Francesco Misiano

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Francesco Misiano

Deputato del Regno d'Italia
LegislaturaXXV legislatura del Regno d'Italia, XXVI legislatura del Regno d'Italia
Gruppo
parlamentare
Partito Socialista Italiano (XXV), Partito Comunista d'Italia (XXVI)
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoPartito Comunista d'Italia
ProfessioneProduttore cinematografico

Francesco Misiano (Ardore, 26 giugno 1884Mosca, 16 agosto 1936) è stato un politico e produttore cinematografico italiano.

Dirigente sindacale e politico socialista, fu un convinto antimilitarista negli anni della Grande Guerra. Accusato di diserzione, visse in esilio in Svizzera ed in Germania dove prese parte alla rivolta spartachista. Rientrato in Italia, fu eletto deputato nelle file del Partito Socialista nel 1919 e in quelle del Partito Comunista d'Italia nel 1921. In quegli stessi anni divenne uno dei primi obbiettivi dello squadrismo fascista che lo accusava di diserzione, disfattismo e tradimento. Ripetutamente aggredito e picchiato, fu persino cacciato con la violenza dalla Camera dei deputati da un gruppo di parlamentari fascisti il primo giorno della XXVI legislatura. Riconosciuto colpevole diserzione da un tribunale, fu dichiarato decaduto dalla carica di deputato. Costretto poi a fuggire all'estero per le costanti minacce alla sua vita da parte dei fascisti, riparò in Unione Sovietica dove lavorò nell'industria cinematografica.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

La gioventù[modifica | modifica wikitesto]

Francesco Misiano nacque ad Ardore, un piccolo paese che sorge lungo la costa jonica in provincia di Reggio Calabria. Nei primi anni del Novecento si trasferì a Napoli, per ragioni dovute al suo lavoro di impiegato delle Ferrovie dello Stato. Proprio a Napoli aderì nel 1907 al Partito Socialista Italiano, e tre anni più tardi fu iniziato alla massoneria nella loggia "Giovanni Bovio". Abbandonò comunque la libera muratoria nel 1914, all'indomani del congresso di Ancona del PSI, optando per l'appartenenza socialista[1].

L'inizio della carriera politica e l'antimilitarismo[modifica | modifica wikitesto]

Licenziato dalle FS nel giugno 1914 per aver tentato di bloccare la circolazione dei treni in segno di solidarietà con vittime della Settimana rossa di Ancona, Misiano divenne dapprima corrispondente dell'Avanti!, poi, nel novembre successivo, fu trasferito a Torino dove divenne dirigente del sindacato dei ferrovieri. Nel capoluogo piemontese continuò l’opera intrapresa a Napoli, condividendo le lotte del proletariato contro l’entrata in guerra dell’Italia. Convinto anti-interventista e antimilitarista, fu arrestato per aver preso parte alla manifestazione contro la guerra del 17 maggio 1915. Scontati cinque mesi di carcere, nel marzo del 1916 fu richiamato alle armi ed assegnato a Cuneo.

Convinto della necessità di continuare la propaganda antimilitarista nelle file stesse dell'esercito, fece richiesta per l'ammissione al corso ufficiali, per ottenere più ampi margini di manovra. In considerazione delle sue ben note idee però la richiesta fu respinta. Anzi, il 13 maggio, senza alcun preavviso, alla sua compagnia fu ordinato di partire per il fronte l'indomani stesso. Quella notte, insieme ad altri soldati, Misiano si allontanò dalla caserma per salutare la propria famiglia e, quando stava per tornare agli alloggiamenti, venne raggiunto dalla notizia che lui solo, di tutti i commilitoni che si erano assentati, era stato dichiarato disertore.

