Obelisco del Pincio

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obelisco del Pincio
Autoresconosciuto
Datasconosciuta
Materialegranito rosa
Altezza1726 cm
Ubicazionepiazza Bucarest, Roma
Coordinate41°54′38.88″N 12°28′46.92″E / 41.9108°N 12.4797°E41.9108; 12.4797

L'obelisco del Pincio (o obelisco di Antinoo) è uno dei tredici obelischi antichi di Roma, situato in piazza Bucarest, lungo il viale dell'Obelisco (Pincio).[1][2]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Busto di Antinoo-Osiride.

Venne realizzato durante il II secolo all'epoca dell'imperatore romano Adriano in onore di Antinoo, il ragazzo greco da lui amato; collocato inizialmente a decorare un monumento dedicato al giovane dopo la sua morte avvenuta nel Nilo in circostanze rimaste in parte oscure. L'imperatore aveva fatto tagliare la pietra in Egitto con l'intenzione di trasportare l'opera terminata a Roma per porla davanti al monumento eretto in onore dell'adolescente a lui caro; la precisa ubicazione originaria che avrebbe dovuto avere la costruzione non è però nota[3].

Statua di Antinoo delfico rinvenuta all'interno del santuario di Apollo a Delfi, esempio dell'ampiezza raggiunta dal suo culto.

Adriano indirizza al suo amante morto un culto che ha portato alla creazione di numerosi santuari, soprattutto nelle terre orientali ellenizzate dell'Impero. Dopo la morte di Adriano il culto di Antinoo è stata proseguito fino a quando non prevalse il cristianesimo e il suo nome cadde nella damnatio memoriae ma, grazie al fatto che le incisioni sull'obelisco sono in geroglifici, il testo ha avuto così la possibilità di sopravvivere alla distruzione di cui furono vittime gli altri santuari.

Nel III secolo andò a decorare, per volere dell'imperatore adolescente di origini siriache Eliogabalo, la spina del circo Variano, nella sua residenza suburbana. Qui fu infine rinvenuto rotto in tre pezzi nel 1589 appena fuori dell'attuale Porta Maggiore; dal luogo di ritrovamento, presso le mura aureliane, viene chiamato inizialmente "obelisco Aureliano".

Nel 1633 l'obelisco venne fatto spostare dalla famiglia Barberini nel giardino del loro Palazzo Barberini, senza essere però rialzato; venne quindi donato a papa Clemente XIV che lo fece trasferire nel Cortile della Pigna in Vaticano.

Infine, è stato nuovamente innalzato su basamento da Giuseppe Valadier nei Giardini del Pincio a Roma nel 1822, per volere di papa Pio VII durante l'ultima parte del suo pontificato.[4][5]

Iscrizione in latino posta sulla base dell'obelisco.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

La cupola.

Ha un'altezza di 9,24 metri e con il basamento e la stella sulla cima misura 17,26 metri.

L'obelisco contiene un'insolita titolatura in caratteri geroglifici egizi, che ha indotto alcuni egittologi, come Ph. Derchain[6] e J.-C.Grenier[7], nel riconoscervi impresso un testo scritto da un sacerdote della città di Akhmim, un certo Pétarbeschenis; ed effettivamente è stata ritrovata sulla sua stele funeraria[8] una titolatura molto simile: questi due esempi sono le uniche certificazioni note di una tal tipologia di posizionamento dei geroglifici.

I geroglifici che lo adornano in tutti e quattro i suoi lati raccontano la vicenda riguardante la morte di Antinoo, la sua apoteosi, deificazione ed installazione accanto agli altri dèi, oltre alle notizie sulla creazione della città di Antinopoli in suo onore e all'istituzione di un culto specifico dedicato ad Osiride-Antinoo[7].

