Jobs Act

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Disambiguazione – Se stai cercando la legge statunitense promossa da Obama, detta JOBS Act, vedi Jumpstart Our Business Startups Act.

La locuzione Jobs Act indica informalmente una riforma del diritto del lavoro in Italia volta a flessibilizzare il mercato del lavoro. Promossa e attuata dal governo Renzi attraverso l'emanazione di diversi provvedimenti legislativi, è stata completata nel 2016. Il nome è ispirato all'omonimo provvedimento dell'amministrazione Obama negli Stati Uniti d'America nel 2012, che però aveva caratteristiche differenti.

Matteo Renzi

Il provvedimento fu adottato nell'intento di ridurre la disoccupazione stimolando le imprese ad assumere, ma fu aspramente criticato da più parti, tra cui alcuni sindacati.[1]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Durante il governo Letta, nel gennaio 2014 Matteo Renzi, neo-segretario eletto del Partito Democratico (partito di maggioranza relativa in parlamento nonché partito di appartenenza del premier in carica) promosse l'idea di una riforma del mercato del lavoro con l'introduzione di un contratto unico a tutele crescenti, di una creazione di un'agenzia nazionale per l'impiego e di un assegno universale di disoccupazione, oltre che di semplificazione delle regole esistenti e di riforma della rappresentanza sindacale.[2][3]

Con il successivo governo Renzi, il premier Matteo Renzi e i suoi ministri emanarono la riforma conosciuta come Jobs Act, dividendola in due provvedimenti: il decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34 (anche noto come "decreto Poletti", dal Ministro del Lavoro Giuliano Poletti) e la legge 10 dicembre 2014, n. 183, che conteneva numerose deleghe da attuare con decreti legislativi, tutti emanati nel corso del 2015. Nello stesso anno, sebbene il governo l'abbia più volte negato,[4] secondo la sentenza della Suprema Corte di Cassazione - sezione Lavoro - del 26 novembre 2015, n. 24157 la normativa si applicherebbe anche ai dipendenti statali.[5] Tale orientamento è stato però ribaltato dalla successiva sentenza n. 11868 del 9 giugno 2016, che afferma che ai dipendenti pubblici si applicherebbe l'art. 18 dello statuto dei lavoratori come non modificato dalla riforma del lavoro Fornero determinando di fatto, secondo alcuni giuslavoristi, una discriminazione.[6]

Secondo il rapporto ISTAT di settembre 2016 il numero di occupati in Italia risulta 22,83 milioni di persone, incrementati di 563 000 unità rispetto al marzo 2014 in cui essi erano 22,27 milioni. A settembre 2018 gli occupati in Italia sono ulteriormente incrementati, raggiungendo i 23,3 milioni di persone[7], anche se è stata fortemente criticata la correlazione tra crescita degli occupati e modifiche normative, data la presenza di incentivi fiscali alle assunzioni[8].

I contenuti[modifica | modifica wikitesto]

I contenuti principali sono:

  • l'introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e la possibilità da parte del datore di lavoro di licenziare un lavoratore dipendente senza giusta causa, prevedendo l'applicazione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori dopo i primi tre anni di rapporto, ma la reintegrazione nel posto di lavoro viene limitata ad alcuni casi particolari, venendo sostituita in generale dal diritto ad ottenere una indennità a titolo di risarcimento.
  • i contratti a tempo determinato possono essere prorogati fino ad un massimo di 5 volte. Alla 6° proroga scatta l'assunzione a tempo indeterminato.
  • la rimodulazione dei contratti di lavoro dipendente esistenti in Italia;
  • la creazione della NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego);
  • piano di incentivi e decontribuzione per le imprese per favorire le assunzioni a tempo indeterminato.

Le norme[modifica | modifica wikitesto]

La riforma ha delegato il governo italiano a emanare diversi provvedimenti legislativi; essi sono:

  • Legge 16 maggio 2014, n. 78
  • Legge 10 dicembre 2014, n. 183;
  • Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22;
  • Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23;
  • Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80;
  • Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
  • Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148;
  • Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 149;
  • Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150;
  • Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151.
  • Decreto legislativo 8 ottobre 2016, n. 185.

