Romulea (città antica)

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Romulea era una città sannita di incerta localizzazione. Descritta da Tito Livio (X, 17) come una delle più opulente città del Sannio, fu depredata nel 296 a.C. dai Romani nel corso della guerre sannitiche.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Durante la terza guerra sannitica Romulea fu espugnata e saccheggiata nel 296 a.C. dal console Publio Decio Mure o, secondo un'altra fonte annalistica, dal console Quinto Fabio Massimo.

Lo storico Tito Livio nella sua opera Ab urbe condita narra la presa di Romulea:

(LA)

«Nam P.Decius, ubi conperit per exploratores profectum Samnium exercitum, advocato consilio "quid per agros" inquit "vagamur vicatim circumferentes bellum? Quin urbes et moenia adgredimur? Nullus iam exercitus Samnio praesidet; [...]
Ad Romuleam urbem hinc eamus, ubi vos labor haud maior, praeda maior manet". Divendita praeda ultro adhortantes ad Romulea pergunt. Ubi quoque sine opere, sine tormentis, simul admota sunt signa, nulla vi deterriti a muris, qua quique proximus fuit, scalis raptim admotis in moenia evasere. Captum oppidum ac direptum est: ad duo milia et trecenti occisi et sex milia himitum capta
»

(IT)

«Infatti, Publio Decio, appena venne a sapere dagli esploratori che l'esercito dei Sanniti era partito[1], convocata l'adunanza "perché ci aggiriamo per le campagne" disse "portando la guerra villaggio per villaggio? Perché non assaliamo i centri urbani e le postazioni militari? Ormai non vi è nessun esercito a difesa del Sannio. [...]
Avviamoci verso la cinta fortificata di Romulea, dove vi attende una fatica non maggiore e un bottino più grosso"- Venduto il bottino e, sollecitando per di più il comandante, l'esercito si dirige alla volta di Romulea. Anche qui, senza lavori d'assedio e senza macchine da guerra, non appena furono fatti avanzare i reparti, poiché nessuna forza c'era per allontanarli, ognuno nel punto dove si trovava, appoggiate le scale, fecero irruzione contro la postazione militare. La fortezza fu presa e distrutta. Circa 2.300 uomini furono uccisi e 6.000 furono fatti prigionieri
»

Tuttavia Livio si mostra incerto nell'attribuire la vittoria a Publio Decio riportando, nello stesso capitolo, che «alcuni annalisti attribuiscono la maggior parte del credito per queste conquiste a Massimo; essi sostengono che Decio prese Murgantia, mentre Ferentinum e Romulea vennero conquistate da Fabio. Alcuni ancora rivendicano questo onore per i nuovi consoli, mentre alcuni lo restringono a L. Volumnio, a cui, sostengono, il Sannio fu assegnato come sua sfera di azione.»[2] Analogamente a Romulea, neppure Murgantia e Ferentinum sono state mai identificate.

Nei secoli successivi soltanto Stefano di Bisanzio rammenta l'antica Romulea (chiamandola Ῥωμυλία, ossia Romulia) con le seguenti parole:[3]

(GRC)

«Ῥωμυλία, τῶν ἐν Ἰταλίᾳ Σαυνιτῶν πόλις. τὸ ἐθνικὸν Ῥωμυλιάτης.»

(IT)

«Romulia, città dei Sanniti in Italia. Il popolo romuliate.»

Localizzazione[modifica | modifica wikitesto]

Benché siano stati condotti numerosi studi in materia, il problema della localizzazione di Romulea rimane irrisolto. Nel corso dei secoli sono state avanzate molteplici ipotesi, riconducibili però a tre filoni fondamentali.

Romulea nel Sannio carricino[modifica | modifica wikitesto]

Secondo tale congettura, avanzata fin dal XVIII secolo dall'abate archeologo Domenico Romanelli[4] e basata essenzialmente sulle assonanze toponomastiche e sui copiosi reperti archeologici rinvenuti in loco, Romulea potrebbe corrispondere alla località Piano Laroma nel Sannio carricino (tra gli attuali comuni di Casoli e Palombaro in Abruzzo)[5]. In realtà gli studiosi contemporanei ritengono assai più verosimile che in quel sito sorgesse invece la città sannita di Cluviae, sebbene lo storico tedesco Theodor Mommsen avesse anche ipotizzato (sulla base di un'iscrizione rinvenuta in zona) che Romulea poteva eventualmente coincidere con il centro abitato di Palombaro, situato in posizione dominante rispetto a Piano Laroma[5].

