Massimo D'Alema

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Massimo D'Alema

Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana
Durata mandato21 ottobre 1998 –
26 aprile 2000
Capo di StatoOscar Luigi Scalfaro
Carlo Azeglio Ciampi
Vice presidenteSergio Mattarella[1]
PredecessoreRomano Prodi
SuccessoreGiuliano Amato

Vicepresidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana
Durata mandato17 maggio 2006 –
8 maggio 2008
ContitolareFrancesco Rutelli
Capo del governoRomano Prodi
PredecessoreGianfranco Fini
Giulio Tremonti
SuccessoreAngelino Alfano

Ministro degli affari esteri
Durata mandato17 maggio 2006 –
8 maggio 2008
Capo del governoRomano Prodi
PredecessoreGianfranco Fini
SuccessoreFranco Frattini

Presidente del COPASIR
Durata mandato26 gennaio 2010 –
15 marzo 2013
PredecessoreFrancesco Rutelli
SuccessoreGiacomo Stucchi

Vicepresidente dell'Internazionale Socialista
Durata mandato29 ottobre 2003 –
29 agosto 2012
PresidenteAntónio Guterres
George Papandreou

Durata mandato11 settembre 1996 –
7 novembre 1999
PresidentePierre Mauroy

Presidente dei Democratici di Sinistra
Durata mandato6 novembre 1998 –
14 ottobre 2007
PredecessoreGiglia Tedesco Tatò
Successorecarica abolita

Segretario dei Democratici di Sinistra
Durata mandato12 febbraio 1998 –
6 novembre 1998
PresidenteGiglia Tedesco Tatò
Predecessorecarica istituita
SuccessoreWalter Veltroni

Segretario del Partito Democratico della Sinistra
Durata mandato1º luglio 1994 –
12 febbraio 1998
PresidenteGiglia Tedesco Tatò
PredecessoreAchille Occhetto
Successorecarica abolita

Segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana
Durata mandato3 aprile 1975 –
12 giugno 1980
PredecessoreRenzo Imbeni
SuccessoreMarco Fumagalli

Deputato della Repubblica Italiana
Durata mandato2 luglio 1987 –
19 luglio 2004

Durata mandato28 aprile 2006 –
14 marzo 2013
LegislaturaX, XI, XII, XIII, XIV, XV, XVI
Gruppo
parlamentare
Comunista-PDS (X), PDS (XI), Progressisti-Federativo (XII), DS-L'Ulivo (XIII-XIV), PD-L'Ulivo (XV), PD (XVI)
CircoscrizioneXXI (Puglia)
CollegioLecce (X e XI),
Casarano (XII, XIII, XIV)
Incarichi parlamentari
II Commissione (Giustizia) dal 6 giugno 2006 (sostituito dal deputato Silvia Velo)
Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro degli affari esteri
Sito istituzionale

Europarlamentare
Durata mandato20 luglio 2004 –
27 aprile 2006
LegislaturaVI
Gruppo
parlamentare
PSE
CircoscrizioneItalia meridionale
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoIndipendente (dal 2023)
In precedenza:
PCI (1963-1991)
PDS (1991-1998)
DS (1998-2007)
PD (2007-2017)
Art.1 (2017-2023)
Titolo di studioDiploma di liceo classico
ProfessioneGiornalista

Massimo D'Alema (Roma, 20 aprile 1949) è un politico, giornalista e scrittore italiano, già Presidente del Consiglio dei ministri dal 21 ottobre 1998 al 26 aprile 2000, il primo e unico con un passato nel Partito Comunista Italiano a ricoprire tale carica nonché il primo capo di governo a essere nato dopo la fine della seconda guerra mondiale e dunque sotto la repubblica.

Ha guidato due esecutivi nella XIII legislatura (1998-1999 e 1999-2000), per un totale di 553 giorni. Decise di dimettersi dopo la sconfitta della sua coalizione alle elezioni regionali del 2000. Per il suo nome e per la sua posizione dominante nelle coalizioni di sinistra durante la Seconda Repubblica, viene indicato come Leader Maximo.[2][3][4].

Ha ricoperto successivamente la carica di ministro degli affari esteri e vicepresidente del Consiglio del governo Prodi II (17 maggio 2006 - 8 maggio 2008).

È stato segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana dal 1975 al 1980, segretario nazionale del Partito Democratico della Sinistra dal 1994 al 1998 e presidente dei Democratici di Sinistra dal 2000 al 2007.

È stato deputato per sette legislature e più volte vicepresidente dell'Internazionale Socialista. Diplomato al liceo classico, dal 13 marzo 1991 è iscritto all'albo come giornalista professionista. Dal 26 gennaio 2010 al 15 marzo 2013 ha ricoperto la carica di Presidente del COPASIR[5]. Ostile alla personalità e alla linea politica di Matteo Renzi, ha lasciato il Partito Democratico, che ha contribuito a fondare, per aderire ad Articolo Uno nel 2017.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Infanzia ed istruzione[modifica | modifica wikitesto]

È figlio di Giuseppe D'Alema, partigiano gappista, funzionario e deputato del Partito Comunista Italiano, e di Fabiola Modesti (1924-2008). I suoi nonni paterni erano originari di Miglionico, provincia di Matera.[6][7][8] È sposato con Linda Giuva, foggiana, professoressa associata di archivistica, bibliografia e biblioteconomia presso l'Università di Roma "La Sapienza", e ha due figli, Giulia e Francesco.

A causa del lavoro del padre Giuseppe, la famiglia si trasferiva spesso da una città all'altra, non di rado molto lontane tra loro (Genova, Trieste, Pescara). La madre raccontava che con il marito si decise di non imporre nulla al figlio, soprattutto in materia di religione, ma che già a sei anni «era interessato a tutto e gli piaceva tanto qualsiasi cosa sapesse di politica».[9]

Nei primi giorni di scuola si dichiarò ateo e non partecipò alle lezioni di religione, cominciando uno scontro con la maestra, che, a suo dire, faceva ogni giorno «la solita propaganda democristiana» e anticomunista.[9]

Non ebbe mai difficoltà a scuola: non fece la quinta elementare e fu il primo agli esami di terza media. Secondo sua madre fu più per la spigliatezza che per una grande applicazione, dato che non studiava molto sui libri di testo, preferendovi quelli che trovava in casa e che leggeva avidamente, specie se di storia.[9]

Prime attività politiche[modifica | modifica wikitesto]

A Roma, a Monteverde Vecchio, era iscritto ai Pionieri (associazione democratica per ragazzi e ragazze fino ai 15 anni) coi figli di Gian Carlo Pajetta. Quando in quel quartiere si tenne un congresso del partito, fu scelto - aveva appena nove anni - come rappresentante dei Pionieri: la madre ricorda che volle scriversi da solo il discorso per poi saperlo meglio, e che fece un'ottima figura, tanto da far dire a Togliatti «Capirai, se tanto mi dà tanto questo farà strada».[9] Secondo altri, invece, il commento del "Migliore" sarebbe stato assai più stizzito (per la precoce maturità politica del Pioniere): «Ma questo non è un bambino, è un nano!»[10].

La sua militanza politica cominciò nel 1963, quando s'iscrisse quattordicenne alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI). D'Alema è sempre stato considerato un «figlio del partito»[9], perché è cresciuto in un ambiente "di partito": il PCI pervadeva la vita dei genitori, numerosi alti dirigenti del PCI erano amici di famiglia e lo conoscevano fin dalla sua infanzia, e in seguito ha percorso tutti i gradi della militanza.

