Prete (brano musicale)
Prete | |
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Artista | Simone Cristicchi |
Autore/i | Simone Cristicchi |
Genere | Hip hop |
Data | 2005 |
Note | Censurata, pubblicata online in freedownload |
«Ho lottato fino all’ultimo momento per inserirla nel disco, e alla fine hanno vinto loro.[1]»
Prete è un brano musicale di Simone Cristicchi, scritto nel 2005, mai pubblicato in quanto censurato dalla casa discografica.
La censura[modifica | modifica wikitesto]
Il brano è stato scritto nel 2005 per l'album Fabbricante di canzoni ma non vi è stato inserito a causa dei suoi contenuti[2]. È stata invece inserita una traccia nascosta intitolata Rufus, il cui testo è una sorta di intrusione/autopresentazione di un alter ego "cinico e senza peli sulla lingua" dell'autore stesso, a cui è ironicamente attribuita la paternità di canzoni fortemente polemiche come Prete e altre. Nel 2007 nonostante la forte volontà dell'autore il brano non viene inserito nemmeno nell'album Dall'altra parte del cancello[1][3]. Nonostante le censure subite il brano è stato presente nel repertorio live del cantautore e per un certo periodo è stato pubblicato sul suo sito ufficiale sotto forma di MP3. In un'intervista ad Avvenire nel 2015 Cristicchi ha dichiarato:
«Forse oggi sono un’altra persona rispetto a chi ha scritto quel testo. Alcune cose le penso ancora, ad esempio quando cantavo che Gesù si vergognerebbe di una chiesa ricca e con le banche piene, ma non era giusto il modo. Lo considero uno sfogo adolescenziale dai toni sbagliati e infatti non la canto da dieci anni. Oggi utilizzerei non più il sarcasmo ma la poesia, però l’intento sarebbe lo stesso, un invito a vivere il Vangelo in modo più autentico[4]»
Sul web sono reperibili anche altre versioni della canzone, con testo leggermente diverso.
Il tema del brano[modifica | modifica wikitesto]
Il brano esprime una critica nei confronti dell'influenza della Chiesa cattolica sulle persone[3]. Il testo della canzone rivolge un atto di accusa in prima persona verso la figura del prete, accusata di «alimentare e tenere in vita la bugia più grande della storia» e visto dall'autore come una figura arrogante e non disposta al confronto. La canzone taccia inoltre la Chiesa di ostentata opulenza e la classe politica di servilismo alla Chiesa stessa. Intervistato in merito alla tematiche di questa canzone Cristicchi, premettendo di ritenersi religioso ma non cattolico, ha dichiarato: «Ciò che non sopporto è lo spirito di prevaricazione, la supponenza di alcuni esponenti della Chiesa, chi detta legge in nome di Cristo».[5]
Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]
Il brano ha suscitato critiche nei confronti di Cristicchi da parte di quotidiani cattolici come Avvenire e ha avuto influenza sulla sua carriera artistica, facendogli perdere una parte di pubblico[5]. Forti critiche sono arrivate anche da Massimo Introvigne su L'Indipendente[6]. La copertina dedicata da Famiglia Cristiana a Cristicchi in occasione della sua vittoria al Festival di Sanremo del 2007 ha rinfocolato le polemiche.[7][8]
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ a b Intervista a Cristicchi da alteredo.org su playaudiovideo.com, su playaudiovideo.com. URL consultato il 1º maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 23 maggio 2013).
- ^ Michela Proietti, «Vorrei cantare come Gaber», in Corriere della Sera, 20 aprile 2006, p. 17. URL consultato il 21 maggio 2013.
- ^ a b Cristicchi, da Firenze a Sanremo Il cantautore racconta i suoi esordi in città. Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive., L'Unità, 16 marzo 2007
- ^ Intervista a Cristicchi ad Avvenire, su avvenire.it. URL consultato il 21 marzo 2015.
- ^ a b Intervista a Simone Cristicchi Marzia Cangiano e Astrid Nausicaa Maragò, Libmagazine, 18 dicembre 2007
- ^ L'anticlericalismo di Simone Cristicchi: Contro la Chiesa a colpi di canzonette Massimo Introvigne, L'Indipendente, 2 giugno 2006
- ^ A don Sciortino risponde Papa Pacelli, Paolo Granzotto, il Giornale, 12 ottobre 2009
- ^ Famiglia Cristiana e la trappola del "cattolicesimo fai da te" Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive. Diego Randazzo, L'Occidentale, 2 luglio 2008