Decreto-legge n. 34/2014[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Decreto Poletti.

Decreto avente ad oggetto i contratti di lavoro con contratto a tempo determinato e di apprendistato.

Legge n. 183/2014[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Legge 10 dicembre 2014, n. 183.

La principale novità prevista dalla legge delega riguarda il contratto a tutele crescenti, un nuovo tipo di contratto per i nuovi assunti a tempo indeterminato che prevede una serie di garanzie destinate ad aumentare man mano che passa il tempo, finalizzato a contrastare il precariato.

Decreto legislativo n. 22/2015[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego.

Il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 183/2014) è stato emanato in seguito alla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 24 dicembre 2014. I contenuti principali:

  • La norma abolisce l'"Assicurazione Sociale Per l'Impiego" (ASPI). Al suo posto è costituita la Nuova Prestazione di Assicurazione Sociale per l'Impiego (NASpI) che prevede un sussidio decrescente della durata massima di 24 mesi.
  • Il decreto costituisce per l'anno 2015 uno speciale sussidio di disoccupazione chiamato Disoccupazione per i Collaboratori (DIS-COLL) che varrà per i lavoratori con contratti Co.co.co., i quali potranno disporre di un assegno di disoccupazione della durata massima di sei mesi, nel caso perdano il lavoro e abbiano versato più di tre mesi di contributi nell'anno solare e almeno un mese nell'anno precedente al momento in cui hanno perso il proprio impiego.[9] La ratio del nuovo sussidio è quella di allargare la platea dei beneficiari, estendendola anche ai lavoratori parasubordinati. La natura sperimentale è dovuta al fatto che, a partire dal 1º gennaio 2016, non sarà più possibile di regola stipulare contratti di lavoro di tipo Co.co.co.[senza fonte]
  • Per l'anno 2015 è inoltre introdotto in via sperimentale l'"Assegno Sociale di Disoccupazione" (ASDI), un ulteriore assegno di disoccupazione a cui avrà diritto chi, scaduta la NASPI, non ha trovato impiego e si trovi in condizioni di particolare necessità. L'importo dell'ASDI è pari al 75% dell'importo della NASPI.

Decreto legislativo n. 23/2015[modifica | modifica wikitesto]

Il d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 ha introdotto il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti e dettato anche disposizioni in tema di licenziamento: le nuove disposizioni si applicano per i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (cioè dal 7 marzo 2015), nonché ai casi di conversione, successiva all'entrata in vigore del decreto, di contratti a tempo determinato o di apprendistato in contratti a tempo indeterminato. Per gli altri contratti, invece, continua ad applicarsi la tutela ex art. 18 dello statuto dei lavoratori.

Il decreto, modificando l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, dispone che in caso di licenziamento senza giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro dovrà versare al lavoratore dipendente un indennizzo pari a due mesi di stipendio per ogni anno di lavoro nell'azienda, da un minimo di 4 a un massimo di 6 mesi di indennizzo per le aziende con meno di 15 dipendenti e da 12 mesi a 24 mesi di indennizzo per le aziende con più di 15 dipendenti. Le nuove regole prevedono anche la possibilità di ricorrere alla conciliazione veloce, nella quale il datore di lavoro offre una mensilità per ogni anno di anzianità fino a un massimo di 18 mensilità, stabilendone l'applicazione solo alle imprese con più di 15 dipendenti. Sono poi predisposte analoghe tutele per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari per i quali venga provata l'insussistenza del fatto contestato (per i quali viene imposto il reintegro del dipendente).

Secondo un comunicato diffuso il 26 settembre 2018 dall'Ufficio Stampa della Corte Costituzionale (emesso in attesa del deposito della sentenza)[10][11][12], la Consulta ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 3, comma 1 del decreto legislativo n. 23/2015, nella parte non modificata dal successivo decreto-legge n. 87/2018 (cosiddetto "Decreto Dignità"), in merito al criterio di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato[11] determinata soltanto in base all'anzianità di servizio[13][14][15].

