Partito Popolare Italiano (1919)

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Disambiguazione – Se stai cercando informazioni sul partito nato nel 1994, vedi Partito Popolare Italiano (1994-2002).

Template:Infobox Partito politico italiano del passato

Il Partito Popolare Italiano (PPI) fu un partito politico nato il 18 gennaio 1919 e ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, fondato da Luigi Sturzo insieme a Giovanni Bertini, Giovanni Longinotti, Angelo Mauri, Remo Vigorelli e Giulio Rodinò.

Il PPI rappresentò per i cattolici italiani il ritorno organizzato alla vita politica attiva dopo lunghi decenni di assenza a causa del non expedit conseguente alle vicende dell'unificazione nazionale.

Lo stesso argomento in dettaglio: Cattolici e vita pubblica.

Storia

Fondazione

L'idea di Romolo Murri di costituire una formazione operante in campo politico aveva trovato ostilità da parte del Vaticano; il suo mancato accoglimento poteva riferirsi a una contrapposizione dottrinale che investiva più il campo religioso che quello politico. Così, diversi democratici cristiani subirono la condanna insieme ai modernisti. In seguito il clima cominciò a cambiare e in questo contesto don Sturzo diede vita al PPI.

Nel PPI confluirono le varie componenti del variegato mondo cattolico italiano:

Le direttive programmatiche del nascente partito furono affidate all'Appello "A tutti gli uomini liberi e forti"[1]. L'Appello accettava ed esaltava il ruolo della Società delle Nazioni, difendeva "le libertà religiose contro ogni attentato di setta", il ruolo della famiglia, la libertà d'insegnamento, il ruolo dei sindacati. Si poneva particolare attenzione a riforme democratiche come l'ampliamento del suffragio elettorale, compreso il voto alle donne, si esaltava il ruolo del decentramento amministrativo e della piccola proprietà rurale contro il latifondismo. Bisogna rammentare che molte di queste posizioni non erano del tutto accettate dalla società di inizio '900. Il ruolo delle donne nella società, come quello dei sindacati o dei comuni non era patrimonio comune della nazione. Soprattutto da parte della gerarchia il ruolo dei sindacati, nonostante l'enciclica Rerum novarum di papa Leone XIII, continuava ad essere poco gradito.

Il partito, grazie alla buona diffusione dell'Azione Cattolica al Nord, delle leghe dei contadini in Italia centrale e delle società di mutuo soccorso al Sud, ottenne una facile diffusione organizzativa. A questo si aggiunse il favore di molti sacerdoti che lo videre come il "partito cattolico" e per questo vicino alle posizioni del Vaticano. Il PPI, però, secondo l'espressa volontà di Sturzo, era apertamente aconfessionale (partito di cattolici e non cattolico), interclassista, che traeva la sua ispirazione dalla dottrina sociale cristiana, ma che non voleva dipendere dalla gerarchia cattolica. Durante il primo congresso del 1919 Sturzo, motivando la scelta di non avere riferimenti alla religione cattolica nel nome del partito, affermava: "È superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico. I due termini sono antitetici; il cattolicismo è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dall'inizio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, ed abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito, che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione". Questo iniziale confusione del ruolo del partito, non contribuì a farne comprendere la vera natura, forse troppo moderna per l'Italia di quegli anni. Sturzo, infatti, faticò molto a mantenere l'autonomia del partito dalle gerarchie, anche perché il partito aveva raccolto anime tenute spesso insieme solo dalla comune ispirazione religiosa.

L'emblema scelto dal partito, conservato, poi, dalla D.C., fu lo Scudo Crociato con il motto Libertas, rappresentante da un lato la difesa dei valori cristiani dall'altro il legame con i Liberi Comuni medievali italiani, da qui il forte impegno per il decentramento amministrativo ed uno Stato più snello.

Elezioni del 1919

Template:Cristianesimo democratico Appena fondato, il PPI poté contare in Parlamento su 19 deputati, eletti in precedenza con il cosiddetto Patto Gentiloni. Alle elezioni del 16 novembre 1919 (le prime dopo la riforma elettorale in senso proporzionale), raccolse il 20,5% dei voti, cioè 1.167.354 preferenze, e 100 deputati, dimostrando di essere una forza indispensabile per la formazione di qualsiasi governo.

Nel suo programma il PPI ricalcò sostanzialmente i principi-cardine della Dottrina sociale della Chiesa Cattolica sostenendo, fra l'altro:

  • l'integrità della famiglia,
  • il voto alle donne,
  • la libertà di insegnamento,
  • il riconoscimento giuridico e la libertà dell'organizzazione di classe nell'unità sindacale,
  • la legislazione sociale nazionale ed internazionale,
  • l'autonomia degli enti pubblici ed il decentramento amministrativo (Regioni),
  • la riforma tributaria sulla base dell'imposta progressiva,
  • il sistema elettorale proporzionale,
  • la libertà della Chiesa,
  • la Società delle Nazioni,
  • il disarmo universale.

in particolare il PPI si prefisse di svolgere e svolse un'azione antitrasformista ed antimoderata.

