Publio Postumio Tuberto

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Publio Postumio Tuberto
Console della Repubblica romana
Nome originalePublius Postumius Tubertus
GensPostumia
Consolato505 a.C.
503 a.C.

Publio Postumio Tuberto (in latino Publius Postumius Tubertus;; ... – ...; fl. VI secolo a.C.) è stato un politico romano. Due volte console, fu il primo membro della gens Postumia ad ottenere il consolato.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 505 a.C. venne eletto console assieme a Marco Valerio Voluso Massimo.

In quell'anno, i Sabini fecero delle incursioni nel territorio romano,[1] e, per questa ragione, il collega di Postumio partì alla testa dell'esercito e si schierò di fronte al nemico sulle sponde dell'Anio.[2] Dopo qualche tempo in cui i due eserciti si fronteggiarono senza prendere l'iniziativa, si venne a battaglia sulle sponde del fiume.[3] Valerio respinse i Sabini schierati di fronte a lui, mentre l'altra ala del suo esercito iniziò a ripiegare sotto l'assalto nemico.

A quel punto Postumio inviò Spurio Larcio con la cavalleria per ristabilire l'equilibrio. Infine con il sopraggiungere della fanteria i Sabini furono costretti a fuggire in rotta; solo il sopraggiungere della notte li salvò dall'annientamento. I due consoli ottennero per questo l'onore del trionfo.[4]

Venne eletto console una seconda volta nel 503 a.C. assieme a Agrippa Menenio Lanato,[5] quando prima si trovò a fronteggia gli attacchi dei Sabini, su cui i romani ebbero la meglio durante gli scontri campali nei pressi di Eretum[6], e poi la defezione delle città di Pometia e Cori, passate nelle file degli Aurunci. Dopo aver sconfitto un ingente esercito aurunco, i due consoli mossero battaglia a Pometia; la battaglia, combattuta ferocemente da ambo le parti, fu vinta dai Romani, che decretarono il trionfo per i due consoli[7]. Secondo la versione di Dionigi, solo Menenio ottenne il trionfo, mentre a Postumio fu concesso solo l'ovazione, per il comportamento imprudente che tenne durante i primi scontri con i Sabini.[8]

«...l'intero conflitto si concentrò su Pomezia. Non ci fu un attimo di requie né prima né durante la battaglia. Il numero dei caduti superò di gran lunga quello dei prigionieri. E questi ultimi vennero passati per le armi senza troppe sottigliezze. Nessuna pietà nemmeno per i trecento ostaggi che erano stati consegnati.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Tito Livio, Libro II, 16.
  2. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Libro V, 37.
  3. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro V, 38.
  4. ^ Plutarco, 21.
  5. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro V, 44.
  6. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro V, 44-47.
  7. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, Libro II, 16.
  8. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro V, 47.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Fasti consulares Successore
Spurio Larcio I
e
Tito Erminio Aquilino
505 a.C.
con Marco Valerio Voluso Massimo
Publio Valerio Publicola IV
e
Tito Lucrezio Tricipitino II
I
Publio Valerio Publicola IV
e
Tito Lucrezio Tricipitino II
503 a.C.
con Agrippa Menenio Lanato
Opitero Verginio Tricosto
e
Spurio Cassio Vecellino I
II