Con successiva sentenza n. 150 del luglio 2020 la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 4 del D.Lgs. 23/2015 per violazione dei principi costituzionali di eguaglianza, ragionevolezza e tutela del lavoro, limitatamente alla parte in cui, per la determinazione dell'indennità minima da corrispondere al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo per vizi formali o procedurali fa esclusivo riferimento all'anzianità di servizio.[16][17][18]

Decreto legislativo n. 80/2015[modifica | modifica wikitesto]

Il decreto legislativo 15 giugno 2015, n.80 istituisce alcune misure volte a conciliare le esigenze lavorative con quelle di cura, di vita, di assistenza familiare. In particolare, gli articoli 23 e seguenti disciplinano l'istituto del telelavoro.

Decreto legislativo n. 81/2015[modifica | modifica wikitesto]

Il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, ha ribadito che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma contrattuale comune di un rapporto di lavoro,[19] e all'art. 3 ha modificato la disciplina del mutamento delle mansioni riducendo i limiti preesistenti, sia mediante l'estensione dello ius variandi del datore di lavoro, sia prevedendo ipotesi di derogabilità dei nuovi limiti per opera tanto dell'autonomia individuale, quanto di quella collettiva.[20]

Il decreto ha inoltre abolito la tipologia del contratto di co.co.pro., tranne che per i contratti ancora in corso all'entrata in vigore della norma.[21]

In aggiunta, l'Art. 55 ha abrogato numerosi articoli della legge Biagi tra cui il comma 3 dell'art 20 del d.lgs. 276/2003 che istituiva le specializzazioni della somministrazione di lavoro e la possibilità di iscrivere anche le agenzie di somministrazione di lavoro specialiste in un particolare settore. Dall'entrata in vigore del decreto legislativo, non è più stato possibile iscrivere nuove agenzie di somministrazione di lavoro di tipo specialista, ovvero iscritte nella seconda sezione dell'albo delle agenzie per il lavoro[22] e tutte le Agenzie saranno considerate di tipo generalista e quindi iscritte nella prima sezione dell'albo. Le agenzie di somministrazione specialiste in un determinato settore, che erano iscritte fino a quel momento, hanno mantenuto la loro iscrizione nella seconda sezione dell'albo, e sono e saranno le uniche in tutta Italia che hanno questo status con requisiti particolari. Consultando la seconda sezione dell'albo delle agenzie per il lavoro, si tratta di sole nove agenzie in tutta Italia, ovvero Mediatica, Best Engage, Docs Italia, Iss, Aizoon Technology, VitAssistance, Specialisterne ed Eximie.

Decreto legislativo n. 148/2015[modifica | modifica wikitesto]

Il decreto riforma degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro: rappresenta un testo organico delle disposizioni in materia di integrazione salariale ordinaria e straordinaria e di fondi bilaterali di solidarietà.[23].

Decreto legislativo n. 149/2015[modifica | modifica wikitesto]

Riforma dell'attività ispettiva in materia di lavoro.

Decreto legislativo n. 150/2015[modifica | modifica wikitesto]

Il decreto legislativo n. 150 del 14 settembre 2015 contiene disposizioni per il riordino della normativa in materia di lavoro e di politiche attive. In particolare, l'articolo 4 istituisce l'Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) a decorrere dal 1º gennaio 2016. Il compito dell'ANPAL è quello di coordinare, su tutto il territorio nazionale, le misure di politica attiva del lavoro, in favore dei cittadini iscritti nelle liste tenute presso i centri per l'impiego, oltre alla vigilanza che suddetti centri eroghino le prestazioni nei loro livelli essenziali (LEP).

