Renato Guttuso

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Renato Guttuso (Bagheria, 26 dicembre 1911Roma, 18 gennaio 1987) è stato un pittore italiano ed esponente della cultura di area comunista.

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Simbolo del Partito Comunista Italiano disegnato da Guttuso

Figlio di Gioacchino, agrimensore e acquarellista dilettante, e di Giuseppina d'Amico - che preferiscono denunciare la nascita a Palermo il 2 gennaio 1912 per contrasti con l'amministrazione comunale di Bagheria dovuti alle idee liberali dei coniugi - il piccolo Renato manifestò precocemente la sua predisposizione alla pittura.

Influenzato dall'hobby del padre e dalla frequentazione dello studio del pittore Domenico Quattrociocchi e della bottega del pittore di carri Emilio Murdolo, il giovane Renato iniziò appena tredicenne a datare e firmare i propri quadri. Si tratta per lo più di copie (paesaggisti siciliani dell'Ottocento ma anche pittori francesi come Millet o artisti contemporanei come Carrà), ma non mancano ritratti originali. Durante l'adolescenza iniziò anche a frequentare lo studio del pittore futurista Pippo Rizzo e gli ambienti artistici palermitani. Nel 1928, appena diciassettenne partecipa alla sua prima mostra collettiva a Palermo.

Biografia

Il pittore siciliano, fra i più rappresentativi del Novecento europeo, nacque nel 1912 nella cittadina siciliana di Bagheria. Il padre, il cavaliere Gioacchino Guttuso, era agrimensore e di lui, nella collezione donata al Comune di Bagheria, esistono vari ritratti: il primo, addirittura risalente al 1925, dimostra il genio precoce dell'artista; altri con riga e squadra ne sottolineano la professione e l'ammirazione per l'uomo tutto d'un pezzo appassionato nelle lettere e nelle arti, con il culto della libertà trasmessagli dal padre Ciro che aveva combattuto con Garibaldi. L'adolescenza borghese è fitta di stimoli per il futuro pittore.

Il giovane Guttuso abita in una casa vicino alle ville Valguarnera e Palagonia, di cui ritrarrà particolari in quadri successivi e s'ispira agli scogli dell'Aspra e tra le gite al mare e i primi amori vive tutta la crisi siciliana del dopoguerra in cui comincia a delinearsi lo scempio architettonico e sociale. A Palermo e nella stessa Bagheria vede in completa decadenza la nobiltà delle splendide ville settecentesche, coi loro mostri famosi e l'avanzare di un vero massacro urbanistico e di lotte di potere all'interno del comune che scuotono il temperamento di Guttuso, mentre la famiglia viene segnata da ristrettezze economiche a causa dell'ostilità di clericali e fascisti nei confronti del padre di Renato.

Questi, sentendo sempre più forte l'inclinazione alla pittura, si trasferì a Palermo per gli studi liceali e poi all'Università, mentre la sua formazione si modella sulle correnti figurative europee, da Courbet a Van Gogh a Picasso e lo porta a Milano e a viaggiare per l'Europa. Nel suo espressionismo si fanno via via sempre più forte non solo i motivi siciliani come i rigogliosi limoneti, l'ulivo saraceno, il Palinuro, tra mito e solitudine isolana che, inviati nel '31 alla I Quadriennale di Roma, confluirono in una collettiva di sei pittori siciliani accolti dalla critica – dice Franco Grasso nella citata monografia – come “una rivelazione, un'affermazione siciliana”.

Tornato a Palermo apre uno studio in Corso Pisani e con la pittrice Lia Pasqualino e gli scultori Barbera e Nino Franchina forma il Gruppo dei Quattro.

Rifiutato ogni canone accademico, con le figure libere nello spazio o la ricerca del puro senso del colore, Guttuso s'inserisce nel movimento artistico “Corrente”, che con atteggiamenti scapigliati s'oppone alla cultura ufficiale e denota una forte opposizione antifascista nelle scelte tematiche negli anni della guerra di Spagna e che preparano la seconda guerra mondiale.

L'Arte Sociale di Guttuso

Un lungo soggiorno di tre anni a Milano, nel corso dei quali non manca però di tornare in estate a Bagheria, matura l'arte “sociale” di Guttuso, con un impegno morale e politico via via più scoperto che si rivelava in quadri come “Fucilazione in Campagna”, dedicato a Garcia Lorca, fra il '37 ed il '38, “Fuga dall'Etna “ in due stesure. Si trasferisce intanto a Roma, con studio in Via Margutta dove, per l'esuberanza di vita, l'amico Mazzacurati lo soprannomina scherzosamente “Sfrenato Guttuso” e frequenta la cerchia di artisti più significativi del tempo: Mario Mafai, Corrado Cagli, Antonello Trombadori, tenendosi anche in contatto col gruppo milanese di Treccani, Giacomo Manzù, Aligi Sassu. Il dipinto che gli dà la fama, fra mille polemiche da parte anche del clero e del fascio perché sotto il soggetto sacro denunzia gli orrori della guerra, è La Crocifissione. Di esso Guttuso ha scritto nel suo Diario che è “il simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee” con il quale al Premio Bergamo sigla la sua nuova stagione.

