Etere (elemento classico)

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Le relazioni tra i quattro elementi classici, con al centro la quinta essenza (illustrazione dal Sylva Philosophorum di Cornelius Petraeus, XVII secolo).

L'etere (in greco antico αἰθήρ, confluito in latino come aether), sinonimo di quintessenza (dal latino medievale quinta essentia, a sua volta calco dal greco pémpton stoichêion, «quinto elemento»), era un elemento che, secondo Aristotele, si andava a sommare agli altri quattro già noti: il fuoco, l'acqua, la terra, l'aria.

Oggetto di indagine spirituale da parte di diverse tradizioni filosofiche ed esoteriche, l'etere sarebbe secondo gli alchimisti il composto principale della pietra filosofale.[1]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La dottrina greca antica[modifica | modifica wikitesto]

Il dodecaedro, nella concezione degli antichi Greci, rappresentava la perfezione dell'etere.

La storia dell'etere inizia con gli antichi Greci, per i quali esso era l'elemento cristallino con cui era fatto l'universo. Platone, che nel Fedone parlava di terre perfette abitate da esseri superiori e situate al di sopra della terra a noi conosciuta, sosteneva che l'etere avesse la forma di un dodecaedro, solido regolare composto da dodici facce, il cui significato numerologico implicava una corrispondenza con i dodici segni dello zodiaco.

«La terra vera e propria, la terra pura si libra nel cielo limpido, dove son gli astri, in quella parte chiamata etere da coloro che sogliono discutere di queste questioni; ciò che confluisce continuamente nelle cavità terrestri non è che un suo sedimento. Noi che viviamo in queste fosse non ce ne accorgiamo e crediamo di essere alti sulla terra, come uno che stando in fondo al mare credesse di essere alla superficie e vedendo il sole e le altre stelle attraverso l'acqua, scambiasse il mare per il cielo.»

La concezione aristotelica dell'universo, che vede al centro i quattro cerchi sublunari corrispondenti a terra, acqua, aria, e fuoco, al di sopra dei quali ruotano le sfere planetarie di sostanza eterica.[3]

Aristotele ne diede una trattazione sistematica, rimasta prevalente in Occidente, sostenendo che l'etere costituiva l'essenza del mondo celeste, e distinguendolo così dalle quattro essenze (o elementi) di cui riteneva composto il mondo terrestre, stratificato dall'alto in basso in fuoco, aria, acqua ed infine terra. Aristotele riteneva che l'etere fosse eterno, immutabile, senza peso e trasparente; proprio per l'eternità e staticità dell'etere, il cosmo era un luogo immutabile, o quantomeno soggetto a mutamenti regolari, in contrapposizione alla Terra, luogo di continuo cambiamento.[4] All'etere, infatti, egli attribuiva per natura il moto circolare, che entrando poi in contatto con gli altri quattro elementi giungeva a corrompersi diventando rettilineo.[5] Mentre così le stelle fisse, incastonate nel cielo del firmamento, realizzavano il loro fine con un solo movimento, appunto attraverso il moto circolare uniforme, gli altri pianeti più vicini alla Terra lo realizzavano progressivamente per mezzo di più movimenti.[6]

Il Sole e i diversi astri risultavano anch'essi fatti di etere, e ritenuti da Aristotele veri e propri esseri viventi dotati di anima, coincidenti con gli dèi della mitologia greca.[7] L'etere inoltre era per lui qualcosa di denso che permeava tutti i luoghi celesti, nei quali perciò non esisteva nessuno spazio vuoto.[8]

In seguito la natura dell'etere continuò a essere discussa da stoici, neoplatonici, filosofi islamici, e quindi dagli scolastici medioevali, che in opposizione al meccanicismo democriteo, il quale ammetteva l'esistenza del vuoto, lo intendevano come il mezzo universale che riempiva lo spazio, attraverso cui tutto si propagava, e tutto connetteva in unità.[9]

Per la sua caratteristica di essere «forza vitale conservatrice del ricordo delle forme», o «memoria biologica»,[10] l'etere era ritenuto l'elemento costitutivo dell'Anima del Mondo, che nel sistema filosofico di Plotino rappresentava l'ipostasi preposta alla generazione della vita, subordinata all'Intelletto il quale invece era la sede superiore delle Idee e dei modelli a cui sottostavano le forme viventi.

