Palazzo Cannavina

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Palazzo Cannavina
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàCampobasso
Indirizzovia Vittorino Cannavina
Coordinate41°33′40.68″N 14°39′32.98″E / 41.5613°N 14.65916°E41.5613; 14.65916
Informazioni generali
CondizioniIn uso
Costruzione1500-1530
Ricostruzionefine XVIII secolo
Piani3
Realizzazione
CommittenteFerrante I Gonzaga
Ritratto di Isabella di Capua

Il Palazzo Cannavina è un palazzo gentilizio di Campobasso. Si trova sulla via omonima (ex via Borgo), tra largo san Leonardo e vico Fondaco della Farina.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'edificio attuale è di fine Settecento, fu costruito demolendo la fabbrica precedente risalente all'inizio del XVI secolo. Michelangelo, esponente dell'illustre famiglia Salottolo, comprò il palazzo nel 1782 per 1800 ducati e procedendo contestualmente alla sua totale ristrutturazione che fece perdere alla struttura le sue caratteristiche originali.[1] L'impianto originale del Palazzo, infatti, fu realizzato probabilmente tra il 1500[2] e il 1530 (data quest'ultima del matrimonio tra Isabella di Capua[3], principessa di Molfetta e Ferrante I Gonzaga, conte di Guastalla dal 1539 e viceré di Sicilia nel 1535 ricordata dallo stemma nobiliare rinvenuto all'interno del Palazzo[1]).

Dopo i Gonzaga lo stabile passò al nobile napoletano Ottavio Vitaliano, in seguito appartenne alla casata dei Carafa, duchi di Jelsi e feudatari di Campobasso. Nel 1727 alla morte di Mario, non avendo questi eredi[4], passò ai Demanisti di Campobasso che ricomprarono il feudo nominando barone Salvatore Romano, contadino del luogo. La struttura fu venduta da questi ultimi nel 1783 a Michelangelo esponente dell'influente famiglia dei Salottolo che tennero in proprietà l'ultima porzione del fabbricato fino alla fine del XIX secolo. Il palazzo fu acquistato dalla famiglia Cannavina, il cui nome è rimasto legato all'edificio[4]. Nel 2011 gli arredamenti e il palazzo sono stati messi in vendita dagli eredi[5].

Architettura[modifica | modifica wikitesto]

Il palazzo ha forma quadrangolare[6] con una corte interna e si sviluppa su tre livelli: un piano terra che veniva usato come rimessa delle carrozze e spazi di pertinenza, due piani nobiliari e un mezzanino. Il prospetto principale presenta un imponente portale baroccheggiante, con al di sopra uno stemma formato da un albero di pino con due leoni controrampanti su tre colli[4][6]. Lo stemma è sormontato da una corona ornamentale con cinque punte visibili non riconducibile però a nessuna di quelle nobiliari conosciute. Nel palazzo esistevano due cappelle private - una per ogni piano nobile[4] - delle quali una sola ancora esistente.

Interni[modifica | modifica wikitesto]

Fino a pochi anni fa con l'ultima erede Clelia Brizzi moglie di Ferdinando Cannavina l'interno del primo piano costituito da molte stanze era impreziosito con ricchi e sofisticati arredi, tra le quali la più imponente era la sala Luigi XVI[7]. All'interno del palazzo venivano conservati i ritratti dei personaggi che ne furono proprietari e numerosi reperti di guerra, come il cannocchiale appartenuto all'Ammiraglio Nelson[6] donato dai figli dell'ammiraglio al patriota molisano Tito Barbieri[5]. Tra i beni conservati vi erano: lavori d'acciaio traforato personalizzati con nomi e dediche[5], una pianola testimone degli sfarzosi balli tenuti nel palazzo[5], una raccolta fotografica del Trombetta[5], lettere delle corrispondenze con il senatore e accademico della Crusca e dei Lincei Francesco D'Ovidio e con Antonio Ranieri (che chiedeva dati e notizie su Gabriele Pepe)[5]. Vi era anche un tricolore con la scritta independenza sventolato da Ferdinando Cannavina sulle barricate napoletane del 1848[5]. L'edificio ospitava anche una biblioteca[5] e nella cappella ad esso annessa è custodito lo stemma dei Salottolo[4].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Santoro W., Il potere dal "basso". Il Palazzo di Capua-Gonzaga tra antichi fasti e perdute memorie, in ArcheoMolise, n. 34, Campobasso, 2019, pp. 14-21.
  2. ^ ZIccardi M., Gambatesa e i di Capua. I pastori e i signori, in Ferrara D. (a cura di), Il Castello di Capua e Gambatesa, Campobasso, 2011, pp. 8-21.
  3. ^ Ziccardi M., I Gonzaga signori di Campobasso, il matrimonio tra Isabella di Capua e Ferrante I Gonzaga, in ArcheoMolise, n. 36, 2019, p. 22-25.
  4. ^ a b c d e Franco Nicola, I Palazzi della Provincia di Campobasso, su amicomol.com. URL consultato il 9 settembre 2015 (archiviato dall'url originale il 9 settembre 2015).
  5. ^ a b c d e f g h Paolo Giordano, Palazzo Cannavina. Un pezzo di storia in vendita, in il Quotidiano del Molise, Campobasso, ITALMEDIA s.r.l., 27 settembre 2011, p. 8. URL consultato il 9 settembre 2015 (archiviato il 9 settembre 2015).
  6. ^ a b c Palazzo Cannavina - Campobasso, su iPalazzi.it. URL consultato il 9 settembre 2015 (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016).
  7. ^ Pietravalle N., Molise: antichi interni, Torino, 1990, pp. 43-53.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Palazzo Cannavina a Campobasso, su turismo.provincia.campobasso.it, Assessorato al Turismo della Provincia di Campobasso. URL consultato il 9 settembre 2015 (archiviato il 26 agosto 2013).
  • Nicoletta Pietravalle, Molise: antichi interni, Torino, 1990.
  • Eduardo Di Iorio, Campobasso. itinerari di storia e di arte, Campobasso, Arti Grafiche La Regione, 1978.
  • Giambattista Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni. Il circondario di Campobasso, vol. 2, Ristampa, Campobasso, Palladino Editore, 2006 [1915].
  • G. Piedimonte, La Provincia di Campobasso, 1905.
  • Santoro W., Il potere dal "basso" Il palazzo di Capua-Gonzaga tra antichi fasti e perdute memorie, in ArcheoMolise, n°34, Anno XI, Campobasso, 2019, pp. 14-21.
  • Ziccardi M., I Gonzaga Signori di Campobasso Il matrimonio di Isabella di Capua con Ferrante I Gonzaga, in ArcheoMolise, n°34, Anno XI, Campobasso, 2019, pp. 22-25.
  • Ziccardi M., Gambatesa e i di Capua: i pastori e i signori, in, Ferrara D., Il castello di Capua e Gambateaa. Mito, Storia e Paesaggio, Campobasso, 2011.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]