Italo Balbo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Versione del 16 giu 2013 alle 03:17 di FrescoBot (discussione | contributi) (Bot: sintassi dei link e modifiche minori)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Italo Balbo

Governatore generale della Libia
Durata mandato1º gennaio 1934 –
28 giugno 1940
MonarcaVittorio Emanuele III d'Italia
Capo del governoBenito Mussolini
Predecessorecarica istituita
SuccessoreRodolfo Graziani

Ministro dell'aeronautica del Regno d'Italia
Durata mandato12 settembre 1929 –
7 novembre 1933
PredecessoreBenito Mussolini
SuccessoreBenito Mussolini

Sottosegretario di Stato all'aviazione
Durata mandato6 novembre 1926 –
1929
PredecessoreAlberto Bonzani

Sottosegretario all'economia nazionale
Durata mandato1925 –
1926

Comandante generale della MVSN
Durata mandato1924 –
1925

Dati generali
Partito politicoPartito Nazionale Fascista
Titolo di studiolaurea in scienze sociali
UniversitàUniversità degli Studi di Firenze
Professioneaviatore militare

Italo Balbo (Quartesana di Ferrara, 6 giugno 1896Tobruch, 28 giugno 1940) è stato un politico, generale e aviatore italiano. Iscritto al Partito Nazionale Fascista, fu uno dei quadrumviri della marcia su Roma, diventando in seguito comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e sottosegretario all'economia nazionale. Nel 1929 fu nominato ministro dell'Aeronautica, veste in cui guidò la crociera aerea transatlantica Italia-Brasile e la crociera aerea del Decennale. Considerato come un potenziale rivale politico di Benito Mussolini a causa della grande popolarità raggiunta, Balbo venne designato nel 1934 quale governatore della Libia.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale organizzò dei voli di guerra per catturare alcuni veicoli britannici, e fu proprio durante il ritorno da uno di questi voli, il 28 giugno 1940, che venne abbattuto per errore dalla contraerea italiana sopra Tobruch.

Biografia

Prima della Grande guerra

Figlio di Camillo Balbo e Malvina Zuffi, entrambi maestri elementari: il padre era di origini piemontesi, mentre la madre era romagnola. In famiglia vigeva il rispetto assoluto per la monarchia ed il servizio militare. Dopo la sua nascita, avvenuta il 6 giugno 1896 a Quartesana di Ferrara, la famiglia Balbo si trasferì a Ferrara, centro politico rilevante, percorso da fermenti di classe contadina e animato da idee socialiste. Le accese dispute tra monarchici e repubblicani si svolgevano spesso al Caffè Mozzi.[1] Anche il giovane Italo Balbo partecipò attivamente alle discussioni politiche, mostrando idee repubblicane ma conservatrici che lo misero in contrasto con la famiglia.

Nel 1911, appreso al Caffè Milano dell'iniziativa organizzata da Ricciotti Garibaldi per liberare l'Albania dal controllo ottomano, fuggì da casa e tentò di partecipare alla spedizione militare, non riuscendovi perché, bloccato dalla polizia, avvisata dal padre.

Nel 1914 Italo Balbo si schierò decisamente con il movimento interventista a favore di una guerra contro l'Impero austro-ungarico e, durante la partecipazione ad una manifestazione a Milano, conobbe Benito Mussolini. Balbo divenne poi guardia del corpo di Cesare Battisti durante i comizi da lui tenuti a favore dell'intervento in guerra.

Prima guerra mondiale

Durante la prima guerra mondiale prestò servizio nel battaglione Alpini "Val Fella". Promosso tenente, il 16 ottobre 1917 lasciò il battaglione perché destinato, su sua domanda, al Deposito Aeronautico di Torino per un corso di pilotaggio, la sua vera grande passione. Pochi giorni dopo, a causa dell'offensiva austro-tedesca, fu costretto a ritornare al fronte, assegnato al battaglione Alpini "Monte Antelao". Nel 1918, al comando del reparto d'assalto del battaglione Alpini "Pieve di Cadore", partecipò all'offensiva sul monte Grappa che liberò la città di Feltre. Nel corso dell'ultima fase della guerra si guadagnò una medaglia di bronzo e due d'argento al valor militare, raggiungendo il grado di capitano.

Dopo l'armistizio Balbo rimase cinque mesi con il suo battaglione come commissario prefettizio di Pinzano al Tagliamento (provincia di Udine)[2]. A marzo del 1919 iniziò a studiare a Firenze presso l'Istituto di scienze sociali "Cesare Alfieri". Ancora studente si iscrisse all'Associazione Arditi ed iniziò l'attività giornalistica come direttore del settimanale militare L'Alpino,da lui fondato[3], fino al dicembre del 1919. Si laureò all'Istituto "Cesare Alfieri" in scienze sociali il 30 novembre 1920 con una tesi intitolata Il pensiero economico e sociale di Giuseppe Mazzini. Nel clima post bellico non era infrequente che studenti ex combattenti cercassero di impressionare gli esaminatori quando la preparazione non era sufficiente. Un aneddoto attribuisce a Italo Balbo un'accesa discussione con il professor Breschi durante un esame. Balbo passò l'esame, ma certamente non per merito[4]. Dopo la laurea tornò alla sua città natale dove fu assunto come impiegato da una banca e dove iniziò la sua attività nel fascio agrario.

Intanto, nell'inverno del 1919 Balbo era stato presentato alla contessina Emmanuella Florio (1901-1980), di San Daniele del Friuli, con la quale nel 1924, alla morte del conte Florio, si sposò. Fin quando rimase in vita il conte Florio si oppose fermamente al matrimonio, nonostante gli incarichi di sempre maggiore prestigio che Balbo stava ricoprendo. Dal matrimonio nasceranno tre figli (Giuliana nel 1926, Valeria nel 1928 e Paolo nel 1930)[5]. In futuro, quando era ormai governatore della Libia, Balbo ebbe anche un'amante nella persona della modenese Laura Adani, un'attrice di teatro nata nel 1913 conosciuta durante una tourneé nella colonia italiana[6].

Massoneria

Dopo essere stato in gioventù di idee repubblicano-mazziniane, dopo il 1920 fu iniziato in Massoneria nella Loggia "Giovanni Bovio" facente parte della comunione della Gran Loggia di Piazza del Gesù, fu Oratore della loggia massonica "Gerolamo Savonarola" di Ferrara[7], che aveva tra i suoi membri altri iscritti al Partito Nazionale Fascista[8], dalla quale andò in sonno[9] in data 18 febbraio 1923[10]. Tre giorni prima il Gran Consiglio del Fascismo aveva approvato, con soli quattro voti contrari (Cesare Rossi, Giacomo Acerbo, Alessandro Dudan e lo stesso Balbo), il divieto per gli iscritti al Partito Nazionale Fascista (PNF) di far parte della massoneria[11].