Per evitare una sicura condanna, organizzata ad arte per colpire quello che era considerato un pericolosissimo elemento sovversivo, riparò a Zurigo, dove entrò in contatto con tanti disertori italiani, tra i quali il suo amico Bruno Misefari, l'"Anarchico di Calabria". A Zurigo divenne collaboratore del Partito Socialista Svizzero e nel luglio 1916 prese il posto di Angelica Balabanoff alla direzione de L’Avvenire del lavoratore, giornale fondato nel 1898, che, sotto la sua direzione, oltre ad avviare una campagna per l’espulsione delle frange riformiste, evidenziò la netta contrarietà al conflitto e la difesa della neutralità, in linea con le risoluzioni assunte dalla conferenza di Zimmerwald del settembre 1915. Ebbe modo di conoscere Lenin, dal quale fu invitato a Mosca per occuparsi della propaganda in lingua italiana; tenne diverse conferenze a Ginevra sulla situazione seguita alla rivoluzione bolscevica; fu ideatore della Società dei senza patria, presente in diverse città.

Il 9 maggio 1918, in seguito al ritrovamento di alcune bombe nel fiume Limmat e nella sede del giornale, le autorità di polizia zurighesi, avanzarono il sospetto che fosse tra i promotori di un progetto insurrezionale e procedettero al suo fermo. Avuto inoltre sentore di un probabile arresto per lo sciopero generale del 9 novembre 1918 che aveva indotto le autorità a militarizzare la città, alla fine del mese decise di raggiungere Mosca, chiamato dalla Balabanoff per dirigere un giornale diretto ai volontari del corpo di spedizione italiano in Russia. Fermatosi a Monaco di Baviera e incontrati i dirigenti della Lega di Spartaco, Misiano fece propaganda presso i prigionieri italiani in attesa del rimpatrio.

Si recò poi a Berlino, dove nel gennaio del 1919 fu coinvolto nei moti spartachisti. Assieme ad altri rivoluzionari italiani che si erano uniti agli spartachisti combatté resistendo per ben sei giorni nell'edificio del giornale Vorwärts (l’organo di stampa del Partito socialdemocratico tedesco, la cui sede berlinese fu occupata dagli spartachisti dal 6 all’11 gennaio 1919) all'attacco dei "Freikorps". Finite le munizioni, Misiano fu tra gli arrestati che non vennero passati per le armi e fu condannato a una pena di dieci mesi di reclusione. Rimesso in libertà provvisoria grazie all’interessamento del PSI, tramite Oddino Morgari e Gustavo Sacerdote, non poté rientrare a Zurigo a causa dell’espulsione deliberata nel frattempo (4 novembre) dal consiglio federale «per aver messo in pericolo la sicurezza della Svizzera».

Il rientro in Italia e le persecuzioni fasciste[modifica | modifica wikitesto]

Nelle elezioni del novembre 1919, il Partito socialista lo candidò a Napoli e Torino. Risultato eletto in entrambi i collegi, al rientro dalla Germania optò per la circoscrizione torinese. Oltre alla carica di parlamentare accettò quella di segretario della Camera del Lavoro di Napoli, alla cui guida sostenne il movimento contro il caroviveri e appoggiò l’occupazione delle fabbriche. Il suo maggiore impegno lo profuse tuttavia nella costruzione del Partito comunista. In questo periodo Misiano iniziò a collaborare col giornale di Amadeo Bordiga Il Soviet, dove pubblicò una serie di articoli in cui, cercando di trovare una linea di mediazione fra il progetto socialista e le indicazioni della III Internazionale, auspicava in Italia un partito «collegato alle masse, tatticamente flessibile e insieme espressione fedele della classe operaia».

La sua elezione a deputato innescò le ire dei nazionalisti e del neonato movimento fascista che vedevano in lui l'esempio massimo del disfattismo. La spirale persecutoria fu innescata nell’agosto del 1920 quando Misiano raggiunse Fiume, dove prevedeva di effettuare una serie di comizi di propaganda per sollevare la classe operaia fiumana contro D'Annunzio. Come reazione, quest'ultimo emise un bando di proscrizione che equivaleva ad una sommaria condanna a morte da infliggersi "a ferro freddo" (cioè a vista)[2].

