Rotte dei migranti nel Sahara

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Il deserto del Sahara unisce l'Africa sub-sahariana ai Paesi del Maghreb. Viene attraversato da migranti economici, in maggior parte dell'Africa occidentale, e rifugiati politici, provenienti soprattutto dal Corno d'Africa. Le traversate si effettuano a bordo di camion o fuoristrada, affidati alla guida di organizzazioni criminali che gestiscono il passaggio clandestino verso nord di uomini e merci. Durante i viaggi i passeggeri subiscono le razzie della polizia, dei ribelli e degli stessi autisti[1]. Negli ultimi dieci anni, almeno 1.594 persone hanno perso la vita attraversando il Sahara, secondo le stime di Fortress Europe. Ma il dato potrebbe essere molto più alto, dato che quasi ogni viaggio conta i suoi morti, stando alle testimonianze dei sopravvissuti. Non tutti coloro che attraversano il deserto hanno come obiettivo l'Europa. Al contrario, molti rimangono nei Paesi del Maghreb, spesso come lavoratori stagionali. Nel Sahara finiscono anche i viaggi di riaccompagnamento alla frontiera organizzati dai governi nordafricani, abituati da anni, sotto pressioni europee, ad abbandonare in mezzo al Sahara migliaia di migranti e rifugiati rintracciati sul loro territorio in modo irregolare[2]. Molte persone hanno perso la vita in seguito a queste pratiche[3]:

«Da settembre, inizio delle espulsioni, è già una strage: 106 morti. Ma è solo il conto ufficiale ammesso dalle autorità. In ottobre l'incidente più grave, secondo le informazioni raccolte da un rappresentante della Mezza Luna Rossa nell'oasi di Dirkou: 50 immigrati muoiono schiacciati da un camion troppo pesante che si rovescia mentre arranca verso il passo di Tumu, al confine tra Libia e Niger. In gennaio un ragazzo del Ghana, mai identificato, viene sbranato da un branco di cani selvatici davanti ai suoi compagni di viaggio a Madama, la frontiera tra i due Paesi. L'ultima tragedia conosciuta, due settimane fa: tre ragazze nigeriane morte di sete a un giorno da Tumu e altre 15 raccolte in fin di vita con quattro uomini, abbandonati nel deserto da chi aveva organizzato il loro rientro. Nessuno però sa quanti siano davvero i corpi sepolti dalla sabbia, lontano dalle rotte indicate dalle carte geografiche: passeggeri uccisi dalla fatica, dagli incidenti o rapinati e lasciati tra le dune dai trafficanti che avrebbero dovuto riportarli a casa»

Mappa delle rotte dei migranti al Nord Africa ed all'Europa, dall'Africa dell'Ovest.

Agadez - Dirkou - Sebha[modifica | modifica wikitesto]

Dune nel Sahara

La prima rotta migratoria attraversa il Niger, congiungendo l'Africa centrale e occidentale alla Libia, da dove il viaggio talvolta prosegue verso l'Italia. Il percorso segue l'antico tragitto carovaniero via Agadez e Dirkou alla volta di Madama per poi entrare in Libia nei pressi del posto frontaliero di Toummo e risalire alla volta dell'oasi di Sebha (in Libia). Sulla rotta i migranti sono spesso vittime delle razzie di polizia e ribelli:

«Ho visto persone costrette dai militari a bere acqua fetida per indurre problemi intestinali e fargli espellere le palline con le banconote arrotolate nel cellophane che avevano ingoiato per non farsi derubare»

Per chi rimane senza soldi il viaggio si tramuta in tragedia. Secondo diverse testimonianze le oasi del deserto nigerino e libico sarebbero disseminate di schiavi. Giovani partiti dall'Africa occidentale alla volta dell'Europa e rimasti bloccati senza soldi per proseguire né per ritornare.

«Dirkou è una gabbia e il Sahara e il Ténéré sono le sue sbarre. Di disperati come loro, prigionieri dell'oasi, ne hanno contati diecimila. Per non morire di fame lavorano gratis. Nelle case dei commercianti o nei palmeti. Lavano pentole, curano orti e giardini, raccolgono datteri, impastano mattoni. In cambio di una scodella di miglio, un piatto di pasta, il caffè, qualche sigaretta. Volevano arrivare in Italia, sono diventati schiavi. Solo dopo mesi di fatica il padrone li lascia andare, pagando finalmente il biglietto per la Libia: 25 mila franchi, 38 euro e 50. Impossibile chiedere aiuto. Anche solo far sapere a mogli e genitori che non si è ancora morti. Non c'è banca, non c'è Internet. Il telefono a Dirkou non esiste»

Gao - Tinzaouatine - Tamanrasset[modifica | modifica wikitesto]

Sin dagli anni novanta, una seconda rotta migratoria attraversa il Mali, raccogliendo i flussi migratori in provenienza dalle regioni dell'Africa occidentale verso l'Algeria, paese di transito per raggiungere il Marocco e da lì imbarcarsi alla volta della costa meridionale della Spagna o delle isole Canarie, oppure tentando di entrare nel territorio delle due enclave spagnole di Ceuta e Melilla, in Marocco. La rotta segue i percorsi delle reti carovaniere transahariane praticate per secoli dalle popolazioni nomadi (tuareg) di Mali, Niger e Algeria. I nuovi snodi carovanieri rimodellano il paesaggio urbano e ripopolano di migranti e di gruppi dediti al trasporto e alla gestione del loro trasporto - ma anche al contrabbando di merci, droga e armi - le città di Gao, Kidal (in Mali) e Tamanrasset (in Algeria).