Adesione al fascismo

Dovendo sistemarsi e crearsi delle prospettive per il futuro (ma non per questo meno convinto della sua scelta), il venticinquenne Balbo aderì al PNF, non prima però di chiedere al partito repubblicano se poteva restare ugualmente suo iscritto, ricevendo risposta negativa. Si accordò con i fascisti di Ferrara per uno stipendio mensile di 1.500 lire (pagato dai proprietari terrieri), la nomina immediata a segretario politico e un posto come ispettore di banca una volta conclusa la "battaglia" fascista[12]. Il 13 febbraio 1921 Balbo divenne segretario del Fascio di Ferrara e uno degli esponenti di spicco dello squadrismo agrario, riuscendo poi a comandare tutte le squadre d'azione dell'Emilia-Romagna[13] creando, in un certo senso, un senso di continuità con le esperienze di comando della prima guerra mondiale[14]. In questa veste organizzò una squadra d'azione denominata "Celibano", nome derivante dalla storpiatura dialettale del suo drink preferito, il cherry-brandy conosciuto anche come Sangue Morlacco. La sede era il Caffè Mozzi di Ferrara, soprannominato da Balbo e i suoi "sitùzz", ovvero piccolo sito, posticino[15].

Balbo (a sinistra) a fianco di Benito Mussolini durante la marcia su Roma

Il gruppo di Balbo, in parte finanziato dai proprietari terrieri locali[16], contrastava i disordini provocati durante il biennio rosso dagli scioperi e dal monopolio instaurato violentemente dalle leghe socialiste[17] attraverso spedizioni punitive, motivate con le aggressioni ai camerati[18], che colpivano i social-comunisti[19] e le cooperative contadine delle province di Ravenna, Modena, Bologna ma anche Rovigo, il Polesine, Firenze e Venezia[20]. Le leghe socialiste detenevano un enorme potere, che permetteva loro di emarginare coloro che non aderivano, dirottando solo verso i propri affiliati i finanziamenti pubblici e facendosi rimborsare dalla comunità le spese elettorali[21]. Perennemente in camicia nera, Balbo era il massimo propagandista di questo emblema del fascismo, ottimo organizzatore, di grande fascino fisico, alto, magro e con i capelli neri divisi nel mezzo con due svolazzanti bande ai lati. Trattare alla pari con questori e prefetti a soli venticinque anni, avendone anche la meglio, lo rese ambizioso[22].

Conquistò con i suoi uomini il Castello Estense di Ferrara obbligando il prefetto a finanziare alcune misure contro la disoccupazione, ma l'apice dello squadrismo di Balbo venne raggiunto il 26 e 27 luglio 1922 con l'occupazione di Ravenna, usando a pretesto l'uccisione di un fascista: i disordini provocarono nove morti tra le camicie nere, a cui Balbo rispose incendiando l'Hotel Byron, sede delle cooperative socialiste, e imbastendo quella che Mussolini chiamò una «colonna di fuoco», cioè una colonna di autocarri, messi a disposizione dietro minaccia dalla questura, che il 29 luglio distrusse e incendiò numerose case rosse nelle province di Forlì e Ravenna. Compiaciuto e soddisfatto del comportamento tenuto dai suoi uomini, Balbo completò la smobilitazione di Ravenna il mattino seguente[23]. Nell'agosto del 1922 avvennero i Fatti di Parma: dopo l'occupazione militare di gran parte della città dell'Emilia, conseguente al cosiddetto sciopero legalitario di inizio mese, circa diecimila uomini di fede fascista provenienti dalle province limitrofe tentarono la presa della città, in cui si trovavano asserragliati gli Arditi del Popolo e le formazioni di difesa proletaria. Il 5 agosto il governo proclamò lo stato d'assedio militare in diverse provincie del nord fra cui Parma[24]. Il 6 agosto, Balbo, resosi conto dell'impossibilità di conquistare la città senza scontrarsi con l'esercito (su consiglio anche del capo della polizia locale, Lodomez[25]), s'impegnò a ritirarsi dalla città a partire dalle ore 12:00 del giorno stesso. Alla fine si contarono quattro morti a Sala Baganza (due nelle file fasciste e due tra gli abitanti) e cinque morti a Parma, tutti abitanti del quartiere Oltretorrente. I cinque caduti fra le file delle formazioni di difesa proletaria furono: Ulisse Corazza, consigliere comunale del Partito Popolare Italiano, Carluccio Mora, Giuseppe Mussini, Mario Tomba ed il giovanissimo Gino Gazzola[26].

Balbo venne designato da Mussolini "quadrumviro" per prendere parte alla marcia su Roma, e lo incaricò di scegliere gli altri due (Michele Bianchi era già stato scelto dal Duce): Balbo sentì Cesare Maria De Vecchi, che accettò subito, mentre per l'ultimo quadrumviro pensò ad Attilio Teruzzi, poi scartato perché già vicesegretario del PNF, e al generale Asclepia Gandolfo, che declinò l'invito in quanto aveva la moglie molto malata, oltre a essere lui stesso in precarie condizioni fisiche. Balbo e Bianchi puntarono alla fine su Emilio De Bono, che accettò l'investitura[27][28]. Prima di recarsi a Roma, il 28 ottobre Balbo si precipitò a Firenze per calmare lo squadrista Tullio Tamburini, che aveva deciso di assaltare il palazzo del governo dove si stava svolgendo una festa alla presenza del duca della Vittoria Armando Diaz: per non coinvolgere l'esercito nelle questioni fasciste, Balbo liberò gli ufficiali della scorta di Diaz presi prigionieri da Tamburini, e, stando al suo racconto, vietò «ai fascisti di assaltare la prefettura [...] anzi [...] che organizzino una grande manifestazione al Duca della Vittoria per le strade di Firenze dove passerà»[29]. A Roma guidò in particolare la spedizione punitiva contro il quartiere di San Lorenzo che aveva attaccato una colonna fascista. Alla fine della marcia, diversamente dagli altri quadrumviri, Balbo non venne ricompensato in alcun modo: Mussolini già lo intravedeva come un possibile rivale e non volle valorizzarlo troppo[30].

Balbo con il presidente brasiliano Getúlio Vargas. Rio de Janeiro, 15 gennaio 1931.

Nel 1923 fondò a Ferrara il Corriere Padano[28] con i soldi ricevuti in dote dalla moglie Emmanuella, affidato poi alla direzione di Nello Quilici[31]. In occasione della preparazione della Lista Nazionale per le elezioni del 1924 si scontrò con Olao Gaggioli, fondatore del PNF di Ferrara e convinto che Balbo, iscritto soltanto nel 1921 e con lo stipendio fisso pagati dagli agrari, fosse un intruso. Alla fine Balbo dovette cedere e Gaggioli venne inserito nel cosiddetto "listone"[32]. Sempre nel 1924 venne accusato di essere il mandante dell'omicidio del parroco antifascista don Giovanni Minzoni ad Argenta, avvenuto per mano di due squadristi facenti capo alle sue milizie: il caso venne archiviato alcuni mesi dopo, per essere poi riaperto - sotto la pressione della stampa, a seguito del delitto Matteotti - nel 1925, risolvendosi con l'assoluzione di tutti gli imputati[33]. Nel 1924 Balbo, divenuto nel frattempo comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), fu costretto a dimettersi dalla carica a seguito delle documentate rivelazioni de La Voce Repubblicana circa ordini da lui impartiti di bastonature di antifascisti e pressioni sulla magistratura[34], perdendo la successiva causa per diffamazione da lui intentata al quotidiano[35]. Voluta da Mussolini per normalizzare le squadre d'azione, il Duce pensò alla MVSN già prima della marcia su Roma, affidando a Balbo e a Gandolfo il compito di formare reparti, gradi e uniformi, sebbene non ci fu ancora una vera e propria militarizzazione del corpo[36]. Nel 1925 divenne sottosegretario all'economia nazionale, ruolo che mantenne fino al 1926[28].