A Genova, città presso la quale frequentò il Liceo ginnasio Andrea D'Oria e dove il padre era segretario regionale del PCI, si occupò di organizzare il movimento studentesco nella propria scuola: ad esempio, per le manifestazioni contro la guerra in Vietnam; ma svolgeva anche volontariato in parrocchia e partecipava alla redazione del giornalino parrocchiale, oltre che alle lezioni di religione (pur essendo esonerato), discutendo sempre con l'insegnante, un sacerdote.[9]

A Pisa[modifica | modifica wikitesto]

Dopo aver conseguito la maturità classica, si trasferì nell'ottobre 1967 a Pisa, ammesso a frequentare la Classe accademica di lettere e filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, dopo essersi classificato quinto all'esame di ammissione.

All'esame di ammissione conobbe Fabio Mussi, che era appena dietro di lui in graduatoria ed ebbe una camera proprio a fianco alla sua. I due fecero subito amicizia e parteciparono assieme, in posizione eminente, alle grandi contestazioni degli studenti della Normale in quel periodo: recentemente era stato espulso Adriano Sofri, per aver infranto le rigidissime regole del collegio, che vietavano, fra l'altro, l'ingresso di ragazze nelle camere.

Dopo varie occupazioni, il regolamento fu modificato con la liberalizzazione degli accessi e l'abolizione dell'obbligo di pernottamento e dei rientri a orari predeterminati. In seguito, anche Mussi e D'Alema rischiarono l'espulsione, da cui si salvarono grazie all'appoggio di alcuni professori e all'impegno mostrato nello studio.

Grazie a queste esperienze, i due entrarono quasi subito nella dirigenza locale del PCI (il cui segretario, fra l'altro, era amico del padre di D'Alema) e organizzarono molte iniziative e manifestazioni rischiando spesso il carcere e scontrandosi coi più radicali elementi di Lotta Continua, che ritenevano D'Alema troppo allineato alla posizione del PCI.[9]

D'Alema si ritirò dagli studi poco prima di discutere la tesi, che avrebbe dovuto vertere sull'opera Produzione di merci a mezzo di merci dell'economista Piero Sraffa, amico di Antonio Gramsci. Secondo l'amico del tempo Marco Santagata, D'Alema vi rinunciò per non essere sospettato di favoritismi, poiché l'intellettuale del PCI Nicola Badaloni era diventato preside di Lettere e Filosofia;[9] sicuramente influirono notevolmente in questa scelta gli impegni politici assunti da D'Alema prima a livello locale, a Pisa, e poi, a livello nazionale, con la segreteria della FGCI; poco dopo entrò nel comitato federale nel partito.

Nel 1968 fu uno dei manifestanti che presero parte ai fatti della Bussola.[senza fonte][11]

In occasione delle elezioni comunali del 1970 fu eletto in consiglio comunale e divenne capogruppo del PCI. In tale veste fu uno dei promotori della giunta guidata da Elia Lazzari tra il luglio 1971 e il maggio 1976, un esperimento inedito sostenuto da PCI, PSI, PSIUP e da una parte della DC per superare un momento di stallo e votare il bilancio comunale.

Con questo, D'Alema conquistò l'attenzione dei vertici del partito e si fece la fama di aspirante capo del partito.[9] Tuttavia non mancarono le contestazioni della sua linea, che provocò grandi discussioni: era giudicato presuntuoso e si temevano le sue relazioni coi movimenti estremisti.[9] Un altro ostacolo erano i commenti moralisti sulla sua relazione libera e aperta con Gioia Maestro, conosciuta da poco: ostacolo che fu rimosso con un matrimonio celebrato il 19 aprile 1973 e concluso un anno e mezzo dopo[9].

Nel 2013 D'Alema ha così rievocato gli anni attorno al 1968: «Faccio parte della generazione del Sessantotto. Noi eravamo antisovietici, ma nel partito c'era gente che aveva rapporti stretti con l'Unione Sovietica. Erano legami personali e culturali profondi, creati durante la guerra, una guerra antifascista. In seno allo stesso partito, per anni, hanno convissuto diverse culture politiche. Enrico Berlinguer aveva capito qual era il vero volto dell'URSS. Ma prevalse in lui la preoccupazione che una rottura con quel mondo avrebbe portato a una spaccatura nel partito. Questa preoccupazione ha finito per rallentare il rinnovamento necessario del PCI. E così all'appuntamento con la storia siamo arrivati in ritardo».[12]

Segretario della FGCI[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1975 Enrico Berlinguer stava cercando un successore per Renzo Imbeni alla guida della FGCI, per la quale voleva un nuovo corso: che la risollevasse dalla diminuzione degli iscritti e la portasse più vicina alla linea del Compromesso storico.[9]

Il successore designato era Amos Cecchi, ma il suo sostenitore Carlo Alberto Galluzzi fu sostituito nella carica di supervisore della FGCI dall'amendoliano Gerardo Chiaromonte, amico di famiglia dei D'Alema, che scelse il futuro segretario fra D'Alema e Mussi, optando infine - dopo una cena informale coi due - per il primo, che pure non era formalmente iscritto all'organizzazione come previsto dallo statuto: la scelta di uno sconosciuto sembrò ai membri della FGCI un atto di forza e un attentato all'autonomia dell'organizzazione.

In quel periodo il motto della FGCI era "stare nel movimento": D'Alema cercò di mediare fra la sinistra extraparlamentare e il Partito per evitare una rottura definitiva, inizialmente senza risultati di rilievo. Per dare consistenza a questa prova di dialogo, si creò il settimanale Città futura, che arrivò a vendere 50 000 copie: era diretto da Ferdinando Adornato e ospitava articoli di persone dalle opinioni più varie, animato da Umberto Minopoli, Claudio Velardi, Giovanni Lolli, Goffredo Bettini, Marco Fumagalli, Walter Vitali, Giulia Rodano, Livia Turco, Leonardo Domenici: secondo D'Alema «l'ultima generazione di quadri del partito. Lì si formò un legame umano [...] quel tipo di solidarietà non si è spezzato, anche se abbiamo preso strade diverse». Il giornale chiuse poco dopo.

Dopo il rapimento di Aldo Moro nel 1978, la FGCI prese maggiormente le distanze dagli autonomi, scegliendo di emarginare i terroristi. D'Alema, tuttavia, cercò di recuperare parte del movimento proseguendo la propria opera di mediazione: ebbe occasione di parlare con Berlinguer, che era colpito personalmente dal conflitto generazionale, dato che il figlio Marco Berlinguer si era avvicinato a posizioni estremistiche: in un famoso discorso a Genova preparò alla rottura dell'unità nazionale, con un forte richiamo ai giovani, che «in fondo sono figli nostri», anche nelle esagerazioni. Ai tempi si ebbe l'impressione che Napolitano e Chiaromonte imputassero questa svolta a sinistra a D'Alema, che, per punizione, fu mandato in Puglia quale responsabile di stampa e propaganda.[9]

In Puglia[modifica | modifica wikitesto]

Il 19 marzo 1980 D'Alema arrivò a Bari, dove venne accolto dal segretario locale della FGCI, Renato Miccoli, con cui avrebbe convissuto per quasi quattro anni. Come primo atto da responsabile di stampa e propaganda acquistò la televisione locale TvZeta, finanziata anche con dei concerti. Poco dopo fu promosso responsabile dell'organizzazione. Come tale, partecipava a tutti i comizi, manifestazioni e incontri del partito, per costruire un rapporto diretto con la base del partito ed essere indipendente dal resto della dirigenza, che gli era ostile, ritenendo il suo arrivo un commissariamento.[9]

I suoi discorsi inizialmente furono giudicati troppo freddi, ma presto apprese le tecniche oratorie e conquistò la base, così che quando, dopo le fallimentari amministrative del 1981 (vinte dai democristiani), il segretario regionale si dimise, egli fu eletto al suo posto: la sua rafforzata posizione aveva permesso a Berlinguer e Alessandro Natta di premere in suo favore senza esporsi eccessivamente.[9]

Poco dopo, Berlinguer sferrò pesanti accuse al PSI e alla politica clientelare in generale (la cosiddetta questione morale), in particolare in un'intervista[13] a Scalfari ne la Repubblica del 28 luglio 1981. D'Alema si attestò sulla stessa posizione e cominciò una dura battaglia per impedire al PSI di fare della Puglia una solida base politica e di potere: la prima mossa fu ostacolare ogni alleanza locale fra PSI e DC; a questo scopo formò a Bari una giunta di sinistra col socialista Rino Formica, mentre in molti altri comuni si alleò con la DC. Infine, nonostante le resistenze interne al partito, strinse un'alleanza con la DC anche per la Regione.

