la prima volta, si sanciva per intero il possesso dell'Abbazia sui luoghi ad essa immediatamente adiacenti ovvero su tutto il territorio tra il fiume Salto ed il fiume Turano, dal Fosso di Paganico (ndr. oggi il Fosso dell'Obìto) fino al Borgo di Rieti. Si trattava dei territori delle Plage, nucleo territoriale della Signoria di San Salvatore Maggiore, che, nei due secoli successivi, sarebbero stati mira delle conquiste dei potentati circostanti, dal Comune di Rieti, ai conti Mareri[55] nel Cicolano, alle altre famiglie della nobiltà Romana, come gli Orsini ed i Savelli.

Già nel 1211 cominciarono a sorgere contrasti per l'elezione del nuovo abate per cui fu il papa Innocenzo III a dover intervenire[1] ma i possedimenti del monastero rimasero al sicuro nel decennio seguente tanto che papa Onorio III nel 1221 confermò la bolla di Celestino III[56] del 1191.

Da Federico II all'Età Moderna (1220-1494)[modifica | modifica wikitesto]

XIII secolo[modifica | modifica wikitesto]

Federico II (1220-1250)[modifica | modifica wikitesto]

Con l'elezione ad imperatore di Federico II (1220-1250) si aprì una nuova fase turbolenta nella vita dell'abbazia che fu coinvolta negli scontri tra Federico II e Gregorio IX. Il papa ordinò nel 1239 la realizzazione di nuove difese nei castelli dell'abbazia[57]: ciò non bastò ad arginare i disegni imperiali e, nel 1241, i territori dell'abbazia vennero occupati e l'abbazia ritornò temporaneamente sotto il controllo imperiale, amministrata da funzionari federiciani[58].

Nel 1249 papa Innocenzo IV da Lione prese provvedimenti[59][60][61] per scacciare Federico II ma non ve ne fu bisogno: l'anno successivo, nel 1250, con la morte dell'imperatore svevo, l'abbazia tornò definitivamente sotto la subiectio papalis.

I primi conflitti con la diocesi di Rieti - Processo del vescovo Tommaso contro l'abate di San Salvatore Maggiore (1253)[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la morte di Federico II si aprì un conflitto di competenze con l’episcopato reatino per il controllo dei benefici sul territorio che l'abbazia amministrava già dall'XI secolo ma che, prima di allora, erano di competenza del vescovo di Rieti.

Fu il vescovo Tommaso di Rieti, nominato nel 1252, ad avviare, nel 1253, un processo contro l'abate di San Salvatore[62] per l'attribuzione dei diritti e l'esercizio della giurisdizione ecclesiastica nei riguardi di alcune chiese e cappelle nel territorio dell'abbazia[63][64]. Fu questo il principio di una serie di iniziative rivolte all'indebolimento del monastero. A partire dalla metà del XIII secolo l’abbazia fu investita da profondi sconvolgimenti sociali che provocarono continue tensioni tra i monaci ed i vassalli ad essi sottoposti, tanto che nel 1255 dovette intervenire lo stesso pontefice Alessandro IV (1254-1261) per costringere quest’ultimi a prestare atto di fedeltà al nuovo abate Gentileno, la cui elezione era stata approvata da Innocenzo IV (1243-1254).

Ai margini dello scontro tra svevi e angioini nella battaglia di Tagliacozzo - Cattura di Enrico di Castiglia (1268)[modifica | modifica wikitesto]

Abbandonato il partito ghibellino degli Svevi, ormai totalmente nel campo guelfo, l'abbazia seguì la politica pontificia di appoggio agli angioini nella contesa per il riconoscimento della corona del regno di Napoli tra Corradino di Svevia, nipote di Federico II e Carlo I duca d'Angio, fratello di Luigi IX re di Francia, che si risolse nella battaglia di Tagliacozzo combattuta il 23 agosto 1268 ai Campi Palentini poco distante dai domini abbaziali.[65] Anche l'abbazia ebbe un ruolo dopo la disfatta del sedicenne Corradino: Enrico di Castiglia, passato dal campo guelfo del cugino Carlo I a quello ghibellino, aveva guidato ai Campi Palentini la prima schiera dei cavalieri spagnoli contro i francesi dando inizio alla battaglia. Sfondata la prima linea francese, con un attacco al fianco, Enrico, credendo di aver ucciso Carlo in persona e di aver quindi vinto la battaglia, si lanciò all'inseguimento del nemico in fuga: non si trattava invece di Carlo ma del suo maresciallo Henri de Cousances il che permise a Carlo d'Angiò di far entrare in campo la riserva e di sbaragliare un esercitò numericamente superiore al proprio. Allo sbandamento dell'esercito imperiale seguì la fuga di Corradino e quella dello stesso Enrico di Castiglia. Quest'ultimo, perso il proprio cavallo in battaglia, si diresse verso nord incappando in Sinibaldo di Vallecupola, fratello dell'abate Egidio di San Salvatore Maggiore a cui fu consegnato. Enrico rimase per due settimane a San Salvatore Maggiore prima di essere rimesso dall'abate Egidio, il 7 settembre 1268 a Celle di Carsoli, nelle mani di Carlo d'Angio che mostrò la sua riconoscenza a Sinibaldo di Vallecupola dandogli in feudo il castello di Staffoli e Corropoli nella Val Vibrata[66]. Il re Carlo, dopo aver fatto giustiziare Corradino sulla piazza del marcato a Napoli, volle riservare una punizione esemplare anche per suo cugino Enrico che aveva ucciso con le sue mani il maresciallo de Cousances, dopo averlo sbalzato da cavallo, credendolo Carlo. Commutata la sentenza di morte in prigionia, Enrico di Castiglia venne tenuto prigioniero fino al 1277 a nel castello di Canosa e quindi a Castel del Monte presso Andria ben oltre la morte di Carlo I d'Angio (1285). Solo le ripetute preghiere di Eleonora di Castiglia, sorellastra di Enrico, moglie del potente re d'Inghilterra Edoardo I Plantageneto, dietro insistenza di quest'ultimo, furono sufficienti a convincere Carlo II, figlio di Carlo I, succeduto al trono di Napoli dopo la sua liberazione nel 1289[67] dalle mani degli aragonesi che rivendicavano la corona di Napoli, a liberare Enrico di Castiglia, nel 1290, dopo oltre 23 anni di prigionia.[68]

Conflitti con il Comune di Rieti (1282-1290)[modifica | modifica wikitesto]

Abbiamo ancora notizia nel 1279 dell'incarico dato dal pontefice Niccolò III (1277-1280) al vescovo di Spoleto di visitare il monastero di San Salvatore Maggiore e di procedere ad una riforma[69].[70]

Nel 24 aprile 1281 Onorio IV confermò i beni del monastero insieme alla sua protezione[71] su di esso ma ciò non bastò a placare la bramosia del Comune di Rieti che nel 1282 tentò di sottomettere il territorio della signoria abbaziale nel tentativo di ampliare il proprio districtus, spingendo alcuni castelli dell'abbazia a chiedere l’annessione alla città per liberarsi dagli obblighi feudali verso l'abate di San Salvatore Maggiore, cui erano sottoposti, grazie alla cessazione del vincolo di fedeltà garantita dal comune urbano: così il 30 Giugno 1282 i castelli dell'abbazia fecero atto di sottomissione al Comune di Rieti[72] [73]verso il quale il monastero fu costretto ad assumere l’impegno di partecipare al parliamentum e di contribuire economicamente alla costruzione della nuova cinta muraria.[1]

La posizione del monastero continuò ad indebolirsi: i rapporti tra i monaci del convento si deteriorarono al punto che in occasione dell'elezione dell'abate Egidio ci furono disordini e allora papa Onorio IV intervenne, l'11 marzo 1286, per ordinare ai monaci di consegnare il convento a Sabatino vescovo di Tivoli[74]. Il problema trovò una soluzione drastica il 20 dicembre 1290 quando Niccolò IV (1288-1292) chiamò Filippo da S. Andrea del Soratte, ad assumere l'incarico di abate del Salvatore[75]. In più il papa, tre giorni dopo, nominò il cardinale Matteo d'Acquasparta protettore del monastero, affinché intervenisse per tutelarne i diritti a richiesta dell'abate contro le pretese dei vassalli.[25][76]

XIV secolo[modifica | modifica wikitesto]

L'elezione di Bonus-Iohannes (1307)[modifica | modifica wikitesto]

Gli abati, agli inizi del XIV secolo, si avvicendarono rapidamente tra contrasti e colpi di mano[77], finché nel 1306, i de Romania[78] tentarono di imporre come abate un loro rappresentante, Francesco, che era già stato abate di Subiaco[79], ma Clemente V (1305-1314) non accolse la richiesta e nel 1307 nominò al suo posto il monaco Bonus Iohannes che era stato incaricato dagli altri monaci di recarsi a Poitiers, ove si trovava allora il papa[80], a perorare la causa di Francesco.[81] Bonus-Iohannes ratificò un debito di 400 fiorini d'oro verso la camera apostolica ed il collegio dei cardinali[82] e si impegno al pagamento, per il 1308, di altri 100 fiorini. Forse furono proprio le misure attuate per il recupero del debito del monastero nei domini dell'abbazia, insieme al malcontento dei de Romania, a scatenare la rivolta del 1308.

Rivolta dei castelli dell'abbazia - Attacco a San Salvatore Maggiore (1308)[modifica | modifica wikitesto]

Tra il 10 gennaio, data dell'elezione ad abate del monaco Bongiovanni, ed il 4 marzo 1308, data dell'incarico a Pandolfo Savelli, un fatto senza precedenti scosse la vita dell'abbazia:

«Questo fatto (ndr. l'elezione di Bonus-Iohannes ) scatenò la furiosa reazione dei de Romania. Chiamati in aiuto i reatini e altri appartenenti alla aristocrazia rurale locale, (ndr. i de Romani e altri vassalli dell'abbazia) sferrarono un duro attacco contro il monastero.[83] Dopo aver messo a ferro e fuoco i castelli e le terre della signoria, assediarono l’abate, i monaci, gli stipendiari e i vassalli asserragliati nelle strutture monastiche. Dopo due giorni di pressione – fractis muris – entrarono con la violenza all’interno, incendiando libri, paramenti sacri, privilegi, carte, istrumenti pubblici e saccheggiando frumento e altri beni. Giunta la notizia, il papa Clemente V, il 4 marzo 1308, incaricò il suo notaio Pandolfo Savelli per indurre alla ragione gli assalitori.[84] Il 15 giugno 1310 il pontefice fu costretto a chiedere da Avignone l’intervento del re di Napoli, Roberto d’Angiò, in qualità di senatore dei romani, affinché i castelli, i villaggi, le terre e tutti i diritti usurpati fossero restituiti per il tramite dei suoi ufficiali all’abate di San Salvatore. In una seconda lettera il papa elencò scrupolosamente questi luoghi, ovvero Mirandella, Lutta, Vallecupola, Guaita, Rocca Vittiana, Poggio Vittiano, Longone, Insegne, Vaccareccia, Magnalardo, i villaggi degli Olmi, di San Benedetto e delle Grotti, Porcigliano – oggi Fassinoro – con il villaggio di Licignano, Cenciara, Rocca Ranieri, Concerviano, Pratoianni e Offeio.[85]»

La crisi di San Salvatore Maggiore, tuttavia, proseguì inarrestabile durante il XIV secolo, tanto che nel 1373 il pontefice Gregorio XI incaricò l’abate di San Lorenzo fuori le Mura a Roma di visitare e riformare il monastero, in profonda decadenza morale e spirituale. Il tentativo di riforma, tuttavia, non ebbe esito favorevole.[70]

L'avvento dei Mareri (seconda metà XIV secolo)[modifica | modifica wikitesto]

Gli eventi del 1308 convinsero i monaci di San Salvatore a porsi, contro le mire della città di Rieti, degli Orsini e dei Savelli[86], sotto la protezione della potente famiglia dei conti Mareri di Petrella che, già dalla metà del XIV secolo, tentava di imporre la propria influenza nello Stato della Chiesa puntando ad occupare le cariche religiose più importanti del territorio.

Dal 1382, infatti, è attestata la presenza come abate a San Salvatore Maggiore di Ludovico di Lippo Mareri. Sotto il suo governo l'abbazia continuò a scontrarsi con Rieti e nel corso della soluzione di una lite venne redatto un atto, conservato negli archivi reatini, che fornisce un elenco dei castelli soggetti dell'abbazia nel 1385 che comprendevano: Mirandella, Vallecupola, Poggio Vittiano, Guaita, Rocca Vittiana, Longone, Pratoianni, Baccarecce, Antignano, San Silvestro, Rocca Ranieri, Porcigliano, Cenciara, Offeio, Capradosso, San Martino, Verano. Mancava, rispetto all'elenco nella lettera di Clemente V del 1310, Magnalardo, probabilmente ancora in possesso dei Savelli.[87]

Tra il 1382 e il 1387 vi furono ancora continui scontri tra i paesi dell'abbazia e il castello di Guardiola, ancora soggetto al comune di Rieti[88].

Governo di Francesco Carbone (Tommacelli) - Commendatario di Farfa e San Salvatore Maggiore (1399-1405)[modifica | modifica wikitesto]

Alla morte di Ludovico Mareri, risalente al 1393, nel pieno del Grande Scisma la carica di abate di San Salvatore Maggiore fu aspramente contesa, tanto che Rieti provò a intromettersi inviando un’ambasceria a Roma per ottenere che fosse nominato Giannadrea Alfani, abate di San Eleuterio a Rieti e canonico reatino, senza molti risultati[1]. Un intervento parziale, carico di favoritismo, fu compiuto da Bonifacio IX, che alla fine del 1396 nominò il nipote Cecco di Giovannello (da allora noto come Francesco Carbone Tommacelli) amministratore dei monasteri di Farfa e San Salvatore Maggiore, riuniti nell'istituto della commenda nel 1399.[89]

L’istituzione della commenda nel 1399 ad opera del pontefice Bonifacio IX, a beneficio del proprio nipote che la ritenne fino alla sua morte nel 1405, sebbene fu una misura allora temporanea, di fatto consegnò, di li a poco, il patrimonio dell’abbazia nelle mani degli abati commendatari e delle loro famiglie accentuando il declino di San Salvatore Maggiore.[90] Cominciò una lunga decadenza per l'abbazia che si avviò con la secolarizzazione dei monaci, avviliti dalla miseria e visti dai commendatari solo come mezzo a difesa delle proprie rendite fiscali. Prima dell'abbazia di San Salvatore decaddero le sue dipendenze.[91]

XV secolo[modifica | modifica wikitesto]

La lotta per la carica di abate di San Salvatore, successivamente allo Scisma d'Occidente (1378-1418), si restrinse a Battista Orsini, di osservanza pisana, e Antonio Mareri, figlio di Cola IV di Lippo, di osservanza romana che dettero vita a un lungo contenzioso che chiuse il periodo di predominio territoriale delle famiglie locali, aprendo al subentro dei grandi baroni romani nel governo abbaziale.[1]

«Si successero, con mire e ambizioni sempre identiche, nipoti e favoriti di papi e cardinali, gli Orsini, i Della Rovere, i Farnesi e i Barberini, nelle cui mani la badia coi cenobiti non ebbe nulla a guadagnare.»

Governo degli Orsini (1435-1503)[modifica | modifica wikitesto]

Dopo un’iniziale prevalenza di Antonio Mareri, ricordato nelle sue attività di governo tra 1427 e 1429, subentrò Battista Orsini almeno dal 1434[92]. L'abate Battista Orsini, morto in abbazia[93] intorno al 1447, fu l'ultimo abate eletto dai monaci del Salvatore.[94]

La commenda di San Salvatore Maggiore (1447-1494)[modifica | modifica wikitesto]

Alla morte di Battista Orsini, Niccolò V istituì, come già fatto da Bonifacio IX, la commenda per l'abbazia di San Salvatore togliendo, di fatto, ai monaci, dopo sette secoli, il privilegio di poter eleggere in autonomia la propria guida avocando, invece, al pontefice la scelta sull'assegnazione della carica di "abate commendatario di San Salvatore Maggiore".

Il primo ad assumere la carica di abate commendatario di San Salvatore, dopo Francesco Carbone Tommacelli, fu Giovanni Berardi da Tagliacozzo, cardinale vescovo di Palestrina, legato agli Orsini, probabilmente nominato tra la fine del 1447 e gli inizi del 1448. Al momento della sua morte, risalente al 21 gennaio 1449, lo stesso giorno, al suo posto, fu nominato da Niccolò V, Latino Orsini, del ramo del Orsini di Bracciano, con la carica che comportava un reddito di 200 fiorini d’oro di camera.[95] Consigliere di Sisto IV della Rovere[96], divenuto camerlengo nel 1471, nel 1477 Latino affidò la commenda a Giovanni Battista Orsini, del ramo degli Orsini di Monterotondo[97].

