Ernesto Chiminello

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Ernesto Chiminello
NascitaPizzo, 4 dicembre 1890
MortePorto Edda, 4 ottobre 1943
Cause della mortefucilazione
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Regno d'Italia
Forza armata Regio Esercito
ArmaFanteria
GradoGenerale di divisione
GuerrePrima guerra mondiale
Seconda guerra mondiale
CampagneFronte italiano (1915-1918)
Campagna italiana di Grecia
Comandante di22º Reggimento fanteria "Cremona"
3º Reggimento fanteria "Piemonte"
33ª Divisione fanteria "Acqui"
151ª Divisione fanteria "Perugia"
Decorazionivedi qui
dati tratti da L’Albania indipendente e le relazioni italo-albanesi (1912-2012)[1]
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Ernesto Chiminello (Pizzo, 4 dicembre 1890Porto Edda, 4 ottobre 1943) è stato un generale italiano, che durante la seconda guerra mondiale fu comandante della 33ª Divisione fanteria "Acqui", di stanza a Cefalonia, e poi della 151ª Divisione fanteria "Perugia" di stanza ad Argirocastro. Nei giorni seguenti la proclamazione dell'armistizio dell'8 settembre 1943, per essersi opposto alla resa e alla consegna delle armi, fu trucidato dai tedeschi a Porto Edda insieme ad altri 120 ufficiali.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nacque il 4 dicembre 1890, e si arruolò nel Regio Esercito, divenendo sottotenente di fanteria nel 1908.[1] Tra il 1912 al 1913 operò in Libia.[1] Fu promosso al grado di tenente[N 1] il 6 settembre del 1913.[2]

All'atto dell'entrata in guerra del Regno d'Italia, il 24 maggio 1915, partì per il fronte. Il 9 settembre del 1915, con Decreto Luogotenenziale, fu promosso al grado di capitano in servizio permanente effettivo (s.p.e.).[3]

Dopo la fine delle ostilità frequentò la Scuola di guerra,[1] ricoprendo in seguito la carica di Sottocapo di Stato maggiore del Corpo d'armata di Bologna.[1] Comandò poi dapprima il 22º,[1] e poi il 3º Reggimento di fanteria[1] ed infine il Distretto militare di Ragusa. Il 3 giugno 1932 fu fatto Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro[4]

Capo di stato maggiore della 32ª Divisione fanteria "Marche", divenne in seguito comandante della zona militare di Alessandria.[1] Il 1º luglio del 1940 fu promosso al grado di generale di brigata. Nel luglio 1941 fu nominato presidente della Commissione Confini Montenegro. Nel corso del 1942[1] assunse le funzioni di comandante della 33ª Divisione fanteria "Acqui", di stanza a Cefalonia.[5] ricoprendo tale incarico sino al giugno 1943.

Il 15 agosto dello stesso anno, dopo un breve periodo a disposizione del Corpo d'armata di Firenze, fu mandato in Albania per assumere le funzioni di comandante della 151ª Divisione fanteria "Perugia",[5] inquadrata nel IV Corpo d'armata del generale Carlo Spatocco, operante in seno 9ª Armata al comando del generale Renzo Dalmazzo. L'armistizio dell'8 settembre[1] lo sorprese a Argirocastro,[6] dove si trovava il Quartier generale della divisione.[N 2] La divisione si trovava schierata nelle vicinanze del confine con la Grecia, nella zona tra Permeti, Klisura e Tepeleni.[7] Appresa la notizia dell'avvenuto armistizio il comando della divisione decise, all'unanimità, di resistere ai tedeschi, anche con l'uso della armi.[7]

L'epopea della Divisione "Perugia"[modifica | modifica wikitesto]

Il 9 settembre un ufficiale tedesco si recò a colloquio con lui, e fu raggiunto un accordo in base al quale i reparti della divisione sarebbero rimasti ad Argirocastro, insieme a un piccolo contingente di soldati tedeschi, e in caso di spostamento la Grande Unità si sarebbe diretta a Valona.[1] Il vicecomandante della divisione, colonnello Giuseppe Adami, responsabile del settore di Tepeleni,[7] intavolò trattative con i partigiani albanesi,[N 3] con l'appoggio del suo comandante, ma tra il 10 e l'11 settembre gli albanesi circondarono la città.[8] A causa di questo fatto egli lasciò libero Adami di comportarsi come meglio credeva, e quest'ultimo partì con i suoi reparti per raggiungere Valona, secondo il piano iniziale.