L'ordine di uccidere Misiano di Gabriele D'Annunzio [3]

Riconosciuto da un gruppo di nazionalisti in una spiaggia di Fiume, fu costretto a scappare gettandosi in mare. Riparato fortunosamente a Trieste, fu ricoverato e gli fu diagnosticata una grave polmonite. Temendo per la sua vita, dopo un breve ricovero lasciò di nascosto la città giuliana alla volta di Bologna. Anche qui però le persecuzioni non si fermarono, nel settembre 1920 fu riconosciuto in un bar bolognese e costretto alla fuga.

Nel gennaio 1921 partecipò al XVII Congresso del PSI e alla successiva fondazione del Partito Comunista d'Italia, venendo incluso nel comitato centrale come rappresentante dei massimalisti di sinistra e diventandone anche deputato. Nel marzo successivo Misiano finì nuovamente nel mirino dei fascisti. La sua casa di Napoli fu infatti assediata da circa 150 squadristi decisi ad impedire potesse uscire liberamente per la strada. Nelle elezioni del maggio 1921, fu rieletto solo a Torino con 52.893 preferenze (il più votato), in quanto a Napoli, pur riportando 3.570 preferenze, il Pcd'I non raggiunse il quorum necessario per un seggio. Il giorno della seduta inaugurale della XXVI legislatura del Regno d'Italia, 13 giugno 1921, Misiano fu vittima di un episodio squadrista all'interno di Montecitorio. Mentre transitava nel corridoio del "Transatlantico", fu infatti aggredito da circa trenta deputati fascisti (i primi ad entrare alla Camera) guidati da Silvio Gai e Giuseppe Bottai, percosso e costretto ad uscire dal Parlamento con la forza[4]. L'aggressione a Misiano a Montecitorio rappresentò un fatto senza precedenti e che segnò ulteriormente la crisi dello stato liberale. Nel dibattito in aula che seguì il socialista Giuseppe Emanuele Modigliani protestò e richiese che la seduta fosse ripresa solo al rientro di Misiano. Il fascista Roberto Farinacci invece mostrò al presidente del Consiglio Giovanni Giolitti una pistola che dichiarò di aver sottratto al parlamentare comunista. Cesare Maria De Vecchi dichiarò di "aver sputato in faccia quattro volte" a Misiano e di "essere pronto a rifarlo per impedire che la sporca figura del disertore continui ad insozzare il Parlamento italiano." Mussolini commentò che "il Gruppo parlamentar e fascista ha mantenuto l'impegno morale preso dinanzi al corpo elettorale: l'impegno, cioè, di impedire l'entrata in Parlamento all'ormai famigerato disertore Misiano". Antonio Gramsci invece dichiarò che:

«La prima affermazione dei Fasci in Parlamento è un atto cui non si può attribuire, nemmeno con i più stiracchiati contorcimenti mentali, nessun significato politico: è un atto di pura e semplice delinquenza. La persecuzione contro un uomo, specialmente quando si agisce in un campo sul quale si attenderebbero manifestazioni di principii e di forze ideali, ha sempre questo carattere. Nel caso di Misiano poi, il quale da un anno dimostra di non temere le aggressioni e gli insulti e di avere sufficiente coraggio materiale e morale per proseguire impassibile nella sua via, l'aggressione compiuta da un gruppo di uomini, i quali si vantano tutti di essere coraggiosi combattenti e finora hanno dato prova di avere minore vigore morale di un predone che attende la vittima per pugnalarla nella schiena - ma almeno arrischia l'esistenza sua in uno scontro -, nel caso di Misiano dicevamo, e per il modo come i fatti si sono svolti ieri in un corridoio della Camera, l'episodio è più che nauseante. Di fronte al fascismo italiano riacquistano nobiltà le più immonde figure di delinquenti che mai siano esistite.[5]»

In seguito alle accuse dei deputati della destra, che tentavano di attribuire la sua diserzione a codardia, con la tacita approvazione del centro e di una parte degli stessi socialisti, Misiano rispose con fierezza direttamente nell'aula parlamentare, rivendicando le sue motivazioni ideali:

«Quando scoppiò la rivoluzione in Germania noi rispondemmo, o signori della borghesia italiana. Ci accusavano di non sapere andare in Russia a batterci coi bolscevichi contro l’imperialismo mondiale e ben sapevano che non ci si poteva andare perché l’Intesa negava persino ai russi il libero passaggio (...). Noi rispondemmo! Allorché la rivoluzione tedesca spalancò le porte al passaggio, noi partimmo; sappiatelo voi che ci accusate di viltà, perché disertori! Dodici disertori partirono subito e passarono la frontiera per andare in Germania (...), si batterono nelle file della guardia rossa a Berlino e a Monaco, e ovunque erano presenti. Disertori noi! Noi disertori, in Germania, dinanzi agli austriaci, dinanzi ai polacchi, dinanzi agli internazionalisti, sotto le bandiere di Spartaco, abbiamo tenuto alto il decoro del socialismo italiano, il decoro d’Italia. E voi borghesi diceste: “È tornato il vile!” Ah! Come le parole talvolta sono convenzionali! La viltà non è un’etichetta che si pone sulla fronte, è una dote interiore. Io vi dirò se son vile o se vile non sono. Io mi trovo qui oggi, alla Camera, non a parlare per me, perché la mia persona scompare, scompare nel grandioso e molteplice fenomeno della guerra, la mia persona non è altro che un atomo, una molecola dell’enorme esercito d’uomini che non vollero la guerra. Ed io, trattando di me, tratto di tutti quelli che in Italia, che in Germania, che in Francia, che in tutto il mondo si negarono alla guerra, combatterono contro la guerra. Quando io parlo di me, io parlo di costoro. Io vi dico: Osservate, chi fu che disertò? Chi fu che non disertò? Ah, la diserzione non è un atto esteriore, è un atto interiore. Il vostro codice può classificarla come un atto esteriore: ma può darsi che se anche il corpo manovra sotto la bandiera sull’Isonzo l’animo può essere assente. Ma può darsi che dalla trincea dell’Isonzo, tutta l’anima propria sia protesa nella lotta ardente per la propria idea. Ah signori, ognuno ha la sua bandiera a cui giura fedeltà. Io non ho mai giurato fedeltà alla bandiera italiana, della borghesia italiana. Dimostratemi questo giuramento. Io vi dico che non esiste. Dimostratemi che io ho detto che sarei stato fedele alla guerra italiana. Io ho detto il contrario: “Non andrò a combattere per la guerra italiana, mi batterò per la guerra di classe”. Ed ho tenuto fede da dodici anni al mio giuramento. Lasciate che ve lo dica senza ostentazione. Io vi ho chiarito i dubbi della mia anima. Vi chiarisco anche i punti fermi della mia coscienza. Sono stato sempre in prima linea nella mia trincea: la lotta di classe contro di voi, borghesia, a favore del proletariato. E voi lo sapevate. Non mi avevate messo in prigione per quattro mesi prima di chiamarmi alle armi? Non lo sapevate colonnello Denina, dalle mie dichiarazioni? Ed allora dov’è la diserzione? Io che avevo dichiarato i miei principii, sarei stato disertore se fossi andato al fronte ad obbedire alla vostra imposizione contro la mia coscienza. (...) Ho fatto dunque il mio dovere di internazionalista. (...) Ma voi dalla legge siete chiamati a giudicarmi: orbene lasciate che io mi domandi chi siete voi, che diritto avete di giudicarmi. Può sembrare la mia un’audacia, ma io non chiedo né perdono, né oblio, né tolleranze: chiedo lotta. Io sono qui per lottare; io lotto contro di voi borghesia. Non parlate di codici. Parlate di lotta. Io sono un vostro avversario. Agli avversari si trafigge il cuore. Io sono un vostro sincero avversario, io gioco il tutto per il tutto, io voglio la fine del vostro regime!»