Nel campo politico nazionale del primo dopoguerra il PPI, forte dei 100 deputati, esercitò una funzione di equilibrio combattendo gli estremismi ed i privilegi di classe. Tale azione, peraltro a causa del massimalismo socialista e della diffidenza verso questi di Sturzo, impedì la collaborazione tra i due partiti, che avrebbe garantito al Paese un Governo stabile, che avrebbe impedito la conquista del potere del fascismo. In ciò, incisero ugualmente sia l'anticlericalismo socialista che la forte diffidenza della gerarchia ecclesiastica e della destra popolare, che impedirono l'accordo.

Elezioni del 1921

Alle elezioni del 19 maggio 1921, il PPI confermò la sua forza elettorale con il 20,4% dei voti e 108 deputati. Nel frattempo le squadracce fasciste cominciarono ad attaccare non solo le sedi socialiste, ma anche quelle popolari e quelle delle associazioni cattoliche. Al 3° Congresso, a Venezia, il partito influenzato dalla paura verso i socialisti e condizionato dal clima generale di "moralizzazione" della vita del Paese, preferì assumere una posizione attendista nei confronti del fascismo.

Dopo la marcia su Roma (1922), per frenare l'irrompere dello squadrismo fascista e l'azione di asservimento dello Stato da parte del partito fascista e nell'illusione di una normalizzazione, il PPI accettò, contro il parere di don Sturzo (il quale si era espresso invece a favore di una collaborazione con i socialisti proprio in chiave antifascista), che alcuni suoi uomini entrassero, nell'ottobre del 1922, nel primo governo Mussolini: (Vincenzo Tangorra ministro del Tesoro e Stefano Cavazzoni ministro del Lavoro e Previdenza Sociale) . Nell'aprile del 1923, però, la collaborazione venne meno perché il 4° Congresso del partito, svoltosi a Torino, chiedendo il mantenimento del sistema elettorale proporzionale e l'inserimento del fascismo all'interno del quadro istituzionale, provocò le ire di Benito Mussolini. Il partito visse una crisi interna perché la destra del partito si allineò sulle posizioni filo-fasciste e di fatto abbandonò il partito. L'unico deputato del Partito Popolare a negare il suo voto alla legge Acerbo fu Giovanni Merizzi di Sondrio.[1].

Elezioni del 1924

Nelle elezioni del 6 aprile 1924, svoltesi in un clima di violenze e brogli elettorali perpetrati dai fascisti, il PPI riuscì comunque ad ottenere il 9,0% dei voti e 39 deputati e divenne il primo tra i partiti non-fascisti. Visto vano ogni tentativo di impedire l'instaurazione della dittatura, dopo l'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (1924), il PPI partecipò, contro la volontà delle gerarchie ecclesiastiche, alla secessione dell’Aventino e passò all'opposizione, dove rimase fino al suo forzato scioglimento avvenuto il 5 novembre 1926. Tutti i maggiori esponenti furono costretti all'esilio (don Sturzo, Donati, Ferrari) o a ritirarsi dalla vita politica e sociale (De Gasperi).

Breve fu la vita del PPI (sette anni in tutto), la cui esperienza incise però a fondo nella società italiana. Lo storico Federico Chabod definì la comparsa del PPI come "l'avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo"; ed il comunista Antonio Gramsci ebbe a scrivere che con il PPI "avrebbe assunto una forma organica e si sarebbe incarnato nelle masse il processo di rinnovamento del popolo italiano"[senza fonte].

Segretari

Congressi

  • I Congresso - Bologna, 14-16 giugno 1919
  • II Congresso - Napoli, 8-11 aprile 1920
  • III Congresso - Venezia, 20-23 ottobre 1921
  • IV Congresso - Torino, 12-13 aprile 1923
  • V Congresso - Roma, 28-30 giugno 1925

Bibliografia

  • Giulio Andreotti, De Gasperi e il suo tempo, Mondadori, Milano 1956.
  • Alcide De Gasperi, Le battaglie del Partito popolare. Raccolta di scritti e discorsi politici dal 1919 al 1926, a cura di P. Piccoli e A. Vadagnini, pref. di F. Malgeri, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1992 [2]
  • Gabriele De Rosa, Storia del Partito Popolare Italiano, Laterza, Bari 1966.
  • Nico Perrone, Il segno della DC, Dedalo Libri, Bari 2002.
  • Pietro Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, Il Mulino, Bologna 1977.

Note

Voci correlate