Gli eserciti mercenari nei territori dell'abbazia[modifica | modifica wikitesto]

Durante tutto il XV secolo la penisola fu attraversata da eserciti di mercenari al soldo dei signori italiani e dei sovrani dei paesi europei.

Anche il territorio dell'abbazia fu interessato da questi eventi durante il governo degli abati Orsini. Nel 1460 quando sì combatté la guerra angioino-aragonese (1460-1464) ai confini dello stato pontificio tra il duca Giovanni d'Angiò ed il Re Ferdinando, alleato di papa Pio II e di Francesco Sforza duca di Milano: al soldo degli Angiò gli eserciti del capitano Jacopo Piccinino, di passaggio da Cittaducale a Monteleone Sabino, nel settembre 1460[98] attraversarono i territori dell'abbazia incendiando e depredando[99]. Solo il 27 luglio 1461 con l'arrivo a Petrella Salto di Federico da Montefeltro, capitano generale dell'alleanza aragonese, i Mareri, passati nel capo degli angioini, rinunciarono alla guerra e la situazione tornò alla normalità nei domini dell'abbazia, come si premurò di comunicare Federico da Montefeltro allo Sforza in una lettera[100].

Trent'anni più tardi alla calata in Italia di Carlo VIII di Valois, re di Francia, che reclamava la corona del regno di Napoli, incoraggiato da Ludovico Sforza, trascinato alla guerra da Alfonso II, suo cognato e re di Napoli, i territori dell'abbazia vennero di nuovo coinvolti nella guerra: si ricorda nelle fonti il passaggio e la sosta all'abbazia di San Salvatore di 200 soldati di Carlo VIII dopo aver cercato di saccheggiare il 24 gennaio 1495 Grotti di Cittaducale[101].

Tutti i paesi dell'abbazia furono coinvolti in questi episodi bellici tanto che in questo periodo vennero definitivamente abbandonate le ville ovvero i centri isolati non fortificati che all'inizio del XV secolo ancora sorgevano nei pressi dei castelli dell'abbazia e facevano parte del loro territorio.[102]

Unione della commenda di Farfa e San Salvatore Maggiore (1494)[modifica | modifica wikitesto]

Papa Borgia, Alessandro VI (1492-1503)[103], nel 1494[104], unì la commenda di San Salvatore Maggiore a quella di Farfa di cui era già investito, dal 1482, lo stesso Giovanni Battista Orsini che la ritenne fino al 1503 anno della sua morte in Castel Sant'Angelo per mano del principe Cesare Borgia dopo il coinvolgimento del cardinale nella congiura della Magione.

Dal 1494, di fatto, il governo delle due abbazie di Farfa e San Salvatore, seguì, fino al XVII secolo, lo stesso destino.

Età Moderna[modifica | modifica wikitesto]

XVI secolo[modifica | modifica wikitesto]

Governo dei della Rovere (1503-1513)[modifica | modifica wikitesto]

La morte del papa Borgia, Alessandro VI nel 1503 e l'elezione al soglio di un nuovo papa della famiglia della Rovere, Giulio II, portarono quest'ultimo a favorire per la carica di abate commendatario di Farfa e San Salvatore Maggiore un suo nipote, Galeotto Franciotti della Rovere che ritenne la commenda dal 1505 per poi consegnarla nelle mani di suo fratello Sisto Gara della Rovere il quale rimase in carica fino al 1513. Durante il governo di quest'ultimo venne restaurato il monastero di Farfa così come vennero intraprese opere in quello di San Salvatore Maggiore.

E' al tempo di Giulio II, sotto la commenda si Sisto Gara della Rovere, nel 1506, che venne realizzato il portale della cattedrale di San Salvatore raffigurante le formelle con i 24 castelli dell'abbazia (16 abitati e 6 diruti).

Governo degli Orsini d'Aragona (1513-1542)[modifica | modifica wikitesto]

Alla morte di Sisto Gala dalla Rovere nel 1513, Giulio II affidò la commenda di Farfa e San Salvatore Maggiore a Gian Giordano Orsini condottiero sposo in seconde nozze di Felice della Rovere, figlia naturale del papa Giulio II. Il governo di Gian Giordano seppur breve fu segnato da diversi abusi[105].

Nel 1517 fu quindi papa de' Medici Leone X a conferire la commenda a Napoleone Orsini, figlio di Gian Giordano Orsini, in prime nozze, con Maria Cecilia d'Aragona, figlia naturale di Ferdinando I d'Aragona, Re di Napoli (1458-1494): matrimonio avvenuto grazie ai servigi del condottiero Gentile Virginio Orsini, signore di Bracciano e padre di Gian Giordano che, avendo combattuto al soldo del Re di Napoli, aveva ottenuto il privilegio di avere in sposa per il figlio una figlia del re e di far fregiare i loro eredi del titolo "d'Aragona" da aggiungere al proprio nome. I contrasti di Napoleone con i propri famigliari, specie con la matrigna, Felice della Rovere che voleva per il figlio Francesco la rendita mensile di 1000 ducati d'oro[106] della commenda di Farfa, lo portarono alla morte nel 1533. Nel frattempo la commenda passò, nel 1530, proprio a Francesco Orsini d'Aragona (1530-1543), Vescovo di Tricarico fratello di Napoleone Orsini d'Aragona, figlio di Gian Giordano Orsini e Felice Della Rovere il quale, come commenta lo Sperandio, "fece un'ottima riuscita nel governo dell'abbazia [di Farfa]" [107].

Governo dei Farnese (1546-1589)[modifica | modifica wikitesto]
Tiziano, ritratti di Ranuccio Farnese (1542) e di Alessandro Farnese (1546)

Alla morte di Clemente VII de' Medici che aveva favorito gli Orsini nella commenda, salì al trono nel 1536 Paolo III Farnese che, nel solco della tradizione tracciata da quanti l'avevano preceduto, investì della commenda, nel 1546, il proprio nipote, Ranuccio Farnese. Il giovane cardinale si diede da fare per il monastero: per rendere più confortevole il proprio soggiorno (e quello dei suoi successori) all’interno del complesso monastico del Salvatore, vi fece eseguire dei lavori di ampliamento e di ristrutturazione, quindi, nelle vesti d’abate commendatario, donò[108] la cosiddetta Croce Astile di Vallecupola, una croce processionale in lamina d’argento e listata in rame dorato opera della bottega di Jacopo del Duca (1520-1604) assistente di Michelangelo a Roma, alla chiesa arcipreturale di Santa Maria della Neve di Vallecupola e questo, in concomitanza della riconsacrazione, dopo gli ampliamenti apportati alla chiesa, intorno al 1554, resisi necessari, essendo l’edificio divenuto angusto per una popolazione in crescita.[109] Dopo essere stato insignito della cattedra episcopale di Bologna, nel 1563, il cardinale Ranuccio lasciò la commenda di Farfa e di San Salvatore Maggiore al fratello maggiore Alessandro Farnese, uomo di cultura e grande mecenate, iniziatore della collezione Farnese, il quale tenne la commenda sino alla sua morte nel 1589[110].

XVII secolo[modifica | modifica wikitesto]

La salita al soglio di Sisto V da Grottammare vide elevato alla commenda, come da consuetudine, suo nipote Alessandro Peretti di Montalto (1589-1623) che, a differenza di molti dei suoi predecessori alla commenda, si mosse per il corpo monastico di San Salvatore Maggiore.

Decadenza della disciplina monastica - Sinodo farfense del cardinale Alessandro Peretti di Montalto (1604)[modifica | modifica wikitesto]

La commenda, istituita definitivamente nel 1494, aveva avuto l'effetto di far decadere la disciplina monastica dei monaci del Letenano venendo a togliere loro di mano ogni ingerenza e responsabilità nel governo delle terre abbaziali:

«[....] i monaci vennero a rattrappirsi d'ozio e di noia entro quel vecchio edificio screpolato e cadente, senza alcun ideale elevato, senza alcuna prospettiva dinanzi a loro.»

Il 20 giugno 1604, durante il governo del cardinale Alessandro Peretti di Montalto, il vicario e visitatore generale della badia, Bernardino Manasse da Priferno, presiedette il Sinodo che si svolse a Farfa e ne pubblicò gli atti riservando ai monaci di San Salvatore ingiurie piuttosto volgari.[111]

Incorporazione nella Congregazione Cassinese (1609)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1609 lo zelante cardinale Alessandro Peretti di Montalto, caldo ammiratore della riforma di Farfa per opera della Congregazione Cassinese, tentò d'indurre i monaci di San Salvatore Maggiore ad accettare anch'essi un piano di riforma monacale. Paolo V Borghese, con un breve del 18 novembre 1614, incorporava così alla Congregazione Cassinese, oltre alla abbazia di San Salvator Maggiore, i priorati da essa dipendenti nelle Marche e a Roma.

Cacciata dei Cassinesi (1623)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1623, Francesco Orsini, succeduto al cardinale di Montalto, fece revocare da Gregorio XV, l'atto pontificio, con cui Paolo V aveva introdotto a San Salvatore Maggiore i cassinesi, considerando l'atto lesivo dei suoi interessi poiché, in teoria, il Montalto aveva affidata la commenda all'Orsini, già dal 1620, sotto il pontificato di Paolo V Borghese. La revoca suscitò cosi una lite tra i commendatari di San Salvatore e la Congregazione Cassinese che durò per oltre una trentina d'anni.[112]

Dopo cinque anni di governo, nel 1627, il commendatario Francesco Orsini entrò nella Compagnia di Gesù lasciando la commenda.

Governo dei Barberini (1627-1738)[modifica | modifica wikitesto]
Gian Lorenzo Bernini, ritratto di Urbano VIII (1632)

Venne così la volta, al governo della commenda, della potente famiglia, di origine toscana, dei Barberini. Papa Barberini, Urbano VIII, eletto al soglio nel 1623, come di consuetudine, scelse come commendatario per le due abbazie, suo nipote, il cardinale Francesco Barberini, che resse la commenda per oltre trent'anni, dal 1627 al 1660[113].

«[....] San Salvatore, che aveva retto all'impeto dei barbari, ora non poté reggere all'urto dei Barberini che avidamente agognavano alle sue spoglie.»

L'arazzeria dei Barberini a Roma e la lana della commenda di San Salvatore Maggiore[modifica | modifica wikitesto]

Fu durante il governo dei Barberini che anche la lana degli ovini del territorio di San Salvatore Maggiore servì all'arazzeria dei Barberini istituita in Palazzo Barberini a Roma dal cardinale Francesco Barberini nel 1627 e attiva fino al 1683: gli arazzi ivi prodotti, realizzati su cartoni dei grandi artisti del barocco romano, quali Pietro da Cortona, Pietro Lucatelli, Antonio Gherardi, sono, oggi, tra quelli esposti nei Musei Vaticani nella galleria degli arazzi[114] e, negli Stati Uniti, al Museum of Fine Arts[115] di Boston e nella Cathedral of St. John the Divine[116] a New York[117].

Soppressione dell'abbazia (1629)[modifica | modifica wikitesto]
Monumento funebre al cardinale Francesco Barberini nella basilica di San Pietro opera di Lorenzo Ottoni (1682)

Sotto il governo di Francesco Barberini suonò l'ultima ora per i monaci di San Salvatore i quali, dopo la cacciata dei cassinesi, erano stati affidati alle cure di vari priori rimasti in carica tre anni ognuno non riuscendo però a riformare la disciplina dei monaci del monastero che, nelle paole dello Schuster: "usavano financo vesti poco diverse da quelle dei secolari. Il popolo li chiamava «berrettanti» dal largo berretto clericale che li distingueva, ma Urbano VIII ne aveva un concetto cosi triste, che li giudicava inadatti a qualsiasi riforma".

«Il commendatario ne voleva ad ogni costo le pingui rendite, e innanzi alle cupide brame del cardinal nepote convenne cedere, cosi che Urbano VIII con un tratto di penna soppresse l' abbazia con bolla del 1629. [...] Alla lite già lunghi anni pendente colla Congregazione Cassinese viene imposto il silenzio cosi che arbitrati, sentenze di Tribunali, decisioni rotali o pontificie, nulla insomma possa essere invocato contro l'onnipotente cardinal nepote, il quale dové ereditare senza disturbo d'alcun competitore tutta la potenza, i diritti e le ragioni dell'abbazia.»

Fu così che, in forza della bolla Singulari diligentia, del 12 settembre 1629, Urbano VIII, su richiesta di suo nipote Francesco Barberini, soppresse, unendola all'abbazia di Farfa, l'antica abbazia di San Salvatore Maggiore: dopo quasi nove secoli i monaci furono costretti ad abbandonare l'edificio sul monte Letenano e così 34 monaci benedettini, per la maggior parte originari dei territori dell'abbazia, testimoni e custodi delle tradizioni religiose e civili del territorio[104] vennero cacciati dal monastero, ridotti a clero secolare e forniti di una pensione annua di 10 scudi mentre i priorati dipendenti nelle diocesi di Fermo e di Montalto dovevano essere convertiti in altrettante collegiate canonicali, riservando alla diretta giurisdizione del commendatario le monache di Santa Vittoria, che prima dipendevano dal priore di San Salvatore Maggiore.[118]

La cupidigia dei Barberini verso i beni della Chiesa non si fermò alla commenda di Farfa e San Salvatore Maggiore. Anche il resto della Sabina divenne fonte di rendita per la famiglia romana: alla doppia commenda per il nipote Francesco Barberini Seniore, papa Urbano ottavo aggiunse anche il governatorato pontificio di Poggio Mirteto e delle altre torri e castelli, già separati dai monasteri di Farfa e di San Salvatore e fino a quel tempo soggetti alla Congregazione del Buon Governo e della Consulta.[119]

Istituzione del Seminario a Toffia (1629)[modifica | modifica wikitesto]

La soppressione dell'abbazia nel 1629 per opera del pontefice Urbano VIII avveniva assecondando il desiderio dell’allora abate commendatario Francesco Barberini, che voleva farne la sede di un seminario: il cardinale Francesco Barberini, fu incaricato di utilizzare gli stabili e i beni del monastero per l’istituzione di un seminario e fu affiancato da un vicario foraneo che provvedesse all’amministrazione dei castelli dell'abbazia.

Di fatto il cardinale Barberini, istituì a Toffia un seminario, mettendo a frutto i beni stabili lasciati in eredità da don Marzio Ruffetti ed unì a esso le rendite di San Salvatore. Un breve d'Urbano VIII del 6 luglio 1637 approvò questo stato di cose.[120]

I padri scolopi a San Salvatore Maggiore (1628-1635)[modifica | modifica wikitesto]

Su richiesta diretta del cardinale Barberini al fondatore dell'ordine Giuseppe Calasanzio, nel 1628, alcuni scolopi si insediarono a San Salvatore Maggiore ma diversi motivi[121] consigliarono loro di abbandonare l'opera nel 1635[122].

Sinodo farfense del cardinale Carlo Barberini (1685)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1660 il cardinale Francesco Barberini Seniore cedette la commenda in favore del nipote, il cardinale Carlo Barberini (1654-1703) il quale proclamò un sinodo a Farfa nel 1685 durante cui venne nuovamente confermato dal cardinale e da tutta l'assemblea lo stato di cose ordinato precedentemente dal potente zio cardinale Francesco Barberini.

Il governo dei Barberini nella commenda terminò con Francesco Barberini Iuniore che prese possesso della commenda alla morte di Carlo nel 1703, per tenerla, per oltre trent'anni, fino alla propria morte, avvenuta nel 1738.

XVIII secolo[modifica | modifica wikitesto]

Alla morte di Benedetto XIII Orsini (1724-1730), con la salita al soglio del fiorentino papa Corsini, Clemente XII, nel 1730, assunse il titolo della commenda, il 26 Settembre 1738, per soli 15 giorni, suo nipote, il cardinale Giovanni Antonio Guadagni il quale la rimise in favore del cardinale, appena eletto, Domenico Passionei, "porporato insigne per dottrina e altre virtù, segretario dei brevi"[123] legatissimo allo storico, abate Pier Luigi Galletti[124]. Il cardinale Passione ritenne la commenda per otto anni fino al 1746.

Governo dei Lante Montefeltro della Rovere (1746-1817)[modifica | modifica wikitesto]

Il bolognese papa Lambertini, Benedetto XIV (1740-1758), passò la commenda a Marcello Federico Lante (1746-1763), della famiglia pisana dei Lante Montefeltro della Rovere, figlio di Antonio Lante Montefeltro della Rovere, marchese di Rocca Sinibalda[125] e barone di Antuni[126].