Nei mesi successivi i parlamentari fascisti continuarono a minacciare di buttare fuori Misiano dall'aula a forza, ma il deputato poté continuare il mandato elettorale grazie alla protezione e al supporto dei suoi compagni di partito. Nel novembre 1921 fu processato dal tribunale militare di Palermo e riconosciuto colpevole di diserzione e condannato a 10 anni reclusione. La pena fu sospesa per effetto di un'amnistia, tuttavia la condanna rimase poiché la corte dichiarò che la difesa non si era mossa nei tempi giusti per poter usufruire di una seconda amnistia. Non fu presentato alcun ricorso. Nel dicembre seguente i fascisti cercarono nuovamente di aggredirlo nei corridoi del Parlamento. I deputati di Mussolini cercarono inoltre di bloccare i lavori dell'aula ogni qualvolta fosse presente Misiano invitando gli altri parlamentari ad abbandonare i seggi. Il 20 dicembre 1921 la Camera dei deputati votò a maggioranza per la revoca del suo mandato elettorale. La motivazione ufficiale si aggrappò ad una sottigliezza giuridica relativa al suo status di «condannato per reati politici compiuti in territorio germanico dopo la conclusione dell’armistizio», non giudicabili «alla stregua di quella dei nostri ex-prigionieri di guerra», e sul fatto che, una volta rientrato dalla Germania con passaporto tedesco vistato il 1º dicembre, Misiano si era presentato solo il 7 dicembre 1919 alle autorità del Regno per regolarizzare la sua posizione ed usufruire dell'amnistia per i disertori.

Riconosciuto da un gruppo di fascisti all'interno del Politeama Margherita fu nuovamente accusato di essere un disertore e costretto ad allontanarsi[6]. Per sottrarsi a ulteriori violenze, il 23 giugno andò per qualche tempo in Unione Sovietica, da cui fece ritorno nell’ottobre seguente. Per evitare altre rappresaglie predilesse allora località ritenute più sicure: Piombino[7], dove partecipò a una serie di manifestazioni a favore della liberazione di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, e Novi Ligure, dove commemorò l’anniversario della rivoluzione russa. Quando si rese conto che l’accanimento verso la sua persona non cessava, il 15 dicembre 1921, non senza qualche difficoltà burocratica, attraversò la frontiera al Brennero e, fatto segno di un ultimo oltraggio a Innsbruck, proseguì per l’Unione Sovietica, dove fissò la sua residenza insieme con la moglie Maria, sposata nel 1911, e le due figlie, Carolina e Ornella.

Misiano in URSS: l'attività cinematografica e la disgrazia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1924 il Soccorso Operaio Internazionale (S.O.I.) affidò a Misiano il compito di fondare a Mosca una casa di produzione cinematografica, che prese il nome di Mežrabpom, della quale diventò presidente. Proprio con la Mežrabpom, Misiano iniziò la sua carriera di produttore cinematografico. La sua casa realizzò, a partire dagli anni venti, 160 opere di finzione e 240 documentari. I titoli più noti furono La Madre, La fine di San Pietroburgo e Tempeste sull'Asia (titolo originale: Potomok Čingiz-Chana) di Vsevolod Pudovkin, Aėlita di Jakov Aleksandrovič Protazanov, Il cammino verso la vita di Nikolaj Ėkk.

Misiano fu distributore in Germania de La corazzata Potëmkin di Ėjzenštejn, riuscendo addirittura ad invitare a Mosca Douglas Fairbanks e Mary Pickford nel 1926. Con Hitler al potere, nel 1933 accolse nella Mezrapbom registi, sceneggiatori e intellettuali in fuga dal nazismo. Tra i nomi più noti ci furono Erwin Piscator, Hans Richter, Joris Ivens, Béla Balázs. Nel 1936, allorché l'Italia entrò in guerra con l'Etiopia, chiese di essere inviato nel Corno d'Africa in missione antifascista ma gli fu negato[8].

Durante le prime avvisaglie del terrore staliniano, Misiano cadde in disgrazia e fu accusato di "deviazioni politiche trotskiste"[9]. Stroncato da una grave malattia, Misiano morì il 16 agosto 1936 a 52 anni.