Romulea nel Sannio pentro[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1962, presso Larino (l'antica Larinum degli Apuli o dei Frentani), fu rinvenuta un'epigrafe di epoca imperiale che attesta una dedica della colonia Romulensis a Gaio Vibio Postumo, un pretore e console suffetto originario del posto vissuto ai tempi di Augusto:[6]

(LA)

«C(aio) VIBIO C(ai) F(ilio) POSTVMO CO(n)S(uli) VII VIR(o) EPVL(onum) COLONIA ROMULENSIS»

(IT)

«A Gaio Vibio Postumo, figlio di Gaio, console settemviro epulone. La colonia Romulense.»

L'identificazione di tale colonia Romulensis con Romulea, secondo gli autori della Rivista di filologia e di istruzione classica, appare però dubbia[7]. In ogni caso, poiché entro il 304 a.C. tanto gli Apuli quanto i Frentani erano ormai alleati con i Romani, Romulea non poteva trovarsi nel loro territorio, ma semmai nel retrostante Appennino sannita occupato dai Pentri[8]. L'epigrafe, in buono stato di conservazione, è custodita nel palazzo Ducale di Larino.[9]

Romulea nel Sannio irpino[modifica | modifica wikitesto]

Gli itinerari di epoca tardo-antica, quali l'Itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriana, citano una stazione di cambio dei cavalli (mansio), denominata sub Romula, lungo una direttrice che da Aeclanum conduce a un ponte sull'Ofanto, in un settore occupato anticamente dai Sanniti irpini. L'esatta ubicazione di sub Romula è comunque ignota[10], anche se in passato era stato ipotizzato che potesse corrispondere alla Trivici villa di oraziana memoria[11], oppure che sorgesse sull'altipiano del Formicoso nei pressi di Bisaccia[12], o ancora che si trovasse alle falde del monte Rumulo presso Carife[13]; certo è che gli unici grossi centri sannitici esistenti nei paraggi erano proprio Carife e, in misura assai minore, Morra[14], quantunque entrambi i toponimi "Carife" e "Morra" risalgano essi stessi all'epoca pre-romana[15][16]. Ad ogni modo l'archeologo Werner Johannowsky, sia pur con toni marcatamente dubitativi, definiva Carife "un importante insediamento sannitico che si potrebbe identificare forse con Romulea"[17].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ L'esercito sannita, comandato da Gellio Ignazio, con una marcia leggendaria aveva raggiunto l'Etruria per convincere gli Etruschi e altri popoli italici ad attaccare Roma.
  2. ^ T. Livio, X,17
  3. ^ Stefano Bizantino, Volume 1, p. 365.
  4. ^ Amato Amati, Dizionario corografico dell'Italia, vol. 1, Vallardi, 1869, p. 578.
  5. ^ a b Silvio Govi, L'universo, vol. 57, Istituto Geografico Militare, pp. 470-474.
  6. ^ AE 1966, 00074 Museo Civico, Larino, Molise, Italia
  7. ^ Rivista di filologia e di istruzione classica, Volumi 92-93, p. 254.
  8. ^ Anche i Sanniti irpini controllavano alcune aree (nei monti della Daunia) non molto distanti da Larino, ma la colonia Romulensis non poteva trovarsi nel Sannio irpino poiché Plinio il Vecchio (Naturalis historia, libro III, 77-78 d.C.) afferma esplicitamente che l'unica colonia romana nel territorio degli Irpini era Beneventum.
  9. ^ Napoleone Stelluti, Mosaici di Larino, G. Fabiani, 1988, p. 232.
  10. ^ VIII Congresso nazionale di archeologia medievale, vol. 2, All’Insegna del Giglio, 2018, p. 199, ISBN 9788878148680.
  11. ^ Istituto di Corrispondenza Archeologica, Bullettino dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica, Roma, 1847, p. 11.
  12. ^ Giuseppe Del Re, Descrizione topografica, fisica, economica, politica de' reali dominj al di qua del faro nel regno delle due Sicilie con cenni storici fin da' tempi avanti il dominio de' Romani, vol. 1, 1830, p. 282.
  13. ^ (LA) Theodor Mommsen, Inscriptiones regni neapolitani latinae, Wigand, 1852, p. 345.
  14. ^ Mariarosaria Salvatore, Basilicata: l'espansionismo romano nel sud-est d'Italia: il quadro archeologico, Atti del convegno, Venosa, 23-25 aprile 1987, Leukania: monografie di archeologia della Basilicata, vol. 2, Edizioni Osanna, 1990, p. 274.
  15. ^ (DE) Journal of Name Research, vol. 15-16, R. Oldenbourg, 1939, p. 40.
  16. ^ Giuseppe Lorin, Dossier Isabella Morra - Poetessa del XVI secolo, Bibliotheka, nota n° 13, ISBN 978-88-6934-490-9.
  17. ^ Werner Johannowsky, Circello, Casalbore e Flumeri nel quadro della romanizzazione dell’Irpinia, su Publications du Centre Jean Bérard (archiviato il 1º maggio 2020).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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