Decreto legislativo n. 151/2015[modifica | modifica wikitesto]

Emanato in attuazione della delega conferita dalla legge 10 dicembre 2014, n. 183, il decreto modifica radicalmente il disposto dell'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori: confermando sostanzialmente le previgenti disposizioni in tema di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo “fissi”, prevede invece una disciplina semplificata per l’utilizzo degli strumenti necessari al lavoratore per svolgere la propria prestazione lavorativa, come pure per le apparecchiature di rilevazione e di registrazione degli accessi e delle presenze.[24]

Con una nota di data 18 giugno 2015, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è intervenuto per fornire chiarimenti sulla questione dei cosiddetti “controlli a distanza”, a seguito della riforma dell’articolo 4 dello statuto dei lavoratori, chiarendo che la riforma non “liberalizza” in maniera indiscriminata i controlli ma si limita a fare chiarezza circa il concetto di "strumenti di controllo a distanza" e i limiti di utilizzabilità dei dati raccolti attraverso questi strumenti, in linea con le indicazioni che il garante per la protezione dei dati personali ha fornito negli ultimi anni e, in particolare, con le linee guida del 2007 sull'utilizzo della posta elettronica e di internet[25].

Sempre in tema di controlli a distanza, l'ispettorato nazionale del lavoro nella circolare n. 2 del 7 novembre 2016[26] ha fornito indicazioni operative volte a chiarire entro quali limiti l’installazione su autovetture aziendali di apparecchiature di localizzazione satellitare GPS sia soggetta alle condizioni e procedure previste dal nuovo art. 4, comma 1, della legge n. 300/1970.[27]

Decreto legislativo n. 185/2016[modifica | modifica wikitesto]

Entrato in vigore in data 8 ottobre 2016, riguarda l'operato che i datori di lavoro sono tenuti a seguire, specialmente per le assunzioni dei lavoratori e anche riguardante la loro sicurezza.

Consulta, sentenza n. 22/2024[modifica | modifica wikitesto]

La sentenza n. 22/2024 ha abrogato l’articolo 2, primo comma, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alla parola “espressamente”. Ciò ripristina l'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro per tutti i casi di licenziamento nullo, come era già previsto dalla legge delega, inclusi anche quelli per i quali il Jobs Act o la norma imperativa non prevedono espressamente un divieto di licenziamento a pena di nullità.[28]

Reazioni e critiche[modifica | modifica wikitesto]

Ad appoggiare l'intervento legislativo è stata la maggioranza a sostegno del governo Renzi, con alcune critiche ed eccezioni nell'ambito dello stesso Partito Democratico.[29] La legge è stata giudicata molto positivamente dalle istituzioni economiche internazionali come il Fondo Monetario Internazionale,[30] la Banca Mondiale,[31] la Banca centrale europea[32] e l'OCSE.[33]

Oltre ai partiti di opposizione, si sono espressi criticamente anche i sindacati, in particolare CGIL e UIL, che il 12 dicembre 2014 hanno tenuto uno sciopero generale di protesta contro il Jobs Act (in particolare per le modifiche all'articolo 18 dello statuto dei lavoratori prevista nella legge), contro le modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato e contro la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per l'anno 2015).[34]

L'11 gennaio 2017 la Consulta ha bocciato tre quesiti referendari per i quali la CGIL aveva raccolto più di 3 milioni di firme. Il sindacato chiedeva il ripristino della responsabilità in solido fra appaltatore e appaltante, nonché il ripristino dell'articolo 18 con la cancellazione della liberalizzazione dei licenziamenti per motivi economici.[35]

Una valutazione complessiva e definitiva sull'efficacia dei diversi provvedimenti è estremamente problematica data la numerosità dei fattori da considerare[36], mentre più condiviso è il giudizio sull'impatto provvisorio degli incentivi alle aziende, attestato anche dal fatto che nel 2016 è stato registrato un netto calo di assunzioni.[37]