Trasferimento del seminario a San Salvatore (1746)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1746 il cardinale Federico Marcello Lante decise di trasferire nel vecchio monastero di San Salvatore Maggiore, dopo opportuni interventi di restauro, il seminario che nel 1629 il cardinale Francesco Barberini aveva istituito a Toffia con parte delle rendite della appena soppressa Abbazia di San Salvatore Maggiore.[127] Trovava così compimento l'intenzione di istituire un seminario a San Salvatore Maggiore che era stata l'idea, prima causa della dismissione dell'abbazia, più di un secolo prima.

Sinodo farfense del cardinale Antonio Lante della Rovere (1789)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1769 al cardinale Federico Lante della Rovere successe il pronipote Antonio Lante Montefeltro della Rovere (1763-1817) che nel maggio del 1789, sotto Pio VI, promosse l'ultimo sinodo diocesano tenutosi nell'abbazia di Farfa per i territori sottoposti alla sua autorità[128].

Campagna d'Italia e Repubblica Romana (1796-1799)[modifica | modifica wikitesto]

Alla fine del settecento, durante il governo del cardinale Antonio Lante Montefeltro della Rovere, furono gli eserciti della rivoluzione francese a portare scompiglio nella penisola italiana tanto che gli effetti della rivoluzione ebbero eco fin nei territori dell'abbazia. Nel 1796, in coincidenza della Campagna d'Italia del generale Bonaparte, fu indetta, nei territori dello Stato Pontificio, la leva generale: ogni paese dell'abbazia doveva fornire un soldato ogni 100 abitanti[129]. Alcuni degli abitanti dei borghi del territorio dell'abbazia, fedeli al regime papale, provvidero anche a fornire dei beni propri per l'acquisto di armamenti per la campagna dell'esercito pontificio del 1796[130].

Durante la breve esperienza della Repubblica Romana, tra il 1798 e il 1799, che vide la cattura e morte in esilio di papa Pio VI, il territorio dell'abbazia fu assegnato al Dipartimento del Clitunno - Cantone di Castelvecchio[131]. Dopo l'occupazione di Roma da parte dell'esercito borbonico il 30 settembre 1799, le terre delle Stato Pontificio tornarono sotto il controllo di Papa Pio VII eletto nel conclave del 1800 tenutosi a Venezia e rientrato a Roma nel giugno dello stesso anno.

XIX secolo[modifica | modifica wikitesto]

Governo napoleonico (1809-1814)[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la nuova entrata dei francesi a Roma nel febbraio del 1809 e l'annessione di Lazio e Umbria all'Impero francese nel maggio del 1809, sotto il governo napoleonico, le terre dell'abbazia già nello Stato Pontificio, come il resto dell'Alta Sabina, furono incluse nel Dipartimento di Roma - Arrondissment di Rieti.

Nel 1809 i paesi dell'abbazia già nello Stato Pontificio facevano parte del Dipartimento del Tevere - Circondario di Rieti - Cantone di Monteleone[132][133].

Nel 1812 i paesi dell'abbazia già nello Stato Pontificio appartenevano alla Prefettura di Rieti - Percezione di Longone[134].

Governo della Camera Apostolica (1814-1860)[modifica | modifica wikitesto]

Al termine del periodo napoleonico, già nel 1814 le terre abbaziali tornarono sotto il governo della Camera Apostolica. Nel 1816 il governo dei domini papali fu tuttavia riorganizzato e i territori dell'abbazia confluirono nell'allora creata Delegazione Apostolica di Rieti.

Nel 1817 i paesi dell'abbazia già nello Stato Pontificio divennero "appodiati" (frazioni) di Belmonte e Rocca Sinibalda.

Nell'Ottocento si avvicendarono alla commenda, col titolo di "Abate commendatario di Farfa e di San Salvatore Maggiore" altri alti prelati della curia romana quali Luigi Ercolani (1818-1825)[135], creato cardinale nel 1816 da Pio VII, il cardinale Belisario Cristaldi (1826-1831), già rettore de' La Sapienza (1817-1828), il cardinale Giacomo Giustiniani (1832-1833) ed infine il cardinale Luigi Lambruschini (1834-1841), cardinal segretario di Stato dal 1836 al 1846.

Il 22 novembre 1850 Pio IX, rientrando dall'esilio di Gaeta e Napoli dopo la parentesi della Seconda Repubblica Romana, promulgò un editto sul governo delle province e sull'amministrazione provinciale, modificando ancora l'assetto territoriale dello Stato della Chiesa.

Nel 1853, con la creazione dei comuni di Longone, Concerviano, e Rocca Sinibalda i paesi dell'abbazia già nello Stato Pontificio divennero quindi "appodiati" (frazioni) di Longone, Concerviano e Rocca Sinibalda[136] in una suddivisione che rimarrà, più o meno invariata, dopo l'Unità d'Italia, con l'annessione delle legazioni di Marche ed Umbria al Regno d'Italia nel dicembre del 1860.

Trasferimento del seminario a Toffia e smembramento dei territori delle abbazie (1841)[modifica | modifica wikitesto]

Fu il cardinale Lambruschini nel 1841, considerando eccessivo l'isolamento in cui si trovava il seminario di San Salvatore a rispetto del 1738, data in cui vi era stato spostato da Toffia, a motivazione anche del degrado del complesso, a decidere di spostare nuovamente il seminario prima a Toffia e poi a Poggio Moiano.

Con bolla di Gregorio XVI del 24 novembre 1841 vennero, poi, smembrati i territori delle due abbazie di Farfa e di San Salvatore Maggiore: alcune delle terre vennero restituite alla diocesi di Rieti, a cui appartenevano prima dell'attribuzione all'abbazia nullius diocesis, cioè non sottoposta ad alcuna diocesi, di San Salvatore Maggiore, altre vennero attribuite all'appena costituita diocesi di Poggio Mirteto[137]. Il titolo di abate di San Salvatore Maggiore passava al titolare della Cattedra di Poggio Mirteto.

Residenza estiva dei seminari di Poggio Mirteto e Rieti (1841-1960)[modifica | modifica wikitesto]

Già dal 1839, prima dello spostamento del seminario a Toffia nel 1841, l’abbazia fu affidata dal cardinale Lambruschini ai Padri Passionisti di San Paolo della Croce in forza di una convenzione del 5 novembre 1836 che prevedeva la cessione alla loro congregazione della chiesa del Salvatore, dell'abbazia, dell’orto, del molino e di alcuni terreni adiacenti all'abbazia. I passionisti operarono, come i monaci dell'abbazia prima di loro, nei castelli limitrofi e addirittura a Rieti ove il vescovo Curoli li chiamava a dare esercizi spirituali ai religiosi e agli alunni del seminario di Rieti alcuni dei quali venivano, già da allora, inviati in ritiro presso il monastero del Salvatore in preparazione dell'assunzione degli ordini sacri.

Anche i Passionisti per la l'isolamento del luogo, per l'asprezza delle strade e degli inverni e, non ultimo, a causa dell'oneroso mantenimento del vasto fabbricato decisero di abbandonare San Salvatore restituendo ogni cosa il 20 luglio 1854 al vescovo di Poggio Mirteto.

Nel 1855, il fabbricato dell'abbazia, già in rovina, fu così ceduto di nuovo al vescovo di Poggio Mirteto Grispini che dalla Congregazione dei Vescovi ottenne di cedere San Salvatore Maggiore al seminario di Poggio Mirteto affinché fosse usato per la villeggiatura autunnale dei suoi alunni. Nel 1880 l’uso del fabbricato venne concesso da papa Leone XIII anche al vescovo di Rieti per la villeggiatura estiva degli alunni del seminario di Rieti e così il vescovo di Rieti, il domenicano Egidio Mauri, concordò con Angelo Rossi, vescovo di Poggio Mirteto, la concessione in enfiteusi perpetua, di un’ala del complesso abbaziale che fu utilizzato, dopo opportuni lavori di ristrutturazione, come casa di villeggiatura per i seminaristi delle due diocesi contermini.[138] Il 17 agosto 1881 i primi seminaristi da Rieti raggiungevano il monastero del Salvatore.

XX secolo[modifica | modifica wikitesto]

Prima del 1914 il complesso dell'abbazia fu visitato dall'allora priore dell'abbazia di San Paolo fuori le mura a Roma Ildefonso Schuster che, pubblicandone la storia in un articolo, ne descrisse, con amarezza[139], lo stato di abbandono.

Il 13 gennaio 1915 anche il complesso dell'abbazia di San Salvatore subì gravi lesioni, come molti edifici nei castelli del territorio abbaziale, a causa del terremoto della Marsica.

In altis Sabinae montibus (1925)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1925, la costituzione apostolica di papa Pio XI In altis Sabinae montibus riunì alla diocesi di Rieti le parrocchie di Roccaranieri, di San Silvestro e di Cenciara, e quelle di Pratoianni, Vaccareccia, Longone, Vallecupola, Rocca Vittiana, Poggio Vittiano e Varco che erano state annesse, in precedenza, nel 1841, alla appena creata diocesi di Poggio Mirteto. Lo stesso documento decise la nomina del vescovo di Rieti, in luogo del vescovo di Poggio Mirteto, come stabilito nel 1841, ad "Abate perpetuo di San Salvatore Maggiore" con tutti i beni e diritti pertinenti all’abbazia, eccettuati i canoni e i censi che continuarono ad essere attribuiti al Seminario di Poggio Mirteto.

Dopo il terremoto di Avezzano del 1915, per interessamento del parroco di Longone Sabino Don Sisto Fiori che, a lungo, con estrema passione, si prodigò per il recupero dell'abbazia, tramite l'intercessione del Vescovo di Rieti Massimo Rinaldi, con il patrocinio del cardinale Gaetano De Lai,[140] negli anni tra 1926 e il 1932, l’abbazia venne restaurata, con lavori mal condotti e tecnicamente scorretti, ad opera del Genio Civile; successivamente, nel 1950, essa divenne residenza estiva dei Salesiani, cui si devono preziosi interventi di manutenzione. Nel 1960 il complesso abbaziale venne definitivamente abbandonato rimanendo privo di una funzione stabile pur continuando a rappresentare un riferimento per gli abitanti del territorio circostante che continuarono a celebrare matrimoni nella chiesa di San Salvatore Maggiore fin oltre il 1960[141].

L'abbandono ed il saccheggio (1960-1986)[modifica | modifica wikitesto]

Lasciata in balia dei predoni, l'abbazia venne spogliata di molti dei beni architettonici in essa contenuti: di numerosi fregi, iscrizioni, dipinti e lapidi marmoree una volta all'interno dell'abbazia non rimane che qualche rara foto scattata da chi visitò l'abbazia nella seconda metà del novecento[142].

L'acquisizione dei ruderi dell'abbazia da parte del Comune di Concerviano (1986)[modifica | modifica wikitesto]

Il 27 febbraio 1979 il vescovo di Poggio Mirteto, Marco Caliaro, e il vescovo di Rieti, Dino Trabalzini, provvidero alla vendita, per 3.400.000 lire, dei ruderi dell’abbazia e di alcuni terreni nelle pertinenze del complesso, per un totale di 7800 mq[143], ad un privato, il ventenne romano Guglielmo Crudelini, all'epoca della compravendita studente universitario[144]. Pochi anni dopo, il 13 maggio 1986, a seguito della prematura scomparsa del Crudelini, la famiglia del giovane cedette i ruderi ed i terreni acquisiti al Comune di Concerviano, allora sotto la guida del sindaco Damiano Buzzi, che li acquistò con lo svincolo di fondi assegnati da finanziamento regionale alla Comunità montana del Salto-Cicolano[145], di cui il comune di Concerviano faceva parte, pagando 50.000.000 di lire[146].

XXI secolo[modifica | modifica wikitesto]

Il restauro (1990-2014)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1985 Mons. Giovanni Fallani, allora presidente della Pontificia Commissione Centrale per l'Arte Sacra in Italia, il quale aveva conosciuto in età giovanile l'abbazia come seminario estivo, segnalò lo stato di profondo degrado in cui versava l'abbazia con la richiesta dell'interessamento da parte della Facoltà di Architettura dell'Università La Sapienza di Roma. Il prof. Giovanni Carbonara propose a Donatella Fiorani, allora studentessa, come lavoro di tesi di laurea[147] in consolidamento degli edifici storici e in restauro dei monumenti, l'indagine ed il rilievo dell'abbazia prima della sua definitiva scomparsa. I risultati della tesi, discussi nel 1987 in un convegno presso il Palazzo della Cancelleria, su iniziativa della Pontificia Commissione, furono conosciuti ed apprezzati dall'allora sindaco di Concerviano, Damiano Buzzi che si adoperò per trovare, presso la Regione Lazio, i finanziamenti che permettessero l'avvio di un primo cantiere onde poi procedere per lotti e finanziamenti successivi. Alla giovane architetto Donatella Fiorani furono affiancati l'architetto Giancarlo Palmerio, professore alla Sapienza, e l'architetto Amedeo Riccini, come amministratore, espressione della comunità locale oltre all'archeologo Stefano Coccia, responsabile dell'indagine archeologica stratigrafica. Seguirono anni di cantieri con interventi di consolidamento, innovativi ed anticipatori[148], interventi di reintegrazione muraria con materiali tradizionali e moderni, opere di miglioramento antisismico. Il complesso è stato, necessariamente, ampliamente reintegrato, molto per aggiunta e pochissimo per sottrazione, ponendo in evidenza la complessa stratificazione storica.[149] I restauri, finanziati a partire dal 1989, interessarono prima la chiesa abbaziale (1990-1992) quindi il resto del complesso monastico in due fasi distinte (1993-2006 quindi, dopo qualche anno di intervallo, fino al 2014).[150]

Il restauro è stato occasione di studio ed ha permesso, anche grazie alle indagini stratigrafiche, di ampliare le conoscenze sull'origine dell'abbazia.

Il presente[modifica | modifica wikitesto]

Attualmente di proprietà del comune di Concerviano, il complesso, finalmente restaurato, viene, saltuariamente, reso visitabile e fruibile dal comune di Concerviano, per lo svolgersi di visite, mostre, convegni e spettacoli musicali e teatrali.

I possedimenti dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore[modifica | modifica wikitesto]

Fin dalla sua fondazione nell'VIII secolo, l'abbazia di San Salvatore Maggiore, favorita dai gastaldi di Rieti e dai duchi di Spoleto raccolse le donazioni di quanti, nobili di origine romana o longobarda, le affidavano i propri beni accrescendo così i propri possedimenti. Nei secoli successivi le proprietà dell'abbazia vennero più volte riconosciute dall'autorità imperiale e pontificia.

La Signoria di San Salvatore Maggiore[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Signoria di San Salvatore Maggiore.

Il patrimonio del monastero si concentrava, per lo più, nei dintorni dell'abbazia, sull'altopiano del monte Letenano, nel territorio detto delle Plage, situato tra la Valle del fiume Salto e quella del fiume Turano dal fosso di Paganico (fosso dell'Obìto) fino al borgo di Rieti; questa era la parte più rilevante del patrimonio abbaziale che, per secoli, costituì una solida unità amministrativa definita in seguito, dapprima la "Baronia di San Salvatore Maggiore" dal De Sanctis nel suo scritto del 1884 quindi, nel 2022, con un altro neologismo storico usato dal Leggio in un suo scritto, la "Signoria di San Salvatore Maggiore".

I castelli dell'abbazia di San Salvatore Maggiore[modifica | modifica wikitesto]

Raffigurazione del Portale della Chiesa di San Salvator Maggiore (1506) conservato alla Biblioteca apostolica vaticana nel Codice Vat.Lat. 9136, folio 274r.

A partire dal XII secolo, compaiono più volte nei documenti degli elenchi degli abitati soggetti all'Abbazia di San Salvatore Maggiore. Questi elenchi, nei secoli, videro scomparire alcuni dei nomi che si riferivano a realtà ormai non più esistenti o a castelli diruti. Altri nomi comparvero in alcuni degli elenchi per poi scomparire nei decenni seguenti a seguito di acquisizioni e cessioni di proprietà da parte dell'abbazia. La maggior parte di questi abitati, però, situati nei pressi dell'abbazia, costituiva il nucleo dell'unità territoriale dell'abbazia e, per secoli, questi paesi rimasero associati all'abbazia di San Salvatore Maggiore anche dopo la soppressione dell'abbazia stessa nel XVII secolo.

Ancora nel XVII secolo erano ricordati nel Catalogus Oppidorum, Castellorum et Villarum sub iurisdictione Abbatiali[151], enumerati in ordine alfabetico, come i sedici castelli "in Corpore Abbatiae Sancti Salvatoris Maioris" i paesi di:

Il governo dei castelli dell'abbazia di San Salvatore Maggiore[modifica | modifica wikitesto]

L'amministrazione del territorio abbaziale fu dalla fondazione, nel 735, per sette secoli, fino al 1434, quando morì l'abate Battista Orsini, ultimo tra gli abati eletto dal capitolo abbaziale, in capo all'abbazia stessa ovvero all'abate eletto dai monaci e al capitolo abbaziale.

