Pyrenestes ostrinus

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Pireneste ventre nero
Pyrenestes ostrinus
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Subphylum Vertebrata
Classe Aves
Sottoclasse Neornithes
Superordine Neognathae
Ordine Passeriformes
Sottordine Oscines
Infraordine Passerida
Superfamiglia Passeroidea
Famiglia Estrildidae
Genere Pyrenestes
Specie P. ostrinus
Nomenclatura binomiale
Pyrenestes ostrinus
(Vieillot, 1805

Il pireneste ventre nero (Pyrenestes ostrinus (Vieillot, 1805)) è un uccello passeriforme della famiglia degli Estrildidi[2].

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Dimensioni[modifica | modifica wikitesto]

Misura generalmente fra i 12 e i 14 cm di lunghezza, coda compresa.

Aspetto[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di uccelli dall'aspetto massiccio, muniti di lunga coda rettangolare e di un forte becco tozzo e robusto, di forma conica.
La colorazione del maschio è scarlatta su testa, petto, fianchi, codione e coda, mentre dorso, ali e ventre sono di colore nero (da cui il nome comune della specie): nella femmina la colorazione rossa si limita a faccia, codione e coda e in alcuni casi sfumature rosse sono presenti anche su petto e fianchi, mentre il resto del piomaggio è di colore bruno-olivastro. In ambedue i sessi le zampe sono di color carnicino, il becco è nero-bluastro e gli occhi sono bruno-rossicci, con presenza di un evidente anello perioculare bianco-grigiastro, più spesso sopra e sotto l'occhio.

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di uccelli diurni, che vivono da soli o in coppie, passando la maggior parte del proprio tempo alla ricerca di cibo, pronti a nascondersi nel folto della vegetazione al minimo segnale di pericolo.

Alimentazione[modifica | modifica wikitesto]

La dieta di questi uccelli si compone principalmente di semi, i cui involucri vengono facilmente spezzati grazie al forte becco: i pirenesti ventre nero integrano inoltre la propria dieta con bacche e frutta, e solo durante il periodo riproduttivo accettano sporadicamente anche piccoli insetti.

Riproduzione[modifica | modifica wikitesto]

La stagione riproduttiva cade generalmente durante la seconda metà della stagione delle piogge. Ambo i partner collaborano alla costruzione del nido, che è una struttura globosa formata da fili d'erba e fibre vegetali intrecciate, posto nel folto della vegetazione arborea: al suo interno la femmina depone 3-5 uova biancastre, che essa si alterna a incubare per circa due settimane col maschio, con quest'ultimo che provvede alla cova principalmente durante il giorno e le femmine che lo fanno invece perlopiù di notte[3]. I nidiacei vengono accuditi da ambedue i genitori, e sono in grado d'involarsi attorno alle tre settimane dalla schiusa: è tuttavia raro che essi si allontanino definitivamente dal nido prima del mese e mezzo di vita, tornandovi a dormire durante la notte e chiedendo sempre meno frequentemente l'imbeccata ai genitori.

La mortalità giovanile in questa specie appare estremamente elevata e dovuta principalmente alla predazione da parte di serpenti, formiche e cuculi fagiano: da uno studio effettuato in Camerun su 60 coppie nidificanti è emerso che solo il 15% circa dei nidiacei raggiungono l'età adulta[3].

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

Il pireneste ventre nero è diffuso in un areale piuttosto ampio, che va dalla Liberia meridionale all'Angola e ad est fino alla regione dei Grandi Laghi.

L'habitat di questi uccelli è rappresentato dalle aree alberate con presenza di radure erbose e cespugliose più o meno estese e dalle aree paludose fino a un'altezza di 2000 m: essi colonizzano inoltre le aree coltivate ed i terreni incolti.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) BirdLife International 2016, Pyrenestes ostrinus, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020. URL consultato il 20/6/2020.
  2. ^ (EN) F. Gill e D. Donsker (a cura di), Family Estrildidae, in IOC World Bird Names (ver 9.2), International Ornithologists’ Union, 2019. URL consultato il 10 maggio 2014.
  3. ^ a b Nicolai J., Steinbacher J., van den Elzen R., Hofmann G., Mettke-Hofmann C., Prachtfinken - Afrika, Serie Handbuch der Vogelpflege, Eugen Ulmer, 2007, p. 109, ISBN 978-3-8001-4964-3.

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