Ministro dell'Aeronautica e le trasvolate

Il 6 novembre 1926 venne nominato sottosegretario di Stato all'aviazione[37] al posto del generale d'artiglieria Alberto Bonzani[38] e si apprestò ad organizzare la neocostituita Regia Aeronautica, ancora ai primi passi, coi bilanci insufficienti, bisognosa di un ammodernamento e di un aumento di prestigio[39]. Con la sua nomina Mussolini trovò in Balbo un valido mezzo per fare dell'aviazione una grande arma propagandistica, assecondava chi tra il PNF voleva alla guida dell'aeronautica un esponente del fascismo e, inoltre, metteva ai suoi diretti controlli uno dei più autonomi ras federali[39].

Balbo conseguì il brevetto da pilota nel 1927[40]. Lo stesso anno diede vita a Montecelio a un centro studi per coordinare e promuovere lo sviluppo aeronautico, affidandone il comando ad Alessandro Guidoni. Altra "creatura" di Balbo fu la Scuola alta velocità, nata a dicembre a Desenzano del Garda dove prima sorgeva l'idroscalo privato di Gabriele D'Annunzio; il tenente colonnello Mario Bernasconi, che ne era direttore, aveva a disposizione ogni tipo di struttura e materiali che doveva sfruttare per consegnare all'Italia l'ambita Coppa Schneider[41]. Dopo il successo della crociera aerea del Mediterraneo occidentale (25 maggio-2 giugno 1928) da lui organizzata insieme al decisivo aiuto del trasvolatore Francesco De Pinedo, Balbo venne fatto da Mussolini generale di squadra aerea in agosto (un simile avanzamento di carriera, da ex capitano degli Alpini, non si era mai visto nelle forze armate italiane), provocando il risentimento di De Pinedo, che, a ragione, si vedeva come il vero artefice dell'impresa. In ottobre, quando dovette essere sostituito il capo di stato maggiore della Regia Aeronautica Armando Armani, De Pinedo venne nominato solamente sottocapo di stato maggiore[42]. La successiva crociera aerea del Mediterraneo orientale (5-19 giugno 1929) fu presieduta sempre da Balbo, ma De Pinedo venne incluso come semplice pilota di uno degli aerei della formazione, in quanto la direzione tecnica del volo andò al colonnello Pellegrini, capo del gabinetto di Balbo. Quasi due mesi dopo, il 12 agosto, Balbo sfruttò le voci che giravano su De Pinedo e gli chiese conto dei fondi a lui destinati per compiere il raid atlantico del 1927[43]. De Pinedo rispose indirizzando una lettera a Mussolini in cui criticava le crociere spettacolari e propagandistiche che ponevano in secondo piano la preparazione bellica (senza sapere che Mussolini era contento di questa strategia), dando poi le dimissioni da sottocapo di stato maggiore, che il Duce accolse con favore, reputandolo non in grado di comprendere le esigenze del regime. Il 12 settembre 1929, a soli trentatré anni, Italo Balbo fu nominato ministro dell'Aeronautica, una carica tenuta fino ad allora dal Duce. De Pinedo venne allontanato con l'incarico di addetto aeronautico in Argentina[44]. In questi anni Balbo, era ricco, potente e famoso, ancora esuberante ed entusiasta, con amicizie nel mondo della cultura e dell'industria che lo avevano affermato tra l'alta borghesia e la nobiltà romana[45].

Italo Balbo, al centro in divisa, nel 1930 assieme allo staff della crociera aerea transatlantica Italia-Brasile

Balbo guidò poi due voli transatlantici in formazione, inframezzati, nel 1932, da una proposta avanzata a Mussolini circa l'istituzione di un unico ministero per la difesa, sostenuto dalla quadruplicazione delle somme destinate alla marina e all'aeronautica. Alla guida del nuovo ministero sarebbe dovuto andare lo stesso Balbo ma, benché alcuni capi militari vedessero di buon gusto l'iniziativa, le rivalità tra le forze armate e, soprattutto, la gelosia del Duce nei confronti della popolarità del ministro aviatore, fecero naufragare l'intero progetto[46]. Per un'altra fonte il nuovo dicastero sarebbe spettato a Mussolini, mentre Balbo progettava di ridefinire i compiti del capo di stato maggiore generale e di prendere possesso di tale carica[47]. La prima idea per una crociera aerea oltreoceano gli venne in mente durante un congresso internazionale aeronautico negli Stati Uniti, dove si convinse che il primo gruppo di aerei che avesse attraversato in formazione l'oceano Atlantico sarebbe passato alla storia. Nel 1929 persuase l'ingegnere Alessandro Marchetti a mettere a punto per l'impresa gli idrovolanti S.55A che sarebbero andati ad equipaggiare uno stormo creato ad hoc a Orbetello. Si scelse di trasvolare l'Atlantico meridionale con dodici apparecchi, a cui la Regia Marina avrebbe fornito appoggio con cinque cacciatorpediniere. Gli idrovolanti partirono infine per la crociera aerea transatlantica Italia-Brasile da Orbetello il 17 dicembre 1930, guidati personalmente da Balbo e dal suo secondo pilota Stefano Cagna, alla volta di Rio de Janeiro, dove arrivarono, non senza lutti e incidenti, il 15 gennaio 1931[48]. La seconda crociera atlantica, la crociera aerea del Decennale, venne organizzata per celebrare il decennale della Regia Aeronautica[49] in occasione della Century of Progress, esposizione universale che si tenne a Chicago tra il 1933 ed il 1934. Dal 1º luglio al 12 agosto del 1933 Balbo guidò la trasvolata di venticinque[50] idrovolanti S.55X[51] partiti da Orbetello verso il Canada e con destinazione finale gli Stati Uniti. In precedenza, il 26 giugno, Balbo era apparso nella copertina della rivista Time.[52]

Monumento a Balbo a Chicago. La colonna romana, proveniente da Ostia, era un dono dell'Italia fascista per il monumento.[53]

La traversata di andata approdò in Islanda, proseguendo poi verso le coste del Labrador. Il governatore dell'Illinois, il sindaco e la città di Chicago riservarono ai trasvolatori un'accoglienza trionfale ed a Balbo venne intitolata una strada, tutt'oggi esistente, in prossimità del lago Michigan, la Balbo Avenue (ex 7th Avenue). I Sioux presenti all'Esposizione di Chicago lo nominarono capo indiano con il nome di "Capo Aquila Volante".[53] In quell'epoca infatti i rapporti fra Italia e USA erano ottimi e quest'impresa fu molto seguita e considerata straordinaria. Il volo di ritorno proseguì per New York, dove venne organizzata in suo onore e degli altri equipaggi una grande ticker-tape parade, secondo italiano dopo Armando Diaz ad essere acclamato per le strade di New York, ed intitolato a Balbo uno dei suoi viali. Il presidente Roosevelt lo ebbe ospite. Di ritorno in Italia, il 13 agosto 1933 venne promosso maresciallo dell'aria[54]. Dopo questo episodio il termine "Balbo" divenne di uso comune per descrivere una qualsiasi numerosa formazione di aeroplani. Meno noto è che negli Stati Uniti il termine "balbo" sia utilizzato anche per indicare il pizzo lungo con baffi[55].

