Patronato (istituto)

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Il patronato è un istituto presente in Italia, che esercita funzioni di assistenza e di tutela in favore dei lavoratori, dei pensionati e di tutti i cittadini presenti sul territorio dello Stato; è emanazione diretta di una organizzazione sindacale, datoriale o associativa, sia essa di lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi o di entrambe le categorie.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

I primi patronati vennero istituiti nel 1917, per tutelare gli agricoltori dagli infortuni sul lavoro.[1][2] Nel 1925 durante il governo Mussolini venne creato il "Patronato nazionale medico", riconosciuto giuridicamente come "Patronato nazionale medicolegale per gl'infortuni agricoli e industriali e per le assicurazioni sociali", mediante il decreto del Ministero dell'economia nazionale del 26 giugno.[2][3] Il 24 dicembre del 1927 cambiò denominazione in Patronato nazionale per l'assistenza sociale.[3] Fu poi sciolto con il regio decreto del 29 ottobre 1942[4] e le sue funzioni vennero trasferite alle Confederazioni fasciste dei lavoratori.[2]

Nel 1947, con la caduta del fascismo, fu data una nuova disciplina giuridica ai patronati e vennero fondati nuovi istituti, primo fra tutti l'ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani),[2] seguito da altri come l'INCA (Istituto Nazionale Confederale di Assistenza) del sindacato CGIL.[1] Nel 1970 venne riconosciuto agli istituti di patronato il diritto di esercitare le proprie funzioni di assistenza e di tutela anche all'interno delle aziende.[1]

Disciplina normativa[modifica | modifica wikitesto]

Gli istituti di patronato vennero riconosciuti dallo stato con d.lgs. CPS 29 luglio 1947 n. 804,[5] che conteneva già le prime norme a disciplina e regolamentazione degli stessi. Altre indicazioni normative rilevanti sono contenute nell'articolo 12 della legge 20 maggio 1970, n. 300[1] e l'articolo 3 della legge 27 marzo 1980, n. 112, i criteri di finanziamento vennero disciplinati col decreto del Ministero del Lavoro del 26 giugno 1981.[2]

Successivamente ne venne varata una riforma con la legge 30 marzo 2001 n. 152,[1] che rivalutò i ruoli e ne ridefinì con più chiarezza i compiti.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Caratteristiche dell'attività[modifica | modifica wikitesto]

Il ruolo previsto dalla legge italiana per il patronato è quello di tutelare i diritti individuali di qualsiasi cittadino presente sul territorio nazionale o estero. L'attività di assistenza e consulenza di un patronato è mirata al conseguimento di prestazioni previdenziali, sanitarie e di carattere socio-assistenziale, incluse quelle in materia di emigrazione e immigrazione.

La legge prevede inoltre che tali istituti possano svolgere attività di supporto ad autorità diplomatiche e consolari italiane all'estero; hanno inoltre la facoltà di poter accedere a banche dati dei vari enti preposti all'erogazione della prestazione, previo mandato rilasciato dall'assistito[6].

Finanziamento[modifica | modifica wikitesto]

I patronati ricevono un finanziamento attraverso un fondo specifico accantonato presso gli enti. Tale fondo è composto da una percentuale dei contributi versati dai lavoratori dipendenti in ogni anno. Il finanziamento è trasferito ai patronati in maniera proporzionale all'attività svolta, verificata dal ministero del lavoro attraverso i propri ispettori.

La quota percentuale, oggi pari allo 0,199%, è versata su un conto del Ministero del Lavoro che provvede, con decreto, a ripartire i fondi tra i patronati, in base all'attività svolta.
Il finanziamento è accordato con un sistema “a punteggio”, che riconosce "punti" solo per alcune tipologie di pratiche a condizione che la pratica stessa abbia avuto esito positivo.

Vigilanza[modifica | modifica wikitesto]

L'attività di patronato è sottoposta al controllo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che verifica annualmente la quantità-qualità dell'attività svolta e la rispondenza degli uffici ai parametri stabiliti dalla legge per l'Italia e per l'estero.

Patronati riconosciuti[modifica | modifica wikitesto]

Elenco dei patronati riconosciuti dalla legge:[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e Istituti di patronato, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  2. ^ a b c d e Alessandro Graziani, La sconosciuta realtà dei patronati in Italia: cenni istituzionali e normativi, su diritto.it, marzo 2001. URL consultato l'8 ottobre 2018 (archiviato il 1º novembre 2014).
  3. ^ a b DECRETO MINISTERIALE 13 luglio 1935-XIII. Approvazione del nuovo statuto del Patronato nazionale perl'assistenza sociale. (PDF), in Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, n. 166, Roma, 18 luglio 1935, p. 3652. URL consultato l'8 ottobre 2018 (archiviato dall'url originale l'8 ottobre 2018).
  4. ^ Gazzetta Ufficiale (Allegato ) (parte 104), su gazzettaufficiale.it. URL consultato l'8 ottobre 2018 (archiviato l'8 ottobre 2018).
  5. ^ art. 1 dlgs cps 804/1947
  6. ^ Sabino Cassese, Lo «spirito della legge» e l'autonomia collettiva (a proposito degli enti di patronato), III, n. 2, 1969.
  7. ^ lista di patronati riconosciuti dal sito dell'INPS, su inps.it, 27 settembre 2013 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2013).
  8. ^ Patronato FENALCA, su associazionefenalca.it. URL consultato il 6 giugno 2012 (archiviato dall'url originale il 15 giugno 2012).
  9. ^ Patronato Se.n.a.s
  10. ^ Patronato ENASC

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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