Con questo curriculum, al congresso del 1983 fu eletto membro della direzione nazionale, assieme ad altri dirigenti locali come Piero Fassino, Giulio Quercini e Lalla Trupia.

Periodo post-Berlinguer[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1984, nonostante D'Alema fosse soltanto un giovane dirigente locale, Berlinguer lo portò con sé al funerale di Jurij Vladimirovič Andropov, per dare un forte segnale di rinnovamento e, si ipotizzò allora, per prepararlo alla successione in un congresso di due anni dopo.[9]. Berlinguer però morì poco dopo e gli succedette Alessandro Natta, una soluzione di transizione in vista dell'elezione a segretario di uno dei giovani selezionati da Berlinguer, tra i quali Occhetto e D'Alema erano quelli più in vista. Natta diede a D'Alema l'importante incarico dell'organizzazione, mentre Achille Occhetto, nel luglio del 1987, fu nominato vicesegretario.

Nel 1984 poco dopo la morte di Berlinguer fu colpito da una tragedia personale: la terrificante morte della sua compagna Giusi Del Mugnaio, una ragazza di Bologna poco più che trentenne e che per amore di lui aveva lasciato una brillante carriera politica: fu travolta e uccisa da una auto sulla superstrada tra Bari e Brindisi, il 20 luglio, morendo sul colpo.

Quando il 30 aprile 1988 Natta ebbe un infarto, D'Alema - che in quel periodo era direttore de l'Unità - a Italia Radio parlò per primo della successione, senza discuterne con lui. Nel frattempo Occhetto e D'Alema avevano spinto per modificare la linea del partito, rendendola più aggressiva verso il PSI di Bettino Craxi e più aperta verso un cambiamento del sistema politico imperniato sul maggioritario.

Fu eletto deputato per la prima volta nel 1987, nella circoscrizione Lecce-Brindisi-Taranto.

Nascita del PDS[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1990 concluse l'esperienza a capo de l'Unità: Occhetto aveva bisogno di lui per dare seguito alla svolta della Bolognina. D'Alema, da coordinatore della segreteria, si occupava dei rapporti con l'ala sinistra del partito ed era una garanzia di stabilità, per il suo essere un «figlio del partito» che non l'avrebbe mai tradito o gettato a mare; al contrario, Occhetto appariva voler approfittare della svolta per demolire parte della tradizione del partito con cui non era a proprio agio.[9] Infatti nel suo libro Il sentimento e la ragione Occhetto scrive che D'Alema affrontò la svolta descrivendola come una "dura necessità", impostazione che strideva con la sua.

D'Alema divenne subito coordinatore della segreteria del neonato partito, acquistandovi una posizione eminente (anche grazie al controllo delle leve organizzative) e quasi facendo ombra a Occhetto, tanto da essere considerato il vicesegretario di fatto, cosicché, nell'aprile 1992, fu escluso dalla direzione per diventare capogruppo alla Camera (dopo essere stato capolista alle elezioni). Contemporaneamente Walter Veltroni, responsabile della propaganda, fu promosso da Occhetto alla direzione de l'Unità.

Fine della prima Repubblica[modifica | modifica wikitesto]

Massimo D'Alema, il vicepresidente della Camera dei deputati Alfredo Biondi e il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro durante lo scambio di auguri per le feste natalizie del 1992.

A maggio, nell'instabilità esacerbata dall'attentato a Giovanni Falcone, D'Alema preferì con Ciriaco De Mita la candidatura alla Presidenza della Repubblica di Oscar Luigi Scalfaro a quella di Giovanni Spadolini caldeggiata da Occhetto.

Quando si formò il primo governo Amato, D'Alema non votò la fiducia, ma cominciò una fase di dialogo e di collaborazione per superare le difficoltà politiche e finanziarie del momento: dopo la crisi del governo, D'Alema fu intervistato - primo ex comunista - dal giornale della DC Il Popolo. In quell'intervista accreditò l'idea di un governo sostenuto dai partiti riformatori ma guidato da un uomo nuovo: era il profilo di Romano Prodi, ma per quella fase si scelse di formare un governo tecnico guidato da Carlo Azeglio Ciampi, per cui giurarono anche dei pidiessini. Essi tuttavia si dimisero dopo che il Parlamento aveva negato ai magistrati l'autorizzazione a procedere contro Craxi; il PDS non votò la fiducia ma D'Alema mantenne dei contatti di collaborazione col governo.

In seguito alla vittoria del PDS alle amministrative del 1993 furono indette in anticipo nuove elezioni, che si tennero nel 1994: furono vinte da Silvio Berlusconi mentre D'Alema fu eletto nel collegio n. 11 della Puglia.

Segretario del PDS[modifica | modifica wikitesto]

In seguito alla sconfitta elettorale, Achille Occhetto si dimise e, nella successione apertasi, sostenne Veltroni contro D'Alema. Eugenio Scalfari su la Repubblica suggerì di scegliere il segretario con un referendum, che la direzione del partito decise di tenere fra tutti i 19.000 dirigenti centrali e locali del partito.

Piero Fassino si occupava di promuovere la candidatura di Veltroni; Scalfari scriveva che se fosse stato eletto D'Alema non sarebbe cambiato nulla; esperti di immagine lo bocciavano; Giampaolo Pansa lo soprannominava «baffino di ferro» (riferimento a «baffone», nomignolo attribuito a Stalin), alludendo ad un suo presunto attaccamento ad una vecchia concezione del partito e della politica.

Al referendum parteciparono solo 12 000 aventi diritto, di cui circa 6 000 votarono per Veltroni e circa 5 000 per D'Alema; poiché nessuno aveva conseguito la maggioranza, la decisione fu rimandata al Consiglio nazionale, composto di 480 membri, che furono pressati da una parte da Fassino e dall'altra da Claudio Velardi (divenuto il più fedele collaboratore di D'Alema che conosceva fin dall'inizio della sua carriera parlamentare), aiutato da una squadra di dalemiani, quasi tutti ex esponenti della FGCI.[9]

Il 1º luglio 1994 D'Alema fu eletto Segretario nazionale con 249 voti contro 173: secondo il diretto interessato, ciò avvenne perché il partito voleva un cambiamento rispetto alla politica di Occhetto, cui Veltroni era troppo vicino.[9]

Come segretario del PDS D'Alema si avvicina ai popolari, contribuendo alla nascita de L'Ulivo, perseguendo, a differenza di Occhetto, una politica di alleanza con le forze di centro-sinistra di ispirazione cattolica, e accettando che fosse candidato premier l'ex presidente dell'IRI Romano Prodi, una figura più rassicurante per l'elettorato moderato, benché il PDS fosse nettamente la componente preponderante, dal punto di vista elettorale, all'interno dell'Ulivo.