Al di là di queste imprese, Balbo dispiegò grande energia nell'imporre disciplina e rigore alla Regia Aeronautica sin da quando ne era segretario, accantonando gli aspetti romantici ed individualistici dell'aviazione pionieristica ed indirizzandola piuttosto a formare una forza armata coesa e disciplinata. I voli transoceanici in formazione furono un esempio di tale indirizzo: non più imprese individuali, ma di gruppo e minuziosamente programmate e studiate[56]. Così facendo però diede troppo peso agli eventi spettacolari, inducendo l'aviazione a dare troppa attenzione ai primati sportivi, senza ricadute positive sugli aerei usati per il normale servizio[57]. Il prestigio accumulato dall'aviazione durante il ministero di Balbo, comunque, diede alle autorità italiane l'impressione di avere una forza aerea di prim'ordine[58]. È da rilevare che se Balbo avallò le idee di Giulio Douhet sull'aviazione strategica, nel contempo sostenne fattivamente la costituzione dello Stormo d'assalto sotto il comando di Amedeo Mecozzi, incoraggiando lo sviluppo dell'aviazione tattica. Balbo si avvalse di queste due linee di pensiero per raggiungere «l'unità organica della difesa dell'aria, e la necessità che sia esclusivamente affidata all'armata aerea, nella quale viene riunito tutto il complesso delle forze [...] disponibili», senza tuttavia dare all'aeronautica «una vera e propria dottrina di guerra fissata in canoni rigidi e immutabili» che, comunque, non era in grado di imporrei ai capi dell'esercito e della marina, nonché agli industriali desiderosi di aggiudicarsi il più alto numero di commesse per allargare il già eterogeneo parco velivoli[59]. È proprio per questo attaccamento alla guerra aerea indipendente che Balbo non affidò mai alcun incarico a Douhet e trasferì, nel 1937, il neo-promosso generale Mecozzi nella lontana Somalia[60]. Si oppose alla concessione di bombardieri alla Regia Marina[61] e alla realizzazione di navi portaerei, che riteneva avrebbero sottratto fondi e materiale alla Regia Aeronautica riducendo anche l'indipendenza della neonata arma aerea. La mancata realizzazione di portaerei influì negativamente sulle operazioni della Regia Marina nel secondo conflitto mondiale (vedasi battaglia di Capo Matapan), ma sarebbe un errore attribuirne la responsabilità alla sola opposizione di Balbo, vista la posizione conservatrice dei vertici della Regia Marina[62][63].

In Libia

Lo stesso argomento in dettaglio: Libia italiana.
Italo Balbo al centro fra Benito Mussolini ed un altro gerarca, durante una serata di gala in Libia.

Raggiunta un'enorme popolarità e considerato politicamente come un insidioso rivale di Mussolini (pesò anche la proposta di riforma dei ministeri delle forze armate)[47], fu probabilmente per queste motivazioni che Balbo venne promosso governatore[64][65] della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan che, sotto il suo patronato, si fusero nel 1934 in un'unica colonia: la Libia, procedendo poi ad una nuova organizzazione territoriale su province. Balbo ricevette la lettera in cui gli si comunicavano i nuovi compiti il 5 novembre 1933, rispose con un «Mio grande capo, sempre agli ordini!» e il 7 si recò da Mussolini per la consueta visita di congedo[66]. Il ministero dell'aviazione ritornò nelle mani del Duce, mentre Giuseppe Valle fu promosso da sottosegretario a capo di stato maggiore. In questa nuova veste il generale Valle scrisse un rapporto segreto in cui dimostrò che Balbo aveva falsificato le cifre sull'effettiva consistenza numerica degli aeroplani, salvo essere accusato dal suo successore, Francesco Pricolo, di aver fatto la stessa cosa[67] Data l'attitudine dei capi fascisti di mettersi in cattiva luce l'un l'altro agli occhi di Mussolini, le dichiarazioni di Valle sono da prendere con cautela: Balbo, nei fatti, fu certamente più energico e miglior organizzatore della maggior parte dei suoi colleghi[46]. In ogni caso anche il Duce, pochi giorni dopo averlo licenziato, lo informò che la cifra di 3.125 aeroplani in forza alla Regia Aeronautica da lui fornita era esagerata. Balbo dovette scusarsi chiarendo che aveva incluso nei conteggi anche gli aerei da addestramento, da turismo e addirittura quelli in produzione. Il vero numero degli aerei efficienti al combattimento era, secondo Balbo, 1.765. Mussolini capì che la politica dei raid oltreoceano e dei primati, peraltro da lui sostenuta, aveva distolto l'attenzione dall'efficienza bellica dell'Arma azzurra[68].

Il 16 gennaio 1934 sbarcò a Tripoli e lanciò un proclama: «Assumo da oggi, in nome di Sua Maestà, il governo. I miei tre predecessori, Volpi, De Bono, Badoglio, hanno compiuto grandi opere. Mi propongo di seguire le loro orme». Balbo, in accordo con il piano di Mussolini,[69] dette un fortissimo impulso alla colonizzazione italiana della Libia, organizzando l'afflusso di decine di migliaia di pionieri dall'Italia e seguendo una politica di integrazione e pacificazione con le popolazioni musulmane, affermando che, diversamente dalle popolazioni dell'Africa orientale, quelle libiche avevano un'antica tradizione di civiltà e che col tempo, grazie alla loro intelligenza e alle loro tradizioni, si sarebbero portate al di sopra del livello coloniale.[70] Ampliò la superficie del territorio nazionalizzato a 1.250.000 acri, adoperandosi per migliorare la situazione delle popolazioni locali finanziando servizi scolastici e sanitari, rifornimenti idrici e servizi di consulenza agricola[69]; in Cirenaica, tuttavia, per rinsaldare la sconfitta dei Senussi, vennero confiscate le proprietà delle tribù e la loro struttura sociale distrutta, deportandone i membri per farne una riserva di manodopera a basso costo.[71] Nel 1937 Balbo si fece promotore presso il Duce, in visita alla colonia, di un'iniziativa per donare alla popolazione indigena, quale ricompensa per aver prestato servizio militare in Etiopia, la cittadinanza italiana, una proposta che alla fine sfociò in una cittadinanza di "seconda classe" a soltanto pochi elementi.[72] Nel 1938 guidò di persona un convoglio di diciassette navi partito dall'Italia alla volta della Libia con a bordo 1.800 famiglie, per la cui venuta furono fondati nuovi villaggi, ognuno con una chiesa e una sede del PNF. Sull'evento fu organizzata una grande campagna pubblicitaria, che Mussolini fece presto tacere per non dare troppo risalto alla figura di Balbo. Vennero donate terre, bestiame e sementi agli agricoltori (in misura minore agli arabi), anche se i frutti di queste politiche non fecero in tempo a maturare prima dell'inizio della seconda guerra mondiale.[73] Vennero avviati progetti di opere pubbliche e sviluppo della rete stradale (ma non di quella ferroviaria)[74] realizzando, oltre ai 1.822 km della litoranea che segue il Mediterraneo per centinaia di chilometri e che in suo onore si chiamò via Balbia, 1.600 km di strade asfaltate, 454 km di massicciate e 2.830 km di piste nel deserto[75].