Da anni il governo algerino pratica respingimenti alla frontiera dei migranti sub-sahariani sprovvisti di documenti di soggiorno. Così migliaia di persone ogni anno sono abbandonate in pieno deserto vicino ai posti frontalieri di Bordj-Mokhtar, al confine con il Mali, e In Guezzam, al confine con il Niger[4]. Succede così che migliaia di deportati transitino e sostino, a volte per mesi o anni, nelle oasi frontaliere come quella di Tinzaouatine, in Mali[5].

I deportati si autodefiniscono in gergo aventuriers, avventurieri. Vivono in vecchie case abbandonate o nelle grotte dei massicci di pietra del deserto. Le abitazioni vengono denominate ghetto, e sono divise per nazionalità. C'è il ghetto degli ivoriani, quello dei nigeriani, quello dei camerunesi. Ogni comunità è organizzata con un presidente, un vice presidente, un segretario e un responsabile della sicurezza. In nessuna delle abitazioni c'è elettricità né acqua corrente. La prima città dista 400 chilometri, Kidal, in Mali. Nell'oasi non c'è telefono né Western Union. Chi vi è bloccato, sopravvive lavorando in condizioni di schiavitù per i tuareg che abitano nell'oasi. Oppure tenta di raggiungere Kidal avventurandosi in disperate marce a piedi.

«Tinzaouatine è un inferno che raccoglie tutte le sofferenze della terra. I clandestini vivono nascosti tra le rocce, nella sabbia, sotto baracche di plastica o dentro le grotte, raggruppati per nazionalità. C'è un unico vecchio pozzo per tutti. Sarà profondo 15 metri. L'acqua non si vede, ma quando la tiri su è verde. Si mangia polvere e chat, nome in codice delle capre rubate ai tamashek. Chi ha un po' di soldi compra la merce in arrivo da Kidal e la va a rivendere al villaggio. Alcuni lavorano come servi nelle case. Fanno le pulizie o il bucato per 20-30 dinar, meno di 40 centesimi di euro. Ogni giorno il vento alza una tempesta di sabbia e poi fa estremamente caldo. Alcuni sono completamente impazziti»

Khartoum - Cufra[modifica | modifica wikitesto]

I flussi migratori originari del Corno d'Africa transitano per la rotta che dal Sudan attraversa il deserto libico, superando l'oasi di Cufra alla volta di Agedabia, sulla costa mediterranea. La rotta è praticata in particolare da profughi sudanesi, somali, etiopi ed eritrei. Il biglietto si acquista nei mercati di Khartoum, la capitale del Sudan. Da lì si parte su dei fuoristrada pick up che trasportano una media di trenta persone. Il viaggio - salvo imprevisti - dura un paio di settimane. I superstiti raccontano continui soprusi da parte degli autisti e della polizia.

«L'autista sudanese ci lasciò in un'oasi lontana da Cufra, in pieno deserto, dicendoci che sarebbe arrivato suo cugino per proseguire il viaggio. La sera invece si presentò un uomo armato di spada che pretendeva che pagassimo il soggiorno nella sua oasi. E poi voleva appartarsi con una ragazza del gruppo, che però viaggiava con il marito. Alla fine della trattativa accettò di lasciare la ragazza e si accontentò di 200 dollari a testa. Disse che ci avrebbe portato a Tripoli. Invece ci abbandonò in una casa diroccata, fuori dalla città, e lì poco dopo si presentò la polizia»

Molte le vittime, dovute tanto agli incidenti quanto agli abusi degli organizzatori dei viaggi

«Ho visto morire con i miei occhi 44 dei 50 compagni di viaggio con cui eravamo partiti. Siamo stati due settimane in mezzo al deserto, senza acqua né cibo. I due autisti sudanesi ci avevano abbandonato nel deserto. Dicevano di aspettare, che sarebbero arrivate altre due auto per proseguire il viaggio. Ma sono arrivate soltanto due settimane dopo.»