«Così gli antichi Filosofi e i Poeti dissero l'Etere Anima del Mondo, Spirito, Fuoco purissimo, e Motore di tutte le cose, Giove, Proteo. Perché stimarono che tutti i corpi governi, lo nominarono Anima del Mondo e Spirito per la sottigliezza delle sue parti, che dai sensi conoscer non si possono; Fuoco per l'attività, Motore e Giove per la forza universale con cui muove tutte le cose; Proteo perché prende le figure tutte.»

Analoghi concetti vennero espressi in età rinascimentale da Luca Pacioli, neoplatonico del XVI secolo, per il quale l'etere coinvolge anche le strutture matematiche e geometriche dell'universo: secondo il Pacioli, che si rifaceva in tal modo a Platone, il cielo, ossia il quinto elemento, aveva la forma di un dodecaedro, struttura perfetta secondo lo studioso.

Tradizione alchemica[modifica | modifica wikitesto]

Nel mercurio gli alchimisti vedevano espresse le proprietà liquide e lunari dell'etere, che unite a quelle complementari dello zolfo,[1] avrebbero conferito il potere trasmutativo e conoscitivo della pietra filosofale.[11]
Il caduceo, o bastone di Mercurio, che con i due serpenti avvolti simboleggiava l'opera di riunificazione alchemica delle opposte polarità dell'etere.[1]

«Successivamente gli alchimisti medievali indicarono con l'etere o quintessenza la forza vitale dei corpi, una sorta di elisir di lunga vita. Quella cosa che muta i metalli in oro possiede altre virtù straordinarie: come, ad esempio, conservare la salute umana integra sino alla morte e di non lasciar passare la morte (se non dopo due o trecento anni). Anzi, chi la sapesse usare potrebbe rendersi immortale. Questo lapis non è certamente nient'altro che seme di vita, gheriglio e quintessenza dell'intero universo, da cui gli animali, le piante, i metalli e gli stessi elementi traggono sostanza.»

Almeno fino al XVII secolo, le proprietà alchemiche dell'etere furono oggetto di studio anche ai fini della ricerca della pietra filosofale, per produrre la quale era necessaria la disponibilità del grande Agente universale, cioè la stessa Anima del mondo, altrimenti detta «Azoto»,[12] acronimo cabalistico che indicava appunto l'Etere divino di cui ogni elemento della realtà si riteneva fosse permeato:[13] il lapis philosophorum, analogamente detto «quintessenza»,[14] sarebbe risultato dalla sintesi di due realtà contrapposte, quali il mercurio, associato all'aspetto passivo dell'etere, e lo zolfo, associato al lato attivo e solare dell'intelletto.[15]

Per il fatto che in ambito chimico la quintessenza fosse ritenuta un elisir ottenuto dalla quinta distillazione degli elementi, il termine «quintessenza» ha anche assunto un significato più ampio, quello di caratteristica fondamentale di una sostanza o, più in generale, di una branca del sapere.

