Reto

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Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo personaggio dell'Eneide, re dei Marsi, vedi Reto (Marsi).
Reto
SagaEneide
Nome orig.Rhoetus
1ª app. inEneide di Virgilio, I secolo a.C. circa
Caratteristiche immaginarie
Sessomaschio
Luogo di nascitaArdea
Professioneguerriero

Reto (lat. Rhoetus) è un personaggio dell'Eneide di Virgilio, poema incentrato sulla guerra tra gli italici e i troiani di Enea sbarcati nel Lazio. Non va confuso con l'omonimo re della tribù marsa dei Marruvi, nominato nel libro X del poema.

Il mito[modifica | modifica wikitesto]

Reto è uno dei 1.400 guerrieri rutuli assedianti la cittadella troiana nel nono libro del poema. A notte fonda però due giovani guerrieri troiani, Eurialo e Niso, armati di spada, riescono a penetrare nel campo dei nemici addormentati, e decidono di farne strage. In quel momento si sveglia appunto Reto, che nascostosi terrorizzato dietro un cratere vede la carneficina compiuta dalla spada di Niso: tra le immagini di morte che scorrono sotto i suoi occhi, il re Ramnete colpito mentre russa a piena gola, la decapitazione del condottiero Remo nel suo letto, l'auriga di questo sgozzato sotto i cavalli, la testa recisa al giovanissimo Serrano, di grande bellezza. Quando anche Eurialo comincia a mietere vittime - la sua furia omicida si abbatte su Fado, Erbeso, Abari e altri guerrieri di cui il poeta non dice il nome - Reto tenta di uscire dal luogo in cui si trova: ma viene assalito da Eurialo che gli caccia l'intera spada nel petto. Il guerriero italico esala l'anima dalla bocca, vomitando nel contempo il sangue e il vino bevuto.

 " Sic memorat uocemque premit, simul ense superbum
Rhamnetem adgreditur, qui forte tapetibus altis
exstructus toto proflabat pectore somnum,
rex idem et regi Turno gratissimus augur,
sed non augurio potuit depellere pestem.
Tris iuxta famulos temere inter tela iacentis
armigerumque Remi premit aurigamque sub ipsis
nactus equis ferroque secat pendentia colla.
Tum caput ipsi aufert domino truncumque relinquit
sanguine singultantem; atro tepefacta cruore
terra torique madent. Nec non Lamyrumque Lamumque
et iuuenem Serranum, illa qui plurima nocte
luserat, insignis facie, multoque iacebat
membra deo uictus; felix, si protinus illum
aequasset nocti ludum in lucemque tulisset
[...]
Nec minor Euryali caedes; incensus et ipse
perfurit ac multam in medio sine nomine plebem,
Fadumque Herbesumque subit Rhoetumque Abarimque
ignaros; Rhoetum uigilantem et cuncta uidentem,
sed magnum metuens se post cratera tegebat.
Pectore in aduerso totum cui comminus ensem
condidit adsurgenti et multa morte recepit.
purpuream uomit ille animam et cum sanguine mixta
uina refert moriens "

(Virgilio, Eneide, libro IX, vv.324-38; vv.342-50)

" Così dice
a bassa voce, e intanto con la spada
sgozza il tronfio Ramnete che spirava
dal profondo del petto un quieto sonno,
disteso sopra un mucchio di tappeti.
Anch'egli re, era fra tutti gli auguri
il più gradito a Turno; ma purtroppo
la sua arte profetica non valse
a salvargli la vita. Uccide pure
tre servi suoi sdraiati accanto a lui
alla rinfusa in mezzo alle armature,
lo scudiero di Remo, ed all'auriga
che stava steso sotto i suoi cavalli,
squarcia col ferro il collo ciondolante,
poi spicca il capo al suo stesso padrone
abbandondando il tronco in un convulso
palpitare di sangue: il caldo e nero
fiotto inzuppa il terreno ed i giacigli.
È poi la volta di Lamiro e Lamo,
e di Serrano, baldo giovinetto
ch'essendo stato sino a notte tarda
occupato nel gioco, ora dormiva
vinto dal molto vino: fortunato
se avesse proseguito, pareggiando
la notte a quel divertimento, sino
alla luce del giorno!
[...]
Non è minore la strage di Eurialo:
anche lui, furibondo, incrudelisce,
e fra i tanti - plebaglia senza nome -
uccide a bruciapelo Erbèso, Fado,
Abari e Reto; questi, in verità,
era ben sveglio e vedeva ogni cosa,
ma, in preda allo spavento, se ne stava
rincattuciato dietro un grande vaso.
Com'egli s'alza, Eurialo, da vicino,
gli conficca la spada in pieno petto
e la ritrae tutta rossa di strage.
Quello esala la vita, vomitando
sangue con vino "

(traduzione di Mario Scaffidi Abate)

Fortuna dell'episodio[modifica | modifica wikitesto]

Nel diciottesimo canto dell'Orlando Furioso, Ludovico Ariosto fa perire nel sonno, ad opera del saraceno Cloridano, il soldato cristiano ubriaco Grillo. Come Reto, Grillo è caratterizzato da tratti bestiali: la morte per decapitazione rinvia però a Remo, Lamiro, Lamo e soprattutto Serrano, per via dello stato di ebbrezza, che in questo caso fa piuttosto emergere un che di infantile.

 " Poi se ne vien dove col capo giace
appoggiato al barile il miser Grillo:
avealo voto, e avea creduto in pace
godersi un sonno placido e tranquillo.
Troncògli il capo il Saracino audace:
esce col sangue il vin per uno spillo,
di che n'ha in corpo più d'una bigoncia;
e di ber sogna, e Cloridan lo sconcia. "

(Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, XVIII, 176)

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]