Gli incentivi monetari (la decontribuzione) avrebbero causato un'impennata di assunzioni e trasformazioni di contratti dal determinato all'indeterminato durante l'anno in cui sono state in vigore. Gli incentivi legislativi (la riduzione dei costi di licenziamento dell'indeterminato), invece, non hanno inizialmente avuto gli effetti sperati. Infatti i contratti a tempo determinato hanno continuato a essere la forma preferita di impiego subito dopo la fine della decontribuzione. Secondo alcuni studi, il decreto Poletti, liberalizzando il contratto a tempo determinato, avrebbe mantenuto quest'ultimo piú attrattivo dell'indeterminato, piú che compensando gli effetti della riduzione dei costi di licenziamento introdotti con le tutele crescenti.[38] Una ulteriore prova sarebbe il fatto che i contratti indeterminati a tutele crescenti sono tornati a essere la forma preferita di assunzione solo dopo la riforma della disciplina dei contratti a tempo determinato del luglio 2018 chiamata "Decreto dignità". Tuttavia, secondo alcuni studi pubblicati in Italia tra il 2018 ed il 2019, il nuovo contratto a tutele crescenti introdotto dalla riforma ha comunque prodotto un, seppur modesto, aumento dell'occupazione, distinto da quello dovuto agli incentivi alle imprese.[39][40]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sciopero generale, contro il Jobs act l’ultima volta dei sindacati divisi, in Il sole 24 ore, 8 dicembre 2021. URL consultato il 10 marzo 2023.
  2. ^ Letta tenta di rafforzare governo. Renzi lancia il Job Act, Sky TG24, 7 gennaio 2014. URL consultato il 23 aprile 2015 (archiviato dall'url originale il 18 maggio 2015).
  3. ^ Matteo Renzi, eNews 381 – 8 gennaio 2014, MatteoRenzi.it, 8 gennaio 2014. URL consultato il 23 aprile 2015.
  4. ^ Jobs act, via articolo 18 anche per i dipendenti pubblici. “Il governo ha mentito sapendo di mentire” di Stefano De Agostini, da ilfattoquotidiano.it, 2 dicembre 2015
  5. ^ Licenziamento del pubblico impiegato e tutela reintegratoria: la sentenza n. 24157/2015 della Cassazione Marcello FLoris, da diritto24.ilsole24ore.com, 8 dicembre 2015
  6. ^ Jobs Act, Cassazione dà ragione a governo: "Per statali vale ancora articolo 18". Giuslavoristi: “Discriminazione” di Stefano De Agostini, da ilfattoquotidiano.it, 9 giugno 2016
  7. ^ Istat, occupati e disoccupati, settembre 2018 (XLS), su istat.it.
  8. ^ Ipsoa - Jobs Act e rilancio dell’occupazione. Perché vanno frenati gli entusiasmi, su ipsoa.it.
  9. ^ Dis-Coll 2015, domanda di disoccupazione INPS: requisiti, importo e modulo richiesta, Affari Miei, 16 maggio 2015. URL consultato il 16 maggio 2015.
  10. ^ Comunicato Stampa. Illegittimo il criterio di determinazione dell'indennità di licenziamento (PDF), su cortecostituzionale.it, Roma, Ufficio Stampa della Corte Costituzionale, 26 settembre 2018. URL consultato il 1º ottobre 2018.
  11. ^ a b Jobs Act, il calcolo dell’indennità di licenziamento è illegittimo per la Consulta., su lavoroediritti.com, 27 settembre 2018. URL consultato il 1º ottobre 2018.
  12. ^ Jobs Act, bocciatura della Corte Costituzionale, su studiocataldi.it, 26 settembre 2018. URL consultato il 1º ottobre 2018.
  13. ^ Consulta, illegittimo il criterio di indennità di licenziamento, su ANSA, 25 settembre 2018. URL consultato il 1º ottobre 2018.
  14. ^ Jobs Act, la Consulta: illegittimo il criterio di indennizzo per il licenziamento., su tgcom24.mediaset.it, 26 settembre 2018. URL consultato il 1º ottobre 2018.
  15. ^ Jobs Act, consulta boccia il calcolo degli indennizzi, su adnkronos, 26 settembre 2018. URL consultato il 1º Ottobre 2018.