Teorie moderne[modifica | modifica wikitesto]

Jakob Bernoulli, De gravitate aetheris, 1683

Tra l'autunno e l'inverno del 1609, il fisico pisano Galileo Galilei (1564-1642) perfezionò nuovi strumenti ottici in grado di effettuare rilevanti ingrandimenti astronomici, i cui risultati furono pubblicati nel Sidereus Nuncius (1610), dove dava conto della morfologia della Luna, della Via Lattea, dell'esistenza dei cosiddetti satelliti medicei di Giove, e di numerose stelle non visibili a occhio nudo. I corpi celesti si dimostravano composti di elementi analoghi al mondo sub-lunare e cadeva così la necessità di attribuire loro una materia perfetta (o quintessenza).[16]

L'antico concetto di etere continuò tuttavia ad essere inteso come una sostanza permeante il cosmo, sebbene le nuove teorie meccanicistiche presero a concepirlo come un medium sempre più grossolano. Cartesio ad esempio spiegava il fenomeno della gravità sulla base di vortici di etere.[17]

Così Jakob Bernoulli nel 1682 formulò la teoria che la durezza dei corpi dipendesse dalla pressione dell'etere,[18] mentre pochi anni dopo Isaac Newton nei suoi Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica lo definì un «mezzo intermedio» per descrivere le interazioni dinamiche dei moti planetari, da lui poste alla base della legge di gravitazione universale.[19] Egli spiegava cioè l'azione a distanza tra i corpi celesti, priva di contatto materiale, ricorrendo all'etere come ad un modello statico di fluidi.[20]

L'etere luminifero[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Etere (fisica).

Ancora agli inizi dell'Ottocento una simile visione dell'etere fu riproposta con l'affermarsi della teoria ondulatoria della luce, da parte dell'inglese Thomas Young (1773-1829) e del francese Augustin-Jean Fresnel (1788-1827), in contrapposizione a quella corpuscolare di Isaac Newton, per l'esigenza di postulare un mezzo materiale in cui la luce potesse propagarsi, così come il suono si propaga attraverso l'aria. Venendo ora infatti concepita come onda, anziché come un corpo, la luce non avrebbe potuto diffondersi nel vuoto.

In seguito, Albert Einstein, con la sua teoria della relatività, supererà questa concezione dell'etere, almeno nel suo aspetto grossolano, sostituendolo però di fatto con una nuova considerazione dello spazio dotato di specifiche proprietà fisiche che escludono la possibilità del vuoto assoluto.[21]

La dimensione eterica nell'esoterismo[modifica | modifica wikitesto]

L'esagramma, che assomma in sé i simboli degli altri quattro elementi: fuoco (), aria (), acqua (), terra ().[22]

L'etere è tornato ad essere oggetto di indagine filosofica ed esoterica sia da parte degli ambienti teosofici fondati da Madame Blavatsky, che lo identificò con i concetti orientali di akasha a livello cosmico e di prana a livello vitalistico individuale (costitutivo del corpo eterico),[23] sia negli scritti rosacrociani di Max Heindel.[24]

I quattro eteri secondo Steiner[modifica | modifica wikitesto]

Rudolf Steiner, fondatore dell'antroposofia, lo mise invece in relazione con i quattro elementi della tradizione occidentale. Egli sostenne che, in epoche remote, l'etere di cui era fatto il mondo esisteva come calore, dal quale prese in seguito a differenziarsi, condensandosi progressivamente attraverso quattro epoche planetarie, e giungendo attualmente a scindersi in quattro coppie, governate dalla legge universale della polarità: fuoco, aria, acqua e terra hanno cioè ognuno una controparte eterica, dotata di caratteristiche opposte e complementari.[25]

L'etere-calore, da cui si è originato l'elemento fuoco, è nella cosmogonia steineriana la prima sostanza con cui fu plasmato il mondo, emanazione della sostanza stessa dei Troni, gli angeli di Saturno così descritti dallo Pseudo-Dionigi l'Areopagita.[26] Mentre il fuoco si espande verso l'alto, l'etere-calore ha la caratteristica opposta di discendere giù dal Sole, concentrandosi negli esseri viventi e favorendo il loro sviluppo. Di esso sono intessuti gli spiriti della natura conosciuti come salamandre.[25]

