Graecia capta ferum victorem cepit

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Ritratto immaginario di Orazio eseguito da Anton von Werner.

La frase latina Graecia capta ferum victōrem cepit significa: «la Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il selvaggio vincitore». Corrisponde a parte del verso 156 del componimento iniziale del secondo libro delle Epistole di Orazio, che così continua: et artes intulit agresti Latio («e le arti portò nel Lazio agreste»).

Roma conquistò la Grecia con le armi, ma questa, con le sue lettere e arti, riuscì a incivilire il feroce conquistatore, rozzo e incolto.

La locuzione sancisce quindi il primato della cultura sul mero potere militare.

Interpretazioni[modifica | modifica wikitesto]

Studi novecenteschi hanno riconosciuto nell'esametro una precisa allusione alla presa di Corinto del 146 a. C. e al trasporto fin nel Lazio delle statue greche bottino di guerra da parte del console Mummio: Graecia capta sarebbe il calco di Achaia capta, formula epigrafica assai diffusa e correlata al console vincitore per datare il trionfo militare sulla città.[1]

Fortuna[modifica | modifica wikitesto]

Il celebre verso oraziano è stato oggetto, nel corso dei secoli, di molteplici riadattamenti. Per esempio, il poeta Ovidio ne offre una reminiscenza – attraverso la ripresa di due sostantivi – in Fasti 3, 101: «Nondum tradiderat victas victoribus artes / Graecia, facundum, sed male forte genus».

In riferimento al Rinascimento, Gottfried Wilhelm Leibniz afferma: «Come la Grecia conquistata conquistò il selvaggio vincitore e le arti portò nel Lazio agreste, così l'Italia, conquistata da Francesi e Tedeschi, conquistò a sua volta Francia e Germania e portò la dolcezza di una vita migliore»[2]. Anche altri studiosi dell'Italia rinascimentale, tra cui Giulio Natali, Piers Baker-Bates, Natale Addamiano[3] e Amedeo Quondam[4], hanno evocato il topos oraziano in riferimento al primato culturale detenuto dall'Italia rinascimentale sulle potenze (come la Francia, l'Impero, la Spagna) che si contesero la penisola durante le guerre d'Italia del XVI secolo.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Giuseppe Nenci, Graecia capta ferum victorem cepit (Hor., Ep., 2, 1, 156), Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia Serie III, Vol. 8, No. 3, 1978, pp. 1007-1023 https://www.jstor.org/stable/24304923.
  2. ^ Gottfried Wilhelm Leibniz, Die Werke von Leibniz; gemäß seinem handschriftlichen Nachlasse in der Königlichen Bibliothek zu Hannover, vol. 4, p. 16.
  3. ^ Natale Addamiano, Delle opere poetiche francesi di Joachim du Bellay e delle sue imitazioni italiane, Genève-Paris, Slatkine, 1982, p. 23: «L'Italia vinta, doma, lacera, sparsa, percorsa d'ogni banda da eserciti regolari e da masnade di banditi, in preda al ferro e alle fiamme compì il miracolo, con la sua civiltà, di soggiogare gli invasori. Italia capta ferum victorem cepit».
  4. ^ Amedeo Quondam, Rinascimento e classicismi. Forme e metamorfosi della modernità, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 199-200.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]