Questo stato di cose cambiò a partire dal XV secolo con la creazione della commenda quando l'elezione dell'abate venne di fatto avocata al pontefice.

Il governo dei castelli dell'abbazia era regolato da antichi usi e consuetudini stabiliti negli statuti abbaziali redatti dall'abate e da rappresentanti dei castelli. La vita degli abitanti della signoria, detti negli statuti homines de abbatia seguiva questi principi che per secoli scandirono il vivere civile e religioso dei luoghi soggetti all'abbazia. Tramite gli statuti l'abbazia regolò la giustizia nei castelli, ne influenzò la morale plasmandone la storia e finanche l'economia.

Subentrata all'abate la figura del commendatario, a partire dal XVI secolo alle consuetudini degli statuti si sostituirono le massime raccolte nei sinodi dai commendatari che puntualmente ne ordinarono, nei secoli a seguire, lo svolgimento. Erano regole di morale che indirizzavano la vita religiosa delle comunità costituenti i possedimenti abbaziali e si affiancavano alla legge amministrata a livello locale ma ormai propagazione del governo centrale della Camera Apostolica.

Altre proprietà dell'abbazia[modifica | modifica wikitesto]

Carta dei luoghi soggetti alle Abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore contenuta nel Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ordo S. Benedicti del 1685

Oltre che nel territorio circostante[152], il monastero contava proprietà anche a Rieti[153], nella piana reatina[154], in Sabina, nell'Abruzzo e nelle Marche[155], inoltre i monaci del Letenano erano titolari a Roma della chiesa di San Salvatore in Campo[156] e della vicina chiesa di San Martino nel rione Arenula[157][158].[56]

Cronotassi degli abati[modifica | modifica wikitesto]

Abati di San Salvatore Maggiore (735-1399)[modifica | modifica wikitesto]

Serie di abati di San Salvatore Maggiore riportata da Ildefonso Schuster, Il monastero imperiale del Salvatore sul monte Letenano, p. 63:

  • Adroaldo † (documentato dal 772 al 775)
  • Usualdo † (documentato nel 794)
  • Leufo † (documentato nell'817)
  • Onorato † (documentato tra l'847 e l'855)
  • Anastasio † (documentato nell'872)
  • Landuino † (documentato dal 1001 al 1017)
  • Perenesio † (documentato nel 1049)
  • Pietro † (documentato nel 1057)
  • Adenolfo † (documentato nel 1124)[159]
  • Ranuzio † (documentato nel 1221)
  • Egidio † (documentato nel 1286)
  • Filippo † (documentato nel 1290)[75]
  • Pietro II † (documentato tra il 1290 e il 1306)
  • Cambio † (documentato nel 1306)[160]
  • Bono (o Giovanni) † (documentato nel 1307)

Abati commendatari di San Salvatore Maggiore (1399-1841)[modifica | modifica wikitesto]

Serie degli abati commendatari di San Salvator Maggiore[161]:

Orsini (1449-1503)[modifica | modifica wikitesto]

Della Rovere (1505-1513)[modifica | modifica wikitesto]

Orsini d'Aragona (1513-1542)[modifica | modifica wikitesto]

Farnese (1546-1589)[modifica | modifica wikitesto]

Barberini (1627-1738)[modifica | modifica wikitesto]

Lante Montefeltro della Rovere (1746-1817)[modifica | modifica wikitesto]

Il complesso abbaziale[modifica | modifica wikitesto]

Posizione geografica[modifica | modifica wikitesto]

L’abbazia di San Salvatore Maggiore, sorge, isolata, su di un pianoro situato sull'altopiano del Letenano, ad 821 m s.l.m., nel territorio montuoso che divide la Valle del Salto da quella del Turano. Il complesso abbaziale si trova nel comune di Concerviano poco distante dall'abitato di Vaccareccia a nord-ovest, da cui la divide la valle scavata dal Fosso di Fonte che si origina da una sorgente prossima all'abbazia, detta la Fonte del Cardinale, e da quello di Pratoianni, poco più distante, verso nord-est.

La struttura del complesso abbaziale[modifica | modifica wikitesto]

Monastero e Chiesa di San Salvatore Maggiore. Tavola di Francesco Antonio Bufalini contenuta nel Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ordo S. Benedicti del 1685.

L'abbazia si presenta come una costruzione imponente di quattro corpi di fabbrica, la chiesa e tre edifici, sviluppati con fasi costruttive e connotazioni architettoniche diverse, che hanno, nel tempo, ricoperto funzioni diverse. I corpi di fabbrica hanno la consueta disposizione monasteriale attorno ad un cortile quadrato di 50×50 metri:

  • la chiesa abbaziale: a sud, sviluppandosi lungo l'asse est-ovest è a navata unica, con cappelle laterali e presbiterio rialzato. Sul fianco destro si trova un'imponente torre campanaria.
  • l'ala est: annessa alla chiesa abbaziale da cui si accedeva tramite un ingresso su un lato del transetto è, insieme alla chiesa, la parte più antica del complesso. Accoglieva, in origine, gli spazi comuni, come il refettorio, il capitolo, le cucine e gli ambienti del dormitorio monastico e dello xenodochio. Lungo il corridoio che porta al refettorio, accanto alle cucine, sulla parete verso est, un fontanile convogliava le acque della vicina fonte; a mo' di vasca vi si può ancora scorgere la lapide di Sesto Tadio.
  • l’ala nord, in direzione dell'abitato di Pratoianni, nata con funzioni fortificatorie, di ricovero e di deposito, nel rinascimento all'epoca dell'abate Ranuccio Farnese, venne destinata a residenza dell'abbate commendatario e della sua corte.
  • l’ala ovest, in direzione dell'abitato di Vaccareccia, di origine più tarda, ha avuto funzioni amministrative e di rappresentanza, quali curia e tribunale, e una parte più moderna, nata in fase post conventuale, nel XVIII secolo, destinata a cappella e a dormitorio per i seminaristi.

La vicenda costruttiva del complesso abbaziale[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa e l'ala est datano all'VIII secolo, probabilmente sui resti di una villa romana del I-II sec.d.C. Vennero ampliate tra l'VIII ed il IX secolo per poi essere ricostruite, dopo la devastazione dei saraceni dell'891, nel X secolo quindi di nuovo ampliate e trasformate più volte tra l'XI ed il XIII secolo a mezzo di continui lavori di riadattamento e ricostruzione che ebbero luogo anche in seguito, a causa di eventi eccezionali, come l'assedio del 1308 e danni accidentali.

Con l’istituzione della commenda, verso la fine del XVI secolo, il complesso cominciò a trasformarsi in fortilizio e il cardinale Ranuccio Farnese fece riadattare l’intera ala nord come propria residenza, aumentando lo spessore del corpo di fabbrica e realizzando il nuovo prospetto verso il cortile.

Interventi di riadattamento più limitati sono poi dovuti al cardinale Francesco Barberini nel XVII secolo.

L’abbandono dei monaci a seguito dell'abolizione dell'abbazia benedettina nel 1629 e la nuova destinazione a sede del seminario diocesano nel 1746, provocò l’ultima grande trasformazione del complesso, che nel XVIII secolo aggiunse un nuovo corpo di fabbrica nell’ala ovest e fu riadattato per la nuova funzione di seminario cui fu destinato fino al 1841.

I padri passionisti, cui il monastero fu affidato dal 1839 al 1854, limitarono la rovina con interventi di manutenzione quindi, affidato alla diocesi di Poggio Mirteto, dal 1855 al 1880 l'edificio venne usato come residenza per le ferie autunnali dei seminaristi di Poggio Mirteto. Quando nel 1880 fu adattato a residenza estiva dei seminari di Rieti e Poggio Mirteto si provvide di nuovo a qualche lavoro di manutenzione. Lesionato dal terremoto di Avezzano del 1915, il complesso venne interessato da un intervento del Genio Civile, negli anni trenta, che causò un vero e proprio scempio delle strutture, vetuste, ma ancora resistenti, comportando numerosi crolli e distruzioni, soprattutto nell'ala est, quella di più antica costruzione.

Dagli inizi del novecento si consumò un degrado sempre più evidente e un’accelerata distruzione, mitigata solo da qualche intervento dovuto ai Salesiani a cui il complesso venne affidato tra il 1950 ed il 1960.

Dagli anni sessanta sino alla metà degli anni ottanta, il monastero fu completamente abbandonato a sé stesso, vittima di crolli e saccheggi che lo resero un rudere fino all’intervento del Comune di Concerviano, guidato dal sindaco Damiano Buzzi, che lo acquistò nel 1986 e che successivamente si prodigò per avviarne la valorizzazione e il restauro cominciando dalla chiesa per poi passare all'ala est e quindi a quella nord e a quella ad ovest.

La chiesa abbaziale del Salvatore[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa, che in un’incisione del sec. XVII di Francesco Bufalini contenuta nel Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti del 1685, figura preceduta da un portico aperto da cinque archi (uno centrale di dimensioni maggiori e quattro più piccoli disposti in coppia alle due estremità), presenta oggi una facciata barocca su cui si apre un semplice portale; sul fianco destro, in prossimità del transetto, si erge la massiccia torre campanaria, a pianta quadrata. Nell’interno, a navata unica con cappelle laterali, sono visibili tracce di affreschi medievali; la zona presbiteriale, probabilmente riferibile alla costruzione medievale (secc. X-XI), risulta fortemente rialzata rispetto al piano della navata.

Nel sinodo farfense del 1685 la chiesa di San Salvatore Maggiore é cosi descritta[165]:

(LA)

«Ecclesia monasterio contigua, antiqua et magnifica structura, constat unica longa nave cum quinque ab uno, et sex ab altero latere capellis decenter fornicatis. Altare maius in extrema Ecclesia pavimento celsiore elevata, religiose et speciose ornatum eminet; post quod est chorus cum antiqua sede abbatiali et reliquo monastico choragio; a cornu epistolae est sacrarium supellectile sacra et Sanctorum Reliquiis aliunde ditatum. In hac ecclesia praefati presbyteri Sacra quotidie celebrant et Sacramenta Poenitentia et SS. Eucharistiae Fidelibus eo praecipue ad solemniora anni festa ex Abbatiae Castellis confluentibus ministrant.»

(IT)

«La chiesa adiacente al monastero è un'antica e magnifica struttura, composta da un'unica lunga navata con cinque cappelle su un lato e sei sull'altro, elegantemente arcuate. L'altare maggiore, elevato su un piano superiore al pavimento della chiesa, spicca con la sua sacralità e il suo splendore. Subito dopo si trova il coro con un antico seggio abbaziale e il resto del coro monastico. Sul lato destro si trova il sacello, arricchito di suppellettili sacre e ricco di reliquie dei Santi provenienti da altre fonti. In questa chiesa, i predetti sacerdoti celebrano quotidianamente i Sacramenti e amministrano i Sacramenti della Penitenza e della Santissima Eucaristia ai fedeli, soprattutto durante le solennità annuali, a coloro che affluiscono dai Castelli dell'Abbazia.»

Nei secoli successivi, seguendo le sorti del resto dell'abbazia, anche la chiesa cadde in rovina. Lo Schuster, a seguito della sua visita all'inizio del novecento, così descrive lo stato della chiesa e dell'abbazia:

«[....] di tante ricchezze oggi San Salvatore non ha più nulla;[....] l'antica cattedrale della badia é tutta deturpata e quasi chiusa al culto. Dell' altare maggiore vagamente adorno, del coro e della cattedra marmorea dell'abbate in fondo all'abside, ricordati anche dal Marocco, non esiste quasi più nulla; le preziose reliquie e le suppellettili sacre sono andate disperse da lunghi anni, l'archivio (che però non riguarda altro che la diocesi e comincia solo col secolo XV) è stato incorporato con quello farfense, nella Curia vescovile di Poggio Mirteto.»

I dintorni dell'abbazia[modifica | modifica wikitesto]