L'etere-luce è la controparte dell'elemento aria, cioè dello stato gassoso: mentre l'aria appare caotica, disordinata, capace di penetrare ovunque e di collegare in maniera fluida ogni cosa, l'etere ad essa complementare si posa soltanto sulla superficie degli oggetti, ed è dotato di direzione, ordine e capacità di dividersi nettamente. L'etere-luce, inoltre, illuminando gli oggetti, li rende distinguibili creando le dimensioni della distanza e dello spazio. Ad esso appartengono gli spiriti della natura chiamate silfidi, che infondono luce alle piante.[25]

L'etere-chimico si contrappone in maniera complementare agli stati liquidi appartenenti all'elemento acqua. A differenza di quest'ultima, fluida, densa, e compatta, tendente a restringersi nell'aspetto di sfere, l'etere-chimico è discontinuo, separatore, e perciò produttore di forme. Steiner fa derivare da esso fenomeni come la chimica e la musica, chiamandolo perciò anche etere del suono,[27] per la sua capacità di strutturare la materia secondo rapporti numerici acustici, riflessi dell'armonia cosmica conosciuta sin dalla scuola pitagorica come «musica delle sfere».[28] Nell'etere-chimico vivono le ondine, spiriti della natura che estraggono dalle piante e dagli alberi le diverse parti di cui sono composti, come rami, fronde, foglie, pur mantenendo tra queste una relazione d'insieme.[25]