Tagliato in granito rosa e dotato di un'iscrizione commemorativa in geroglifici che, sul lato sud chiede che Antinoo venga assimilato con Osiride, equiparato ad Amon-Ra per la salvezza futura di Adriano e come premio concesso all'imperatore, che ha costruito questo obelisco; sul lato nord è segnalato tra le altre cose, che una città di nome Antinopoli è stata fondata come un luogo di culto e giochi dedicati al nuovo dio sul luogo esatto dove Antinoo annegò.; della fondazione della città e della costruzione e allestimento di un tempio per Antinoo-Osiride è riportato anche sul lato ovest; il lato est infine contiene un elogio di Antinoo-Osiride con la richiesta rivolta a Thot, per ottenere la salvezza della sua anima[9].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Donatella Cerulli, Il giro delle sette chiese: un insolito itinerario sulle orme degli antichi pellegrinaggi alle basiliche, gelose custodi di preziose opere d'arte, sorprendenti curiosità e suggestive memorie storiche, Edizioni Mediterranee, 1999, ISBN 978-88-272-1317-9. URL consultato il 7 ottobre 2021.
  2. ^ Adriano Angelini, 101 cose da fare a Roma di notte almeno una volta nella vita, Newton Compton Editori, 10 settembre 2010, ISBN 978-88-541-2323-6. URL consultato il 7 ottobre 2021.
  3. ^ cf. J.-Cl. Grenier, L'Osiris Antinoos, CENIM 1, p. 37 sqq.
  4. ^ La storia viene accuratamente descritta da Antonio Nibby in Roma nell'anno Milleottocentotrentotto: Parte II. Antica, pagg. 275-276:
    OBELISCO DEL PINCIO.
    Di tutti gli obelischi di Roma questo è stato l'ultimo ad essere innalzato, come è il più recente di tutti quelli che portano una data positiva. Imperciocchè i cartelli danno ripetutamente i nomi di Adriano Cesare e di Sabina Augusta [...]; due volte pure vi si legge il nome del favorito Antinoo [...]. Quindi è chiaro che fu fatto tagliare da Adriano forse per qualcuno degli edificii della sua villa, e di là da Elagabalo fu trasportato ne' suoi giardini Variani per ornamento della spina del circo, del quale come ho notato veggonsi le vestigia fuori delle mura attuali di Roma fra le porte S. Giovanni e Maggiore, siccome notai nella Parte Prima p. 607. Dopo la caduta rimase quest'obelisco sempre sopratterra, ma rotto, ed il Fulvio Antiq p LXVII e p LXXIb lo vide sul principio del secolo XVI rotto in due pezzi, e lo designa come fuori di porta Maggiore dietro la chiesa di s. Croce in Gerusalemme, entro le vigne. Restò negletto fino all'anno 1570 allorché Curzio e Marcello Saccoccia misero in miglior vista i due pezzi e posero questa memoria in uno degli archi del condotto dell'acqua Felice che passa ivi dappresso:
    OBELISCI FRAGMENTA DIV PROSTRATA / CVRTIVS SACCOCCIVS ET MARCELLVS FRATRES / AD PERPETVAM HVIVS CIRCI SOLIS MEMORIAM / ERIGI CVRARVNT / ANNO SALVTIS M.D.LXX
    Ivi rimase fino ai tempi di Urbano VIII allorché fu fatto trasportare in Roma dai Barberini e lasciato nel cortile del loro palazzo come si legge in Pompilio Totti Roma Moderna 1638 p 273 coll'animo d'innalzarlo innanzi al ponte contiguo al palazzo medesimo. Ma fino al pontificato di papa Clemente XIV ivi si giacque negletto allorché d. Cornelia Barberini lo donò a quel papa l'anno 1773 e questi lo fece trasportare nel giardino della Pigna al Vaticano. Pio VI suo successore ebbe in animo d'innalzarlo nel cortile di Bramante sopra la fontana, e porlo sopra il piedestallo di Antonino Pio; ma sopraggiunte altre cure restò abbandonato nel cortile del vestibolo del giardino fino all'anno 1822, allorché Pio VII con architettura del Marini lo fece ristaurare, e trasportare sul ripiano della passeggiata publica sul monte Pincio ed ivi fu innalzato, come oggi si vede. Il fusto antico ha 30 piedi di altezza, ma col piedestallo moderno, e cogli ornamenti di bronzo sulla sommità giunge l'altezza totale del monumento a 57 piedi.
  5. ^ Claudio Rendina, La grande bellezza di Roma, Newton Compton Editori, 13 marzo 2014, ISBN 978-88-541-6789-6. URL consultato il 7 ottobre 2021.
  6. ^ Ph. Derchain, Le Dernier Obélisque, 1986.
  7. ^ a b L'Osiris ANTINOOS, Jean-Claude Grenier, CENiM 1, 2008, Montpellier « ENiM - Une revue d’égyptologie sur internet, su www.enim-egyptologie.fr. URL consultato il 9 gennaio 2023.
  8. ^ A. Scharff, Ein Denkstein der römischen Kaiserzeit aus Achmim, ZÄS 62, (1927), pag. 86-107.
  9. ^ R. Mambella Antinoo. "Un Dio malinconico". Nella storia e nell'arte Roma 2008, pag. 75-86.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Armin Wirsching, Obelisken transportieren und aufrichten in Aegypten und in Rom, Norderstedt, 2007. ISBN 978-3-8334-8513-8
  • L'Italia. Roma (guida rossa), Touring Club Italiano, Milano, 2004
  • Cesare D'Onofrio, Gli obelischi di Roma, Bulzoni, 1967
  • Autori Vari, Obelisco di Antinoo in Il Pincio, Edizioni De Luca, Roma, 2000, pp. 34. ISBN 88-8016-400-7
  • R. Mambella Antinoo. "Un Dio malinconico". Nella storia e nell'arte Roma 2008

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