HMS Pioneer (R76)

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HMS Pioneer
La Pioneer nel febbraio 1945
Descrizione generale
TipoPortaerei
ClasseColossus
Proprietà Royal Navy
IdentificazioneR76
CostruttoriVickers-Armstrongs
CantiereBarrow-in-Furness
Impostazione2 dicembre 1942
Varo20 maggio 1944
Entrata in servizio8 febbraio 1945
Radiazione1954
Destino finaleDemolita dal settembre 1954 ad Inverkeithing
Caratteristiche generali
Velocità25 nodi (46,3 km/h)
Autonomia12 000 nmi a 14 kt
Equipaggio1.300
Armamento
Armamento
Mezzi aerei48
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L'HMS Pioneer (Pennant number R76), nona nave da guerra della Royal Navy britannica a portare questo nome, è stata una portaerei classe Colossus. Costruita nei cantieri Vickers-Armstrong, venne impostata il 2 dicembre 1942 e in origine chiamata Ethalion e successivamente Mars. Prima del completamento il progetto venne modificato in seguito al successo della portaerei di servizio e manutenzione Unicorn, con l'eliminazione del ponte di volo corazzato e delle catapulte in favore di ampie zone officina. L'unità, cambiato ulteriormente nome in Pioneer nel luglio 1944[1] entrò quindi in servizio l'8 febbraio 1945.

Servizio[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'ingresso in servizio la Pioneer servì nel Pacifico occidentale negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. Si trovava a Manila nel momento della resa delle forze giapponesi nell'area. Dopo la fine del conflitto venne utilizzata per scaricare in mare al largo delle coste australiane aerei non più in servizio, ritornando quindi in patria. Venne trasferita in riserva nel 1946 rimanendovi per sette anni. Nel 1953 venne richiamata in servizio per trasportare aerei, prima di venire definitivamente ritirata per essere venduta nel settembre 1954. Venne quindi demolita ad Inverkeithing.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Colledge, p. 249.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Colledge JJ, Ships of the Royal Navy. The complete record of all fighting ships of the Royal Navy from 15th century to the present, a cura di Ben Warlow, Philadelphia & Newbury, Casemate, 2010, ISBN 978-1-935149-07-1.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]