Il giorno 13[6] altri reparti italiani giunsero ad Argirocastro, mentre il piccolo presidio tedesco presente in città fu fatto partire per Valona. Il giorno 14 i partigiani albanesi lanciarono un ultimatum per la consegna delle armi e il disarmo della divisione, che fu respinto,[1] così come il successivo attacco in cui trovarono la morte circa 500 albanesi.[9] All'alba del giorno 16 circa 5.000[9] uomini[N 4] della divisione partirono per raggiungere Porto Edda,[1] che risultava libera dai tedeschi, arrivandovi tra alterne vicende il 22. Imbarcati[10] sulle navi i primi soldati feriti e i prigionieri fuggiti ai tedeschi, le operazioni di evacuazione terminarono il giorno 24 quando gli attacchi aerei della Luftwaffe le resero impossibili.[10] La divisione partì alla volta di Porto Palermo[10] dove avrebbero dovuto arrivare altre navi, giungendovi il giorno 27. Le navi promesse dal Capo di stato maggiore generale del Regio Esercito Vittorio Ambrosio,[11] non giunsero mai,[10] e il 29[12] arrivarono i soldati germanici del I Battaglione, 99º Reggimento della 1ª Divisione Gebirgjager che iniziarono subito le operazioni di rastrellamento, denominate Unternehmen Spaghetti (Operazione Spaghetti).[12] Nascostosi in un bosco[N 5] insieme ad altri ufficiali, il 3 ottobre decise di arrendersi ai tedeschi.[12]

Il 4 ottobre 1943 fu fucilato sulla spiaggia di Baia Limione a Porto Edda,[12] ed insieme a lui fu ucciso anche il maggiore Sergio Bernardelli,[6] Capo di stato maggiore della divisione, mentre altri 118 ufficiali[10] furono uccisi successivamente vicino alla cittadina di Saranda.[12] I cadaveri furono portati al largo e gettati in mare zavorrati con delle pietre legate alle gambe.[13]

La colonna al comando di Adami raggiunse Valona,[13] e dopo alterne vicende i tedeschi misero i soldati su un treno con destinazione Trieste, che fu fatto dirottare su Vienna dove le SS catturarono tutti i soldati e gli ufficiali avviandoli verso i campi di prigionia in Germania.[13]

Dopo la sua morte la Fondazione "Leone Ferri" situata presso la Facoltà di scienze sociali e politiche dell'Università di Firenze ricevette un lascito di 20.000 lire.[14] Per onorare la sua memoria il comune di Rho (Milano) gli ha intitolato una via.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915 – 18 (4 anni di campagna) - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia commemorativa dell'Unità d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia commemorativa italiana della vittoria - nastrino per uniforme ordinaria

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Insieme a lui furono promosso lo stesso giorno anche i futuri generali Antonio Gandin, Giovanni Messe, Arnaldo Azzi, Francesco La Ferla, Ugo Tabellini.
  2. ^ Quella stessa mattina aveva ricevuto la visita del comandante del IV Corpo d'armata, generale Spatocco, che aveva concordato con lui l'inizio di un'operazione antipartigiana nella zona di sua competenza.
  3. ^ Tra i suoi contatti vi fu anche l'ufficiale inglese Harold William Tilman che raggiunse un accordo con Adami, tramite il maggiore Simone Ciampa. Tale accordo prevedeva che i reparti della divisione operassero in montagna, a fianco degli insorti. Tale accordo fu sottoposto da Ciampa a Chiminello che diede la sua approvazione.
  4. ^ Chiminello disponeva anche di 8 cannoni da 75 mm sommeggiati.
  5. ^ Secondo la testimonianza di padre Scanagatta, un cappellano della divisione, il generale si trovava in uno stato di grave psicosi depressiva.

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m Becherelli, Carteny, Giardini 2013, p. 227.
  2. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.237 dell'11 ottobre 1913.
  3. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.243 del 2 ottobre del 1915.
  4. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.247 del 24 ottobre 1932.
  5. ^ a b Meyer 2008, p. 301.
  6. ^ a b c Meyer 2008, p. 453.
  7. ^ a b c Bianchi 2012, p. 12.
  8. ^ Bianchi 2012, p. 13.
  9. ^ a b Tilman 1946, p. 120.
  10. ^ a b c d e Becherelli, Carteny, Giardini 2013, p. 228.
  11. ^ Tilman 1946, p. 125.
  12. ^ a b c d e Schreiber 1990, p. 163.
  13. ^ a b c Bianchi 2012, p. 14.
  14. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.87 del 13 aprile 1946.
  15. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.122 del 27 maggio 1935,

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Viscardo Azzi, I disobbedienti della 9ª armata. Albania 1943-1945, Milano, Ugo Mursia, 2010.
  • Alberto Becherelli, Andrea Carteny e Fabrizio Giardini, L’Albania indipendente e le relazioni italo-albanesi (1912-2012), Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2013, ISBN 88-6812-135-2.
  • Andrea Bianchi, Gli ordini militari di Savoia e d'Italia Vol.2, Associazione Nazionale Alpini, 2012.
  • (DE) Hermann Frank Meyer, Blutiges Edelweiß: die 1. Gebirgs-Division im Zweiten Weltkrieg, Berlin, Christoph Link Verlag, 2008, ISBN 3-86153-447-9.
  • (DE) Gerhard Schreiber, Die italienischen Militärinternierten im deutschen Machtbereich (1943-1945), Munchen, R.Oldenbourg Verlag Gmbh, 1990, ISBN 3-486-59560-1.
  • (EN) Harold William Tilman, When Men and Mountains Meet, Cambridge, Cambridge University Press, 1946.

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]