Forte di Vigliena

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Forte di Vigliena
Torre del forte di Vigliena
Stato attualeBandiera dell'Italia Italia
RegioneCampania
CittàNapoli
Coordinate40°50′16″N 14°17′47.36″E / 40.837778°N 14.296489°E40.837778; 14.296489
Mappa di localizzazione: Napoli
Forte di Vigliena
Informazioni generali
TipoFortezza
CostruzioneXVIII secolo-XVIII secolo
CostruttoreMarchese di Villena
Materialetufo con rinforzi in piperno agli spigoli dei torrioni
Primo proprietarioJuan Manuel Fernández Pacheco, marchese di Villena
Condizione attualein forte stato di degrado
Proprietario attualeComune di Napoli
VisitabileSi
Informazioni militari
UtilizzatoreRegno di Napoli, Repubblica Napoletana, Regno delle Due Sicilie
Funzione strategicaArtiglieria costiera in difesa del porto di Napoli
Armamento7 cannoni di grosso calibro verso il mare; 2 di piccolo calibro verso terra.
Azioni di guerra1799: vi si svolgono gli ultimi combattimenti tra i sostenitori della Repubblica Napoletana e le truppe sanfediste del Cardinale Ruffo
Eventi1799: epilogo della Repubblica Napoletana
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Il forte di Vigliena è un edificio storico della città di Napoli, monumento nazionale, di cui rimangono oggi solo alcuni resti; è ubicato nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, in via Marina dei Gigli (ex stradone Vigliena).

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La costruzione del fortilizio risale al 1702 (secondo altre fonti al 1706[1]), ad opera del viceré Juan Manuel Fernández Pacheco, marchese di Villena, da cui prese il nome. Venne usato durante il Regno delle Due Sicilie anche per l'istruzione alla pratica di artiglieria dei cadetti della Reale accademia militare della Nunziatella.

L'importanza storica della fortezza è soprattutto legata ad un episodio che vide contrapposti i sostenitori della Repubblica Partenopea e le forze sanfediste del cardinale Ruffo, avvenuto il 13 giugno 1799. Essendo il presidio più meridionale della città di Napoli, si trovò in prima linea rispetto all'avanzata da sud delle forze legittimiste quando i repubblicani dovettero abbandonare le posizioni sul ponte della Maddalena. Il forte era difeso da circa centocinquanta uomini della Legione Calabra, al comando del sacerdote di Corigliano Calabro Antonio Toscani. Assaltati da tre battaglioni sanfedisti calabresi, al comando del tenente colonnello Francesco Rapini[2]; e successivamente colpiti da un intenso fuoco di artiglieria russa, i difensori furono ridotti ad una sessantina.

Vista l'impossibilità di vincere, sembra che Toscani decidesse di dare fuoco alle polveri, determinando la propria morte e quella di buona parte sia dei difensori, che degli attaccanti. Il forte fu semidistrutto dall'esplosione, dalla quale scampò un solo repubblicano, un certo Fabiani, che si gettò in mare prima dello scoppio[3].

Così Alexandre Dumas, nel suo saggio sui Borbone di Napoli[4], descrive l'accaduto:

«In quel punto, s'intese una spaventevole detonazione, ed il molo fu scosso come da un terremoto; nel tempo istesso l'aria si oscurò con una nuvola di polvere, e, come se un cratere si fosse aperto al piede del Vesuvio, pietre, travi, rottami, membra umane in pezzi, ricaddero sopra larga circonferenza.»

L'evento della distruzione del forte, e la morte di tanti commilitoni, instillò nuova furia nei calabresi sanfedisti, che diedero con successo l'assalto al Castello del Carmine[5], aprendo la porta alla conquista della città.

La fortezza, di grande interesse socio-politico-culturale, fu abbandonata, tanto da favorire interventi abusivi da parte di strutture sia pubbliche, che private. Nel 1891, tuttavia, per iniziativa di alcuni parlamentari quali Paolo Emilio Imbriani e Pasquale Villari, il forte fu proclamato “monumento nazionale” e fu sottoposto a restauro, sebbene, tuttavia, le condizioni attuali non siano ancora degne di un monumento nazionale. Infatti in seguito al restauro avvenuto nell’81 il forte è stato nuovamente lasciato all’abbandono, ed addirittura utilizzato come canile da privati cittadini. Attualmente risulta ancora non visitabile.

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

Alto solo sei metri, onde favorirne il defilamento al tiro nemico del mare, di forma pentagonale, e circondato da un fossato largo ben nove metri e profondo cinque, era concepito in maniera tale da assicurare la difesa del porto di Napoli con i suoi cannoni. Al forte si accedeva tramite un rivellino di forma triangolare dotato di parapetto e fuciliera di guardia. Tale configurazione doveva servire anche per portare degli attacchi di sorpresa contro eventuali invasori, che avrebbero in tal modo subito il tiro dei cannoni posti sui due lati frontali, ciascuno lungo fino a 35,9 metri, oltre alle fucilate provenienti dalle numerose feritoie disseminate lungo le mura.

Nel cortile interno erano disposti un pozzo e una serie di casematte adibite a servizi accessori (refettorio, officina d'armi, deposito attrezzi, etc.) addossate lungo la parete, ciascuna dotata di scala che dava accesso al primo sopraelevato di ronda. Analogamente, dal cortile si poteva accedere ai bastioni dotati di tunnel sotterranei per il trasporto di polvere e munizioni. Eccetto la cornice in pietra vesuviana che coronava la cortina compresa tra i due bastioni laterali, la fortezza era integralmente realizzata in tufo. Nel 1742 fu aggiunta una rampa più ampia di accesso al piano di ronda.

Prospettive sul Forte di Vigliena[modifica | modifica wikitesto]

A fronte di ripetuti episodi di degrado e di illegalità, le proposte di recupero si orientano verso la realizzazione di un parco archeologico. Il particolare frangente economico e le difficoltà economiche dell'amministrazione municipale, tuttavia, hanno determinato la deviazione degli investimenti verso il più redditizio porto turistico, nella medesima zona[6].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Napoli e dintorni, Touring Club Italiano, Milano, 2005.
  2. ^ Massimo Viglione, Rivolte dimenticate: le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815, Città Nuova, 1999, p. 273, ISBN 978-88-311-0325-1.
  3. ^ Atto Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, vol. 2, 1850, pp. 44-47.
  4. ^ Alessandro Dumas, I Borboni di Napoli, 1862.
  5. ^ Massimo Viglione, Rivolte dimenticate: le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815, Città Nuova, 1999, p. 273, ISBN 978-88-311-0325-1.
  6. ^ Antonio Cangiano, Forte di Vigliena, da monumento del 1799 a cimitero per cani, su Corriere del Mezzogiorno, 23 marzo 2010.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giuseppe Abatino, Il Forte di Vigliena, Napoli, Edizioni dell'Anticaglia, 1999.
  • Grazia Ascrizzi, Il forte di Vigliena. Ricostruzione plastica e storica, Luigi Esposito, Napoli, Fiorentino, 1980.
  • Francesco Pometti, Vigliena: contributo storico alla rivoluzione napoletana del 1799 con documenti e disegni inediti, Napoli, Casa Pontieri Editrice, 1894.
  • Pasquale Turiello, Il fatto di Vigliena, 13 giugno 1799. Ricerca storica, Napoli, Morano, 1881.
  • Arbatino G. (1899) Il forte di Vigliena, "Napoli nobilissima", 9, pp. 150–154; Id., 10-11, pp. 168–171.

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