Operazione Enduring Freedom

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Operazione Enduring Freedom
parte guerra al terrorismo
Soldati statunitensi della 10ª divisione da montagna schierati durante l'operazione Enduring Freedom
Data7 ottobre 2001 - 28 dicembre 2014
(13 anni e 82 giorni)
LuogoBandiera dell'Afghanistan/Bandiera dell'Afghanistan/Bandiera dell'Afghanistan Afghanistan
Bandiera delle Filippine Filippine
Bandiera della Somalia Somalia
Bandiera della Georgia Georgia
Bandiera del Kirghizistan Kirghizistan
Maghreb
CausaAttentati dell'11 settembre 2001
EsitoVittoria della Coalizione
Morte di Osama bin Laden
Schieramenti
In Afghanistan (lista completa)

Nelle Filippine (lista completa)

In Somalia/Corno d'Africa (lista completa)

In Georgia
In Kirghizistan
Lista completa
In Afghanistan
Nelle Filippine
In Somalia

Nel Sahara:

Comandanti
Voci di operazioni militari presenti su Wikipedia

L'operazione Enduring Freedom ("libertà duratura" in lingua inglese, acronimo OEF) è il nome in codice ufficialmente utilizzato dal governo degli Stati Uniti d'America per designare alcune operazioni militari avviate dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. Sebbene il termine valga a designare anche le campagne OEF Filippine (OEF-P già Freedom Eagle) e OEF Corno d'Africa (OEF-HOA), viene utilizzato, per antonomasia, per l'operazione militare lanciata nel 2001 contro i Talebani in Afghanistan, primo atto della guerra al terrorismo.

Dopo 13 anni, il 28 dicembre 2014, il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama annunciò la fine dell'operazione Enduring Freedom in Afghanistan.[1] Le successive operazioni in Afghanistan da parte delle forze militari degli Stati Uniti, sia non combattenti che combattenti, sono avvenute sotto il nome di operazione Freedom's Sentinel.[2]

Operazioni subordinate[modifica | modifica wikitesto]

L'operazione Enduring Freedom si riferiva più comunemente alla missione di combattimento guidata dagli Stati Uniti in Afghanistan.[3][4] Ma Il nome in codice è stato utilizzato anche per operazioni di antiterrorismo in altri paesi contro Al-Qaida e i talebani, come OEF-Filippine e OEF-Trans Sahara, principalmente attraverso veicoli di finanziamento del governo.[5][6]

Premesse[modifica | modifica wikitesto]

L'Afghanistan, negli anni novanta del XX secolo dopo la lunga guerra contro i sovietici, era caduto nelle mani della milizia fondamentalista islamica dei Talebani, che imposero al devastato paese asiatico la Sharia nella sua forma più rigida e diedero ospitalità e sostegno al terrorismo, in particolare alla rete terroristica di Al-Qaida guidata da Osama bin Laden. Al-Qaida aveva impiantato in Afghanistan numerosi campi di addestramento per miliziani-terroristi, colpendo già gli Stati Uniti negli anni novanta (attentati a Nairobi ed in Yemen).

L'11 settembre 2001 cellule di questa organizzazione hanno promosso quattro spaventosi attacchi terroristici a New York e Washington, con un bilancio di quasi tremila morti. Pochi giorni dopo, il governo statunitense guidato da George W. Bush additò, sulla base di prove in possesso della CIA, dei precedenti degli anni '90 e della stessa rivendicazione, Al-Qaida quale organizzatrice degli attacchi, intimando al governo afghano dei Talebani di collaborare alla persecuzione dei responsabili (il 20 settembre scadeva inutilmente l'ultimatum): al rifiuto ed alle risposte provocatorie (processo da parte di corte islamica o consegna a paese terzo di Osama bin Laden), il governo degli Stati Uniti, di concerto con la comunità internazionale, ha lanciato un'offensiva militare.

Dal 2001, la spesa cumulativa del governo degli Stati Uniti per l'operazione Enduring Freedom ha superato i 150 miliardi di dollari.[13]

Operazione militare[modifica | modifica wikitesto]

Il 7 ottobre 2001 ebbe inizio la prima fase dell'operazione Enduring Freedom: intensi bombardamenti aerei britannici ed americani a sostegno della resistenza anti-talebana dell'Alleanza del Nord, che avrebbe avuto ragione della roccaforte di Mazar-i Sharif il 9 novembre e della capitale Kabul fra il 12 ed il 13 novembre. Il 25 novembre cade anche Konduz ed il 7 dicembre Kandahar. I talebani in rotta si rifugiarono sulle montagne, particolarmente nelle aree al confine col Pakistan, dove si sono riorganizzati.[14]

Sono seguite operazioni notevoli della coalizione, intanto dispiegatasi sul territorio anche per sostenere il nuovo governo democratico guidato da Hamid Karzai, intorno a Tora Bora (dicembre 2001-marzo 2002) e l'operazione Anaconda.

Il 5 ottobre 2006 il controllo dell'Afghanistan è ufficialmente passato da Enduring Freedom alla missione ISAF a guida NATO.