Khartoum - Assuan[modifica | modifica wikitesto]

Un'altra importante rotta è quella che porta dal Sudan all'Egitto, collegando Khartoum ad Assuan. Battuta fino a pochi anni fa quasi esclusivamente da sudanesi, dal 2006 anche gli emigranti eritrei percorrono questo tragitto, entrando in Egitto come via di transito verso Israele, paese che nel 2006 e 2007 ha ricevuto 10.000 richieste di asilo politico da parte di profughi entrati clandestinamente dalla sua frontiera con l'Egitto, lungo la penisola del Sinai, in maggioranza eritrei e sudanesi[7]. Nel corso del 2008, l'Egitto ha arrestato alla sua frontiera meridionale col Sudan alcune migliaia di profughi, eritrei e sudanesi. Secondo Amnesty International le autorità egiziane hanno rimpatriato almeno 1.200 richiedenti asilo eritrei nel giugno 2008[8]. Le condizioni di detenzione dei migranti nelle carceri egiziane sono pessime:

«Alcuni di noi sono detenuti da oltre sei mesi. Quando siamo stati arrestati al confine, c'erano anche donne e bambini. Sono le nostre mogli, le nostre sorelle, i nostri bambini. Dopo alcuni giorni ci hanno separato, uomini e donne. E da oltre tre mesi non sappiamo dove siano e come stiano. A causa delle condizioni di detenzione siamo esposti a malattie e infezioni. Ciononostante in prigione non ci viene offerta alcuna assistenza medica. Come risultato, una delle nostre compagne rifugiate di nome ... è morta tre settimane fa.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Gabriele Del Grande, Mamadou va a morire. La strage dei clandestini nel Mediterraneo, Roma, Infinito Edizioni, 2007.
  • Fabrizio Gatti, Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2008
  • Stefano Liberti, A sud di Lampedusa. Cinque anni di viaggi sulle rotte dei migranti, Roma, Minimum Fax, 2008
  • Bellu Giovanni Maria, I fantasmi di Portopalo. Natale 1996: la morte di 300 clandestini e il silenzio dell'Italia, Milano, Mondadori, 2006
  • Il mondo in casa, "Limes", n. 4, 2007.
  • A. Bensaâd, Voyage avec les clandestins du Sahel in "Le Monde Diplomatiques", settembre 2001: 16-17.
  • A. Bensaâd, Agadez, carrefour migratoire sahélo-maghrébin in "Revue Européenne des Migrations Internationales", vol. 19, n. 1, 2007: 7-28.
  • S. Bredeloup, La Côte d'Ivoire ou l'étrange destin de l'étranger in "Revue Européenne des Migrations Internationales", vol. 19, n. 2, 2003: 85-113.
  • Caritas e Migrantes, XVI Rapporto sull'immigrazione, Roma, Idos, 2006.
  • J.-P. Cassarino, The EU Return Policy: Premises and Implications, Mirem [Migration de retour au Maghreb] Project, European University Institute, 2006.
  • CISP-SARP, Profils des migrants subsahariens en situation irregulière en Algérie, Alger, mars 2007.
  • CESPI/SID, European Migration Policies towards Africa. Trends, Impact, and Outlook, Part I, Cespi Working Paper n. 24, 2006.
  • Lorenzo Coslovi, Spagna e Italia nel tragico domino degli sbarchi in "Limes", n. 4, 2007:227-236.
  • H. De Haas, Trans-Saharan Migration to North Africa and the EU: Historical Roots and Current Trends, Migration Information Source, novembre 2006.
  • Sandro De Luca, Le vie sahariane per l'Europa sono infinite in "Limes", n. 4, 2007:217-226
  • European Commission, Technical Mission to Libya on Illegal Immigration, Report, 27/11-06/12/2004.
  • Francesco Forgiane, La mano delle mafie sui nuovi schiavi in "Limes", n. 4, 2007: 157-160.
  • E. Godschmidt, Storming the Fences: Morocco and Europe's Anti-Migration Policy in "Middle East Report Online", n. 239, Summer 2006.
  • M. A. Gomez, Reversing Sail. A History of the African Diaspora, Cambridge University Press, Cambridge, 2005.
  • M. Lahlou, Guardiani o partner? Il ruolo degli stati del Maghreb nella gestione delle migrazioni africane verso l'Europa, Cespi Working Paper n. 24, 2006
  • F. Le Houérou, Migrants forcés éthiopiens et érythréens en Egypte et au Soudan, L'Harmattan, Paris, 2004.
  • Ferruccio Pastore, La paranoia dell'invasione e il futuro dell'Italia in "Limes", n. 4, 2007: 25-33.
  • Bruno Riccio, Emigrare, immigrare, transmigrare in "Afriche e orienti", n. 3-4, 2000: 4-40.
  • A. Triulzi e M. Carsetti, Ascoltare voci migranti: riflessioni intorno alle memorie di rifugiati dal Corno d'Africa in "Afriche e Orienti", n. 1, 2007, 96-115.
  • E. Vitale, Ius migrandi. Figure di erranti al di qua della cosmopoli, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.
  • A. S. Wender, Gourougou, Bel Younes, Oujda. La situation allarmante des migrants subsahariens en transita au Maroc et les conséquences des politiques de l'Union Européenne in "Cimade", October 2004.
  • Alessandra Venturini, Le migrazioni e i paesi sudeuropei. Un'analisi economica, collana Economia e istituzioni, UTET, Assago, 2001, pp. 352 pp., ISBN 978-88-7750-508-8.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Agadez - Dirkou - Sebha[modifica | modifica wikitesto]

Gao - Tinzaouatine - Tamanrasset[modifica | modifica wikitesto]

Khartoum - Cufra[modifica | modifica wikitesto]