L'Ulivo al governo[modifica | modifica wikitesto]

D'Alema nel 1996
Massimo D'Alema, Segretario del Partito Democratico della Sinistra, insieme a Romano Prodi, candidato Presidente del Consiglio per L'Ulivo, e a Lamberto Dini, Presidente del Consiglio uscente nel 1996

Il 21 aprile 1996, a seguito di una nuova tornata elettorale che vide prevalere la coalizione de L'Ulivo sul centro-destra, riconfermò il proprio seggio. Sotto la sua guida, nel 1996, il PDS diventò il primo partito nazionale (21,1%), prima e unica volta per un partito di sinistra in elezioni politiche (il PCI lo fu ma nelle elezioni europee del 1984).

Il 5 febbraio 1997 D'Alema viene eletto presidente della Commissione parlamentare bicamerale per le riforme istituzionali, dopo aver convinto l'allora leader dell'opposizione Silvio Berlusconi a sostenere la sua candidatura. Il 9 ottobre 1997, dopo che Rifondazione Comunista tolse l'appoggio al governo, Prodi si dimise temporaneamente. D'Alema sarebbe stato orientato verso elezioni anticipate, approfittando della difficoltà del Polo e della stessa Rifondazione. Prodi però riuscì a trovare un compromesso con Fausto Bertinotti e la crisi rientrò.

Nel 1998 D'Alema guida il PDS verso gli "Stati Generali della Sinistra", per unificare il PDS con altre forze della sinistra italiana e creare un unico soggetto politico[14][15]. Il partito si apre in tal modo ai contributi di altre culture riformiste, dandosi una svolta in chiave moderna, eliminando i riferimenti ad un comunismo deteriorato dall'età, infatti decide di "ammainare", ossia togliere dal simbolo lo stendardo recante la falce e il martello ed al suo posto viene inserita la rosa, vessillo del socialismo europeo, e proponendosi come efficace forza socialdemocratica. Il rinnovato soggetto politico prese il nome di Democratici di Sinistra (DS), al quale aderisce oltre il PDS, la Federazione Laburista, il Movimento dei Comunisti Unitari, i Cristiano Sociali, la Sinistra Repubblicana, ossia molti esponenti di estrazione socialista, repubblicana, cristiano-sociale e ambientalista: il 13 febbraio si celebra il congresso costitutivo dei DS, che si presenta quale partito leader della sinistra e del centro-sinistra italiano.[16]

Il 9 ottobre cade il governo Prodi, in seguito a una crisi provocata da Rifondazione Comunista, che patì anche la scissione del Partito dei Comunisti Italiani, contrari alla crisi di governo. Per la formazione di un nuovo governo con maggioranza di centro-sinistra, alcuni parlamentari centristi eletti con il Polo per le Libertà di centrodestra, guidati da Clemente Mastella e ispirati da Cossiga, si mostrarono disponibili a votare la fiducia, a patto che il presidente del Consiglio non fosse Prodi; molti videro in questa richiesta una chiara indicazione di D'Alema come nuovo capo di governo[17]. Scalfaro incaricò quindi D'Alema di formare un nuovo governo come Presidente del Consiglio.

Presidente del Consiglio dei ministri[modifica | modifica wikitesto]

Primo governo[modifica | modifica wikitesto]

Massimo D'Alema e Carlo Azeglio Ciampi eletto nuovo presidente della Repubblica il 18 maggio 1999.

Il primo governo presieduto da Massimo D'Alema rimase in carica dal 21 ottobre 1998 al 22 dicembre 1999.

D'Alema fu il primo esponente dell'ex PCI ad assumere la carica di presidente del Consiglio. Sostenne l'abolizione del servizio militare obbligatorio e l'intervento NATO nella guerra del Kosovo, attirandosi così le critiche dell'ala pacifista della sua coalizione. Dopo la Guerra del Golfo, fu il secondo bombardamento italiano del dopoguerra, avviato da basi militari NATO presenti sul territorio nazionale e con la partecipazione di mezzi dell'Aeronautica Italiana.[18]

Ad ottobre del 1999 venne annunciata una crisi di governo pilotata allo scopo di farvi entrare I Democratici, ma passarono due mesi perché si arrivasse al D'Alema bis.

Secondo governo[modifica | modifica wikitesto]

Il secondo governo presieduto da Massimo D'Alema giura al Quirinale il 22 dicembre 1999 davanti al Capo di Stato Carlo Azeglio Ciampi. Questo esecutivo è ricordato per essere come uno dei più brevi. In seguito alla sconfitta delle elezioni regionali 2000, il 26 aprile 2000 diede le dimissioni[19][20] come «atto di sensibilità politica, non certo per dovere istituzionale»[21]. In particolare D'Alema ricevette la delusione peggiore dalla vittoria nel Lazio di Francesco Storace, esponente di Alleanza Nazionale e candidato della Casa delle Libertà. Gli successe nella carica di Presidente del Consiglio Giuliano Amato, che ricopriva l'incarico di Ministro del tesoro nel suo governo.[22]

Durante il governo D'Alema II viene approvata la discussa riforma del titolo V della Costituzione, la legge sulla Par condicio che regolava l'accesso ai mezzi d'informazione delle forze politiche. Si tratta dell'unico tentativo nel corso della seconda repubblica di limitare, dal punto di vista legislativo, la predominanza nel mondo dell'informazione di Silvio Berlusconi.

Opposizione e Parlamento europeo[modifica | modifica wikitesto]

Silvio Berlusconi (secondo da sinistra) e Massimo D'Alema (quarto da sinistra) durante la Consegna alla Camera dei deputati da parte della Fondazione Craxi delle carte dell'archivio privato di Bettino Craxi (2 febbraio 2001).

Nel 2001 D'Alema si candida nel collegio di Gallipoli, ma non nella quota proporzionale, in polemica col suo partito[23]. Viene eletto alla Camera dei Deputati con il 51,49% dei consensi[24] e si iscrive al gruppo Democratici di Sinistra - L'Ulivo. Dopo l'elezione al parlamento europeo del 2004, D'Alema il 19 luglio 2004 darà le dimissioni da deputato italiano.

All'opposizione rispetto al secondo e al terzo governo Berlusconi, dal giugno 2004 al maggio 2006 è stato membro del Parlamento europeo per la lista Uniti nell'Ulivo nella circoscrizione sud, eletto con 832 000 voti. È stato iscritto al gruppo parlamentare del Partito Socialista Europeo.

Ministro degli affari esteri[modifica | modifica wikitesto]

D'Alema insieme al Segretario di Stato statunitense Condoleezza Rice il 16 giugno 2006

Alle elezioni politiche del 2006, vinte della coalizione di centro-sinistra L'Unione, D'Alema viene eletto deputato, rinunciando quindi alla carica di Parlamentare europeo. È stato proposto in modo informale da L'Unione come Presidente della Camera dei deputati, ma lo stesso D'Alema ha poi rinunciato a questo incarico per evitare possibili divisioni all'interno della coalizione e facilitando così la proposta e la successiva elezione di Fausto Bertinotti.

Nel maggio del 2006, alla scadenza del settennato di Carlo Azeglio Ciampi e dopo la rinuncia di quest'ultimo ad un possibile nuovo reincarico, è stato per alcuni giorni proposto in modo informale dal centro-sinistra come Presidente della Repubblica. Data la divisione che il suo nome ha provocato nel mondo politico, l'Unione, dopo una nuova rinuncia di D'Alema, ha preferito convenire per il Quirinale sul nome di un altro esponente dei DS, Giorgio Napolitano, eletto presidente della repubblica il 10 maggio 2006.

Il 17 maggio 2006 diventa vicepresidente del Consiglio dei Ministri assieme a Francesco Rutelli e ministro degli affari esteri nel secondo governo Prodi. Durante il suo mandato c'è stata una politica di freddezza nei confronti dell'amministrazione Bush, si ricorda ad esempio il rifiuto del rafforzamento delle truppe nella guerra in Iraq,[25], la presenza dell'Italia nella missione di pace durante la guerra del Libano[26], e in seguito l'impegno per la promozione di una moratoria presentata all'ONU[27] sull'abolizione della pena di morte nel mondo.