  16. ^ SENTENZA N. 150 - ANNO 2020, su cortecostituzionale.it. URL consultato il 3 giugno 2021.
    «[…] dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), limitatamente alle parole «di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio». Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2020.»
  17. ^ Camera dei deputati, Sentenza n. 150 del 2020 della Corte costituzionale: anzianità di servizio e indennità per licenziamento illegittimo, su Documentazione parlamentare, 28 luglio 2020. URL consultato il 3 giugno 2021.
  18. ^ Sky TG24, Corte Costituzionale, la firma di tre donne su sentenza del Jobs Act, su tg24.sky.it. URL consultato il 3 giugno 2021.
  19. ^ Art. 1 d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, su edizionieuropee.it.
  20. ^ Art. 3 d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, su edizionieuropee.it.
  21. ^ Art. 52 d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, su edizionieuropee.it.
  22. ^ Anpal - Albi Informatici, su myanpal.anpal.gov.it. URL consultato il 15 settembre 2022.
  23. ^ Decreto Legislativo n. 148/2015: riordino degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro., su informaimpresa.it. URL consultato il 4 agosto 2019.
  24. ^ I controlli a distanza sui lavoratori dopo i decreti attuativi del Jobs Act di Giovanni Saracino da altalex.com, 8 ottobre 2015
  25. ^ Ministero del Lavoro: controlli a distanza, nessuna liberalizzazione!, su privacyofficer.pro.
  26. ^ INL CIRCOLARI REGISTRAZIONE N.2 DEL 7/11/2016 (PDF), su lavoro.gov.it, Ispettorato nazionale del lavoro, 7 novembre 2016. URL consultato il 1º settembre 2017 (archiviato dall'url originale il 18 gennaio 2017).
  27. ^ Ispettorato Nazionale del Lavoro: indicazioni operative su impianti GPS, su privacyofficer.pro.
  28. ^ Jobs act, la Consulta: reintegro per casi previsti anche non espressamente, su italiaoggi.it.
  29. ^ Il Jobs Act è legge, il Post, 3 dicembre 2014. URL consultato l'8 febbraio 2015.
  30. ^ (EN) Press Release: IMF Executive Board Concludes 2015 Article IV Consultation with Italy, in IMF. URL consultato l'8 ottobre 2017.
  31. ^ Con riforme l’Italia sale di 11 posizioni nella graduatoria della competitività, in Il Sole 24 ORE. URL consultato l'8 ottobre 2017.
  32. ^ Francoforte. La Bce promuove il Jobs act, 23 settembre 2016. URL consultato l'8 ottobre 2017.
  33. ^ Ocse. Bene governo su riforme. Grazie al jobs act creati 850 mila posti di lavoro, in rainews. URL consultato l'8 ottobre 2017.
  34. ^ Maurizio Bologni, Domani lo sciopero generale contro il Jobs Act, Repubblica.it, 11 dicembre 2014. URL consultato il 23 aprile 2015.
  35. ^ Nuovi referendum all’orizzonte: l’11 gennaio Consulta decide su quesiti Cgil su Jobs Act, su Fanpage, 14 dicembre 2016. URL consultato il 1º marzo 2024.
  36. ^ Quanti posti ha creato realmente il Jobs Act?
  37. ^ Jobs Act, finiti gli incentivi crollano le assunzioni
  38. ^ Tortuga, Blog | Ma il Jobs Act non doveva mettere fine al precariato?, su Econopoly, 30 novembre 2017. URL consultato l'11 gennaio 2024.
  39. ^ (EN) Tito Boeri e Pietro Garibaldi, A tale of comprehensive labor market reforms: Evidence from the Italian jobs act, in Labour Economics, vol. 59, 1º agosto 2019, pp. 33–48, DOI:10.1016/j.labeco.2019.03.007. URL consultato il 3 settembre 2020.
  40. ^ (EN) Paolo Sestito e Eliana Viviano, Firing costs and firm hiring: evidence from an Italian reform, in Economic Policy, vol. 33, n. 93, 1º gennaio 2018, pp. 101–130, DOI:10.1093/epolic/eix018. URL consultato il 3 settembre 2020.

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