Juan Carlos Onganía

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(Reindirizzamento da Juan Carlos Ongania)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Juan Carlos Onganía

35º Presidente dell'Argentina
Durata mandato29 giugno 1966 –
8 giugno 1970
PredecessoreArturo Umberto Illia
SuccessoreRoberto Marcelo Levingston

Dati generali
Partito politicoIndipendente
UniversitàColegio Militar de la Nación
FirmaFirma di Juan Carlos Onganía
Juan Carlos Onganía Carballo
SoprannomeLa Morsa
NascitaMarcos Paz, 17 marzo 1914
MorteBuenos Aires, 8 giugno 1995
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Argentina Argentina
Forza armata Esercito argentino
Armacavalleria
Anni di servizio1931 - 1965
GradoTenente generale
GuerreRivolta della marina argentina del 1963
Comandante diEsercito argentino
(Comandante in capo 1962-1965)
DecorazioniGran Maestro dell'Ordine del liberatore San Martín
voci di militari presenti su Wikipedia

Juan Carlos Onganía Carballo (Marcos Paz, 17 marzo 1914Buenos Aires, 8 giugno 1995) è stato un generale e politico argentino. Fu presidente dell'Argentina e dittatore dal 29 giugno 1966 all'8 giugno 1970, arrivando al potere con un colpo di Stato ai danni di Arturo Umberto Illia. Il regime che instaurò, ispirato ai valori del cattolicesimo più tradizionalista e del nazionalismo, passò alla storia argentina come uno dei capi di stato più repressivi in materia di diritti civili e sindacali.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Origini[modifica | modifica wikitesto]

La casata Ongania è originaria del Monte di Varenna, oggi conosciuto come Perledo. Nel 1883 suo nonno, Pietro Giosuè Ongania (nato il 12 agosto 1848) emigrò, lasciando la frazione di Regolo per Buenos Aires partendo da Genova.[1] Con la moglie Teodora Teodorini ebbe 7 figli; dal primogenito Carlos Ongania (19 febbraio 1885), che sposò Sara Carballo (1888), nacque Juan Carlos Ongania, dopo Nelida Angela (1911) e Olga (1912).[2]

Carriera militare[modifica | modifica wikitesto]

Onganía entrò nel Colegio Militar de la Nación nel 1931 uscendone tre anni dopo con il grado di tenente di cavalleria. Nominato generale nel 1959, si schierò nella fazione degli azules dell'esercito argentino. Questo schieramento, di orientamento nazionalista e cattolico, e opposta alla fazione dei rossi, vedeva nel peronismo un utile alleato contro l'avanzata del comunismo e dei movimenti politici di sinistra. L'affermazione degli azzurri all'interno dell'esercito consentì ad Onganía di ottenere il 22 settembre 1962 la nomina a Comandante in capo. In quegli stessi anni l'Argentina era governata dal radicale Arturo Umberto Illia, il quale con le sue politiche nazionaliste e socialdemocratiche, si era inimicato le forze armate e alcuni tra gli ambienti economici più influenti del Paese. Parte della stampa nazionale, che descriveva il capo di stato argentino come lento e debole, iniziò a promuovere la figura di Onganía, descrivendolo come l'uomo forte di cui la nazione abbisognava. Quando Illia tolse la proscrizione al peronismo i militari scatenarono un colpo di stato, definito Revolución Argentina, che portò al potere il generale Onganía il 29 giugno 1966.[3]

La dittatura[modifica | modifica wikitesto]

Non appena conquistato il potere Onganía sciolse tutti i partiti e proibì le riunioni politiche, sindacali e studentesche. Ciò scatenò una serie di proteste negli ambienti universitari. In risposta il dittatore emanò un decreto che aboliva la riforma universitaria del 1918 scatenando così l'occupazione di alcune facoltà dell'Università di Buenos Aires. Onganía autorizzò quindi una durissima repressione da parte della polizia che, la notte 29 luglio 1966, passata alla storia come la notte dei lunghi bastoni, irruppe nelle facoltà occupate pestando selvaggiamente gli studenti e distruggendo laboratori e biblioteche. Numerosi studenti e professori vennero arrestati e incarcerati.

