Livia Bianchi

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Livia Bianchi "Franca"
SoprannomeFranca
NascitaMelara, 19 luglio 1919
MorteCima di Porlezza, 21 gennaio 1945
Cause della morteFucilazione
Dati militari
Paese servitoItalia
UnitàDistaccamento "Umberto Quaino"
Reparto52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici"
Anni di servizio1942-1945
GradoStaffetta
GuerreResistenza italiana
DecorazioniMedaglia d'oro al valor militare (alla memoria)
Altre caricheMondina
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Livia Bianchi nome di battaglia "Franca" (Melara, 19 luglio 1919Cima Valsolda, 21 gennaio 1945) è stata una partigiana italiana, Medaglia d'oro al valor militare, conferita alla memoria.[1]

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Gioventù[modifica | modifica wikitesto]

Nata nel polesine, a Melara, si sposò a soli sedici anni con Bruno Bizzarri, di Revere,[2] in provincia di Mantova, che, chiamato alle armi e spedito al fronte durante la II guerra mondiale, cadde prigioniero degli Alleati.[3] Rimasta sola con un figlio piccolo, senza marito e senza lavoro, sul finire del 1942 Livia raggiunse la propria famiglia, che si era frattanto trasferita a San Giacomo Vercellese, in Piemonte. Qui trovò lavoro come bracciante in risaia, per poi trasferirsi a Torino, ove entrò in contatto con ambienti antifascisti, affidando il figlio ai propri genitori ed entrando nel movimento della Resistenza[3].

Protagonista della Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

In coincidenza con l'armistizio dell'8 settembre 1943 si unì alla lotta antifascista, inquadrata con il nome di battaglia di "Franca" nel gruppo "Umberto Quaino" della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici", fu operativa come staffetta porta-ordini e combattente nella regione montuosa del lago di Lugano.

Tra le diverse attività, raccoglieva cibo per i compagni travestendosi da mendicante, per elemosinare cibo,[2] e svolse la funzione di dattilografa per il posto di blocco di Fino Mornasco.[4]

Alla fine di novembre 1944, il centro fascista antiribelli di Menaggio organizzò nella zona una vasta azione di rastrellamento impiegando 1'400 uomini: lo scopo era di eliminare le formazioni partigiane nelle valli occidentali del basso Lario. Per sfuggire alla cattura insieme ai compagni del distaccamento Quaino della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" Giuseppe Selva Falco, comandante, Angelo Selva Puccio, Angelo Capra Russo, Ennio Ferrari Carlino e Gilberto Carminelli Bill riuscirono a rifugiarsi in una baita all'Alpe vecchio. Riuscirono a sopravvivere in condizioni molto difficili alle intemperie dell'alta montagna fino a metà gennaio 1945. Stremati, scesero a valle rifugiandosi in casa di un antifascista loro conoscente.

In seguito alla delazione del partigiano Giuseppe Personini[5], i militi delle Brigata Nera circondano la casa nella notte del 20 gennaio e all'indomani, dopo un violento combattimento costringono alla resa dopo aver gettato all'interno dell'abitazione una bomba a mano.[5] Il gruppo di partigiani asserragliato nell'abitazione fu invece speditamente condotto al locale cimitero e schierato di fronte al muro di cinta per essere sommariamente passato per le armi. A Livia Bianchi fu offerta la grazia e la libertà in quanto donna, ciò che - come recita la motivazione della Medaglia d'oro al valore militare che le fu concessa alla memoria - ella rifiutò per la sua dignità di donna e di partigiana, restando unita ai compagni nel supremo sacrificio.

Le autorità fasciste, con l'aiuto del parroco di Porlezza, svolsero forti pressioni psicologiche su Livia, per condurla sulla via dell'accettazione del fascismo, senza successo.[3]

Morte e memoria[modifica | modifica wikitesto]

Fu sepolta nel cimitero di Melara, dove è ancora oggi presente la sua tomba.[2]

Dopo la sua morte, il 14 giugno 1947[6], la Repubblica Italiana le conferì Medaglia d'oro al valore militare per la partecipazione alle Resistenza antifascista, per la quale morì.

