Pier Jacopo Alari Bonacolsi

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Mercurio

Pier Jacopo Alari Bonacolsi (Gazzuolo?, 1460Gazzuolo, luglio 1528) è stato uno scultore e orafo italiano.

Fu detto l'Anticoepiteto che avrebbe in seguito originato la contrapposizione con il Moderno, ossia l'orafo e medaglista Galeazzo Mondella — per la sua abilità nel riprodurre in piccolo formato, prevalentemente utilizzando il bronzo e il bronzo dorato, antiche statue dell'epoca greco-romana, come l'Apollo del Belvedere, il gruppo del Laocoonte e le teste degli Imperatori interpretando così le aspirazioni culturali e l'ideale di bellezza del Rinascimento italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Probabilmente nato a Gazzuolo,[1] vicino a Mantova, fece il suo apprendistato presso l'orafo Andrea Briosco, detto il Riccio, divenendone poi il principale concorrente sulla piazza.

Divenuto un protetto della famiglia Gonzaga di Mantova e del ramo cadetto di Bozzolo dove possedeva una stanza nel castello,[2] creò nel 1479 un paio di medaglie commemorative per il matrimonio del figlio di Ludovico Gonzaga, Gianfrancesco Gonzaga e Antonia del Balzo.

Dal 1490 lavorò per Isabella d'Este e Francesco II, arricchendo delle sue opere il celeberrimo studiolo di Isabella. Per conto della marchesa di Mantova nel 1496 si recò a Roma per reperire pezzi di antichità per la sua collezione.[3] Lavorò anche per il vescovo di Mantova Ludovico Gonzaga, collezionista d'arte, per il quale realizzò numerose statuette e busto in bronzo.[4] Intorno al 1523, per i suoi alti meriti artistici, venne nominato da Isabella d'Este direttore dei porti e dei mulini di Mantova.[5]

Morì a Gazzuolo nel luglio 1528.[6]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Venus Caritas

Discendenza[modifica | modifica wikitesto]

Pier Jacopo ebbe due figli:[5]

  • Federico
  • Alessandro

entrambi al servizio dei Gonzaga.

Galleria d'immagini[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Treccani.it. ALARI BONACOLSI, Pier Iacopo, detto l'Antico.
  2. ^ Bini, p. 129.
  3. ^ Bini, p. 130.
  4. ^ Bini, pp. 130-131.
  5. ^ a b Bini, p. 147.
  6. ^ Bini, pp. 147-148.
  7. ^ Bini, p. 131.
  8. ^ Bini, p. 133.
  9. ^ Bini, p. 138.
  10. ^ Bini, p. 143.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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