Kālāmukha

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Kālāmukha (o anche Kālamukha) (dal sanscrito "faccia nera")[1] è il nome di una tradizione religiosa shivaita estranea sia alle tradizioni vediche che puraniche,[2] fiorita in India fra il IX e il XIII secolo e.v.[3]

Generalità[modifica | modifica wikitesto]

I Kālāmukha, dei quali si ha notizia da fonti epigrafiche, si possono considerare appartenere all'ordine dei Lākula, altra tradizione shivaita originatasi in seno al movimento dei Pāśupata.[4] La tradizione si espanse soprattutto nel Karnataka, regione del sud del subcontinente indiano. E qui, intorno al XIII secolo, essa fu rimpiazzata dai Liṅgāyat, tradizione tuttora in auge.[3]

Come i Pāśupata e i Lākula, i Kālāmukha erano asceti. Essi preferivano infatti pratiche non ortodosse, quali cospargersi il corpo di ceneri di cadaveri o letame di vacca, o fare uso di bevande alcoliche.[3] Pur essendo asceti, i Kālāmukha avevano templi propri ed erano organizzati in ordini monastici.[1] La divinità principale era Rudra,[3] l'antico Shiva vedico,[5] l'"urlante", il Dio selvaggio dalla pelle scura.

Il nome, kālāmukha, è composto da kāla ("nero") e mukha ("faccia"): il nome deriverebbe dal tilaka di colore nero che gli adepti adoperavano come segno di distinzione o voto.[1] Kāla è comunque anche appellativo di Rudra.[6]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c David Lorenzen, The Kāpālikas and Kālāmukhas: Two Lost Saivite Sects, University of California Press, 1972, p. 97 e segg.
  2. ^ Flood 2006, p. 210.
  3. ^ a b c d Flood 2006, p. 214-215.
  4. ^ Flood 2006, p. 207.
  5. ^

    «L'antico nome di Śiva è Rudra, il dio selvaggio»

  6. ^ Vedi Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary Archiviato il 31 agosto 2018 in Internet Archive..

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Gavin Flood, L'induismo, traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]