L'etere-vitale è in rapporto di polarità con l'elemento terra, ossia con tutto ciò che si trova in uno stato solido. Mentre la terra è dura e rigida, inerte e inanimata, l'etere-vitale possiede mobilità interiore, ed è capace di dare vita alla materia. In esso consiste il principio dell'io, ossia la forza in grado di conferire l'individualità ad un corpo.[25] Nell'etere-vitale agiscono gli gnomi, spiriti della terra che in esso veicolano le idee archetipe del cosmo ricevute dagli alberi, trasmettendole ai minerali di cui si nutrono a loro volta le radici delle piante.[29]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Glenn Alexander Magee, Hegel e la tradizione ermetica, § 4.4, Mediterranee, 2013.
  2. ^ Fedone, trad. it. dal sito Ousia.
  3. ^ Come illustrato anche da Cicerone, al di sotto delle orbite eteriche «non c'è ormai più nulla, se non mortale e caduco, eccetto le anime, assegnate per dono degli dèi al genere umano; al di sopra della Luna tutto è eterno» (Cicerone, Somnium Scipionis, De re publica, VI, 17).
  4. ^ Aristotele, De caelo, libro I, capp. 1-12.
  5. ^ Aristotele, De caelo, I, 2, 268b, 11-270 a 12.
  6. ^ Aristotele, De caelo, II, 12.
  7. ^ Aristotele, Metaphysica, XII, 8.
  8. ^ Aristotele, Fisica, IV, 7-8.
  9. ^ Ludwik Kostro, Einstein e l'etere: relatività e teoria del campo unificato, pag. 14, Dedalo, 2001.
  10. ^ Gino Testi, Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria, pag. 80, Mediterranee, 1980.
  11. ^ Cfr. anche Luciana Pedirota, Tarocchi & Kabbalah, nota 109, Mediterranee, 2013.
  12. ^ Azoto era un acronimo cabbalistico di 4 lettere (A-Z-Ω-Th), simbolizzante il mercurio: "A" in quanto inizio dell'alfabeto, "Z" in quanto fine, "O" come fine dell'alfabeto greco (omega), "TO" come fine dell'alfabeto ebraico. Le caratteristiche di contenere in sé l'inizio e la fine di tutto erano quelle attribuite appunto al mercurio (cfr. L'anello del mercurio Archiviato il 6 marzo 2014 in Internet Archive.).
  13. ^ Georges Ranque, La pietra filosofale, Edizioni Mediterranee, 1989.
  14. ^ (EN) Carl Gustav Jung, Psychology and Alchemy, Londra, Routledge, 1964, p. 243, ISBN 978-0-415-03452-4.
  15. ^ David Walsh, The esoteric origins of modern ideological thougth: Boehme and Hegel, pag. 49, Università della Virginia, 1978.
  16. ^ Marco Ciardi (a cura di), Esplorazioni e viaggi scientifici nel Settecento, Milano, Rizzoli, 2008, pp. 7-8, ISBN 978-88-17-02334-4.
  17. ^ Teoria dei vortici, su nuovafisica.it. URL consultato il 21 settembre 2018 (archiviato dall'url originale il 21 settembre 2018).
  18. ^ Bernoulli, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 13 gennaio 2020.
  19. ^ L. Rosenfeld, Newton's views on aether and gravitation, in Archive for History of Exact Sciences, vol. 6, n. 1, 1969, pp. 29–37, DOI:10.1007/BF00327261. Nel suo modello eterico, Newton descrive l'etere come un mezzo che "scorre" continuamente verso il basso verso la superficie terrestre ed è parzialmente assorbito e parzialmente diffuso. Questa "circolazione" dell'etere è ciò a cui ha associato la forza di gravità per aiutare a spiegare l'azione della gravità in modo non meccanico. Questa teoria ha descritto diverse densità di etere, creando un gradiente di densità eterica. La sua teoria spiega anche che l'etere era denso negli oggetti e rarefatto senza di essi. Quando particelle di etere più denso interagivano con l'etere rarefatto, venivano attratte dall'etere denso proprio come i vapori di raffreddamento dell'acqua vengono attratti l'uno verso l'altro per formare l'acqua.
  20. ^ Newton, Isaac. Isaac Newton to Robert Boyle, 1679, 28 febbraio 1679. Questa interazione elastica è ciò che ha causato l'attrazione della gravità, secondo questa teoria iniziale, permettendo una spiegazione dell'azione a distanza invece dell'azione attraverso il contatto diretto. Newton spiegò anche questa mutevole rarità e densità di etere nella sua lettera a Robert Boyle nel 1679. In questa lettera illustrò anche l'etere e il suo campo attorno agli oggetti e lo utilizzò come modo per informare Robert Boyle della sua teoria (cfr. James DeMeo, Isaac Newton's Letter to Robert Boyle, on the Cosmic Ether of Space - 1679, su orgonelab.org, 2009. URL consultato il 20 dicembre 2016 (archiviato dall'url originale il 20 dicembre 2016).) Sebbene Newton alla fine abbia cambiato la sua teoria della gravitazione in una forza coinvolgente e le leggi del moto, il suo punto di partenza per la moderna comprensione e spiegazione della gravità derivava dal suo modello eterico originale sulla gravitazione.
  21. ^ Come egli stesso ebbe modo di precisare, «a favore dell'ipotesi dell'etere gioca un argomento molto importante. Negare l'etere significa, in ultima istanza, supporre che lo spazio vuoto non possieda alcuna proprietà fisica, il che è in disaccordo con le esperienze fondamentali della meccanica» (A. Einstein, Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988).
  22. ^ Immagine dal grimorio Heptameron attribuito a Pietro d'Abano (1565).
  23. ^ H.P. Blavatsky, La chiave della teosofia (1889).
  24. ^ M. Heindel, La Cosmogonia dei Rosacroce, cap. I-2 (1909).
  25. ^ a b c d e Peter Tompkins, La vita segreta della natura, pp. 120-122, Mediterranee, 2009.
  26. ^ Dionigi, De coelesti hierarchia, VII.
  27. ^ Gli esseri elementari secondo Rudolf Steiner Archiviato il 29 ottobre 2015 in Internet Archive..
  28. ^ Massimo Scaligero, L'uomo Interiore, pag. 165, Mediterranee, 1988.
  29. ^ Peter Tompkins, La vita segreta della natura, pag. 123, op. cit.

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