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

La Bianchi ha ricevuto dopo la morte diversi riconoscimenti ed è citata come simbolo della presenza femminile nella resistenza volutamente dimenticata.[7][8]

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Nel settembre 1943, accorreva con animo ardente nelle file dei partigiani, trasfondendo nei compagni di lotta il fuoco della sua fede purissima per la difesa del sacro suolo della Patria oppressa. Volontariamente si offriva per guidare in ardita ricognizione attraverso la impervia montagna una pattuglia che, scontratasi con un grosso reparto nemico impegnava dura lotta, cui essa, virilmente impugnando le armi, partecipava con leonino valore, fino ad esaurimento delle munizioni. Insieme ai compagni veniva catturata e sottoposta ad interrogatori e sevizie, che non piegarono la loro fede. Condannati alla fucilazione lei veniva graziata, ma fieramente rifiutava per essere unita ai compagni anche nel supremo sacrificio. Cadde sotto il piombo nemico unendo il suo olocausto alle luminose tradizioni di patriottismo nei secoli fornite dalle donne d'Italia[9]
— Cima Valsolda, settembre 1943 - gennaio 1945

Intitolazioni[modifica | modifica wikitesto]

Diversi comuni italiani le hanno dedicato un elemento toponomastico, tra cui i comuni di Melara[2], Padova, Porlezza[2], Revere[2] e Roma.

Nel cimitero di Cima di Porlezza una targa ricorda la strage che coinvolse la Bianchi e i suoi compagni, elecati sulla lapide[10]. Nello stesso luogo, ogni anno, il 21 gennaio si tiene una commemorazione alla memoria.[10]

Cultura[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2003, la pubblicazione del libro Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa, che citava un personaggio di fantasia di nome "Livia Bianchi", bibliotecaria, suscitò polemiche da parte dell'ANPI.[11]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Le onorificenze della Repubblica Italiana, su quirinale.it. URL consultato il 26 marzo 2020.
  2. ^ a b c d e f IL PERSONAGGIO Nasceva cent'anni fa Livia Bianchi, la melarese più nota, su ilgazzettino.it. URL consultato il 26 marzo 2020.
  3. ^ a b c Franco Giannantoni, L'ombra degli americani sulla Resistenza al confine tra Italia e Svizzera: le bande autonome e garibaldine, il ruolo dell'OSS, la scuola d'addestramento partigiana a Villa Mimosa di Campione d'Italia, la morte di Ricci nella "trappola" di Lenno, Mario Chiarotto Editore, 2007, p. 339, ISBN 978-88-89666-16-6. URL consultato il 26 marzo 2020.
  4. ^ Roberta Cairoli, Nessuno mi ha fermata: antifascismo e Resistenza nell'esperienza delle donne del Comasco, 1922-1945, Nodolibri, 2006, ISBN 978-88-7185-119-8. URL consultato il 26 marzo 2020.
  5. ^ a b Roberto Festorazzi, San Donnino, cella 31: La prigionia dei fascisti scampati al massacro di Dongo nella testimonianza inedita di un protagonista: Alfredo Degasperi., Simonelli Editore, 15 marzo 2016, ISBN 9788893200400. URL consultato il 7 luglio 2016.
  6. ^ Mario Ferro, Diario di un antifascista: dall'Italia alla Francia, alla Svizzera fino a Dongo, 1919-1945, Teti, 1998. URL consultato il 26 marzo 2020.
  7. ^ Annalisa Camilli, Il ruolo rimosso delle donne nella resistenza, su Internazionale, 25 aprile 2019. URL consultato il 26 marzo 2020.
  8. ^ Livia Bruna Bianchi, la nostra eroina dimenticata, su La PiazzaWeb, 5 agosto 2015. URL consultato il 26 marzo 2020.
  9. ^ [1] Quirinale - Motivazione del conferimento della M.O.V.M. dal Quirinale visto 9 dicembre 2008]
  10. ^ a b Roberta Cairoli, Episodio di CIMA DI PORLEZZA, 21.01.1945 (PDF), su straginazifasciste.it.
  11. ^ PANSA: FANTASIA (SCARSA) E BUONGUSTO (ASSENTE) (PDF), su web.archive.org, 5 febbraio 2007. URL consultato il 26 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 5 febbraio 2007).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]