Il 21 febbraio 2007 è stato chiamato in Senato a riferire sulle linee guida di politica estera del governo, dopo aver dichiarato pubblicamente che qualora non si fosse raggiunta la maggioranza sulla mozione il governo si sarebbe dovuto dimettere. L'esito della votazione seguita alla sua relazione (158 favorevoli, 136 contrari e 24 astenuti) ha visto battuto il governo (non essendo stato raggiunto il quorum di voti favorevoli necessario, pari a 160 voti), motivo per cui il presidente del consiglio Romano Prodi ha rassegnato le dimissioni. Rinnovata la fiducia al governo, D'Alema ha ripreso a ricoprire la carica di Ministro degli affari esteri fino alla caduta del Governo Prodi il 24 gennaio 2008.

Da Ministro degli Esteri, il 18 dicembre 2007, ottiene un importante successo come promotore di una moratoria sulla pena di morte approvata per la prima volta nella storia dall'ONU (104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti) dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto per il mancato raggiungimento del quorum.

Altre cariche[modifica | modifica wikitesto]

È membro della Conferenza dei presidenti di delegazione; della Commissione per il commercio internazionale; della Commissione per la pesca; della Commissione per gli affari esteri; della Sottocommissione per la sicurezza e la difesa; della Delegazione Permanente per le relazioni con il Mercosur; della Delegazione per le relazioni con i paesi del Maghreb e l'Unione del Maghreb arabo (compresa la Libia).

Nel dicembre 2000 è stato eletto presidente dei Democratici di Sinistra (DS); ha mantenuto la carica fino ad aprile 2007.

Nell'ottobre 2003, nel corso del 22º Congresso dell'Internazionale Socialista, tenutosi a San Paolo del Brasile, è stato eletto tra i vicepresidenti della stessa. Al successivo 23º Congresso organizzato nel 2008 a Città del Capo è stato riconfermato alla carica per un altro mandato.

Nel 2006 ha ricevuto il titolo di Cavaliere di gran croce dell'Ordine Piano[28].

Partito Democratico[modifica | modifica wikitesto]

D'Alema nel 2008

Nel 2007 è stato uno dei 45 membri del Comitato nazionale per il Partito Democratico che ha riunito i leader delle componenti del Partito Democratico prima dell'avvio della sua fase costituente.

Attualmente è presidente della Fondazione di cultura politica Italianieuropei e fondatore del movimento politico ReD, sigla di Riformisti e Democratici, che ha suscitato non poche critiche da parte di esponenti dello stesso Partito Democratico evidenziando la possibilità che questa iniziativa potesse causare problemi allo stesso[29]. D'Alema, considerato un'anima critica nei confronti della segreteria diretta da Walter Veltroni, ha comunque smentito qualsiasi ipotesi di nascita di correnti, dichiarandosi ad esse contrario.

Il 26 gennaio 2010, a seguito delle dimissioni di Francesco Rutelli, viene eletto all'unanimità Presidente del COPASIR, rimanendo in carica fino alla fine della legislatura.[5]

In vista delle elezioni politiche in Italia del 2013, non si ricandida al Parlamento.

Alla scadenza del mandato di Giorgio Napolitano nel 2013 il suo nome circola tra i candidati come convergenza tra Partito Democratico, Il Popolo della Libertà e Scelta Civica come Presidente della Repubblica Italiana. Il suo nome era in una rosa di nomi presentata dal Segretario PD Pier Luigi Bersani dal quale il Presidente PdL Silvio Berlusconi aveva ristretto poi una terna in cui oltre a D'Alema comparivano i nomi di Giuliano Amato e Franco Marini, che poi sarà scelto, per una ampia intesa al primo scrutinio con il quorum più alto.

L'opposizione a Renzi e scissione[modifica | modifica wikitesto]

Massimo D'Alema insieme al Vice Primo ministro e ministro degli affari esteri della Grecia Evangelos Venizelos il 7 febbraio 2014

Con la vittoria del sindaco di Firenze Matteo Renzi alle primarie del PD nel 2013, D'Alema finisce in minoranza assieme a Pippo Civati, Roberto Speranza, Pier Luigi Bersani e alla vecchia guardia.

Nel 2016 torna alla politica attiva in occasione del referendum costituzionale sulla riforma Renzi-Boschi, promuovendo, insieme alla minoranza del PD, la campagna per il "No" in opposizione a Renzi (diventato presidente del Consiglio nel 2014).

Il 25 febbraio 2017, assieme ad altri compagni di partito - fra cui Enrico Rossi, Vasco Errani, Guglielmo Epifani, Bersani e Speranza - esce dal PD formando il nuovo partito Articolo Uno - Movimento Democratico e Progressista.

Alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 viene candidato al Senato della Repubblica per Liberi e Uguali, nel collegio maggioritario di Nardò, ma viene sconfitto, giungendo infatti quarto dietro alla candidata del Movimento 5 Stelle Barbara Lezzi, all'esponente del centro-destra Luciano Cariddi e al candidato del centro-sinistra Teresa Bellanova.

Aspetti controversi e vicende giudiziarie[modifica | modifica wikitesto]

D'Alema è uno dei pochi politici del centrosinistra ad aver raccolto attestazioni di stima ed appoggio anche da parte di molti che, nel Paese, si riconoscono negli ideali politici del centrodestra, ivi incluso Silvio Berlusconi; tuttavia non mancano pareri molto critici che ritengono che questa stima sia stata conquistata grazie alla tendenza all'appeasement con la controparte, e come questo abbia comportato risultati alquanto scadenti sul piano politico[30][31][32][33].

Tangentopoli[modifica | modifica wikitesto]

Nei primi mesi del 1993, quando l'inchiesta di Mani Pulite iniziava ad occuparsi delle cosiddette "tangenti rosse" al PCI-PDS, D'Alema definiva spregiativamente il pool «il soviet di Milano».[34]

Il 5 marzo 1993, il governo di Giuliano Amato approvò il decreto Conso, con cui il parlamento cercava una "soluzione politica" a Tangentopoli. Il decreto fu contestato da gran parte della popolazione, non fu firmato dal presidente Scalfaro e fu criticato dal PDS. Questo episodio fu causa di attrito fra D'Alema e Amato: il presidente del consiglio accusò il PDS di aver tenuto un comportamento ambiguo.[35]

Finanziamento illecito ai partiti[modifica | modifica wikitesto]

Secondo un'inchiesta di Maurizio Tortorella sul settimanale Panorama, nel 1985 Massimo D'Alema, allora segretario regionale del PCI in Puglia avrebbe ricevuto un contributo di 20 milioni di lire per il partito da parte di Francesco Cavallari, imprenditore barese, "re" delle case di cura riunite[36][37][38]. L'episodio sarebbe stato ammesso da D'Alema in sede processuale, e, sempre secondo quanto riportato da Panorama il giudice Russi nel decreto di archiviazione del caso avrebbe aggiunto le seguenti considerazioni: "Uno degli episodi di illecito finanziario, e cioè la corresponsione di un contributo di 20 milioni in favore del Pci, ha trovato sostanziale conferma, pur nella diversità di alcuni elementi marginali, nella leale dichiarazione dell'onorevole D'Alema (...)"[39]. L'inchiesta sottolinea inoltre come all'epoca dei fatti la vicenda non avesse trovato spazio sulla stampa[40]. Il reato è risultato già prescritto all'inizio delle indagini.[37][41]

L'utilizzo della violenza[modifica | modifica wikitesto]

Il 21 luglio 1995 a Montecchio Emilia, durante la festa del giornale satirico di sinistra Cuore, Massimo D'Alema ha dichiarato: "Io ho fatto parte del movimento del '68, ho tirato bombe molotov a Pisa, quando ero studente alla Normale..."[42]

Patto della crostata[modifica | modifica wikitesto]

Il «patto della crostata» è un'espressione coniata nel settembre 1997 da Francesco Cossiga[43] per indicare l'accordo informale sulle riforme costituzionali siglato fra D'Alema, Franco Marini, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini durante una cena svoltasi nella notte fra il 17 e il 18 giugno nella casa di Gianni Letta di via della Camilluccia a Roma[44]. La crostata in questione è il dolce che tradizionalmente veniva preparato per gli ospiti dalla moglie di Letta, Maddalena[45].