Grave fu però la mancanza di infrastrutture in grado di far operare le forze armate sue due fronti: i porti erano insufficienti mentre altri, come quello di Tripoli, erano poco difesi; la frontiera ovest era «praticamente aperta» (parole dello stesso Balbo) mentre quella est insicura e poco presidiata. Balbo era cosciente di tutto questo, tanto che si lamentò con Mussolini per la carenza o l'obsolescenza delle apparecchiature militari di sua disponibilità[76].

I tanti soldi che Balbo spendeva in sontuose feste e per la vita privata gli affibbiarono il soprannome di "Sciupone l'Africano", e ci fu anche chi mise in circolazione l'idea che si era arricchito grazie ai lavori per le opere pubbliche, specialmente con la via Balbia. Il governatore della Libia amava spendere e sperperare, ma in realtà non si arricchì in modi illeciti. Balbo era già ricco (la dote della moglie e il suo curriculum vitae gli avevano portato da soli due valide giustificazioni al tenore di vita che conduceva) inoltre, quando il ragioniere dello Stato controllò i fondi stanziati per la via Balbia (103 milioni di lire assegnate a undici imprese) si complimentò con lui per aver contenuto la spesa: da Roma se ne erano prevista una più alta, segno che Balbo non prese alcuna tangente[77].

Fu il meno servile dei gerarchi[78]. Dopo l'occupazione tedesca della Cecoslovacchia, il 21 marzo 1938 Balbo, a Roma, accusò gli altri membri del Gran Consiglio del Fascismo di lustrare «le scarpe alla Germania», unico a criticare la scelta del Duce di rimanere vicino alla Germania di Adolf Hitler[79]. In seguito espresse ripetutamente malcontento e preoccupazione per l'alleanza militare con la Germania (opinione condivisa peraltro nelle fasi iniziali anche dal ministro degli esteri Galeazzo Ciano, Emilio De Bono e Dino Grandi) e per la politica seguita da Mussolini sia sul piano interno che sul piano internazionale[80]. Egli si era mostrato segretamente contrario anche all'intervento italiano nella guerra civile spagnola a sostegno di Francisco Franco, convinto che le forze armate italiane avessero bisogno di tempo e denaro per riorganizzarsi dopo la guerra d'Etiopia[81]. Il suo dissenso nei confronti del Duce si era sempre più acuito a partire dal 1938, quando, in più occasioni, manifestò a Mussolini la sua contrarietà alla promulgazione delle leggi razziali. Balbo proveniva da Ferrara, città sede di un'antica e rappresentativa comunità ebraica, aveva amici e finanziatori ebrei, e salvò la Libia dalla persecuzione razziale[78]. Assieme a Ciano, disse che Hitler aveva violato il Patto d'Acciaio firmando il patto con Stalin nell'agosto 1939, e si schierò fermamente e apertamente verso la neutralità in una futura guerra[82][83] e, anche quando questa scoppiò il 1º settembre seguente, Balbo, il 7 dicembre durante una riunione del Gran Consiglio, mise sul tavolo la possibilità di un'alleanza con il Regno Unito e la Francia[84]. Raccolse l'invito della principessa Maria José a dissuadere insieme ad Amedeo di Savoia-Aosta Mussolini dall'entrare in guerra[83], ma il Duce decise di restare fedele all'alleato tedesco.

L'ultimo volo

Al 10 giugno 1940, giorno dell'entrata in guerra dell'Italia, Balbo comandava in Libia un contingente di circa 200.000 uomini ripartiti in quattordici divisioni, afflitti però da problemi logistici e strutturali tali da fargli dubitare sulle prospettive di un'offensiva contro i britannici del generale Archibald Wavell, che pure gli era chiesta con insistenza dal capo di stato maggiore generale Badoglio[85]. Anche i duecentocinquanta aerei della Regia Aeronautica erano ospitati in basi sguarnite e poco difese, e necessitavano di urgenti rifornimenti.[86] Fin dai primi giorni di guerra le autoblindo britanniche causarono diversi problemi agli italiani e l'eliminazione di queste divenne importante. Balbo catturò la prima autoblindo il 21 giugno 1940 a Bir el Gobi: avvistato il mezzo in volo col suo S.M.79, il governatore scese immediatamente a terra mentre il secondo pilota Ottavio Frailich ridecollò subito circuitando con aria minacciosa sopra l'autoblindo, poi catturato dalle truppe di terra coordinate da Balbo.[87]

Italo Balbo in divisa da aviatore.

Il 28 giugno si levò in volo da Derna per raggiungere il campo d'aviazione "T.2" di Tobruch[88] con due trimotori S.M.79, uno pilotato da lui stesso (sigla I-MANU, dal nome della moglie Emmanuella)[89] e uno dal generale Felice Porro, comandante della 5ª Squadra aerea. Da Tobruch i due aerei avrebbero poi compiuto un'incursione per cercare di catturare alcune autoblindo nemiche.[88] L'equipaggio era costituito da Italo Balbo, il pilota, il maggiore Ottavio Frailich, secondo pilota, il capitano motorista Gino Cappannini e il maresciallo marconista Giuseppe Berti. Frailich, Cappannini e Berti erano tutti "atlantici" che avevano già volato con Balbo nella Crociera del Decennale. All'equipaggio vero e proprio si aggiunsero il maggiore Claudio Brunelli, i tenenti Cino Florio e Lino Balbo (cognato e nipote di Italo Balbo), il console della Milizia Enrico Caretti e il capitano Nello Quilici, direttore del Corriere Padano e padre di Folco Quilici. Giunti in vista di Tobruch verso le 17:30 i piloti videro alte colonne di fumo dovute a un attacco britannico effettuato con bombardieri Bristol Blenheim,[88] e Balbo ordinò di atterrare per verificare la situazione[90]. Prossimo all'atterraggio senza aver tuttavia avvisato prima la base, fu scambiato dalla contraerea di terra e dell'incrociatore italiano San Giorgio - all'ormeggio nei pressi del porto come batteria galleggiante - per uno degli aerei britannici che poco prima avevano attaccato le attrezzature navali lì presenti e fu di conseguenza preso di mira e colpito dalle batterie del San Giorgio.[91] L'aereo di Porro riuscì a compiere una manovra diversiva e non fu centrato, mentre quello di Balbo, ormai in fase di atterraggio, precipitò in fiamme al suolo, provocando la morte di tutto l'equipaggio.

Il 29 giugno Mussolini si limitò a «un bell'alpino, un grande aviatore, un autentico rivoluzionario. Il solo che sarebbe stato capace di uccidermi»[92][93]. Badoglio, che era con lui ad Alpignano quando apprese della notizia, disse che il Duce non dimostrò «il minimo turbamento»[90]. Galeazzo Ciano invece annotò sul suo diario che «Balbo non meritava questa fine: era esuberante, irrequieto, amava la vita in ogni sua manifestazione. […] Non aveva voluto la guerra e l'aveva osteggiata fino all'ultimo. […] Il ricordo di Balbo rimarrà a lungo tra gli italiani, perché era, soprattutto, un italiano con i grandi difetti e le grandi qualità della nostra razza.» Sul bollettino delle forze armate apparve il seguente comunicato:

«Il giorno 28, volando sul cielo di Tobruch, durante un'azione di bombardamento nemica, l'apparecchio pilotato da Italo Balbo è precipitato in fiamme. Italo Balbo e i componenti dell'equipaggio sono periti. Le bandiere delle Forze Armate d'Italia s'inchinano in segno di omaggio e di alto onore alla memoria di Italo Balbo, volontario alpino della guerra mondiale, Quadrumviro della Rivoluzione, trasvolatore dell'Oceano, Maresciallo dell'Aria, caduto al posto di combattimento.»

