Museo civico archeologico Paolo Vagliasindi

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Museo civico archeologico Paolo Vagliasindi
Il Castello Svevo sede del Museo.
Ubicazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàRandazzo
IndirizzoVia Castello, 1, - Randazzo
Coordinate37°52′36.52″N 14°56′34.92″E / 37.87681°N 14.943033°E37.87681; 14.943033
Caratteristiche
TipoMuseo archeologico, ceramica, oreficeria e numismatica
Sito web

Il museo civico "Paolo Vagliasindi" è un museo archeologico di Randazzo (provincia di Catania).

Il museo è ospitato nel Castello "ex carcere", un torrione inserito nelle mura cittadine, che venne utilizzato come prigione tra il XVII secolo e il 1973. Precedentemente la sede era stata quella del Palazzo Vagliasindi, danneggiato da un bombardamento della seconda guerra mondiale nel 1943.

Il museo raccoglie reperti del VI-IV secolo a.C., provenienti dalla collezione ottocentesca di Paolo Vagliasindi, rinvenuti per la maggior parte nella contrada Sant'Anastasia di Randazzo. Altri oggetti vennero riportati alla luce nella stessa località dagli scavi di Antonino Salinas (1898-1899) e di Paolo Orsi (1904). Tra questi spicca l'"Oinochoe Vagliasindi", una oinochoe attica a figure rosse sulla quale è raffigurato il raro mito delle Arpie che infastidiscono il re cieco Fineo e vengono punite dai Borea di (Zete e Calaide)[1].

Percorso museale[modifica | modifica wikitesto]

Sala Phitoi[modifica | modifica wikitesto]

Al piano terra c'è la Sala "de li crozzi" con due pithoi: uno risale all'età preistorica mentre l'altro è di età greca, come suggerisce un'iscrizione in caratteri greci presente sul corpo del vaso.[2]

Sala Oinochoe Vagliasindi[modifica | modifica wikitesto]

Qui è esposto l'omonimo vaso a figure rosse con il mito delle Arpie che tormentano il re Fineo. Le vetrine contengono oggetti e utensili in bronzo e una collezione numismatica con monete che vanno dall'età greca al periodo borbonico.[3]

Sala Ionica[modifica | modifica wikitesto]

Sono presenti dei balsamari a forma di animali, come un centauro, una colomba e alcuni topolini decorati con tralci d'edera. Nelle altre vetrine ci sono reperti di fabbrica ionica, corinzia e alcune kotylai miniaturistiche e fenicie. Sono presenti inoltre una collana in pasta vitrea di trentatré vaghi e un piccolo aryballos in faience, entrambi di origine fenicia.[4]

Sala Ceramica Nera[modifica | modifica wikitesto]

Sono presenti molte ceramiche: gli skyphoi, le pissidi con coperchio, i gutti con lunghi beccucci e utilizzati come poppatoi, le coppette, le lekythoi di uso funerario. Questi oggetti costituiscono un vasto repertorio di forme legate alla vita quotidiana e al simposio.[5]

Sala Attica Figurata[modifica | modifica wikitesto]

Le vetrine contengono alcune lekythoi, quattro pissidi con vernice lucida, due oinochoai ca testa femminile e altre lekythoi più piccole. La maggior parte di questi vasi sono decorati con motivi vegetali, scene tratte dalla mitologia greca e scene di vita quotidiana: è certamente un esempio l'hydria del pittore della Phiale sulla quale è rappresentato l'inseguimento tra Teseo ed Elena. Sono presenti anche delle lekythoi decorate con la tecnica a fondo bianco, di destinazione funeraria[6].

Sala Ellenistica[modifica | modifica wikitesto]

Sono conservate ceramiche proto-siceliote ed ellenistiche. Nelle prime vetrine sono esposti i vasi con decorazione figurata, mentre nelle successive si trovano esemplari di ceramica nera con motivi decorativi a stampo. Sono esposte statuette in terracotta di età ellenistica ed altri oggetti della vita quotidiana: alcuni pesi da telaio, due oscilla in pietra e tre astragali.[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Filippo Giudice, "La ceramica attica del IV secolo a.C. in Sicilia ed il problema della formazione delle officine locali", in Nicola Bonacasa, Lorenzo Braccesi, Ernesto De Miro (a cura di), La Sicilia dei due Dionisî (settimana di studio, Agrigento 1999), L'Erma di Bretschneider, 2002, p.194 e seguenti (ISBN 8882651703, ISBN 9788882651701); immagine dell'"Oinochoe Vagliasindi" Archiviato il 19 maggio 2008 in Internet Archive. sul sito del comune di Randazzo.
  2. ^ Randazzo, museo archeologico, su comune.randazzo.ct.it:8080. URL consultato il 28 agosto 2018 (archiviato dall'url originale il 29 agosto 2018).
  3. ^ Randazzo, museo archeologico, su comune.randazzo.ct.it:8080. URL consultato il 28 agosto 2018 (archiviato dall'url originale il 29 agosto 2018).
  4. ^ Randazzo, museo archeologico, su comune.randazzo.ct.it:8080. URL consultato il 28 agosto 2018 (archiviato dall'url originale il 29 agosto 2018).
  5. ^ Randazzo, museo archeologico, su comune.randazzo.ct.it:8080. URL consultato il 28 agosto 2018 (archiviato dall'url originale il 29 agosto 2018).
  6. ^ Randazzo, museo archeologico, su comune.randazzo.ct.it:8080. URL consultato il 28 agosto 2018 (archiviato dall'url originale il 29 agosto 2018).
  7. ^ Randazzo, museo archeologico, su comune.randazzo.ct.it:8080. URL consultato il 28 agosto 2018 (archiviato dall'url originale il 29 agosto 2018).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]