In quell'occasione, D'Alema si sarebbe impegnato a non fare andare in porto una legge sulla regolamentazione delle frequenze televisive[senza fonte]: a tale fine si sarebbe prestato l'allora presidente della ottava Commissione permanente del Senato, Claudio Petruccioli, non calendarizzando l'esame degli articoli del disegno di legge n. 1138 per tutta la XIII legislatura[senza fonte]. Tale legge infatti avrebbe costretto il gruppo Mediaset a vendere una delle proprie reti (in tal caso avrebbe scelto probabilmente la meno importante, Rete 4). Inoltre, in quel periodo, Mediaset era in procinto di quotarsi in borsa, e una legge di quel calibro avrebbe ridotto il valore dell'azienda. L'eventuale prezzo che l'altro contraente (Silvio Berlusconi) avrebbe promesso come merce di scambio, non è noto. D'Alema bollò come "inciuci" (cioè pettegolezzi privi di fondamento) tali affermazioni. A causa probabilmente della scarsa conoscenza dei dialetti meridionali da parte dell'intervistatore, al termine fu attribuito un significato distorto (ovvero, accordo sottobanco), che è poi quello per il quale oggi viene più frequentemente utilizzato[46].

Sospetto di concorso in aggiotaggio nella scalata alla BNL[modifica | modifica wikitesto]

Per D'Alema è stato ipotizzato dal GIP Clementina Forleo il concorso in aggiotaggio[47] nell'ambito della scalata alla Banca Nazionale del Lavoro (BNL) organizzata dalla Unipol di Giovanni Consorte. Il giudice Forleo richiese nel 2007 al Parlamento italiano la possibilità di utilizzare le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche[48] che coinvolgevano D'Alema, Consorte e Piero Fassino nel procedimento a carico degli scalatori, procedimento che peraltro non vede D'Alema tra gli indagati.

Secondo il Parlamento europeo - chiamato dal Parlamento italiano a pronunciarsi in materia, in quanto D'Alema era parlamentare europeo all'epoca dei fatti - i testi delle telefonate tra D'Alema e Consorte[48] non potranno essere utilizzati in quanto già esistono agli atti elementi di prova sufficienti a suffragare l'accusa nei confronti degli autori della scalata, peraltro già rinviati a giudizio.[49].

L'appartamento romano[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1995 D'Alema rimase coinvolto nella cosiddetta Affittopoli, una campagna mediatica promossa da Il Giornale secondo la quale enti pubblici davano in locazione a VIP appartamenti ad equo canone. Dopo una dura campagna mediatica D'Alema decise di lasciare l'appartamento per comprare casa a Roma, ma solo dopo essersi presentato alla trasmissione di Rai 3 condotta da Michele Santoro, dal titolo Samarcanda, in cui giustificò l'accaduto affermando che aveva avuto bisogno di una casa appartenente a enti pubblici perché versava metà del suo stipendio da parlamentare al partito (all'epoca consistente in circa 12 milioni di Lire al mese).[9] L'immobile in questione era un appartamento di 146 m² in zona Porta Portese, per il quale pagava un equo canone pari a 1.060.000 lire[50](che rivalutati secondo l'inflazione ISTAT al 2010 corrispondono a circa 780 euro).

Il 4 maggio 2010, nel corso di una puntata del 2010 del talk show Ballarò dedicata alle vicende che avevano portato alle dimissioni da ministro di Claudio Scajola, Alessandro Sallusti (condirettore de Il Giornale) tornò su questo caso definendo D'Alema «il protagonista del più grande scandalo della "casta" italiana, che era "affittopoli"», suscitando la reazione di D'Alema che, inizialmente, replicò con vigore: «L'accostamento è del tutto improprio», e in seguito ai successivi e insistenti accostamenti tra le due vicende fatti da Sallusti («Lei era un privilegiato: "affittopoli" eravate[non chiaro] una ventina di politici, quasi tutti di sinistra... Da un punto di vista etico-morale lei ha approfittato della sua posizione»), ribatté: «Vada a farsi fottere: lei è un bugiardo e un mascalzone» e successivamente «Io capisco che la pagano per venire qui a fare il difensore d'ufficio del governo [...] capisco che deve guadagnarsi il pane, ma questo modo è vergognoso, ma io non la faccio più parlare». Secondo Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, quelle di D'Alema sono state espressioni insultanti che nessun'affermazione o provocazione potevano giustificare.[51] Per le frasi rivolte a Sallusti il Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti del Lazio aprì un procedimento disciplinare a carico di Massimo D'Alema, in quanto giornalista iscritto all'Albo.[52]

Vendita di vino e libri alla cooperativa CPL Concordia[modifica | modifica wikitesto]

Nel marzo 2015 nelle indagini sul caso di tangenti a Ischia, è emerso che la CPL Concordia aveva acquistato nell'arco di 4 anni 500 copie del libro di D'Alema Non solo euro e circa 2.000 bottiglie di vino da una cantina a lui correlata. Nell'esame delle carte della CPL Concordia emerse che la Cooperativa aveva anche effettuato alcune donazioni per alcune migliaia di euro alla Fondazione Italiani Europei da parte della Cooperativa Cpl Concordia, senza alcuna relativa notizia di reato a carico della Fondazione.[53]

Vendita e reimmatricolazione della barca di proprietà sotto bandiera britannica[modifica | modifica wikitesto]

Nel Giugno del 2018 D'Alema viene riconosciuto e fotografato in crociera nell'arcipelago di La Maddalena con la sua storica barca a vela Ikarus che però ora, sotto il nuovo nome di "Giulia G" (il nome della figlia di D'Alema), batte bandiera britannica e risulta immatricolata a Londra. Diverse inchieste giornalistiche suggeriscono che l'operazione di reimmatricolazione sotto bandiera straniera sia stata fatta per convenienza fiscale. La scelta, da parte di un personaggio che ha ricoperto i massimi incarichi istituzionali e politici della Repubblica, è fonte di scandalo.[54]

Causa contro L’Espresso per l’inchiesta sugli appalti della Tav di Firenze[modifica | modifica wikitesto]

A ottobre 2013 per un’inchiesta sul settimanale L'Espresso di Lirio Abbate riguardante quella giudiziaria sugli appalti della Tav di Firenze;[55] Lirio Abbate associava i nomi di alcuni indagati (molti dei quali assolti dal Giudice dell'Udienza Preliminare e poi dalla Cassazione[56], D'Alema intentava una causa di risarcimento danni per diffamazione. All’inizio di ottobre 2018, il Tribunale non riteneva diffamatorio l'articolo di Lirio Abbate in quanto riportava termini usati dagli inquirenti nell'istruttoria, che annoveravano la presidente di Italferr tra le conoscenze di Massimo D'Alema. Veniva quindi condannato al pagamento delle spese processuali».[57]

Vendita di sistemi militari alla Colombia[modifica | modifica wikitesto]

Nel marzo 2022 è stato coinvolto, con ampia eco sulla stampa[58][59], in una vicenda internazionale di vendita di sistemi militari alla Colombia da parte di alcune aziende italiane come Leonardo e Fincantieri. Nell'ambito di tale negoziazione D'Alema avrebbe ricoperto un ruolo di mediatore. Al riguardo la Procura della Repubblica di Napoli ha aperto un'inchiesta, dove l'ex presidente del Consiglio non risultava indagato fino al 6 giugno 2023 quando assieme ad Alessandro Profumo viene indagato per corruzione internazionale aggravata.[60][61][62]

La passione velica[modifica | modifica wikitesto]

Appassionato di vela D'Alema è stato proprietario di una prima barca a vela, il Margherita. Successivamente, nel 1997, ha acquistato, con il leccese Roberto De Santis ed il romano Vincenzo Morichini, la Ikarus, una Baltic di seconda mano[63][64].

