Laṅkāvatārasūtra

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Manoscritto del Laṅkāvatārasūtra in caratteri cinesi rinvenuto nelle Grotte di Mogao nei pressi di Dunhuang.

Laṅkāvatārasūtra (Il Sutra della discesa a Lanka, 楞伽經 pinyin Lèngqiéjīng, giapponese Ryōgakyō, tibetano Laṅkar ghsegs-pa'i mdo, coreano 능가경, Nŭngga kyŏng, vietnamita Lăng già kinh), sutra buddhista mahāyāna che incrocia la dottrina del tathāgatagarbha (cinese 如來藏 rúlái zàng giapp. nyorai zō, tib. de-bzhin ghsegs-pa'i snying-po) con quelle elaborate all'interno della scuola Cittamātra.

È presente sia nel Canone cinese che nel Canone tibetano. Esiste una versione Laṅkāvatāra Sūtra in Sanscrito, è preservata come manoscritto in Nepal ed è stata usata come critica del Nanjo Bunyu in 1923. La sua prima traduzione, in cinese, opera di Dharmakṣema (con il titolo Lengqiejing sijuan, 楞伽經四卷, e menzionata nel Kaiyuan lu), fu comunque effettuata tra il 412 e il 433, ma è andata anch'essa perduta.

Nel Canone cinese esistono altre tre traduzioni: una, parziale, di Guṇabhadra (Lengqie abatuoluo baojing 楞伽阿跋多羅寶經, del 443, 4 fascicoli, T.D. 670.16.479-513); altre due, complete, rispettivamente di Bodhiruci (Rulengqiejing 入楞伽經, del 513, 10 fascicoli, T.D. 671.16.514-586) e di Śikṣānanda (Dasheng rulengqie jing 大乘入楞伽經, del 700, 7 fascicoli, T.D. 672.16.587-639), tutte conservate nel Jīngjíbù.

Nel Canone tibetano è conservato al Toh. 107 con il titolo di ལང་ཀར་གཤེགས་པའི་མདོ།, lang kar gshegs pa'i mdo, la sua traduzione in quella lingua la si deve a Hgos Chos grub nel IX secolo.

Nel Buddhismo tibetano è considerato fra i sūtra del terzo avvio della Ruota del Dharma (Tridharmacakra, tib. 'Khor lo rim pa gsum, 三轉法輪 pinyin sānzhuǎn fǎlún, giapp. santen bōrin).

È considerato altrettanto importante nelle scuole buddhiste sino-giapponesi, e si ritiene sia al fondamento della scuola buddhista Chán. Il legame tra il Buddhismo Chán e il Laṅkâvatārasūtra sarebbe testimoniato in un passaggio dello Xùgāosēngzhuàn (續高僧傳, Continuazione delle Biografie di monaci eminenti, giapp. Zoku kōsō den, T.D. 2060.50.425a-707a, conservato nel Shǐchuánbù) redatto da Dàoxuān (道宣, 596-667) nel 645, inerente alla biografia di Fǎchōng (法沖, 589-665) dove si afferma che il discepolo di Bodhidharma, Huìkě (慧可, 487-593), ottenne dallo stesso i quattro volumi del Laṅkâvatārasūtra con l'invito a studiarlo e ad applicarlo per la salvezza del mondo[1][2].

Struttura e dottrine del Laṅkāvatārasūtra[modifica | modifica wikitesto]

Il sūtra riporta cento otto risposte che il Buddha Śākyamuni, di ritorno da un incontro con i nāga in fondo all'oceano, dà a delle domande postegli dal bodhisattva Mahāmati incontrato dopo un invito del re di Laṅkâ (odierno Sri Lanka), di nome Rāvana.

In queste cento otto risposte il Buddha Shakyamuni confuta le dottrine che ritiene erronee, descrivendo, tra l'altro, l'ālayavijñāna (cinese 阿賴耶識 ālàiyéshì, giapp. arayashiki, tib. kun gzhi rnam shes pa) dottrina della scuola Cittamātra che qui viene identificato con il tathāgatagarbha[3]. E, a parte una riassunto delle principali dottrine Cittamātra sviluppate da Asaṅga e da Vasubandhu[4], il sūtra, e questa sembra essere la sua caratteristica principale, vuole identificare il tathāgatagarbha con l'ālayavijñāna, sovrapposizione che non era stata mai promossa dagli autori della dottrina del tathāgatagarbha[5].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ "I have observed in this land of China there is only this sutra. If you depend upon this sutra, you will be able to save the world". T.D. 2060, vol. 50, p. 552b. Riportato in Heinrich Domoulin Early Chinese Zen Reexamined A Supplement to Zen Buddhism: A History Japanese Journal of Religious Studies 1993 20/ 1 pag.36.
  2. ^ Nel Lèngqié shīzī jì (Memorie dei maestri e dei discepoli di Lanka, 楞伽師資記, giapp. Ryōga shiji ki, T.D. 2837.85.1283-1291) opera di Jìngjué (淨覺, 683-750?) allievo di Xuánzé (玄則) a sua volta allievo di Shénxiù (神秀, 606?-706), il fondatore della scuola Chán denominata Beizōng (北宗, Scuola settentrionale), si sostiene essere il fondatore del Buddhismo Chán proprio Guṇabhadra (394-468), il secondo traduttore in cinese del Laṅkâvatārasūtra.
  3. ^ Dottrina esposta in modo compiuto nel Tathāgatagarbhasūtra (Sutra del Tathāgatagarbha; 大方等如來藏經 pinyin Dàfāngděngrúláizàngjīng giapp. Daihōdōnyoraizōkyō, tib. De-bzhin gshegs-pa'i snying-po'i mdo) la cui versione sanscrita è andata perduta e si pensa sia stata redatta all'inizio del III secolo, fu tradotto in cinese da Buddhabhadra nel IV secolo ed è conservato nel Jīngjíbù (1 fascicolo T.D. 666.16.457a-460b). Nel Canone tibetano è conservato nel Kangyur.
  4. ^ Ambedue autori indiani non a caso inseriti nel lignaggio della scuola buddhista Chán secondo il lignaggio presentato nel Baolin zhuán (寳林傳).
  5. ^ . Ma anche autori mādhyamika, avversari non solo in India ma anche in Cina e Giappone della scuola Cittamātra, cercarono un ponte tra le loro dottrine e quelle del tathāgatagarbha (ad esempio Arya Vimuktisena), tuttavia adottarono questa dottrina rigettandone qualsiasi lettura ritenuta 'sostanzialista' ivi compresa quella dell'ālayavijñāna.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • D. T. Suzuki. (trad.) The Laṅkāvatārasūtra (1932). Reprint, Boulder, Prajña Press, 1978
  • D. T. Suzuki. Studies in the Lankavatara Sutra (1930). Reprint: Munshiram Manoharlal Publishers, New Delhi 1998, ISBN 81-215-0833-9
  • John Powers. Laṅkāvatārasūtra, in Encyclopedia of Buddhism. New York, MacMillan, 2004, pag. 456.
  • Florin G. Sutton. Existence and Enlightenment in the Lankavatarasutra: A Study in the Ontology and Epistemology of the Yogacara School of Mahayana Buddhism. Albany, State University of New York Press, 1991.

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