L'artista non cesserà mai di lavorare in anni difficili come quelli della guerra ed alterna, specie nelle nature morte, gli oggetti delle case umili della sua terra, a squarci di paesaggio del Golfo di Palermo a una collezione di disegni intitolata “Massacri”, che circolarono clandestinamente poiché ritraggono le repressioni naziste, come quello dedicato alle Fosse Ardeatine.

Liberazione dal nazifascismo e matrimonio di Guttuso

Conosce e sposa quella che sarà la sua fedele compagna e confidente Mimise che ritrarrà nel '47. Già all'indomani della Liberazione un anelito di speranza torna ad alitare nella pittura del maestro come nel quadro “Muratori in riposo”, china e acquerello nel 1945, quasi un simbolo della rinascita di cui Pier Paolo Pasolini ha scritto (1962):

Le figure di dieci operai
emergono bianche sui mattoni bianchi
il mezzogiorno è d'estate.
Ma le carni umiliate
fanno ombra: e lo scomposto ordine
dei bianchi è fedelmente seguito
dai neri. Il mezzogiorno è di pace”.

Seguono “Carrettieri che cantano”, “Contadino che zappa” (1947), “Contadini di Sicilia” (dieci disegni pubblicati a Roma nel '51) in cui il linguaggio pittorico diventa chiaro ed essenziale e di cui lo stesso Guttuso ebbe a scrivere che erano preparatori del quadro “Occupazione delle terre incolte di Sicilia”, esposto alla Biennale d'Arte a Venezia nel 1950, affermando: “Credo siano legati alla mia ispirazione più profonda e remota. Alla mia infanzia, alla mia gente, ai miei contadini, a mio padre agrimensore, ai giardini di limoni e di aranci, alle pianure del latifondo familiari al mio occhio ed al mio sentimento, da che sono nato. Contadini siciliani che hanno nel mio cuore il primo posto, perché io sono dei loro, i cui volti mi vengono continuamente davanti agli occhi qualunque cosa io faccia, contadini siciliani che sono tanta parte della storia d'Italia…”.

Sempre nel 1949-1950, Renato Guttuso aderisce al progetto della importante collezione Verzocchi (attualmente conservata presso la Pinacoteca civica di Forlì), inviando, oltre ad un autoritratto, l'opera "Bracciante siciliano" ([1]).

Puntualmente torna a stupire, alternando la visione luminosa e piena di colore di “Bagheria sul golfo di Palermo” alla “Battaglia al ponte dell'Ammiraglio” in cui ritrae il nonno Ciro Guttuso, arruolatosi come garibaldino, e con una serie di dipinti dal vero le lotte contadine per l'occupazione delle terre, gli zolfatari, o squarci di paesaggio fra cactus e ficodindia, ritratti di amici e uomini di cultura, pittori come Nino Garajo e Bruno Caruso.

Affascinato dal modello dantesco, dal '59 al '61, l'artista concepisce una serie di disegni colorati che poi verranno pubblicati in volume nel '70, “Il Dante di Guttuso”, in cui i personaggi dell'Inferno vengono rivisitati come esemplari della storia del genere umano, confermando la versatilità dell'ingegno. Un intero ciclo, invece, viene dedicato negli anni '70 alla sua autobiografia in pittura, quadri d'eccezionale valore per la conoscenza del Guttuso uomo-artista.

La figura femminile diventa dominante nella pittura come lo fu nella vita privata e fra i dipinti più grandi per mistura ricordiamo “Donne stanze paesaggi oggetti” del '67, oggi esposto alla galleria comunale di Bagheria, a Villa Cattolica, com'è importante la serie di dipinti in cui ritrae Marta Marzotto, musa ispiratrice e modella prediletta per lunghi anni.

Nel 1971 fu tra i firmatari del documento pubblicato sul settimanale L'espresso contro il commissario Luigi Calabresi.

Nel 1972 dipinge I funerali di Togliatti, che diverrà opera-manifesto della pittura antifascista.

La Vucciria di Palermo

Il suo quadro più famoso “palermitano” è la “Vucciria”, nel quale con realismo crudo e sanguigno come le carni esposte nel più famoso mercato di Palermo, esprime una delle tante anime della città siciliana, ed è talmente forte il segno dell'artista e il senso del colore che sembra sprigionare il vocio e la cantilena quasi araba dei vanniaturi del celebre mercato palermitano che dà il nome al quartiere ed emanare i profumi dei prodotti tipici, frutta e verdura, esposti sulle bancarelle, ingredienti saporosi per la cucina siciliana.

La morte

Guttuso si spense malinconicamente solo, dopo la morte della moglie, riavvicinandosi, secondo una testimonianza di Giulio Andreeotti, alla fede cristiana, di cui aveva condiviso a suo modo i valori umani e di pietà per gli oppressi. Alla morte donò alla città natale molte opere che sono raccolte nel museo di Villa Cattolica a Bagheria. Guttuso non ebbe figli biologici, ma un figlio adottivo, Fabio Carapezza Guttuso, che, dopo la morte del padre, fondò gli Archivi Guttuso, cui destinò lo studio di Piazza del Grillo, e integrò la collezione del museo di Bagheria con numerose opere ereditate.

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