In seguito - con i proventi della vendita della stessa integrati dalla vendita di una casa nel frattempo ereditata dal padre e da un leasing - ha acquistato, in comproprietà, una nuova barca a vela, la Ikarus II, lunga 18 metri, che è stata pagata la metà del prezzo preventivato: i cantieri "Stella Polare" di Fiumicino gliel'avrebbero regalata come promozione pubblicitaria ma lui ha voluto comunque almeno pagarne la metà[65].

In merito alla passione per la vela, D'Alema ha dichiarato «la barca è una passione che mi coinvolge molto. È una forma di rapporto con il mare e con la natura. Non è vero che questa passione possano permettersela solo persone ricche»[66].

Opere principali[modifica | modifica wikitesto]

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere di gran croce dell'Ordine Piano (Santa Sede) - nastrino per uniforme ordinaria
— Città del Vaticano, 20 novembre 2006[67]

{{Onorificenze immagine = Legion Honneur GO ribbon.svg nome_onorificenza = Grand'Ufficiale dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) collegamento_onorificenza = Legion d'onore luogo = motivazione = Una delle personalità politiche più eminenti dell'Italia contemporanea data = Roma, 18 dicembre 2001[68] }}

Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito del Cile - nastrino per uniforme ordinaria

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Esclusivamente nel governo D'Alema I dal 21 ottobre 1998 al 22 dicembre 1999.
  2. ^ Un leader Maximo senza partito, in La Stampa, 20 aprile 2009. URL consultato il 10 agosto 2023.
  3. ^ Marcello Sorgi, D'Alema, il Lider Maximo che non tramonta mai, in La Stampa, 27 gennaio 2010. URL consultato il 10 agosto 2023.
  4. ^ Maria Teresa Olivieri, Ue, un posto per il leader maxi o D'Alema, in Avanti!, 31 luglio 2017. URL consultato il 10 agosto 2023 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2015).
  5. ^ a b D'Alema alla guida del Copasir per l'esponente pd voto all'unanimità, in La Repubblica, 26 gennaio 2010. URL consultato il 26 gennaio 2010.
  6. ^ "La famiglia D'Alema è originaria di Miglionico, in provincia di Matera, ma mio marito era nato a Ravenna perché lì era stato trasferito suo padre che era un ispettore scolastico" (Fabiola Modesti). Giovanni Fasanella, Daniele Martini, D'Alema: la prima biografia del segretario del PDS, Longanesi, 1995, p.10.
  7. ^ Bicamerale: rebuffa (FI) contrario, in larepubblica.it. URL consultato il 17 gennaio 2011.
  8. ^ Lucani e oriundi lucani Famosi, su lucaniamia.altervista.org, Lucaniamia. URL consultato il 10 aprile 2022.
  9. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t Giovanni Fasanella. D'Alema. Milano, Baldini & Castoldi, 1999. ISBN 88-8089-720-9
  10. ^ Edmondo Berselli, Repubblica.it/politica: D'Alema, il Grande Cinico in attesa della seconda manche, su www.repubblica.it. URL consultato il 23 gennaio 2024.
  11. ^ Vera Paggi, Ribellarsi è giusto: La notte della Bussola, su di Storia /in Storia, 26 dicembre 2021. URL consultato il 7 giugno 2023 (archiviato dall'url originale il 23 aprile 2023).
  12. ^ L'Espresso, 7 febbraio 2013.
  13. ^ La questione morale Enrico Berlinguer - Repubblica, 1981, su Metaforum - Enrico berlinguer. URL consultato il 15 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 9 agosto 2011).
  14. ^ Sarà una Cosa 2 o un grande Pds? - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 6 novembre 2020.
  15. ^ Radio Radicale, "Organizzare la speranza: i cristiani nella coalizione democratica" I Assemblea Nazionale dei Cristiano Sociali, su Radio Radicale, 18 febbraio 1995. URL consultato il 6 novembre 2020.
  16. ^ È il tempo dell'unità - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 6 novembre 2020.
  17. ^ Felice Saulino, Prodi accusa D'Alema e Cossiga, in Corriere della Sera, 19 dicembre 1998, p. 11. URL consultato il 15 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 6 maggio 2010).
  18. ^ Orlando SAcchelli, Quella volta che D'Alema fece bombardare la Serbia, su Il Giornale, 6 ottobre 2015. URL consultato il 7 luglio 2019 (archiviato il 7 ottobre 2015).
  19. ^ Sed. 712 s000r, su leg13.camera.it. URL consultato il 26 dicembre 2020.
  20. ^ Comunicato del Presidente Ciampi, su presidenti.quirinale.it. URL consultato il 26 dicembre 2020.
  21. ^ Crisi: la giornata di d'alema | Agi Archivio, su archive.is, 7 ottobre 2016. URL consultato il 26 dicembre 2020 (archiviato dall'url originale il 7 ottobre 2016).
  22. ^ Regionali fatali. Lo spettro di D'Alema che aleggia su Conte (e Zingaretti), su ilfoglio.it. URL consultato il 26 dicembre 2020.
  23. ^ Festa Pd, applausi per D'Alema. "Messaggio è: diamoci una mossa", Repubblica.it, 3 settembre 2008.
  24. ^ Gallipoli torna laboratorio, ecco chi ha scelto D'Alema, repubblica.it, 6 giugno 2001. URL consultato il 3 novembre 2013.
  25. ^ Iraq, D'Alema critica il piano Bush "Via d'uscita non è inviare più truppe", su Repubblica.it, la Repubblica, 14 gennaio 2007.
  26. ^ D'Alema: in Libano rimarremo anni ma sarà un'operazione di pace, su Repubblica.it, la Repubblica, 17 agosto 2006.
  27. ^ Pena di morte, ribadito l'impegno dell'Italia "Una task force per accelerare la risoluzione", in La Repubblica, 28 settembre 2007. URL consultato il 27 aprile 2016.
  28. ^ Il vice-conte Max alla corte di papa Ratzinger, su Il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2011. URL consultato il 23 gennaio 2024.
  29. ^ Goffredo De Marchis, D' Alema lancia Red, gelo nel Pd, in La Repubblica, 24 giugno 2008, p. 10. URL consultato il 15 dicembre 2009.
  30. ^ Maurizio Viroli, La libertà dei servi, Laterza, 2010, pp. 98-102, ISBN 978-88-420-9279-7.
  31. ^ Marco Travaglio; Peter Gomez, Inciucio, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 2005, ISBN 88-17-01020-0.
  32. ^ Gianni Barbacetto, Compagni che sbagliano, Il Saggiatore, 2007, ISBN 978-88-428-1418-4.
  33. ^ Jacopo Jacoboni, Eco: hanno fatto una figura da cioccolatai, in La Stampa, 26 gennaio 2010. URL consultato il 22 ottobre 2012 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2013).
  34. ^ Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio. Mani Pulite, la vera storia. Editori Riuniti-Rizzoli, 2002. ISBN 88-359-5241-7. pp. 95-96
  35. ^ Secondo Amato il Pds sostenne in privato e criticò in pubblico il decreto. Massimo D'Alema, all'epoca segretario, inveì: «Amato è un bugiardo e un poveraccio. È uno che deve fare di tutto per restare lì dov'è, sulla poltrona» (da Barbacetto, Gomez, Travaglio, op. cit.)