Due giorni dopo la sua morte, un aereo britannico paracadutò sul campo italiano una corona di alloro con un biglietto di cordoglio[92]:

«Le forze aeree britanniche esprimono il loro sincero compianto per la morte del Maresciallo Balbo, un grande condottiero e un valoroso aviatore che la sorte pose in campo avverso.»

La tomba ad Orbetello.

Le giornate dal 29 giugno al 4 luglio 1940 vennero dichiarate di lutto nazionale. Il 30 giugno il corteo funebre portò le salme dei caduti fino a Bengasi, dove il 1º luglio si svolsero i riti funebri. Il giorno successivo le salme furono portate in aereo a Tripoli, dove venne allestita una camera ardente nell'ufficio che era stato di Balbo nella sede del governo coloniale. Il 4 luglio, dopo una messa nella cattedrale di San Francesco, le bare vennero portate per le strade di Tripoli. Su proposta di Mussolini i resti di Balbo vennero sepolti nel luogo scelto per il monumento ai caduti, con l'idea di trasferirli in Italia a guerra finita. La salma di Balbo e degli altri caduti nell'incidente di Tobruch rimasero in Libia fino al 1970, quando l'ondata di nazionalismo libico sollevata dal colonnello Mu'ammar Gheddafi minacciò la distruzione dei cimiteri italiani nell'ex-colonia. La famiglia Balbo rimpatriò la salma in Italia e come luogo finale di sepoltura venne scelto Orbetello. Qui Balbo riposa con tutti i membri dell'equipaggio del suo ultimo fatale volo, ad eccezione di Nello Quilici.

L'ipotesi del complotto

La vedova di Balbo, Emanuela Florio, sostenne che la morte del marito fosse dovuta a un ordine giunto da Mussolini.[senza fonte] Questa ipotesi fu liquidata come una "stupidaggine" da Claudio Marzola, il capopezzo imbarcato sull'incrociatore della Regia Marina San Giorgio che riteneva di aver abbattuto l'aereo di Balbo[94]. Franco Pagliano nel 1965 e Giorgio Rochat nel 1986 considerarono definitivamente appurato che Balbo fu abbattuto dalla contraerea italiana di Tobruch per un fatale errore di valutazione, mentre erano totalmente prive di fondamento tutte le altre ipotesi.[95][96] Dello stesso parere sono Indro Montanelli e Mario Cervi,[97] Arrigo Petacco[98] e Gregory Alegi.[99] La "teoria del complotto" aveva trovato credito anche per la presenza, a bordo dell'aereo, di Nello Quilici, direttore del Corriere Padano, giornale che più volte aveva sfidato la censura del governo fascista. Tuttavia lo stesso figlio del giornalista, Folco Quilici, ritenne l'ipotesi non sostenibile, sia per la grande quantità di soldati impiegati, che per altri elementi raccolti e descritti nel suo libro Tobruk 1940, pubblicato nel 2004. Giungendo alla conclusione che doveva essersi trattato di un incidente causato dal mancato riconoscimento della nazionalità dell'aereo, essendovi stata da poco sul campo aeroportuale T.2 un'incursione di aerei britannici[100].

Nel 2006 Quilici fu contattato da Aldo Massa, un guardiamarina che il giorno dell'abbattimento dell'aereo di Balbo era di vedetta nell'unico edificio in cemento armato del porto, un bunker dotato di ampia feritoia. Grazie alle testimonianze di Massa e di altri, Quilici segnalò la presenza di un sottomarino all'ancora nella rada di Tobruch e, sebbene nessun rapporto ufficiale facesse riferimento alla sua presenza in Libia, lo identificò nel sommergibile posamine italiano Marcantonio Bragadin, proveniente da Napoli. Dalla sua torretta fu esplosa la raffica che abbatté l'aereo di Balbo, che si schiantò e bruciò a lungo nella notte, rendendo quasi irriconoscibili i corpi[100]. Nella confusione che seguì l'abbattimento il Bragadin ripartì dal porto libico la sera stessa[101].

Onorificenze

Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine Coloniale della Stella d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine Piano (Città del Vaticano) - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Maresciallo dell’Aria, Quadrunviro e fedele soldato del Duce nell’ora della vigilia, del combattimento e della vittoria, insuperabile transvolatore di continenti e di oceani, colonizzatore di masse e reggitore di terre imperiali con le armi, con le leggi e con opere di romana grandezza, nel cielo di Tobruk, mentre si accingeva a scagliare oltre confine le valorose truppe ed i possenti stormi, concludeva con il sacrificio supremo l’eroica sua vita, nella memoria delle genti eternando le gesta e le glorie della razza. Cielo di Tobruk, 28 giugno 1940.»
— 1940[102]
Medaglia d'argento al valor militare (2 concessioni) - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
Croce al merito di guerra (2 concessioni) - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918 - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia commemorativa delle operazioni militari in Africa Orientale - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia commemorativa della spedizione di Fiume - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia a ricordo dell'Unità d'Italia 1848-1918 - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia interalleata della vittoria - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia commemorativa della Marcia su Roma - nastrino per uniforme ordinaria
Croce di anzianità di servizio nella Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale - nastrino per uniforme ordinaria
Croce di anzianità di servizio nella Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale
Medaglia commemorativa della guerra italo-turca 1911-1912 - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia d'oro al merito della Croce Rossa Italiana - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia d'oro al merito della Croce Rossa Italiana
Distinguished Flying Cross (Stati Uniti d'America) - nastrino per uniforme ordinaria

