Ipsipile

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(Reindirizzamento da Issipile)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Disambiguazione – Se stai cercando l'omonima tragedia di Euripide, vedi Ipsipile (Euripide).
Ipsipile, miniatura del Cinquecento

Ipsipile (in greco antico: Ὑψιπύλη?), nota anche come Issipile, Isifile o Hisiphile[1], è un personaggio della mitologia greca menzionato da vari poeti, come Ovidio nelle Metamorfosi e nelle Heroides (Epistola VI), o Stazio nella Tebaide.

È la protagonista dell'omonima tragedia di Euripide, la meglio conosciuta tra le sue opere frammentarie, conservata per circa la metà.

Il mito[modifica | modifica wikitesto]

Era la regina dell'isola di Lemno. Durante il suo regno le donne dell'isola smisero di sacrificare alla dea Afrodite per la sua infedeltà nei confronti di Efesto. Allora Afrodite punì le donne con una forte alitosi che le rendeva ripugnanti agli uomini, i quali iniziarono a trascurarle prediligendo le schiave di Tracia. Le donne allora decisero di vendicarsi sterminando l'intera popolazione maschile (androcidio), compresi i padri, i fratelli e i figli. Solo Ipsipile ingannò le altre nascondendo e salvando il padre Toante, figlio di Dioniso e Arianna.

Anni dopo si fermò su Lemno Giasone con gli Argonauti come tappa della loro missione per il recupero del Vello d'oro nella Colchide. L'eroe greco la sedusse e poi l'abbandonò incinta, nonostante le avesse giurato eterna fedeltà (farà lo stesso anche con Medea). A questo mito allude Dante Alighieri che pose Giasone nell'Inferno tra i seduttori (Inf. XVIII, 88-93). Dalla relazione con Giasone ebbe due gemelli Euneo e Deipilo.

Quando le donne di Lemnos scoprirono il tradimento di Ipsipile, che aveva salvato il padre, la vollero uccidere, ma lei riuscì a scappare. Essa e i due figli vennero catturati dai pirati e venduti come schiavi al Re Licurgo di Nemea. In un momento in cui le venne affidato Archemoro, il figlio del re, avvenne una disgrazia: per un breve momento essa lo lasciò incustodito per mostrare una fontana (la fonte Langia) ai sette re che stavano per assediare Tebe e proprio allora un serpente soffocò il fanciullo, che morì. Per questa negligenza Ipsipile venne condannata a morte, ma si salvò grazie all'intervento dei suoi due figli. A questa parte del suo mito si riferisce di nuovo Dante nel Purgatorio (Pg. XXVI, 94-95).

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Libro Delle Donne Illustri, Tradotto per Giuseppe Betussi, di Giovanni Boccaccio, ed. Pietro de Nicolini da Sabbio, 1547, p. 21.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN55306066 · GND (DE132380633 · BNF (FRcb16932423d (data) · WorldCat Identities (ENviaf-55306066