Durante il suo regime Onganía, mediante il ministro delle finanze Adalbert Krieger Vasena, adottò alcune misure economiche volte da un lato a ridurre il controllo dello Stato sul tessuto economico nazionale, consentendo ad esempio l'apertura ai capitali internazionali dell'economia argentina, e dall'altro a ridurre la spesa pubblica, come lo smantellamento di fabbriche statali, il taglio dei funzionari pubblici e la chiusura di ferrovie. Per contenere l'inflazione, Krieger Vasena svalutò del 40% il valore della moneta nazionale. Per sostenere l'industria nazionale il governo argentino intraprese poi alcune iniziative importanti, come la costruzione della centrale nucleare di Atucha. Il mondo sindacale venne duramente represso, mentre gli operai, già costretti vedersi congelate tutte le contrattazioni collettive, vennero privati anche dei loro diritti più elementari, come quello di sciopero. Per mantenere aperto un canale di dialogo con i vari settori dell'economia nazionale Onganía istituì delle corporazioni aprendo anche ad alcuni esponenti del mondo sindacale cosiddetto partecipazionista come Augusto Vandor.

Con la volontà di controllare e "moralizzare" la società argentina, in particolar modo la gioventù che sul finire degli anni sessanta stava attraversando una fase di intensi cambiamenti, Onganía approvò una serie di decreti liberticidi e bigotti. La dittatura non solo censurò pellicole come Blow-Up di Michelangelo Antonioni o spettacoli teatrali come Il mandarino meraviglioso di Béla Bartók o La sagra della primavera di Igor' Stravinskij ma bandì anche le minigonne e i capelli lunghi.

Sull'esempio delle proteste che stavano esplodendo in tutto il mondo sull'esempio del maggio francese, anche in Argentina gli operai e gli studenti iniziarono a scendere in piazza contro la dittatura. Nel maggio 1969 si ebbero duri scontri, noti come Rosariazo, a Rosario. Le proteste esplosero in particolar modo nella provincia di Córdoba, dove gli operai e gli studenti, supportati dai sindacati, scesero in sciopero contro la dittatura il 29 maggio 1969. La manifestazione, passata alla storia come Cordobazo, degenerò in una vera e propria rivolta dopoché la polizia aveva aperto il fuoco uccidendo un manifestante. Sul far della sera, alcuni reparti dell'esercito vennero inviati a Córdoba per riprendere la situazione in mano dopoché le forze di sicurezza locali erano state sopraffatte. Il giorno seguente i militari riuscirono ad espugnare anche l'ultimo quartiere dove si erano arroccati gli studenti. Al termine delle operazioni si contarono una dozzina di morti, oltre arresti tra cui i due leader sindacali Agustín Tosco e Raimundo Ongaro. Con il Cordobazo la società argentina affrontò a viso aperto la dittatura, dando il via simbolicamente ad un nuovo decennio. Questo significò de facto l'inizio della fine del regime di Onganía.

Nei mesi seguenti iniziarono a sorgere anche in Argentina una serie di movimenti terroristici, come l'ERP ed i Montoneros che, pur aderendo a differenti dottrine politiche si prefiggevano un obbiettivo comune: combattere tutte quelle figure e quei simboli vicini agli ambienti della dittatura e ai militari. Il 29 maggio 1970 i Montoneros sequestrarono ed uccisero l'ex presidente de facto Pedro Eugenio Aramburu, tra i principali promotori del golpe del 1955 che aveva rovesciato Perón. Questo fatto provocò le dimissioni dell'intero gabinetto di governo di Onganía. L'8 giugno il generale fu costretto a firmare le dimissioni nel quartier generale delle forze armate.

Gli ultimi anni[modifica | modifica wikitesto]

Onganía si candidò alla presidenza in occasione delle elezioni del 1995 con la coalizione Fronte per la Concordia Patriottica ottenendo lo 0,02% delle preferenze.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Gran Maestro dell'Ordine del liberatore San Martín - nastrino per uniforme ordinaria
Gran Maestro dell'Ordine di Maggio - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana - nastrino per uniforme ordinaria
«Comandante in Capo dell'Esercito di Argentina»
— 4 maggio 1965[4]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Roberto Festorazzi, Da Perledo al trono di Ferro dell'Argentina, in La Provincia di Como, 22 ottobre 2004, p. 39.
  2. ^ Archivi Renato Ongania
  3. ^ Archivio storico Istituto Luce, su Archivio Storico Luce. URL consultato il 20 gennaio 2024.
  4. ^ https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/33458

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Presidente dell'Argentina Successore
Junta Revolucionaria

Arturo Umberto Illia

29 giugno 1966 - 8 giugno 1970 Roberto Marcelo Levingston
Predecessore Comandante in capo dell'Ejército Argentino Successore
Juan Carlos Lorio 22 settembre 1962-25 novembre 1965 Pascual Ángel Pistarini
Controllo di autoritàVIAF (EN189806966 · ISNI (EN0000 0003 5681 9202 · LCCN (ENn81090455 · GND (DE117612823X · BNE (ESXX6123059 (data) · BNF (FRcb11964031b (data) · J9U (ENHE987007278460305171 · WorldCat Identities (ENlccn-n81090455