Agrippa Menenio Lanato

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Menenio Agrippa
Console della Repubblica romana
Nome originaleAgrippa Menenius Lanatus
Morte493 a.C.
GensMenenia
Consolato503 a.C.

Agrippa Menenio Lanato (in latino Menenius Agrippa; ... – 493 a.C.[1]) è stato un politico romano, membro della gens Menenia.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Menenio fu eletto console nel 503 a.C. assieme a Publio Postumio Tuberto[2]: prima si trovò a fronteggiare gli attacchi dei Sabini, su cui i Romani ebbero la meglio durante gli scontri campali nei pressi di Eretum[3], e poi la defezione delle città di Pometia e Cori, passate nelle file degli Aurunci. Dopo aver sconfitto le fitte schiere dell'esercito aurunco, i due consoli mossero battaglia a Pometia; la battaglia, combattuta ferocemente da ambo le parti, fu vinta dai Romani, che decretarono il trionfo per i due consoli[4]. Secondo Dionigi, solo Menenio ottenne il trionfo, mentre a Postumio fu concessa solo l'ovazione, per il comportamento imprudente da lui tenuto durante i primi scontri con i Sabini.[5]

Nelle lotte fra patrizi e plebei, fu considerato un uomo dalle opinioni moderate che ebbe la fortuna, rara nei conflitti civili, di essere apprezzato e stimato da entrambe le parti.

Grazie alla sua mediazione, la prima grande rottura fra patrizi e plebei, corrispondente all'evento storico della secessione sul Monte Sacro (o secessione della plebe), fu ricondotta a una conclusione felice e pacifica nel 494 a.C.

In questa occasione si dice che abbia esposto alla plebe il suo ben noto apologo del ventre e delle membra.

Morì alla fine dello stesso anno e, poiché aveva lasciato proprietà appena sufficienti a pagare un funerale estremamente semplice, fu sepolto con un magnifico funerale a spese dello Stato.[6] I plebei avevano raccolto contributi volontari per lo scopo, che furono dati ai figli di Menenio, dopo che il Senato decretò che le spese del funerale fossero a carico dell'Erario.[7]


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Agrippa spiegò l'ordinamento sociale romano con una metafora, paragonandolo (come in Esopo) a un corpo umano: infatti, come in tutti gli insiemi costituiti da parti connesse tra loro, così anche nell'organismo dell'uomo, se ciascuna parte collabora con le altre, sopravvive, se invece le parti discordano tra loro, tutte periscono. Così, se effettivamente le braccia (il popolo) si rifiutassero di lavorare, lo stomaco (il senato) non riceverebbe cibo. Ma qualora lo stomaco non ricevesse cibo, non potrebbe poi redistribuirlo in piccole frazioni a tutto il resto dell'organismo: cosicché l'intero corpo, braccia comprese, deperirebbe per mancanza di nutrimento.[8]

Con questo apologo Agrippa riuscì a ricomporre la situazione di discordia tra plebe e aristocrazia, e il popolo fece così ritorno alle proprie occupazioni.

Secessione della plebe sul Monte Sacro

«Una volta, le membra dell'uomo ritenendo lo stomaco ozioso discostarono da lui e disposero che le mani non portassero cibo alla bocca né che la bocca dovesse accettarlo né che i denti dovessero masticare. Ma, nel momento in cui intesero di dominare lo stomaco, pure esse stesse soffrirono e l'intero corpo giunse a un deperimento estremo, di qui, si palesò che il compito dello stomaco non è affatto essere nullafacente, ma, dopo avere accolto i cibi, di redistribuirli in virtù di tutte le membra. E esse ritornarono in amicizia con lui. Così, il senato e il popolo romano in quanto sono un unico corpo, con la discordia periscono con la concordia gioiscono.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Libro VI, § 96.
  2. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, V, 44.
  3. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, V, 44-47.
  4. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, libro II, 16
  5. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, V, 47.
  6. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II.33.
  7. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VI, 96.
  8. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II.32.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Fasti consulares Successore
Publio Valerio Publicola IV
e
Tito Lucrezio Tricipitino II
503 a.C.
con Publio Postumio Tuberto II
Opitero Verginio Tricosto
e
Spurio Cassio Vecellino I
Controllo di autoritàVIAF (EN20477102 · CERL cnp00539350 · LCCN (ENnr91022293 · GND (DE118819607 · BNF (FRcb119494766 (data) · NSK (HR000140219 · WorldCat Identities (ENlccn-nr91022293