Note

  1. ^ Oggi è chiamato "Caffè Europa".
  2. ^ Bertoldi 1994, p. 76.
  3. ^ a b Bertoldi 1994, p. 73.
  4. ^ Segrè 2000, p. 47.
  5. ^ Bertoldi 1994, pp. 76-77.
  6. ^ Bertoldi 1994, p. 142.
  7. ^ Esposito 1979, p. 362.
  8. ^ Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori. Brevi biografie di Massoni famosi, Roma-Milano, Erasmo Edizioni-Mimesis, 2005, p. 22.
  9. ^ Nel gergo dei massoni "andare in sonno" significa ritirarsi per un certo periodo dalla loggia massonica, continuando però a credere e a mantenere un comportamento in linea ai principi della confraternita.
  10. ^ Esposito 1979, p. 372.
  11. ^ Bertoldi 1994, p. 148.
  12. ^ Bertoldi 1994, pp. 73-75.
  13. ^ Bertoldi 1994, pp. 27-29 e 74.
  14. ^ Bertoldi 1994, p. 75.
  15. ^ Bertoldi 1994, p. 28.
  16. ^ Cfr. Franzinelli 2004, p. 69: «I Fasci di combattimento schierati contro leghe rosse e leghe bianche sollecitarono i finanziamenti privati, giustificati coi benefici arrecati dall'intervento repressivo delle squadre d'azione. Si istituì una tassazione parallela, col versamento regolare di somme commisurate all'estensione delle tenute» e Carocci 1994, p. 17: «Nel 1921, mentre gli industriali puntavano non tanto sul fascismo quanto su Giolitti, gli agrari delle regioni settentrionali e i grandi proprietari di quelle centrali aderivano o appoggiavano in modo più univoco il fascismo».
  17. ^ Tamaro 1953, p. 113: «Nel febbraio 1920 nel Ferrarese sessantamila lavoratori incrociarono le braccia, abbandonarono i campi e le stalle, vigilarono con le squadre di guardie rosse in armi il lavoro dei proprietari ribelli e dei "crumiri", percossero quanti lavoravano, incendiarono le ville e i fienili di quelli che non poterono allontanare dal lavoro».
  18. ^ Bertoldi 1994, p. 29.
  19. ^ Reichardt 2009.
  20. ^ Bertoldi 1994, pp. 29-30.
  21. ^ Cfr. Guerri 1995, p. 80: «Bisogna considerare che a Ferrara, come in molte altre zone dell'Italia centrale e settentrionale, vigeva già una forma di illegalità di segno opposto. Il Partito socialista aveva il pieno controllo del comune e la Camera del lavoro e le leghe contadine facevano il bello e il cattivo tempo: otteneva lavoro solo chi era gradito alle leghe, che decretavano una vera morte civile a chi non voleva aderire; posti che avrebbero dovuto essere assegnati per concorso venivano attribuiti a membri del partito; denaro spettante a orfani e vedove di guerra veniva versato agli uffici del lavoro; spese per la propaganda di partito venivano accollate all'amministrazione pubblica».
  22. ^ Bertoldi 1994, pp. 13, 29 e 73-76.
  23. ^ Bertoldi 1994, pp. 30-31.
  24. ^ Palazzino 2002, p. 75.
  25. ^ Francescangeli 2000, pp. 106-107.
  26. ^ Ad esclusione del Corazza, nessuno di essi risultava aderente a partiti politici, mentre i due caduti a Sala Braganza, Onorato Buraldi e Camoens Rosa, erano apolitico il primo e sindacalista corridoniano il secondo.
  27. ^ Bertoldi 1994, pp. 85-31.
  28. ^ a b c De Bernardi, Guarracino 1998, p. 175.
  29. ^ Bertoldi 1994, pp. 48-49.
  30. ^ Bertoldi 1994, p. 60.
  31. ^ Bertoldi 1994, p. 197.
  32. ^ Bertoldi 1994, p. 130.
  33. ^ Tagliaferri 1993, p. 284.
  34. ^ Candeloro 2002, p. 91.
  35. ^ Nel 1947 la Corte di Assise di Ferrara istruì un nuovo processo sull'omicidio di don Minzoni, che si concluse con la condanna per omicidio preterintenzionale di due imputati senza che fosse provata una responsabilità diretta di Balbo.
  36. ^ Bertoldi 1994, p. 209.
  37. ^ Molteni 2012, p. 10.
  38. ^ Rocca 1993, pp. 14 e 20.
  39. ^ a b Rocca 1993, p. 20.
  40. ^ Rocca 1993, p. 21.
  41. ^ Rocca 1993, pp. 42-43.
  42. ^ Rocca 1993, pp. 37-38.
  43. ^ Rocca 1993, pp. 39-40.
  44. ^ Rocca 1993, pp. 40-41.
  45. ^ Bertoldi 1994, pp. 79-80.
  46. ^ a b Mack Smith 1992, p. 224.
  47. ^ a b Rocca 1993, pp. 57-58.
  48. ^ Rocca 1993, pp. 50-52.
  49. ^ Cfr. L'Aviazione - grande enciclopedia illustrata 1983, p. 211 - Vol. VII.
  50. ^ Dei venticinque idrovolanti S.55X partiti da Orbetello, l'I-DINI rimase incidentato all'arrivo della prima tappa, durante l'ammaraggio nel porto di Amsterdam causando la perdita di un membro dell'equipaggio. Quindi dei venticinque partenti solo ventiquattro completarono la duplice trasvolata. L'unico altro incidente occorso fu il 9 agosto, quando durante il decollo da Porta Delgada per la penultima tappa, s'incidentò l'I-RANI. Il pilota Enrico Squaglia rimase ferito a morte. Cfr. (tra gli altri) Taylor 1996.
  51. ^ La "X" della versione si riferisce appunto al "Decennale"; cfr. L'Aviazione - grande enciclopedia illustrata 1983, p. 212 - Vol. VII.
  52. ^ (EN) General Italo Balbo - June 26, 1933, in time.com. URL consultato il 19 maggio 2013.
  53. ^ a b Chief Blackhorn and Italo Balbo, 1933, da chicagohistory.org
  54. ^ Conversione in legge del r.d.l. 13 agosto 1933, n. 998, relativo alla nomina a Maresciallo dell'aria del generale Balbo Italo, in archivio.camera.it. URL consultato il 17 maggio 2013.
  55. ^ (EN) balbo, in baerds.org. URL consultato il 19 maggio 2013.
  56. ^ Rocca 1993, p. 36.
  57. ^ Mack Smith 1992, pp. 222-223.
  58. ^ Mack Smith 1992, p. 223.
  59. ^ Rocca 1993, pp. 24-25.
  60. ^ Rocca 1993, pp. 25-26.
  61. ^ Rocca 1993, p. 24.
  62. ^ Santoni 1987.
  63. ^ Giorgerini 2000; Segrè 2000.
  64. ^ Quando gli era stata comunicata la nomina a governatore della colonia, Balbo aveva compreso che non si trattava esattamente di una promozione: sarebbe stato più appropriato definirla un esilio. Cfr. La storia siamo noi - Italo Balbo, lo squadrista trasvolatore, in lastoriasiamonoi.rai.it. URL consultato il 19 maggio 2013.
  65. ^ Petacco 2002, p. 13.
  66. ^ Rocca 1993, pp. 58-59.
  67. ^ Mack Smith 1992, pp. 223-224.
  68. ^ Rocca 1993, p. 59.
  69. ^ a b Mack Smith 1992, p. 141.
  70. ^ Mack Smith 1992, pp. 142-143.
  71. ^ Mack Smith 1992, pp. 141-142.
  72. ^ Mack Smith 1992, p. 143.
  73. ^ Mack Smith 1992, p. 142.
  74. ^ Bocca 1997, p. 177.
  75. ^ Bertoldi 1994, pp. 196-197.
  76. ^ Bocca 1997, pp. 176-177.
  77. ^ Bertoldi 1994, pp. 195-197.
  78. ^ a b Bocca 1997, pp. 176.
  79. ^ Mack Smith 1992, pp. 179-180.
  80. ^ La storia siamo noi - Gli eroi del primo aprile, in lastoriasiamonoi.rai.it. URL consultato il 19 maggio 2013.
  81. ^ Mack Smith 1992, p. 123.
  82. ^ Mack Smith 1992, p. 241.
  83. ^ a b Bertoldi 1994, p. 80.
  84. ^ Mack Smith 1992, p. 249.
  85. ^ Montanelli, Cervi 2011, p. 13 e 19-20; Bocca 1997, pp. 181-182.
  86. ^ Molteni 2012, p. 28.
  87. ^ Molteni 2012, pp. 29-30.
  88. ^ a b c Molteni 2012, p. 9.
  89. ^ Bertoldi 1994, p. 196.
  90. ^ a b Bocca 1997, p. 183.
  91. ^ Petacco 2002, pp. 12-13.
  92. ^ a b Bertoldi 1994, p. 81.
  93. ^ Volta 1973, p. 35.
  94. ^ La morte di Balbo, in icsm.it. URL consultato il 19 maggio 2013.
  95. ^ Pagliano 1965, p. 779: «La verità è molto più semplice: l'aereo di Balbo fu abbattuto dalla difesa contraerea di Tobruk per un errore di identificazione da attribuirsi in gran parte alla disorganizzazione che allora regnava nella nostra base.»
  96. ^ Rochat 1986, p. 301: «Diciamo quindi esplicitamente che Mussolini non aveva alcun motivo per liberarsi di Balbo, tanto più nel momento in cui era impegnato in un'incerta battaglia... che non è parimenti attribuibile la volontà di eliminare Balbo ad altri gerarchi o comandanti o servizi segreti italiani o stranieri... Non vi è quindi alcun dubbio che Balbo cadde vittima della sua irruenza, di un concorso eccezionale di fatalità e della disorganizzazione della difesa antiaerea italiana.»
  97. ^ Montanelli, Cervi 2011, p. 21: «Nessun attentato, dunque, anche se molti ne mormorarono, prendendo spunto dai dissidi tra il Duce e il quadrumviro».
  98. ^ Petacco 2002, p. 13: «Quella morte improvvisa e misteriosa non mancò di sollevare sospetti e perplessità [...] Prese addirittura piede una leggenda, tuttora diffusa, che fosse stato lo stesso Mussolini a disporre la liquidazione del suo temuto concorrente. Invece non era vero, anche se la morte di Balbo resterà a lungo avvolta in un inquietante mistero».
  99. ^ «L'assenza di rivendicazioni di uno [...] degli ipotetici partecipanti alla "Operazione Balbo", magari al fine di rivendicare meriti antifascisti, rafforza [...] la conclusione di manifesta infondatezza della tesi dell'attentato ordito da Mussolini contro un rivale scomodo. [...] Contro tale teoria militano numerose osservazioni di buon senso. Prima fra tutte quella che, dato il gran numero di armi che spararono, il complotto avrebbe dovuto coinvolgere alcune centinaia di persone, con buona pace della segretezza...» Cfr. Molteni 2012, p. 10.
  100. ^ a b Quilici 2006.
  101. ^ Antonio Carioti, Un sommergibile abbatté l'aereo di Balbo, su archiviostorico.corriere.it, Corriere della Sera, 13 febbraio 2006. URL consultato il 19 maggio 2013.
  102. ^ Medaglia d'oro al valor militare BALBO Italo, su quirinale.it, Quirinale. URL consultato il 17 maggio 2013.