La figura di Misiano nella cultura[modifica | modifica wikitesto]

Mario La Cava, nel suo romanzo I fatti di Casignana, ambientato nel periodo 1919-1923, rievoca Misiano con queste parole:

«In quei giorni si parlava molto di Francesco Misiano, che per i suoi ideali aveva disertato dal fronte di guerra. Aveva fatto bene; era stato coerente con se stesso. Aveva rischiato e aveva vinto. Non si era fatto uccidere, come avrebbero voluto i suoi superiori per sbarazzarsi di lui. Aveva ripreso la battaglia internazionalista, aveva rifiutato quella degli imperialismi. Ora il suo nome onorato era trascinato nel fango dai suoi nemici: dai vigliacchi veri, dai malvagi, dagli sfruttatori[10]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Vittorio Gnocchini, L'Italia dei liberi muratori: brevi biografie di massoni famosi, Mimesis, 2005, p. 187, ISBN 88-8483-362-0.
  2. ^ Ecco il testo dell'ordine emesso da D'Annunzio: "Arditi, il miserabile disertore Misiano, il vilissimo vituperatore di Fiume e della grande Causa adriatica, tenta di entrare nella città per fare opera di sobillazione e tradimento. Noi non sopporteremo che la città di vita sia contaminata da tanta sozzura. Vi abbandono il disertore e traditore Misiano deputato al Parlamento nazionale. Dategli la caccia; e infliggetegli il castigo immediato, a ferro freddo. Questo è un ordine. E ne rivendico arditamente il peso e l'onore. Fiume d'Italia: nel secondo anniversario del volo su Vienna. Firmato: il comandante Gabriele D'Annunzio"
  3. ^ maas, Mostra Rivoluzione Fascista, su dati.acs.beniculturali.it, 16 dicembre 2010. URL consultato il 20 ottobre 2020.
  4. ^ Dal sito della Fondazione di Studi Storici Filippo Turati, su pertini.it. URL consultato il 16-10-2009.
  5. ^ Antonio Gramsci, Politica e delinquenza, in "L'Ordine Nuovo", 14 giugno 1921, I, n. 164, ora in Id., Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo 1921-1922, Einaudi, Torino 1978, pp. 190-1.
  6. ^ «Con una dozzina di compagni cacciammo dal Politeama Margherita il disertore Misiano, che sedeva comodamente in poltrona. Entrammo in teatro come razzi. Uno salì in un palco e con voce stentorea gridò “Fuori i disertori!” Il povero Misiano, l'idolo delle folle comuniste, dovette scappare come un coniglio, inseguito da noi che lo schernivamo senza fargli neppure l'onore di bastonarlo», da Le squadre d'azione genovesi: ricordi della vigilia. Ardita in Giornale di Genova, 26 marzo 1939.
  7. ^ Vedi il sito A-Infos e la voce Armando Borghi
  8. ^ "Francesco Misiano: vita di un combattente proletario" di Sinovji Sejnis (tradotto da Walter Monier) in Tra Storia e Invenzione: un racconto documentario, pg. 51
  9. ^ Franco Andreucci e Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, vol III, Editori Riuniti, 1977, p. 484
  10. ^ Mario La Cava, I fatti di Casignana, Einaudi, Torino 1974, pag. 41.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Franca Pieroni Bortolotti, Francesco Misiano: Vita di un internazionalista, Editori Riuniti, 1972.
  • Franco Andreucci; Tommaso Detti (a cura di), Il Movimento operaio italiano: dizionario biografico, 1853-1943, Volume III, Editori Riuniti, 1977.
  • Guido Gerosa, capitolo Roberto Farinacci il filosofo del manganello, in I gerarchi di Mussolini, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1973
  • Nando Marzano, Fortunato Nocera, Francesco Misiano. Il pacifista che portava in valigia la corazzata Potëmkin, Reggio Calabria, Città del Sole Edizioni, 2009.
  • John Foot, Gli anni neri: ascesa e caduta del fascismo, Bari; Roma, Laterza, 2022.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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