Poco a monte dell'abbazia una copiosa fonte d'acqua, detta Fonte del Cardinale, genera un torrente che, dopo aver attraversato la gola sotto il paese di Vaccareccia, ove si trovava la mola del paese, prende il nome di Rio di Fonte ed affluisce alla sinistra del fiume Salto a valle della diga artificiale formante il Lago del Salto presso la località di Bivio Concerviano nel comune di Concerviano. Presso quella stessa fonte, nelle pertinenze del monastero si trovava il mulino del monastero.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f Leggio (2022).
  2. ^ Quello della Signoria di San Salvatore è un neologismo storiografico attribuibile a Tersilio Leggio. Nel passato con Abbatia Sancti Salvatoris Maioris si indicava tanto il complesso abbaziale che, per esteso, il territorio sotto il controllo dell'abbazia. Fu il de Sanctis nel suo scritto a descriver per primo come Baronia di San Salvatore il complesso dei territori sotto il controllo abbaziale usando anch'egli un neologismo per lo stesso scopo adottato da Leggio.
  3. ^ Schuster, pag.405.
    «[...] giacché fin dall'undecimo secolo l'abbate Landuino si rivolgeva ad Ugo abbate di Farfa per ricercare in quel tabulario i documenti relativi alla loro mutua famiglia.»
  4. ^ Schuster, pag.397.
  5. ^ Fiorani.
  6. ^ Persichetti.
  7. ^ Schuster, pag.395.
    «cfr. Reg. Farf. II, 12 "Anno DCCXXXV, indictione III, coenobium Domini Salvatoris aedificatur in Laetaniis"
  8. ^ Schuster, pag.395-396.
    «Ho già trattato altrove delle condizioni giuridiche dei monasteri imperiali d'Italia nel periodo carolingio, facendo derivare lo «ius palatii» sulle badie palatine dal patronato longobardo sugli edifici cultuali e dal mundio regio o ducale che gravava sui guargangi, stranieri alla città longobarda. Infatti, il più delle volte l'imperialismo monasteriale costituisce l'ultimo termine dell'evoluzione giuridica degli istituti sacri nel regno dei Longobardi, onde non sarebbe un'ipotesi troppo arrischiata se, in mancanza d'altri documenti, dal carattere imperiale di San Salvator Maggiore noi attribuissimo la fondazione a qualche nobile guargango franco, o a qualche esule monaco savoiardo, o dell'Aquitania venuto a pellegrinare in Italia. Anche Farfa, per oltre un secolo, reclutò i suoi primi abbati tra questi nobili rampolli delle più celebri famiglie franche, sospinte in Italia più ancora dalla devozione e dalia poesia che dalla guerra, che desolava il loro paese; ed è notevole che i monasteri fondati da quegli esuli guargangi abbiano ritrovato nel mundio regio o ducale le condizioni più favorevoli per raggiungere un alto grado di potenza e di ricchezza, mentre gli altri fondati da cittadini longobardi, e quindi immuni dalia tutela del sovrano, non hanno lasciato quasi traccia della loro breve esistenza. Farfa, San Salvatore, Sant'Andrea sul Soratte, San Vincenzo al Volturno, Monte Cassino sono tutti monasteri eretti o risuscitati da guargangi e che perciò vennero considerati come palatini ed imperiali, mentre San Pietro di Ferentillo tuttoché fondato dal duca Faroaldo di Spoleto, San Pietro di Classicella eretto dal duca Trasmondo per sua madre, San Giorgio di Spoleto, fondato dai duchi Lupo ed Ermelinda, per non dire di molti altri, non poterono mai giungere a tale grado d'onore e di potenza.»
  9. ^ Schuster, pag.395.
    «La collina tra Longone e Vaccareccia, su cui s'eleva la badia, nei documenti del secolo VIII chiamata «Laetenanum» o «Boianum», doppia nomenclatura che indicava forse la località e il «fundus» a cui apparteneva.»
  10. ^ Poiché il monastero del Salvatore era a ottomila passi da Farfa ed un passo equivale a poco meno di 150 cm, San Salvatore Maggiore si trovava a circa 12 km da Farfa (cfr.Mabillion, 740, Anno Christi 740, Liber Vicesimus-primus, pag.103).
  11. ^ Nel 1897 l'avvocato reatino Michele Michaeli riportò il testo della lapide di Sesto Tadio nel capitolo dedicato alle "Antiche Iscrizioni Reatine" ricordando come anche Pirro Ligorio nel XVI secolo ne avesse copiato il testo ricordandola come "In Abbatia S. Salvatoris, octavo ab Reate Lapide"(cfr. Michele Michaeli, Memorie storiche della città di Rieti e dei paesi circostanti dall'origine all'anno 1560, Rieti, Tipografia Trinchi, 1897, p. 121.). Pochè un miglio equivale a mille passi ovvero a 1482 metri, 8 miglia equivalgono a circa 12 km è curioso quindi come, per le fonti, San Salvatore Maggiore distasse da Farfa tanto quanto distava da Rieti mentre Farfa dista 22km in linea d'aria cioè ben oltre i circa 16km, sempre in linea d'aria, che separano Rieti dall'abbazia del Salvatore.
  12. ^ Chisari.
    «La ricca biblioteca di Farfa, che custodisce preziosi documenti, conserva anche il testamento di tale Teuderacius (RF II,72) che, dovendo partire per la Lombardia al seguito di Adelchi e di Desiderio nell'anno 768, dispone dei suoi beni per il caso che non torni dalla guerra contro i Franchi. Gran parte delle sue proprietà sono destinate a Farfa, ma al monastero del Salvatore attribuisce "casalem nostrum in Villa Veneria, quem habemus prope Alipertum et Teuderadum germanos, cum terris et silvis in intergrum".»
    cfr. Schuster, pag.398
  13. ^ Chisari.
    «[...] Il fatto è che del gruppo facevano parte sia aquitani che longobardi; le ricchezze del cenobio si spiegano solo con la generosità dei possidenti dell'epoca verso i propri parenti e consanguinei che avevano scelto la vita religiosa, e in quel periodo storico franchi e longobardi erano i padroni dell'Italia centrale.»
  14. ^ Il Liber Pontificalis cita più volte l’abbazia di San Salvatore Maggiore nelle biografie dei pontefici.
  15. ^ Schuster, pag.399-400.
  16. ^ Chisari.
    «[...] Il favore del re dei franchi si giustifica con la presenza nel cenobio di monaci franchi se non addirittura di consanguinei di Carlo Magno.»
  17. ^ Chisari.
    «La condizione di "abbazia imperiale" aveva riflessi notevoli: da un lato il monastero doveva intrattenere con l'imperatore particolari rapporti di vassallaggio, inviargli parte dei prodotti delle proprie terre (fodrum), pagare a lui un tributo e questo significava carovane che si recavano periodicamente alla corte imperiale, in Francia o in Germania o a Roma, a seconda di dove in quel periodo si trovava l'imperatore; significava corrispondenza (risulta che Alcuino, l'influente consigliere di Carlo Magno, scrisse più d'una volta all'abate di S. Salvatore) e significava infine, autorizzazioni per l'elezione dell'abate. Dall'altra parte, nei confronti del papa c'era d'altronde un riguardo non solo formale; anzi S. Salvatore, come le altre abbazie più importanti, era "nullius", cioè non soggetta ad alcuna autorità diocesana, e dal punto di vista ecclesiastico dipendeva direttamente dal pontefice.»
  18. ^ cfr. Epistula XX (794) di Alcuino all'abate Usualdo.
  19. ^ Schuster, pag.401.
    «: [...] Da una lettera di Alcuino al monaci del Letenano rileviamo che la fama della loro osservanza monacale era celebre anche al di là del monti, giacché il potente maestro di Carlo Magno dopo d'aver sollecitato una prima volta in suo favore le loro preghiere per mezzo dell'arcivescovo Algiramno di Metz (m. 791), qualche anno dopo scrisse una nuova lettera in termini assai affettuosi, in cui, facendo gli elogi della loro vita, li esorta a rendersi sempre pii degni del titolo di «monachi Sancti e Salvatoris», come si chiamavano. I cenobiti del Letenano non mancarono da parte loro di trarre profitto delle benevole disposizioni d'Alcuino, giacché dalla medesima lettera sappiamo che gli avevano spedito un messo a cagione d'alcuni negozi che avevano, con Carlo Magno, e che il maestro aveva interposto già in loro favore ad opera dell'imperatrice Liutgarda»
    .
  20. ^ Chisari.
    «Schuster giustifica il doppio importante donativo con l'esistenza di due chiese nel monastero del Salvatore: una dedicata appunto al Salvatore la cui ricorrenza era ricordata il 16 Kal. febr., l'altra intitolata a S. Pietro e ricordata il 4 Kal. oct. .»
    cfr. Schuster, pag.407.
  21. ^ Schuster, pag.408.
    «[...] in quel periodo di traslazioni dei corpi dei martiri inaugurato da Paolo I e poi seguito sotto Pasquale I, quando, a cagione dell'abbandono dei cimiteri suburbani, papi, vescovi ed imperatori s'affrettarono a chi potesse più arricchire le proprie chiese di sacre reliquie, anche i monaci di San Salvatore ebbero la loro parte in quelle pie devastazioni delle Catacombe ed ottennero il corpo del martire Ippolito, già sepolto in una speciale basilica nell'agro Verano
    Per tale motivo nel monastero si festeggiava anche il 9 maggio come la data della traslazione del corpo di S. Ippolito martire.
  22. ^ Chisari.
    «[...] È curioso che di questo martire, di cui si ignora la tomba, scrive Schuster, siano coperte dal mistero non solo le reliquie ma anche la figura. È stato il primo degli antipapi e tuttavia era venerato come martire e vescovo, e riconosciuto genio del cristianesimo.»
  23. ^ Schuster, pag.407.
  24. ^ Chisari.
    «"A Bireti de Laonensi nuncupatos" si legge sulla bolla del 12 settembre 1629 di Urbano VIII.»
  25. ^ a b Chisari.
  26. ^ Micheli (cfr. Muratori, cfr. Chronicon anno 872)
  27. ^ Schuster, pag.409-410.
  28. ^ Micheli annota (cf. Muratori Rerum Italiarum Scriptores tomo II. part. II, col.403 ) che l'imperatore Ludovico nell'867, dopo aver visitato Farfa aveva anche visitato il monastero di San Salvator Maggiore.
  29. ^ Vedi Chisari sull'identificazione dell'Abate Anastasio di San Salvatore con l'Anastasio Bibliotecario scomunicato da papa Leone IV (che minacciò il monastero di scomunica ai tempi dell'abate Onorato).
  30. ^ Schuster, pag.410.
  31. ^ Schuster, pag.410-411.
    «Tanta generosità da parte di Ludovico II, stremato altresì di forze e di danaro, ha pure il suo caratteristico retroscena che ci fa meglio intendere lo scopo delta sua visita a Farfa e delta presenza colà delle due comunità monastiche. Infatti, dall'anonimo libello «De imperatoria potestate in Urbe» rileviamo il vero significato del carattere imperiale di Farfa, di San Salvatore e del Soratte, che, perdutosi di vista l'antico concetto del guargangato e del mundio longobardo, era divenuto un semplice titolo fiscale che attribuiva alla Corona l'alto dominio sul patrimonio monastico il che praticamente significava che questi monasteri avevano l'alto onore di fare le spese della corte imperiale durante il suo soggiorno nel ducato romano, oltre le altre derrate e tributi che dovevano spedire sino in Francia.»
  32. ^ Schuster, pag.412.
    «Ignoriamo le circostanze dell'assalto dei Saraceni alla badia e dell'incendio che vi appiccarono circa l'anno 981. I Fasti farfensi contengono solo di seconda mano quest'arida notizia: «Anno DCCCXCI, md. Iuli, «Guido imperator monasterium Salvatoris a paganis «incenditur» (RF Far. II, 15) ma è probabile che i monaci, dietro l'esempio dei Farfensi, abbiano preveduto a tempo il pericolo ponendosi in salvo nella Marca e nel Reatino, dove il loro patrimonio è ricordato in una carta del 3 ottobre 936.»
  33. ^ cfr. Tofani e Rampazzi che hanno scritto sul toponimo Paesi Mori alle pendici del Monte Aquilone nel territorio di Longone Sabino.
  34. ^ a b Schuster, pag.413.
  35. ^ Schuster, pag.413)
  36. ^ Addirittura in più documenti del Regesto Farfense che certificano donazioni al monastero di Farfa, si trovano, nello stesso documento, esempi di privati che facevano con lo stesso atto donazione di beni a Farfa e a San Salvatore.
  37. ^ Schuster, pag.403-404.
    «[...] Cosi un po' alla volta il patrimonio territoriale venne ad ingrandirsi considerevolmente, tanto che troviamo estendersi il suo possesso non pur in Sabina, dove possedeva, in condominio coi Farfensi, Arci, l'intera Celia Nova, delle terre a Quinto, il Gualdum «Novum Mizinum», Formello reatino, l'enfiteusi del casale «Sepicianum», le chiese di San Giovanni a Rieti, Sant'Andrea, Santa Maria di Poggio Moiano, San Giovanni «de Toche», San Giuliano «prope Tiberim», la «curtis» di San Pietro in Meana, dei beni a Terni e negli Abruzzi, un gran numero di «pagi» in Sabina, donde poi sorse la diocesi di San Salvator Maggiore, e una quantità di castelli, monasteri e borgate nella Marca di Fermo. In seguito passarono a San Salvatore quasi tutti i possedimenti dei Farfensi nelle Marche (cf. Synodus edita sub Carolus Barberinus, pp. 999-1023).»
  38. ^ Schuster, pag.405.
    «Il Salvatore aveva beni e vassalli entro la «massa de Bucciniano» a un trarre d'arco da Farfa, mentre questa possedeva il castello di Longone, di Malialardo, i pagi di Senia, Celia Nova e San Benedetto quasi alle porte di San Salvatore. Verso il 1017 l'abbate Ugo propose a Landuino, abbate del Letenano, una permuta, in vista appunto della reciproca difficoltà che recavano loro l'amministrazione di quei possedimenti; ma nulla ci assicura che il suo corrispondente abbia secondato quei progetti. tra le due abbazie per evitare conflitti.»
  39. ^ Schuster, pag.396.
    «Ciò che è certo è che il monastero di San Salvatore Maggiore, favorito sin dai primordi dai gastaldi di Rieti, dai duchi di Spoleto e dai papi, nel secolo VIII possedeva già un patrimonio tanto vasto che, ad impedire una collisione coi farfensi, i quali aspiravano a dilatarsi nell'Umbria e nelle Marche, convenne stipulare degli accordi e delle permute di fondi, di cui il Regesto Farfense ci ha conservato soltanto qualche carta.»
  40. ^ cfr. Schuster, pag.401 su una lite dell'807 risolta a Rieti dal Gastaldo Lupo tra l'abate Benedetto di Farfa e l'abate Leufo di San Salvatore Maggiore per l'attribuzione di una proprietà che entrambi rivendicavano come propria.
  41. ^ Schuster, pag.405.
    «Nelle carta di Farfa i beni di San Salvatore appariscono tutti frastagliati e intersecati da quelli farfensi, e l'osservare che raramente sorsero tra le due badie dello contestazioni a cagione di tale vicinanza, è la miglior conferma dello tradizionali relazioni di antica amicizia che ci descrive l'abate Ugo di Farfa. Libero ognuno d'estendere quanto più potesse i propri domini senza pregiudicare all'altro, farfensi e salvatoriani s'intesero a meraviglia insieme per più secoli.»
  42. ^ Schuster, pag.401.
    «Nonostante la distanza ed il cammino disastroso che le separava, le due comunità si erano sempre considerate come un'unica famiglia, cosi che spesso si scambiavano delle visite reciproche, specialmente in occasione dello feste più solenni, e concedevano assai facilmente ai loro monaci il passaggio dall'uno all'altro monastero (RF V). L'uso dei Farfensi di trasferirsi d'estate sulle alture del Letenano si é conservato sino a quest'ultimi tempi, ma all'infuori della notizia contenuta nel documento citato non sapevano nulla della consuetudine dei monaci del Salvatore di trascorrere a Farfa una parte dell'inverno, onde sfuggire si rigori del freddo. (Cfr. Episitula ad Dominum Landuinum venerab. abb. monast. Domini Salvatori»
    ).
  43. ^ Schuster, pag.414.
    «Verso la fine del secolo X le relazioni tra i] monastero di Farfa e di San Salvatore furono più intense che mai, in grazia soprattutto del celebre abbate Ugo I, che strinse amicizia col nostro Landuino. [...] Fu verso il 1014 che Ugo I rientrato in possesso dei castelli abbaziali di Tribuco e di Bocchignano, già occupati dai Crescenzi, ottenne da Benedetto VIII il «districtum et placitum» su quelle terre, come l'esercitavano altra volta i «Comites» di Sabina. Altri vasti possedimenti del monastero di San Salvatore a San Pietro di Alearia, rientrando nella circoscrizione comunale di Bocchignano, sarebbero stati perciò soggetti all' abbate di Farfa, ma Landuino, giovandosi delle sue buone relazioni con Ugo, lo pregò a concedere ai suoi vassalli di quelle torre un ampio privilegio di larga esenzione, perché non riconoscessero altra autorità all'infuori di quella di San Salvatore. Ugo, inteso a favorir l'amico, acconsenti, e nell'agosto 1018 emanò un Costituto, in cui esimeva dalia giurisdizione di Farfa i coloni di Meana, tranne il caso che dovesse rilevarsi II «fodro» per l'imperatore. L'abbate farfense inoltre si obbligò a difendere i vassalli del Salvatore, come i suoi propri, ma Landuino a sua volta accondiscese che essi venissero iscritti tra i castellani di Bocchignano, adempiendo fedelmente all'obbligo di montar la guardia alla fortezza e di prestare omaggio di fedeltà all'abbate di Farfa, come suoi veri sudditi feudali. In caso di delitto, d'adulterio, stupro, omicidio, incendio o tradimento della piazza forte, i coloni di Meana dovevano sottostare al tribunale dell'abbate di Farfa, ma quello del Letenano aveva diritto d'assistere in persona o per mezzo d'un messo; ad ogni modo egli ritirava la metà delle multe.»
    , Schuster, pag.415.
    «L'atto generoso di Ugo fu approvato a maggioranza di voti dai suoi monaci, il che formò motivo a Landuino di stringere sempre più i vincoli d'antica amicizia che univano le due grandi badie imperiali, incaricando il Farfense di farne delle ricerche in proposito in quel copioso archivio. Ugo gli rispose dopo qualche tempo, annunciandogli l'ottima impressione prodotta nella comunità per quel loro accordo. Quanto alle ricerche istituite, dalle «cartas, tomos sive membrana, nostrae ecclesiae autentica munimina et antiquissima» risultava che sin da principio tra Farfa e San Salvatore era esistita una corrente di mutua simpatia, tanto che era assai facile al monaci il passaggio dall'una all'altra comunità. D'estate quei di Farfa solevano recarsi in gran numero sulle alture del Letenano, mentre d'inverno i Salvatoriani scendevano nel piano lambito dal garrulo fiume Farfa, ove le due comunità trattavansi con ogni riguardo di familiarità ed amicizia.»
  44. ^ Schuster, pag.415-416.
    «La presenza dell'abbate Anastasio a Farfa quando Lodovico II neIl'872 visita la badia, aveva fornito l'occasione che l'imperatore comprendesse in un unico diploma, concesso in comune agli abati Giovanni farfense ed Anastasio, la conferma dei rispettivi patrimoni abbaziali; e infatti la storia dello svolgimento della potenza territoriale farfense dimostrava che mai era sorto alcun alterco coi monaci del Letenano a cagione d'interessi pecuniari e amministrativi. Lo stato di Farfa si prolungava sin quasi alle porte stesse di San Salvatore ove possedeva Longone, San Benedetto, Malialardo, Celia Nova e Lesenie, ma questi beni che facevano parte del patrimonio farfense sin dall'VIII secolo intralciavano l'amministrazione della badia che difficilmente poteva sorvegliare la loro coltivazione a cosi grande distanza. San Salvatore si trovava nelle identiche condizioni, onde Ugo I terminò a sua lettera a Landuino richiedendogli se una permuta di quei fondi non fosse vantaggiosa ad entrambi (Non sappiamo nulla se Landuino abbia aderito alla proposta, ma ne dubitiamo assai, giacché in un elenco dello usurpazioni subite dai monaci di Farfa e presentato verso iI 1116 a Pasquale II, ritroviamo ricordati gli stessi possedimenti descritti da Ugo nella sua lettera a Landuino).»
  45. ^ Schuster, pag.406.
  46. ^ Schuster, pag.417.
    «Talora però monaci da oppressi divenivano alla loro volta invasori, in ispecie quando si trattava dei diritti episcopali che cercavano d'eludere e di diminuire coi loro privilegi papali, a col dilatare i loro possedimenti, immuni per legge dalia giurisdizione episcopale. In un tempo quando i rispettivi diritti s'intralciavano e si collidevano a vicenda, non era difficile che tra gli episcopi e le badie sorgessero delle aspre contestazioni patrimoniali, che si protraevano acremente per lunghi anni. La storia di Farfa offre più d'un esempio di queste liti, non di rado selvagge, ove le parti sostenevano a mano armata la causa loro, incendiando, saccheggiando e menando strage del territorio dell'altra. La storia dei litigi fra Pietro, vescovo di Abruzzo e l'abbate di San Salvatore, anch'esso di norne Pietro, è rimasta tristemente famosa. Ci rimangono solo i documenti da parte del vescovo. Nel 1057 in un placito raccolto nello stesso cenobio controverso alla presenza di Eniardo «missus» imperiale, e dei vescovi Bernardo di Vicenza ed Ottone di Novara, cancelliere dell'imperatore, l'abate fu costretto a cedere alle ragioni del vescovo Pietro.»
  47. ^ Schuster, pag.418-419.
    «In una lettera di san Pier Damiani (1007-1072) al cardinale IIdebrando a proposito del suo libro «Gomorrianus», rileviamo che Alessandro II, ad impedire la diffusione di questo scritto, alta presenza dell'autore simulò di voler consegnare il codice all' abbate di San Salvator Maggiore perché glielo facesse trascrivere. II Damiani, non sospettando di nulla, diede il manoscritto porche se ne prendesse copia nel monastero del Letenano, ma invece nella notte seguente il pontefice fece trasportare il codice negli archivi papali, lasciando che l'autore minacciasse e protestasse a suo grado contro quel tradimento orditogli in nome dell'amicizia. Non è forse senza importanza che Alessandro II, mentre in Roma non mancavano delle buone scuole calligrafiche, sia ricorso all'abbate del Salvatore per far copiare il Gomorriano, e la meraviglia cresce quando si riflette che una particolare famiglia di martirologi rappresentata da uno già in uso a Monte Cassino, a S.Maria in Trastevere a Roma, a San Ciriaco in Via Lata e altrove dipenda da un archetipo del monte Letenano. Non è il caso da questi scarsi elementi di giungere subito sino ad intuire una speciale scuola Salvatoriana che avrebbe diffuso in tutto il ducato romano il culto delle lettere e delle arti, ma corto qualche cosa pur vi dove' esser, quantunque ora per noi sia impossibile di determinarne le condizioni.»
  48. ^ I codici alla Biblioteca Vaticana da archetipi del Letenano (cfr. Schuster): Ott.Lat.3, Arch.Cap.S.Pietro.H.58(Missalis partes cum rituali et martyrologio. Sec. XI-XII).
  49. ^ Chisari.
    «[...]ma Anastasio, bibliotecario o meno, a San Salvatore deve aver istituito o quanto meno dato impulso all'attività di trascrizione di testi e codici che in quel periodo le migliori abbazie già svolgevano. Questa attività, di cui Farfa traeva grande vanto, era ovvio dovesse esistere anche a S. Salvatore per i noti legami tra i due cenobi, ma Schuster riferisce un episodio che indirettamente fornisce la prova. Papa Alessandro II (1061-1073), volendo sottrarre a S. Pier Damiani (1007-1073) il manoscritto "Gomorrianus"(ed.1051) non intendendo farlo diffondere, gli disse che lo mandava all'abbazia di S. Salvatore per farlo copiare (mentre poi lo fece chiudere negli archivi del Vaticano). Il riferimento alla "copisteria" del Letenano, non mancando a Roma e nei dintorni, e in particolare a Farfa, altri celebri scriptoria, non può che confortare l'ipotesi che in quella abbazia esistesse una scuola nota e ben valutata. Da questa scuola sono usciti lavori (martirologi) che sono serviti da riferimento e da esempio per le successive compilazioni sullo stesso tema. Dall'archetipo del Letenano sono stati tratti i martirologi in uso a Montecassino, a S. Ciriaco in via Lata, a S. Maria in Trastevere (c'entra forse Anastasio bibliotecario?) e altrove.»
  50. ^ Chisari.
    «Denso di avvenimenti per il Salvatore è l'anno 1149, allorché Ruggero il Normanno, re di Sicilia, prende le armi contro il papa e dopo il saccheggio di Roma si dirige sulle città del Lazio, impadronendosi anche di Rieti che affida in feudo ai suoi.»
  51. ^ cfr. Leggio (1990) circa la presenza in Sabina, all'epoca del Barbarossa, di membri della numerosa famiglia romagnola dei Conti di Cunio e la fondazione del Castrum Plagiarum nel territorio delle Plage verso la valle del Turano e della fortificazione di Roccaranieri sulla valle del Salto.
  52. ^ Sposato in terze nozze nel 1151 con Beatrice di Rethel, nelle Ardenne, figlia del conte di Rethel e di Beatrice di Namur (a sua volta terza figlia del conte Goffredo I di Namur). Quindi Beatrice di Rethel, nipote del conte Goffredo di Namur, era la nonna di Federico II di Svevia, figlio di Costanza d'Altavilla ed Enrico VI di Svevia, figlio di Federico I Barbarossa.
  53. ^ Si tratta del documento del 1191 citato da Maglioni che attesta il dominio si S. Salvatore sul territorio delle Plage da Paganico al Borgo di Rieti.
  54. ^ Celestino III, alla fine del XII secolo, è stato l'artefice della fortuna degli Orsini a cui affidò i castelli di Vicovaro, Cantalupo e Burdella nella valle dell'Aniene, nucleo dei possedimenti della famiglia. cfr. Toubert.
  55. ^ Chisari.
    «Una fazione di questa famiglia (ndr. i Mareri), fedele alla causa imperiale tedesca subisce le conseguenze della sconfitta inflitta da Tancredi a Enrico VI nel 1191. Un altro ramo dei Mareri, avverso a Federico II, perde nel 1241 i beni del Lazio e dell'Abruzzo, ma alla morte di Federico il papa Innocenzo IV reintegra i discendenti nelle terre già appartenute alla loro famiglia sia nel regno pontificio sia in Abruzzo. Altri Mareri seguono la causa di Corradino. A seguito della sconfitta subita a Tagliacozzo nel 1268 e alla conseguente incarcerazione di Corradino, essi sono spogliati dei beni che nel 1277 vengono assegnati a Stefano Colonna. I Mareri beneficiano di un'altra reintegrazione per opera di Roberto Re di Napoli il 19 febbraio 1323, ma nel 1510 l'intera famiglia è sterminata da mani assassine e l'unica superstite, Costanza, si disfa della contea vendendola nel 1532 al cardinale Pompeo Colonna
  56. ^ a b Schuster, pag.426-427.
    «II 24 aprile 1221 un'altra bolla di Onorio III (1216-1227) all'abbate Ranuzio di San Salvator Maggiore venne a garantire nuovamente i possedimenti del monastero a cui da tutte le parti si tendevano insidie. Vi si confermano in particolare i beni abbaziali situati nel Reatino tra i flumi Salto e Turano, dal rivo Paganico alla pianura di Rieti coi castelli di San Martino, Poggio Sant'Angelo, Palerofo e Campolanio; tra le dipendenze salvatoriane a Roma sono ricordate le chiese di San Salvatore «de Dompni Campo» e di San Martino «in Panerella» nel rione Arenula; in Sabina vengono confermati i monasteri di San Giuliano, di San Giovanni in Tocia, di Sant'Andrea, San Vittore, Santa Maria a Poggio Moiano; nel vescovado di Rieti la chiesa di San Giuliano a Trebula, il monastero di Santa Cecilia, di San Salvatore «in Vacungno», Sant' Angelo «in casa muca» col suo castello, il cenobio di San Paolo in Roiano e di San Bartolomeo «in Scopeto». Nella Marsica San Salvator Maggiore possedeva il monastero di Santa Maria «in Valle Maecuiana» e di San Salvatore in Paterno. Nella diocesi di Furcona quello di Sant'Angelo de Mera, oltre un'altra lunga lista di beni nella diocesi di Valva
  57. ^ Leggio (2022), Maglioni.
  58. ^ Vedi Tommaso Mareri e la sua fortuna in Leggio (2022).
  59. ^ Les Registres d'Innocent IV (1243-1254), doc.4696.
  60. ^ Chisari.
