Giuseppe Faè

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Giuseppe Faè, nome di battaglia "don Galera" (Campomolino, 4 marzo 1885Montaner, 13 dicembre 1966), è stato un presbitero, partigiano e antifascista italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Ordinato sacerdote nel 1908, partecipa alla prima guerra mondiale come cappellano militare degli Alpini. Tra il 1922 e il 1926 fu direttore del settimanale diocesano "L’Azione".[1] A partire dal 1925, con l'instaurazione del regime fascista, il settimanale rinunciò a trattare grandi temi e si limitò a mera cronaca locale e ad affiancare di tanto in tanto la propaganda fascista.[2]. Poi diventa parroco di Montaner frazione di Sarmede il 22 gennaio 1927: l'incarico era per lui una sorta di "confino ecclesiastico" a causa della sua netta posizione antifascista[senza fonte].[3] A Montaner don Giuseppe Faè costruì un asilo, un orfanotrofio, una chiesa intitolata a san Giovanni Bosco ed una saletta adibita a cinema.

Nella Resistenza[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'Armistizio di Cassibile intensifica la sua attività tanto da collaborare attivamente nella formazione delle prime bande partigiane. Assieme a Giovanbattista Bitto "Pagnoca" avvia il primo nucleo partigiano nella zona del vittoriese, il Gruppo Brigate Vittorio Veneto, che confluirà nella futura divisione Nannetti.
Don Giuseppe Faè aiutò i partigiani fornendo loro cibo, vestiti e sistemandoli nella canonica, che adibì a rifugio dei guerriglieri e delle loro armi. La sua parrocchia divenne dunque un passaggio obbligato per chi desiderava equipaggiarsi e partecipare alle formazioni partigiane del Cansiglio.
Il 27 marzo 1944 don Giuseppe e sua sorella vennero arrestati per attività antifascista, traditi da due falsi partigiani. Portati ad Udine, vennero processati e condannati a morte: la sorella del sacerdote partì per un campo di sterminio, senza fare più ritorno, mentre don Giuseppe, per probabile intercessione dell'arciprete di Pordenone Gioacchino Muccin, in seguito eletto vescovo di Feltre e Belluno, venne ospitato nel seminario di Vittorio Veneto dove i fascisti lo graziarono facendogli trascorrere lì gli anni della guerra civile.

Dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Liberato e tornato a Montaner il 3 maggio 1945, don Giuseppe Faè si adoperò per ottenere la linea telefonica, la luce elettrica, l'acqua corrente nelle case, l'apertura di un ufficio postale e la costruzione di una scuola.

Negli ultimi anni, a causa della vecchiaia, don Giuseppe venne affiancato da alcuni cappellani. Durante gli ultimi tre anni e mezzo venne assistito dal giovane cappellano Antonio Botteon.

Don Giuseppe Faè morì il 13 dicembre 1966, amatissimo e venerato come un santo dalla popolazione. Numerosi furono gli aneddoti che circolarono sui suoi presunti poteri taumaturgici e miracolosi.

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

A Montaner è stato eretto un monumento in sua memoria.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • AA.VV., Il comandante Pagnoca, Vittorio Veneto, 2007, ISBN 978-88-95247-00-7, 183pag
  • Pier Paolo Brescacin (a cura di), Sui sentieri della resistenza in Cansiglio, Quaderni Vittoriesi 2, Collana dell'Ufficio della Resistenza e della Società Contemporanea del Vittoriese.
  • Pier Paolo Brescacin, Giuseppe Giust, la mia resistenza: intervista al comandante partigiano "Vitas". Con alcune note sulla brigata "Cacciatori delle Alpi", Isrev, 2006
  • Antonio Serena, I fantasmi del Cansiglio, Mursia, 2011
  • Antonio Serena, Benedetti assassini, Ritter, 2015

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]