Bibliografia

  • AA.VV., L'Aviazione - grande enciclopedia illustrata, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1983, ISBN non esistente.
  • Silvio Bertoldi, Camicia nera - Fatti e misfatti di un ventennio italiano, Milano, Rizzoli, 1994, ISBN 88-17-84352-0.
  • Giorgio Bocca, Storia d'Italia nella guerra fascista, Milano, Mondadori, 1997, ISBN 88-04-42699-3.
  • Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna, Vol. 9: Il Fascismo e le sue guerre, Milano, Feltrinelli, 2002, ISBN non esistente.
  • Giampiero Carocci, Storia del fascismo, Newton Compton, 1994, ISBN non esistente.
  • Alberto De Bernardi, Scipione Guarracino (a cura di), Il fascismo - Dizionario di storia, personaggi, cultura, economia, fonti e dibattito storiografico, Milano, Edizioni Bruno Mondadori, 1998, ISBN 88-424-9650-2.
  • Rosario F. Esposito, La massoneria e l'Italia. Dal 1800 ai nostri giorni, Roma, Edizioni Paoline, 1979, ISBN non esistente.
  • Eros Francescangeli, Arditi del popolo: Argo Secondari e la prima organizzazione antifascita (1917-1922), Roma, Odradek, 2000, ISBN 8886973152.
  • Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922, Milano, Mondadori, 2004, ISBN 8804529342..
  • Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare: la marina tra vittoria e sconfitta, 1940-1943, Milano, Mondadori, 2000, ISBN non esistente.
  • Giordano Bruno Guerri, Fascisti: gli Italiani di Mussolini, il regime degli Italiani, Milano, Mondadori, 1995, ISBN 8804389451.
  • Mirko Molteni, L'aviazione italiana 1940-1945 – Azioni belliche e scelte operative, Bologna, Odoya, 2012, ISBN 978-88-6288-144-9.
  • Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, 10 giugno 1940-8 settembre 1943, Milano, Rizzoli Editore, 2011, ISBN 978-88-17-05238-2.
  • Denis Mack Smith, Le guerre del Duce, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1992, ISBN 88-04-35836-X.
  • Franco Pagliano, La morte di Balbo, in La storia illustrata, nº 6, giugno 1965, ISBN non esistente.
  • Mario Palazzino, Da prefetto di Parma a gabinetto Ministro Interno, Parma, Silva, 2002, ISBN non esistente.
  • Folco Quilici, Tobruk 1940. Dubbi e verità sulla fine di Italo Balbo, Milano, Mondadori, 2006, ISBN 978-88-04-55846-0.
  • Gianni Rocca, I disperati - La tragedia dell'aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale, Milano, Milano, 1993, ISBN 88-04-44940-3.
  • Arrigo Petacco, L'armata nel deserto - Il segreto di el Alamein, Milano, Mondadori, 2002, ISBN 88-04-50824-8.
  • Sven Reichardt, Camicie nere, camicie brune. Milizie fasciste in Italia e in Germania, Bologna, Il Mulino, 2009, ISBN 8815121285.
  • Giorgio Rochat, Italo Balbo, Edizioni Utet, 1986, ISBN non esistente.
  • Alberto Santoni, Da Lissa alle Falkland: storia e politica navale dell'età contemporanea, Milano, Mursia, 1987, ISBN non esistente.
  • Claudio G. Segrè, Italo Balbo. Una vita fascista, Bologna, Il Mulino, 2000, ISBN 0520910699.
  • Maurizio Tagliaferri, L'Unità Cattolica. Studio di una mentalità, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1993, ISBN 887652665X.
  • Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Roma, Editrice Tiber, 1953, ISBN non esistente.
  • (EN) Blaine Taylor, Fascist eagle: Italy's air marshal Italo Balbo, Missoula, Montana, Pictorial Histories Pub. Co, 1996, ISBN 1-57510-012-6.
  • Sandro Volta, I grandi nomi del XX secolo, Vol. 3 - I gerarchi di Mussolini, Istituto Geografico De Agostini, 1973, ISBN non esistente.

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

Controllo di autoritàVIAF (EN22151496 · ISNI (EN0000 0001 1022 4030 · SBN RAVV064726 · BAV 495/80926 · LCCN (ENn80137703 · GND (DE118885871 · BNE (ESXX1190528 (data) · BNF (FRcb11992804s (data) · J9U (ENHE987007258118905171 · NSK (HR000752808 · CONOR.SI (SL207715939