    «Innocenzo IV il 15 aprile 1249 da Lione attribuisce a Pietro diacono, cardinale di San Giorgio al Velabro, autorità [...] su un gran numero di monasteri in tutta l'Italia centrale, compreso il nostro S. Salvatore, con pieni poteri, allo scopo di esperire trattative con il Regno di Sicilia. È interessante conoscere alcune delle ampie potestà affidate al cardinale Pietro, il quale tra l'altro poteva assoldare eserciti e con essi entrare nelle regioni pontificie, consacrare e sconsacrare laici e chierici, promettere benefici, contrarre mutui fino a 10 mila marchi d'argento e per 10 mila once d'oro, chiedere aiuto ai Cavalieri templari e agli altri ordini religiosi e persino di consentire a 50 persone di diventare religiosi in difetto di legittimi natali! E siamo nel vivo della lotta con Federico II, ma i pieni poteri del cardinale anche sull'abbazia del Salvatore costituirono un pericoloso precedente.»
    Les Registres d'Innocent IV (1243-1254) recueil des bulles de ce pape. T. II. Thorin. 1884-1885., su gallica.bnf.fr.
  61. ^ Schuster, pag.428 in nota.
    «Già le lotte tra il pontefice e Federico II avevano avuto il loro contraccolpo anche negli stati badiali di San Salvatore, quando il 7 aprile 1249 Innocenzo IV da Lione scrisse ai monaci di «S. Salvatoris de Reate», annunziando la legazione del card. Pietro di S. Giorgio, rettore della Marca e del Ducato, allo scopo di liberare i popoli di Sicilia oppressi da Federico. Il 15 aprile successivo il pontefice concesse al legato facoltà di esercitare il proprio ufficio anche sul territorio dell'abbazia di San Salvator Maggiore.»
  62. ^ ACR: Armadio IV, Fascicolo P.
  63. ^ Leggio (2022).
    «Recuperato il controllo sull’abbazia da parte papale, le tensioni ebbero una brusca accelerazione subito dopo la nomina del vescovo Tommaso alla sede di Rieti, nel 1252. Il processo contro San Salvatore Maggiore fu avviato solennemente tra 16 e 17 settembre 1253 e fu negativo per l’abbazia, poiché i diritti episcopali e l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica nei riguardi delle cappelle monastiche furono attribuiti al vescovo ordinario reatino. Dopo questi fatti, la situazione di San Salvatore divenne più debole segnando un momento profondo di crisi.»
  64. ^ È curioso notare come secondo Leggio fu il vescovo di Rieti a vincere (cfr.Leggio (2022)) mentre secondo il De Sanctis vinse l'abate di San Salvatore Maggiore.
  65. ^ cfr. Toubert per il percorso di Corradino e Luigini a p. 556 (dai regesti pontifici) sul ruolo nella vicenda dei Mareri nella Valle del Salto (e dei Castiglione nella valle del Turano), passati dalla parte di Corradino di Svevia e dell'abate di San Salvatore, fedele al papato e quindi dalla parte degli Angiò, .
  66. ^ Nel 1275 Sinibaldo di Vallecupola, avendo rilevanti interessi nella pastorizia transumante, cedette a Petrus de Insula il Castello di Corropoli nella Val Vibrata in cambio del castello di Corvaro aggiungendolo ai suoi feudi di Staffoli, Capradosso, Rocca del Salto e di Varano, nel Cicolano e di Sassa e Preturo nell'aquilano. cfr. Salto Cicolano: itinerari da scoprire nel centro d'Italia, su saltocicolano.it.
  67. ^ Carlo II detto lo Zoppo venne incoronato Re di Napoli il 29 maggio 1289 nella Cattedrale di Rieti da papa Niccolò IV.
  68. ^ Enrico di Castiglia - Dizionario Biografico degli Italiani (1993), su treccani.it, vol. 42, Enciclopedia Treccani.
  69. ^ Les registres de Nicolas III (1277-1280), doc. 504.
  70. ^ a b Grappa.
  71. ^ Chisari.
    «: [...] Era l'effetto della vittoria del papato sull'impero e il risultato della sottomissione dell'abbazia all'autorità pontificia come avvenuto per Farfa con il privilegio di Urbano IV del 23 febbraio 1282. Il documento con cui Onorio IV garantisce i beni del S. Salvatore è del 24 aprile 1281 e pertanto la defensio imperialis sui due cenobi deve essere cessata negli anni immediatamente precedenti.»
  72. ^ Maglioni, pag.34.
  73. ^ ACR Arm. VIII, Fasc. A, 5.
  74. ^ Les registres d'Honorius IV, doc. 758.
  75. ^ a b Les registres de Nicolas IV, doc.3859-3861.
  76. ^ Schuster, pag.428,Schuster, pag.41-42
  77. ^ Schuster, pag.429.
    «A Filippo dopo qualche anno successe nel governo l'abbate Pietro, il quale ad ogni modo non sedé a lungo, giacché il 28 novembre 1307 già era morto il suo successore a nome Cambio. I capitolari allora entrarono in trattative per ottenere che Francesco, abbate di Subiaco, passasse a San Salvatore, e a tale scopo inviarono a Poitiers alla corte di Clemente V (1305-1314) il monaco Bonus-Iohannes, perché vi trattasse di questa traslazione.»
  78. ^ Probabilmente un'altra famiglia, come i Conti di Cunio, originaria della Romagna se non proprio un ramo dei Conti di Cunio o forse, in ambito locale, nel XIV secolo, i conti di Cunio, originari dei territori romagnoli, venivano semplicemente indicati come "de Romania" ovvero "(famiglia originaria) della Romagna".
  79. ^ Schuster, pag.429 in nota.
    «II candidato, di costumi feroci e d'animo prepotente, venne cacciato da Subiaco verso lI 1303, senza tuttavia che egli rinunziasse mai ai suoi pretesi diritti su quella badia. Gli stessi sublacensi non sanno nulla di queste trattative di Francesco coi monaci di San Salvatore, ma gli intrighi del sedicente abbate si spiegano bene quando si tiene conto che essendo succeduto a Subiaco un amministratore apostolico, Nicola da Mileto, Francesco, sentendosi vacillare il suolo sotto i piedi, mediante la candidatura di San Salvatore, cercò d'avere, come dicesi, il piede in due staffe, assicurando la sua posizione.»
  80. ^ Cattività Avignonese (1309 -1377). Già dal 1303, Clemente V (1305-13014) era a Poitier.
  81. ^ Schuster, pag.429-430.
    «Il messo tuttavia disbrigò si bene quest' affare, che il papa, considerando anche lo stato del monastero, «in suis facultatibus et viribus non modicum diminutum» (ndr. it. assai decaduto nelle sue facoltá e diritti) cassò l'elezione dei monaci e lo creò abbate, facendolo consacrare dal cardinal Nicola, vescovo d'Ostia e Velletri. In data del 28 novembre di quest' anno (ndr.1307) Clemente V indirizzò a tale riguardo tre lettere, all'eletto, al capitolo dei monaci e ai vassalli, perché accogliessero colla dovuta ubbidienza il nuovo abbate, e l'aiutassero nel sollevare le sorti dell'avvilita badia.»
  82. ^ Schuster, pag.430.
    «Il 10 gennaio successivo (ndr. 1308) ritroviamo Bonus-Iohannes ancora a Poitiers, ove in questo giorno ratificò alla Camera Apostolica e al Collegio dei Cardinali il debito di 400 fiorini d'oro (ndr. la rendita dell'abbaia era di 200 fiorni d'oro l'anno. cf. Leggio (2022)) e 5 «servitia» lasciato insoluto dai suo predecessore Pietro, e si obbligò, inoltre, a pagare per suo conto altri 100 fiorini e 5 «servitia» sino alla festa d'Ognissanti. L'odioso sistema fiscale introdotto da Clemente V era tutt'altro che fatto per risollevare San Salvatore al primitivo splendore; ma non contò nulla, e Bonus-Johannes, se volle mettersi al sicuro contro i fulmini della scomunica che gli ufficiali della tesoreria pontificia lanciavano con un'audacia pari alla loro leggerezza, dové di tanto in tanto inviare il suo gruzzolo a Clemente V, mentre proprio ce ne sarebbe stato estremo bisogno sul Letenano che, per concessione stessa del papa, era assai decaduto nelle sue facoltà e diritti. Bisogna tener conto di tutte le altre contribuzioni imposte dai papi avignonesi alle chiese e ai monasteri, alle decime per le vare guerre, ai «subsidia», alle riserve e alle aspettative dei benefici vacabili per comprendere tutto il danno che cagionarono alla Cristianità da queste forzate contribuzioni pecuniarie.»
  83. ^ Schuster, pag.431.
    «Il governo di Bonus-Iohannes fu tra i più agitati che conti la storia. Il Comune di Rieti, d'accordo con i nobili dei dintorni, istigò dapprima la ribellione fra i vassalli del monastero, indi, dopo essersi impadronito violentemente del castelli badiali che sorgevano nel territorio reatino, strinse una convenzione cogli abbaziali perché all' ombra del Comune si scuotessero di dosso l'inviso giogo di San Salvatore. Colle idee che già bollivano in quei capi di montanari non vi volle molto ad aizzarli alla rivolta, e rafforzare le loro file da altre turbe di mercenari, corsero in armi sul monte Letenano minacciando ai monaci l'ultimo sterminio. L' assedio durò due giorni, ma alla fine quelle orde furibonde riuscirono a penetrare nel monastero attraverso le mura smantellate e vi rinnovarono le atrocità del Saraceni quattro secoli prima.»
  84. ^ Schuster, pag.432.
    «Insieme con le granaglie e le diverse derrate nel magazzini, quei forsennati appiccarono il fuoco anche al paramenti sacri della basilica, ai codici della biblioteca e alle carte dell'archivio che andarono distrutte: i monaci probabilmente si misero in salvo con la fuga, giacché non si ha alcuna notizia che venisse loro recato danno nella persona, ma il Comune di Rieti approfittò tosto di quel primo momento di sgomento per confiscare a proprio vantaggio quasi interamente lo stato abbaziale. Le castella vennero adunque concesse ai diversi capitani e agli ufficiali di Rieti e l'usurpazione violenta fu sostenuta innanzi al popolo con si valide ragioni in favore del Comune, che i suoi diritti su quelle terre sembrarono irrefutabili. I monaci tuttavia ricorsero a Clemente V che risiedeva allora a Poitiers, donde il 4 marzo 1308 diresse un breve a Pandolfo de' Savelli «praeposito chableyarum in ecciesia Sancti Martini Turonensis» e notaio apostolico, in cui, fatta la storia della controversia tra San Salvatore e il Comune di Rieti, gil ordina d'annullare le convenzioni stipulate tra i nobili e i badiali, con ordine ai Reatini di ritirare dentro un determinato tempo le loro soldatesche dai castelli del monastero.»
  85. ^ Schuster, pag.433.
    «Clemente V incaricó tosto a viva voce il cardinal Giovanni del titolo dei Santi Pietro e Marcellino, perché istituisse sul luogo un'inchiesta sommaria e ne riferisse poscia in concistoro. Furono chiamati a deporre parecchi testimoni, dai quali risultó che il monastero aveva sernpre esercitato giurisdizione cosi ecciesiastica che civile sui castelli di Mirandelie, Lutta, Valle Cupola, Guaiata, Rocca, Poggio Vittiano, Longone, Insenie, Visiola, Vaccareccia, Malialardo, Villa de Ulmis, San Benedetto, Cripte, Porciliano, Licingiano, Genzalia, Rocca Raneria, Colcerviano, Pratoianne e Offedio, onde la relazione del cardinale fu interamente favorevole ai monaci. Clemente V comprese egregiamente tutta la difficoltà delle circostanze, giacché trattavasi di restituire a San Salvatore quasi intero il suo stato temporale contra le pretese dei potenti Reatini. V'era a temere che gli stessi monaci non avrebbero avuto la forza necessaria per esigere tale restituzione; onde, deliberata la casa in concistoro coi cardinali, il 15 giugno 1310 il pontefice ordinò al Comune l'immediata consegna delle usurpate castella all'abbate affidando l'esecuzione di questa sentenza a Napoleone Orsini e ai vescovi dei Marsi e di Valva. A garantire meglio i diritti di San Salvatore, il medesimo giorno scrisse a re Carlo d'Angiò, costituendolo «defensor» della badia.»
  86. ^ Maglioni, Pag. 26.
  87. ^ Leggio (2022).
    «Ebbe invece successo il tentativo dei Mareri, i quali alla metà del XIV secolo avevano mutato strategia, puntando come detto a occupare le cariche religiose più importanti del territorio e a espandere la loro influenza nello Stato della Chiesa. Durante il 1300 e nei primi anni del 1400 i frati dell'abbazia di San Salvatore si misero sotto la protezione dei potenti conti Mareri di Petrella per poter difendere il loro territorio dalle insidie che continuamente erano ordite a loro danno dal comune di Rieti e dai principi delle più importanti famiglie nobili del tempo quali gli Orsini e i Savelli. Dal 1382, infatti, è attestata la presenza come abate a San Salvatore Maggiore di Ludovico di Lippo Mareri. Nello stesso anno scoppiò una controversia con Lucarello Savelli per il castello di Capradosso. Nel 1385 fu Rieti a scontrarsi con l’abate e Lippo (ndr. Lippo Mareri, il padre dell'abate Ludovico) per un sequestro di grano. La disputa fu risolta rapidamente con un accordo di pace tra le parti. Di rilievo è l’elenco dei castelli dell’abbazia fornito dalle carte reatine. L’elenco era stato redatto da due notai, Antonius Petructii Iacobi di Petrella e Oddonus Berardi di Concerviano de Abbatia, così come si definiva comunemente il territorio della signoria, e comprendeva i seguenti insediamenti denominati genericamente castra a prescindere dalle forme dell’insediamento: Mirandella, Vallecupola, Poggio Vittiano, Guaita, Rocca Vittiana, Longone, Pratoianni, Baccarecce, Antignano, San Silvestro, Rocca Ranieri, Porcigliano, Cenciara, Offeio, Capradosso, San Martino, Verano. Mancava Magnalardo, probabilmente ancora in possesso dei Savelli (ndr. rispetto all'elenco nella lettera di Clemente V del 1310).»
  88. ^ Oltre che con il Comune di Rieti nel territorio delle Plage, scontri avvennero anche con il castello di Grotti nei territori del Regno (Maglioni, pag.26).
  89. ^ Schuster, pag.434-435.
    «Il Comune di Rieti venne costretto a restituire il mal tolto, ma i torbidi che durante questo periodo sconvolsero lo stato pontificio non poterono a meno di non ripercuotersi sulle sorti del cenobio che andò sempre scemando in dignità e potenza. Dopo l'esilio d'Avignone, alio scoppiare dello scisma d'Occidente, San Salvatore e Farfa associarono la propria fortuna a quella d'Urbano VI, e alla costui morte, quando nel 1389 gli successe Pietro Tomacelli (ndr. Bonifacio IX), i beni d'ambedue le badie fecero naturalmente le spese del nepotismo pontificio e della politica papale, che mirava a restaurare il proprio dominio nell'antico Patrimonio di S. Pietro. Francesco Carbone, già monaco cisterciense, indi vescovo di Monopoli e cardinale, doveva tener soggetta la Sabina e le Marche allo zio pontefice; onde dopo essergli state commesse delle importanti legazioni contro la regina Giovanna di Napoli, fu creato vescovo sabinese, vicario pontificio della Campania, Tuscia, Umbria e Sabina, commendatario di Farfa e di San Salvator Maggiore, penitenziere maggiore e arciprete della basilica Lateranense. A Todi, a Narni e a Foligno il Carbone ottenne dei successi assai importanti in favore dell'autorità pontificia, e sotto di lui anche le due abbazie sabine goderono d'una relativa tranquillità, senza essere più bersaglio di tutti i soprusi dei nobili della campagna reatina. A Farfa il Carbone cominciò l'opera di restauro della fabbrica della chiesa e del monastero, e in grazia sua i pellegrinaggi tornarono nuovamente ad affluire lungo le garrule rive del «Farfarus» oraziano.»
  90. ^ Schuster, pag.437.
    «L'autorità della badia si era molto ristretta anche in Sabina, ove i monaci vivevano ristretti tra le mura del cenobio senza più esercitare alcun influenza sociale sul popolo. infatti sin dal 1399 Bonifacio IX aveva trasferita la dignità abbaziale nel proprio nipote Francesco Tomacelli, monaco cisterciense, che creò primo commendatario del monastero di San Salvatore.»
  91. ^ Schuster, pag.435.
    «Ma così a Farfa che a San Salvatore il rimedio veniva troppo tardi; per colpa d' un complesso di circostanze, la stessa vita cenobitica vi s' era come secolarizzata, per non avere altro scopo che di custodire il censo e la posizione sociale acquistata nei primi secoli del medio evo. Onde nonostante tutte le commende e le troppo interessate protezioni della Curia, sembrava che pei due cenobi si fosse inaugurato come una specie di ridente autunno che prelude tristamente al gelido novembre, quando all'infuriar dei venti gli alberi si dispogliano delle foghe ingiallite. Prima della rovina definitiva di San Salvatore precedé quella delle sue dipendenze.»
  92. ^ Leggio (2022).
    «Battista Orsini in precedenza, nel 1427, ebbe l’abbazia secolare e la chiesa collegiata di San Martino de' Turano, il cui giuspatronato spettava a Giacomo, conte di Tagliacozzo, e nel 1435 era stato locumtenens venerabilis monasterii et abbatie Farfensis per conto dell’abate (ndr. di Farfa) Giovanni Orsini (1437-1476)»
  93. ^ Leggio (2022).
    «qui apud sedem eandem diem clausit extremum»
  94. ^ Leggio (2022), Maglioni.
  95. ^ Leggio (2022).
    «Tutto questo si evince dalla bolla di nomina emanata da Niccolò V
  96. ^ Durante il conclave del 1471 non riuscendo a far convergere la maggioranza dei voti sulla sua candidatura, Latino Orsini indirizzò i propri consensi su Francesco della Rovere che, uscito eletto, prese il nome di Sisto IV (1471-1484), da cui in riconoscimento del suo appoggio ebbe la prestigiosa nomina di camerlengo (1471) e nel 1472 fu nominato arcivescovo di Taranto; rimanendo fedele consigliere e arbitro di gran parte degli affari curiali del pontefice, fino alla morte (1477) avvenuta dopo quasi trenta anni di cardinalato nella sua residenza di Monte Giordano, dove lo stesso Sisto IV si era recato con parte del Sacro Collegio a visitarlo tenendovi Concistoro. Fu sepolto nella chiesa del convento di San Salvatore in Lauro a Roma che lui aveva fatto edificare. Grazie al matrimonio della nipote Clarice, figlia della sorella Maddalena, andata in sposa a Lorenzo de' Medici (1468-1469), i Medici ottennero con l'inizio del pontificato di Sisto IV, l'amministrazione delle decime papali e le due famiglie Orsini e Medici, strinsero un'alleanza famigliare destinata a durare nei secoli successivi.
  97. ^ Latino Orsini ricevette nel 1477 anche la commenda di Farfa a cui rinunciò nello stesso anno in favore del nipote Cosma Orsini che la ritenne fino al 1481.
  98. ^ Jacopo Piccinio su CondottieridiVentura.it, su condottieridiventura.it. URL consultato l'11 febbraio 2023.
  99. ^ Maglioni, pag.26.
  100. ^ La lettera è conservata nel Fondo Sforza all'Archivio di Stato di Milano (Leggio (2022), pag.120).
  101. ^ Sebastiano Marchesi, Compendio Storico di Cittaducale (dall'origine al 1592), Rieti, Tipografia Trinchi, 1875.
  102. ^ Maglioni, pag.26.
    «Così, ad esempio, le località abitate di Villa di Venis, Villa Rabelli e Villa di Colle Imperatore, nel territorio di Roccaranieri, abitate fino al 1429 vennero, probabilmente, disabitate in seguito a questi eventi della seconda metà del XV secolo così come Villa Cignani (Villa Li Cignani da Villa Liciniani dal toponimo Licinianum citata nel documento degli archivi reatini del 1285) a cui sopravvisse la chiesa rurale di Santa Maria dei Cignali presso Porcigliano, oggi Fassinoro»
    .
  103. ^ Schuster, pag.437.
    «Alessandro VI unì in perpetuo la commenda di San Salvatore a quella di Farfa, di cui era investito il cardinal Gian Battista Orsini che fini i suoi giorni in Castel Sant' Angelo; indi Sisto V sottrasse ai commendatari la giurisdizione civile sulle terre del monastero che attribuì invece alla Camera Apostolica»
    .
  104. ^ a b Maglioni.
  105. ^ Sperandio, pag.146.
  106. ^ Murphy, pag.214-215.
  107. ^ Sperandio, pag.146
  108. ^ Francesca Sammarco, La croce astile torna nella “sua” Vallecupola, su https://www.ilpuntoquotidiano.it/, 22 agosto 2021.
    «[...] Maglioni lancia un dubbio su chi abbia effettivamente pagato i lavori della croce: “Ranuccio Farnese la commissionò, ma non venne mai qui e ho ragione di credere che i soldi provenissero dai tanti lasciti testamentari di persone importanti. Uno dei testamenti che ho consultato parla di 5 fiorini per un calice d’argento da donare alla chiesa di Santa Croce: per avere un’idea del valore corrispondente, pensate che con due fiorini all’epoca si compravano due buoi che avevano un grande valore nell’economia agro-silvo-pastorale”.»
  109. ^ Alberto Crielesi, Il cardinale Ranuccio Farnese e la croce di Vallecupola, su https://www.controluce.it, gennaio 2003.
  110. ^ L'altro fratello dei due cardinali Farnese, nipoti di Papa Paolo III, il secondogenito di Pier Luigi Farnese e Gerolama Orsini, era Ottavio Farnese che a 15 anni, nel 1538, venne sposato da Papa Paolo III Farnese, nella cappella Sistina, con Margherita d'Austria, figlia naturale, sedicenne, dell'imperatore Carlo V, più tardi conosciuta come la Madama d'Austria, governatrice prima dei possedimenti farnesiani d'Abruzzo, quindi governatrice dei Paesi Bassi ed infine duchessa di Parma e Piacenza.
  111. ^ Schuster, pag.440-441.
  112. ^ Schuster, pag.438-439.
    «La disciplina monastica v'era già decaduta da lunghi anni, e i monaci, specialmente dopo che la commenda venne a togliere loro di mano ogni ingerenza e responsabilità nel governo dello torre abbaziali, vennero a rattrappirsi d'ozio e di noia entro quel vecchio edificio screpolato e cadente, senza alcun ideale elevato, senza alcuna prospettiva dinanzi a loro. Verso il 1609 lo zelante cardinale Alessandro da Montalto, caldo ammiratore della riforma di Farfa per opera della Congregazione Cassinese, tentò d'indurre i monaci ad accettare anch'essi un piano di riforma monacale, ispirato bensì alla disciplina dei Cassinesi, ma senza alcuna incorporazione della badia a quella Congregazione. Ottenutane pertanto licenza da Paolo V, con facoltà di rimandar con Dio i recalcitranti, il commendatario si pose all'opera che sulle prime non mancò di dare ottime speranze. Alcuni se ne ritornarono alle loro case con una discreta pensione, ma la maggior parte vi si adattò alla meglio, cosi che il Montalto ottenne da Paolo V un breve del 18 novembre 1614, col quale il pontefice incorporava alla Congregazione Cassinese oltre la badia di San Salvator Maggiore, i priorati da essa dipendenti nelle Marche e a Roma. L'uditore generale della Camera Apostolica coi vescovi di Fermo e di Montalto vennero incaricati di eseguire la volontà pontificia, la quale tanto più stava a cuore al commendatario, perché tutte le rendite e la collazione dei benefizi ecclesiastici della badia venivano sottratte a qualsiasi ingerenza dei monaci e riservate a lui solo. Non sappiamo con quali criteri venisse eseguita la divisione patrimoniale delle due mense, del cardinale e dei monaci, ma rileviamo da una bolla di Urbano VIII che la riforma in realtà non comprese che San Salvatore ed uno dei priorati dipendenti. Avvenne intanto che al Montalto nel 1623 successe Francesco Orsini, il quale, tolto il pretesto che l'annessione della badia alla Congregazione ledeva i suoi interessi, e che la bolla del novembre 1615 era invalida, giacché non era stato interpellato in proposito, mentre II Montalto gli aveva ceduto la successione alla commenda fin dal 1613, fece revocare l'atto pontificio da Gregorio XV, suscitando cosi una lite con la Congregazione Cassinese che durò per oltre una trentina d'anni.»
  113. ^ Francesco Barberini Seniore, nipote di Urbano VIII, ebbe Gabriel Naudé come bibliotecario al suo servizio.
  114. ^ a b Cavallo.
  115. ^ BMFA Barberini Tapestries.
  116. ^ The Barberini Tapestries.
  117. ^ The Barberini Tapestries - Woven Monuments of Baroque Rome.
  118. ^ Schuster, pag.442.
    «Dopo cinque anni di governo, nel 1627 il commendatario Francesco Orsini entrò nella Compagnia di Gesù, e gli succedé il cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII che resse la badia dal 1627 al 1660, quando abdicò in favore del proprio fratello Carlo. Fu appunto sotto Francesco Barberini che suonò l'ultima ora pel troppo decaduto San Salvatore; giacché essendosene partiti i Cassinesi, i priori triennali che ne moderarono le sorti non valsero a riformare i monaci, che usavano financo vesti poco diverse da quelle dei secolari. Il popolo li chiamava «berrettanti» dal largo berretto clericale che li distingueva, ma Urbano VIII ne aveva un concetto cosi triste, che li giudicava inadatti a qualsiasi riforma. È vero che la bolla di Paolo V nel 1615 conteneva come una smentita anticipata all'opinione avversa dei Barberini, ma v'erano in giuoco troppi interessi, troppi calcoli pecuniari, perché si potesse realmente volere il restauro morale di San Salvatore. Il commendatario ne voleva ad ogni costo le pingui rendite, e innanzi alle cupide brame del cardinal nepote convenne cedere, cosi che Urbano VIII con un tratto di penna soppresse l'abbazia (che i 34 monaci che ancora facevano parte della comunità venissero secolarizzati, previo l'assegno dell'annua pensione di 10 scudi. I priorati dipendenti nelle diocesi di Fermo e di Montalto dovevano essere convertiti in altrettante collegiate canonicali, riservando alla diretta giurisdizione del commendatario le monache di Santa Vittoria, che altra volta dipendevano dal priore di quel cenobio; ma perché il servizio parrocchiale non ricevesse danno dalia mancanza dei Salvatoriani, in ciascun monastero è stabilito un vicario abbaziale coll'assegno annuo di 60 scudi, oltre un fondo speciale pel mantenimento degli edifici sacri. Alla lite già lunghi anni pendente colla Congregazione Cassinese viene imposto silenzio cosi che arbitrati, sentenze di Tribunali, decisioni rotali o pontificie, nulla insomma possa essere invocato contro l'onnipotente cardinal nepote, il quale dové ereditare senza disturbo d'alcun competitore tutta la potenza, i diritti e le ragioni dell'abbazia.»
  119. ^ Schuster, pag.438.
    «Quando nel 1627 Urbano VIII conferì la doppia commenda a suo nipote Francesco Barberini, con due brevi del 7 ottobre 1627 e 21 luglio 1628 lo creò in pari tempo governatore pontificio di Poggio Mirteto e delle altre torri e castelli, già separati dai monasteri di Farfa e di San Salvatore e fino a quel tempo soggetti alla Congregazione del Buon Governo e della Consulta. La potenza dei nobili congiunti del papa trovò cosi nella Sabina un solido appoggio e una fonte punto dispregevole di danaro; ma queste mire ambiziose non fecero che affrettare l'ultima ora della povera badia, onde San Salvatore, che aveva retto all'impeto dei barbari, ora non poté reggere all'urto dei Barberini che avidamente agognavano alle sue spoglie.»
  120. ^ Schuster, pag.444-445.
    «Del resto delle rendite, giusta la bolla del 1629, avrebbero dovuto fondarsi alcuni seminari per l'educazione del giovane clero abbazia, ma il disegno presto svanì; il breve de 1632 ne fece deporre del tutto il pensiero con tutto ciò l'idea del seminario abbaziale che era stato il genio nefasto che aveva ispirato la rovina di San Salvatore al cardinal Barberini, seguitò ancora per lunghi anni a turbare i quieti sonni dei commendatari. In sul principio il Barberini ne apri uno a Toffia, poco lungi da Farfa, nelle case del suo vicario generale Marco Ruffetti, e lo dotò in parte coll'eredità lasciatagli a tale scopo dal vicario, in parte coi proventi rilevati sui benefici ecclesiastici della Commenda, aggiungendovi da ultimo la famosa «quadam residua portione reddituunt mensae convertualis» (rimanendo intatta, s'intende, quella assai più pingue del commendatario) «Monasterii Sancti Salvatoris Maioris» (ma il resto dov'era andato?) e a San Salvatore si contentò di stipendiarvi un vicario foraneo e un sacerdote che v'insegnasse grammatica ai futuri candidati del seminario. Un breve d'Urbano VIII del 6 luglio 1637 approvò questo stato di cose, che poi nel sinodo farfense del 1685 venne nuovamente confermato dal cardinal Carlo Barberini e da tutta l'assemblea;»
  121. ^