  36. ^ MicroMega - la primavera, n. 4, 23 marzo 2006, p. 55
  37. ^ a b Marco Travaglio, Ad personam. 1994–2010: così destra e sinistra hanno privatizzato la democrazia, Milano, Chiarelettere, 2010 [2010], p. 81, ISBN 978-88-6190-104-9.
  38. ^ Secondo quanto riportato da Panorama in un interrogatorio davanti al P.M. Alberto Maritati avvenuto il 19 settembre 1994 Cavallari avrebbe dichiarato: "Non nascondo che in una circostanza particolare ho dato un contributo di 20 milioni al partito. D'Alema è venuto a cena a casa mia, e alla fine della cena io spontaneamente mi permisi di dire, poiché eravamo alla campagna elettorale 1985, che volevo dare un contributo al Pci." Dichiarazione poi riconfermata il successivo 7 ottobre ( Maurizio Tortorella, D'Alema e quel peccatuccio da 20 milioni sepolto a Bari, in Panorama, 1º giugno 2000. URL consultato il 15 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 3 luglio 2010).
  39. ^ Maurizio Tortorella, D'Alema e quel peccatuccio da 20 milioni sepolto a Bari, in Panorama, 1º giugno 2000. URL consultato il 15 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 3 luglio 2010).
  40. ^ Archiviazione per D'Alema e Tatarella, in Corriere della Sera, 15 febbraio 1996, p. 5. URL consultato il 15 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 16 luglio 2011).
  41. ^ I cento parlamentari condannati, imputati, indagati o prescritti, in Il Fatto Quotidiano, 30 settembre 2012. URL consultato il 24 ottobre 2013.
  42. ^ Gorodisky Daria, Le molotov di Massimo. Colletti: allora è vero che ha paura di Walter. . ., in Corriere della Sera, 25 luglio 1995. URL consultato il 30 marzo 2014 (archiviato dall'url originale il 24 aprile 2014).
  43. ^ Cossiga lancia la Cosa bianca e riapre i giochi fra ex dc, su archiviostorico.corriere.it.
  44. ^ "Supervertice" per salvare la Bicamerale
  45. ^ Cossiga e la crostata di Maddalena Letta, su archiviostorico.corriere.it.
  46. ^ Inciucio. Come la sinistra ha salvato Berlusconi. La grande abbuffata RAI e le nuove censure di regime, da Molière al caso Celentano. L'attacco all'Unità e l'assalto al Corriere. (Peter Gomez e Marco Travaglio, 2005, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, ISBN 88-17-01020-0).
  47. ^ Il Csm assolve la Forleo E lei: «La giustizia trionfa», in Corriere della Sera, 27 giugno 2008. URL consultato il 15 dicembre 2009.
  48. ^ a b Ecco le telefonate D'Alema a Consorte, in Corriere della Sera, 12 giugno 2007. URL consultato il 15 dicembre 2009.
  49. ^ (PDF) Immunità di Massimo D'Alema (PDF), su Comunicato stampa Parlamento Europeo. URL consultato il 15 dicembre 2009.
  50. ^ D'Alema: "Lascio la casa con la coscienza a posto"
  51. ^ D'Alema sbotta a Ballarò contro Sallusti, in Corriere della Sera, 04 maggio 2010.
  52. ^ Ordine giornalisti, "ammonito" Minzolini Per D'Alema procedimento disciplinare, in Il Messaggero, 11 maggio 2010. URL consultato l'11 maggio 2010 (archiviato dall'url originale il 14 maggio 2010).
  53. ^ Tangenti a Ischia, in un'intercettazione c'è anche il nome di D'Alema
  54. ^ Paolo Bracalini, Il mistero della barca (inglese) di D'Alema, ilgiornale.it, 19 luglio 2018. URL consultato il 20 dicembre 2018.
  55. ^ Tav: larghe intese, larghi affari, L’Espresso, 30 settembre 2013. URL consultato il 12 novembre 2018.
  56. ^ Sentenza Cassazione Penale n. 53968 del 26/10/2016 – Sentenze La Legge per Tutti, su sentenze.laleggepertutti.it. URL consultato il 23 gennaio 2024.
  57. ^ L'Espresso non ha diffamato D'Alema, il politico condannato a pagare le spese, L’Espresso, 9 ottobre 2018. URL consultato il 12 novembre 2018.
  58. ^ D'Alema, armi alla Colombia. La carta di Finmeccanica che inguaia l'ex premier, su Affaritaliani.it, 22 marzo 2022. URL consultato il 23 gennaio 2024.
  59. ^ L'intermediario D'Alema e la vendita di mezzi da guerra alla Colombia - Huffington Post
  60. ^ D’Alema e le armi alla Colombia, la procura di Napoli ha aperto un fascicolo, su Il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2022. URL consultato il 12 giugno 2023.
  61. ^ Navi e aerei alla Colombia, D'Alema e Profumo indagati - Cronaca, su Agenzia ANSA, 6 giugno 2023. URL consultato il 6 giugno 2023.
  62. ^ Redazione di Rainews, L'indagine sulla compravendita di navi e aerei dalla Colombia: D'Alema e Profumo indagati, su RaiNews, 6 giugno 2023. URL consultato il 6 giugno 2023.
  63. ^ E IL SEGRETARIO SALPA SU UNA NUOVA BARCA A VELA, su ricerca.repubblica.it.
  64. ^ «Ikarus», una viareggina per il giro del mondo, su ricerca.gelocal.it. URL consultato il 29 ottobre 2010 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2015).
  65. ^ «Regalerei la barca a D'Alema, ma lui ha preferito pagarla. "Almeno la metà" così disse, con convinzione. Gennaro De Stefano (da Oggi, anno 2002)
  66. ^ Il segretario Pds conferma in tv l'acquisto dello yacht «Ikarus» D'Alema: «La vela è per tutti», su ricerca.gelocal.it. URL consultato il 29 ottobre 2010 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2015).
  67. ^ Il vice-conte Max alla corte di papa Ratzinger, su Il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2011. URL consultato il 23 gennaio 2024.
  68. ^ A D'Alema la Legion d'onore Sa rispettare gli avversari - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 18 dicembre 2001. URL consultato il 23 gennaio 2024.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana Successore
Romano Prodi 21 ottobre 1998 – 26 aprile 2000 Giuliano Amato
Predecessore Vicepresidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana Successore
Gianfranco Fini
Giulio Tremonti
17 maggio 2006 – 8 maggio 2008 Angelino Alfano
(Governo Letta)
Predecessore Ministro degli affari esteri Successore
Gianfranco Fini 17 maggio 2006 – 8 maggio 2008 Franco Frattini
Predecessore Presidente del COPASIR Successore
26 gennaio 2010 – 15 marzo 2013
Predecessore Capogruppo del Partito Democratico della Sinistra alla Camera dei deputati Successore
Giulio Quercini 30 aprile 1992 – 14 aprile 1994 Luigi Berlinguer
Predecessore Segretario dei Democratici di Sinistra Successore
carica istituita 14 febbraio – 6 novembre 1998 Walter Veltroni
Predecessore Segretario del Partito Democratico della Sinistra Successore
Achille Occhetto 1º luglio 1994 – 12 febbraio 1998 carica abolita
Predecessore Segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana Successore
Renzo Imbeni 3 aprile 1975 – 12 giugno 1980 Marco Fumagalli
Predecessore Direttore de l'Unità Successore
Gerardo Chiaromonte 1988 – 1990 Renzo Foa
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