    «L'Eminenza Reverendissima, il Principe Cardinale, D. Francisco Barberini, nipote del Papa Urbano VIII, essendo Abate di Farfa e di San Salvatore Maggiore, situata sulle montagne, ai confini del Regno dell'Aquila, sopprimeva da quella illustre Abbazia e chiesa una Congregazione di Monaci Benedettini, chiamata dei "Berrettanti", perché era stata estinta dallo stesso Sommo Pontefice. E volle, a tutti i costi, che il nostro Fondatore inviasse sei dei nostri Religiosi a risiedervi. Poiché non era opportuno opporsi a detto Principe Cardinale, il Padre Santiago [Graziani] di San Paolo, Provinciale Romano, andò là, con compagni, al quale Sua Eminenza ordinò di consegnare il Monastero e la chiesa, con il mobilio sacro. E per il sostentamento fornì un'assegnazione abbondante per i sei dei nostri e per un servitore, che continuò a fare per molti anni, sempre con grande puntualità. Quando il suddetto Padre Santiago fu inviato a Napoli come Provinciale, dopo la sua partenza cominciarono a sperimentare difficoltà nel vivere, a causa dei funzionari di Sua Eminenza. Questo aumentava tanto che i nostri erano privi del necessario. Una volta bevvero da una sola tazza di vino filtrato*, perché non c'era altro. Stettero molti giorni con grande miseria. Così, di fronte alla durezza del paese e per non poter svolgere la nostra missione , poiché [il monastero] si trovava nel deserto, su richiesta del nostro Fondatore, Sua Eminenza ci concesse il permesso [di lasciarlo].»

  122. ^ Collegio di San Salvatore Maggiore su wiki.scolopi.net.
  123. ^ Sperandio, pag. 144
  124. ^ Autore della perizia che smascherò i falsari Serafini nella causa Serafini-Olgiati del 1762.
  125. ^ Lante Montefeltro della Rovere, su nobili-napoletani.it.
  126. ^ I feudi di Rocca Sinibalda e Antuni erano stati acquistati da Don Ippolito nel 1678, dalla Famiglia dei Mattei, e rivenduti da Don Filippo per acquistare il feudo di Cantalupo con il titolo di Principe e quello di Santa Croce di Magliano con il titolo di Duca.
  127. ^ Schuster, pag.445.
    «Nel 1746 il cardinale (1738-1769) trasferì il seminario presso la sede abbaziale di San Salvatore dove rimase sin verso il 1841, non mancando d'educare alla Chiesa degli ecclesiastici di gran merito e di scienza non comune.»
  128. ^ In quel sinodo nella Pars III al Caput VI (De seminario, ac de Ludi Magistris) vengono fissati il numero degli alunni (26 di cui 12 scelti dal territorio dell'abbazia di Farfa e 14, dai territori dell'abbazia di San Salvatore Maggiore) i requisiti per la loro ammissione, l'importo della fideiussione per la loro ammissione, le regole da seguire durante gli studi etc. etc.(Synodus 1789, pag.127).
  129. ^ Maglioni, pag. 43.
  130. ^ Ottava nota delle offerte, ossia doni gratuiti fatti in seguito della Notificazione pubblicata in data degli 8 Ottobre corrente per il Nuovo Armamento, Roma, Stamperia della Reverenda Camera Apostolica, 1796, pp. 6-7.
    «Il Signor Vincenzo Ferrari di Roccaranieri, ha dato una posata d'argento, dal peso di once 4 e mezzo e un cerchio d'oro [...] Domenica Catasta di Roccaranieri, ha dato un anello d'argento.»
  131. ^ Filippo Brunone Fidanza, Costituzione della Repubblica romana colle leggi ad essa relative e con indice alfabetico ragionato del cittadino dottor Filippo Brunone Fidanza, 1798, p. 77.
  132. ^ Consulta straordinaria negli Stati romani (a cura di), Bollettino delle leggi e decreti imperiali pubblicati dalla Consulta straordinaria negli Stati romani. Con l'indice cronologico e delle materie, Volume 2, Luigi Perego Salvioni Stampatore, 1809, p. 509.
  133. ^ Attilio La Padula, Roma e la regione nell'epoca napoleonica Contributo alla storia urbanistica della città e del territorio, Roma, Istituto editoriale pubblicazioni internazionali, 1970, p. 217.
  134. ^ J. Martinet, Annuario Politico, Statistico, Topografico e Commerciale del Dipartimento di Roma per l'anno 1813 compilato per ordine del Baron de Tournon Prefetto del Dipartimento, Viterbo, Stamperia dell'Accademia degli Ardenti, 1812.
  135. ^ Sotto il governo del cardinale Ercolani, nel 1821, è ricordato a San Salvatore, come insegnante di Latino, Francesco Massi.
  136. ^ Adone Palmieri, Descrizione topografica di Roma e Comarca. Loro monumenti, commercio, industria, agricoltura, istituti di pubblica beneficenza, santuarii, acque potabili e minerali, popolazione, uomini illustri nelle scienze, lettere ed arti, con molte altre nozioni utili ad ogni ceto di persone. Parte prima: Roma., Volume I, Roma, 1864, pp. 115-116.
  137. ^ Le parrocchie di Roccaranieri, di San Silvestro e di Cenciara, Porcigliano, Magnalardo, Concerviano, Offeio, San Martino, già nel territorio di San Salvatore Maggiore, furono annesse nel 1841 alla Diocesi di Poggio Mirteto per poi tornare con Costituzione Apostolica «In altis Sabinae montibus» del 3 giugno 1925, alla Diocesi di Rieti. La parrocchia di Capradosso, ancora dipendente da San Salvatore Maggiore, era già stata unita alla diocesi di Rieti nel 1836 da Gregorio XVI (cfr. Desanctis in Tassi-Maceroni pag.145).
  138. ^ Schuster, pag.446.
    «Dopo un breve soggiorno dei Passionisti sul deserto colle Letenano (1839-1854), quando il commendatario Lambruschini (1834-1841) ottenne da Gregorio XVI lo smembramento delle due diocesi abbaziali di Farfa e di San Salvator Maggiore (1841), con le terre di quest'ultima badia venne costituita in parte la nuova diocesi vescovile di Poggio Mirteto (1841), i di cui prelati hanno il titolo di abbati di San Salvatore, ne percepiscono gli ultimi rimasugli delle antiche rendite in favore del seminario diocesano. La destinazione dell'edificio monasteriale a residenza estiva dei giovani chierici delle diocesi di Rieti e di Poggio Mirteto (1880) fece si che la badia non venisse compresa entro gli ultimi decreti d'indemaniamento dell'asse ecclesiastico; ma, rispettata dalle leggi, non lo fu egualmente dagli uomini e dal tempo, si che oggi gli abbandonati chiostri, la basilica, le aule e gli ambulacri screpolati e deserti minacciano irreparabile rovina.»
  139. ^ Schuster, pag.447.
    «Si erigono in Italia tanti tempi e monasteri nuovi; perché non viene a nessuno il pensiero di risuscitare l'antica tradizione storica del monte Letenano, restituendo alla Sabina il monastero di San Salvator Maggiore, nuovo focolare d'ideali religiosi fra il popolo e centro di progresso e di civiltà?»
  140. ^ Maceroni-Tassi, pag.48.
  141. ^ Fiorani, pag.16.
  142. ^ Otto Lehmann-Brockhaus, 1965, foto dello storico dell'arte Otto Lehamann-Brockhaus .
  143. ^ Nel dettaglio: 2.800.000 per l'abbazia, 600.000 per i terreni (Maceroni-Tassi, pag.316-319).
  144. ^ Maceroni-Tassi, pag.316-319.
  145. ^ Piano 1981 per la salvaguardia del patrimonio storico-artistico ovvero Fondi 1981 nel settore di incentivazione turistica (Maceroni-Tassi, pag.321-322).
  146. ^ Maceroni-Tassi, pag.326-329.
  147. ^ Tesi sperimentale sotto la guida del Prof. Giovanni Carbonara e del Prof. Antonino Gallo Curcio.
  148. ^ Da segnalare la progettazione degli interventi di consolidamento da parte dell'Ing. Giuseppe Tosti di Perugia.
  149. ^ Fiorani, Dalla prefazione del Prof.Giovanni Carbonara, pag.7-9.
  150. ^ Fiorani, Quadro riepilogativo dei lavori realizzati nell'abbazia, pag.45-61.
  151. ^ Antonius Hercules, Oppida, Castra et Villae sub iurisdictione Abbatiae S.Salvator Maioris, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 1069.
  152. ^ Dipendevano ancora dall'abbazia nel XVII secolo, al tempo del commendatario Carlo Barberini, il Convento di San Francesco a Longone, Fiumata, Ospanesco, Casalivieri e Nespolo (Tassi-Maceroni, pag.145 cfr. Desanctis, Cap. XVIII cfr. Synodus 1685). I quattro paesi furono uniti alla diocesi reatina da Benedetto XIV con bolla del 15 maggio 1747. Sono nell'elenco delle chiese dipendenti da san Salvatore maggiore del 1398 anche S.Maria de Staffili (ndr.Staffoli) e S.Pauli de Rocca Berardi (ndr. Rocca Beradi). La parrocchia di Capradosso fu unita alla diocesi di Rieti solo nel 1836. (Tassi-Maceroni, pag.145 cfr. Desanctis, Cap. XVIII).
  153. ^ il Borgo di Rieti (papa Leone XII nel 1827 lo riunì alla diocesi reatina), la chiesa di Santa Cecilia, la chiesa di Santa Maria in Vallibus dentro Rieti ove è oggi il monastero di Santa Lucia (Tassi-Maceroni, pag.144-145).
  154. ^ È nell'elenco delle chiese dipendenti da san Salvatore maggiore del 1398 anche S.Pastoris de Valle Reatina (Tassi-Maceroni, pag.145 cfr. Desanctis, Cap. XVIII).
  155. ^ Maceroni-Tassi, pag.143-145 da Desanctis, Capitolo XVIII. In particolare nelle Marche, nelle diocesi di diocesi di Fermo e di Montalto San Salvatore Maggiore possedeva vari monasteri (Santa Vittoria, San Paolo di Force, San Lorenzo di Rotella, Sant'Angelo di Montelparo e Santa Maria Cellana del Monte) e nove priorati. Lo Schuster (Schuster, pag.435) ricorda ancora il priorato di San Catervo di Tolentino come dipendente dall'abbazia di San Salvatore Maggiore prima del 1507.
  156. ^ Christian Hülsen, Le Chiese di Roma nel Medio Evo, Firenze, Leo S. Olschki, 1927.
  157. ^ Schuster, pag.435.
    «Anche a Roma le ragioni dei monaci sulle loro chiese di San Martino e di San Salvatore «dompni Campi » nell'Arenula, non riscuotevano maggior rispetto. II Bovio ricorda che quest'ultima, prima che sotto Urbano venisse demolita, era a tre navi e sembrava antichissima. Negli atti delia visita apostolica del 1566 il rettore, un tal «Messer Luciano d'Anderocho (Antrodoco) appresso l'Aquila» dichiarò che apparteneva ai monaci di Farfa, mentre già da molti anni aveva cambiato padrone. L'altra di San Martino, probabilmente assai più antica dei monaco Gualteno di San Salvator Maggiore che l'avrebbe eretta nel 1220, passò dapprima in dominio della Confraternita della Dottrina Cristiana (1604), indi nel 1742 fu ceduta ai Fratelli di San Giacomo degli Spagnuoli, che nel demolirla, vi scoprirono una gran quantità d'ossa umane (130 teschi), manette, chiodi e coltella sotterrate presso l'altare maggiore. È ben difficile che si tratti di corpi di martiri romani estratti da¡ cimiteri, e mi bacina il sospetto che possano essere le vittime del massacro compiuto dai Saraceni del IX secolo sul monte Letenano»
  158. ^ Per l'ubicazione delle due chiese nel rione Arenula vedi Piazza di San Salvatore in Campo, su romasegreta.it.
  159. ^ L'abate Adenolfo (o Adinolfo), documentato a Farfa nel 1125, già abate di San Salvatore (Maggiore) come riportato dallo Schuster nel suo scritto del 1914 (Schuster) era in realtà abate del monastero di San Salvatore Minore di Scandriglia, come si evince dallo scritto dello stesso Schuster sull'Abbazia di San Salvatore (Minore) e la Massa Torana del 1918 (Schuster (1918)). Molti di quanti hanno scritto negli ultimi anni su San Salvatore Maggiore, non avendo letto attentamente il secondo scritto dello Schuster, sono incorsi nell'errore di continuare ad attribuire l'abate Adenolfo alla guida dell'abbazia di San Salvatore Maggiore. Tra questi anche l'attento Chisari ed il Grappa.
  160. ^ Les registres de Benoît XI, doc. 92.
  161. ^ Moroni, Sperandio, Tofani, Leggio (2022).
  162. ^ A Farfa nello stesso periodo era abate Giordano Orsini (1435-1503): creato cardinale da Innocenzo VII. Giovanni Battista Orsini (1435-1428): fratello di Giordano, arcivescovo di Trani. Cosma Orsini Farfa (1477-1482).
  163. ^ A Gabriel Naudè sotto il cardinale Gianfrancesco Guidi di Bagno si deve l'ordinamento, in cinque mesi di lavoro, dell'archivio del Capitolo di Rieti e la sua indicizzazione, ancora in uso ai giorni nostri.
  164. ^ Ci si riferisce alla perizia nella causa del 1762.
  165. ^ Schuster, pag.446.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Pagina del Titolo del Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ordo S. Benedicti del 1685 - Copia della Biblioteca Pubblica Bavarese

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