Operazione Enduring Freedom - Filippine (OEF-P)[modifica | modifica wikitesto]

L'operazione Libertà Duratura – Filippine (Operation Enduring Freedom – Philippines in lingua inglese, acronimo OEF-P) è un'operazione militare parte dell'operazione Enduring Freedom e della guerra globale al terrorismo. Circa 600 militari statunitensi sono dispiegati per assistenza alle forze armate delle Filippine nel sud delle Filippine. Inoltre, la CIA ha inviato i suoi funzionari élite paramilitari dai loro Special Activities Division per scovare e uccidere o catturare i principali leader del terrorismo. Questa operazione ha avuto il maggior successo nella lotta e nella cattura di diversi leader di al-Qāʿida e dei suoi gruppi associati come Abu Sayyaf.

Operazione Enduring Freedom - Trans Sahara (OEF-TS)[modifica | modifica wikitesto]

L'operazione Libertà Duratura - Trans Sahara (Operation Enduring Freedom - Trans Sahara in lingua inglese, acronimo OEF-TS) è la componente militare americana della Trans-Saharian Counter-Terrorism Initiative.

Essa prevede azioni militari e paramilitari, al fine di eliminare le reti terroriste transnazionali, le loro infrastrutture e condizioni di attività.

Paesi partecipanti[modifica | modifica wikitesto]

Un gruppo di navi di nazioni partecipanti all'Operazione Enduring Freedom. Tra di esse si distinguono la Maestrale prima in alto e il Durand De La Penne ultimo in basso

con il contributo militare di Albania, Belgio, Croazia, Danimarca, Irlanda, Lituania, Norvegia, Nuova Zelanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia.

Fra i paesi islamici hanno fornito una diretta collaborazione: il Bahrein e la Giordania, l'Uzbekistan ha fornito le basi logistiche. Ma la collaborazione fondamentale è stata quella del Pakistan guidato da Pervez Musharraf.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) DOD News, Defense Media Activity, Operation Enduring Freedom comes to an end, in U.S. Army, 29 dicembre 2014. URL consultato il 17 agosto 2017 (archiviato dall'url originale il 18 agosto 2017).
  2. ^ a b Andrew Tilghman, Despite war's end, Pentagon extends Afghanistan campaign medal, in MilitaryTimes, 19 febbraio 2015. URL consultato il 28 febbraio 2015 (archiviato dall'url originale il 21 febbraio 2015). Richard Sisk, Amid Confusion, DoD Names New Mission 'Operation Freedom's Sentinel', in Military.com, 29 dicembre 2014. URL consultato il 28 febbraio 2015 (archiviato dall'url originale il 28 febbraio 2015). Matthew Rosenberg, Eric Scmitt e Mark Mazzetti, U.S. Is Escalating a Secretive War in Afghanistan, in The New York Times, 12 febbraio 2015. URL consultato il 28 febbraio 2015 (archiviato dall'url originale il 17 febbraio 2015).
  3. ^ (EN) Dave Philipps, Mission Ends in Afghanistan, but Sacrifices Are Not Over for U.S. Soldiers, in The New York Times, 31 dicembre 2014. URL consultato il 17 agosto 2017 (archiviato dall'url originale il 18 agosto 2017).
  4. ^ (EN) Judy Dempsey, NATO to add to Afghanistan troops, in The New York Times, 20 luglio 2005. URL consultato il 17 agosto 2017 (archiviato dall'url originale il 18 agosto 2017).
  5. ^ (EN) Helping Georgia?, su bu.edu, Boston University Institute for the Study of Conflict, Ideology and Policy, marzo–aprile 2002. URL consultato il 14 febbraio 2007 (archiviato dall'url originale il 7 settembre 2006).
  6. ^ (EN) Dan Lamothe, Meet Operation Freedom's Sentinel, the Pentagon's new mission in Afghanistan, su The Washington Post, 29 dicembre 2014. URL consultato il 17 agosto 2017 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2017).
  7. ^ (EN) United States Department of Defense, Obama, Hagel Mark End of Operation Enduring Freedom, in Defense, United States of America, United States Department of Defense, dicembre 2014. URL consultato il 21 marzo 2015 (archiviato dall'url originale il 14 marzo 2015).
  8. ^ (EN) Linda Robinson, Patrick B. Johnston e Gillian S. Oak, U.S. Special Operations Forces in the Philippines, 2001–2014 (PDF), Santa Monica, California, RAND Corporation, 6 aprile 2016, ISBN 978-0-8330-9210-6. URL consultato il 17 agosto 2017 (archiviato dall'url originale il 19 agosto 2017).
  9. ^ (EN) Nick Turse, US Special Operations Forces Are in More Countries Than You Can Imagine, in The Nation, 20 gennaio 2015. URL consultato il 17 agosto 2017 (archiviato dall'url originale il 18 agosto 2017).
  10. ^ (EN) Spencer C. Tucker, The Encyclopedia of Middle East Wars: The United States in the Persian Gulf, Afghanistan, and Iraq Conflicts [5 volumes]: The United States in the Persian Gulf, Afghanistan, and Iraq Conflicts, ABC-CLIO, 8 ottobre 2010, p. 415, ISBN 978-1-85109-948-1. URL consultato il 17 novembre 2015 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2016). Raymond Monsour Scurfield e Katherine Theresa Platoni, War Trauma and Its Wake: Expanding the Circle of Healing, Routledge, 10 settembre 2012, p. 268, ISBN 978-1-136-45788-3. URL consultato il 17 novembre 2015 (archiviato dall'url originale l'11 giugno 2016).
  11. ^ (EN) Statement of Admiral James G. Stavridis, United States Navy Commander, United States Southern Command Before the House Committee on Appropriations Subcommittee on Defense (PDF), 5 marzo 2008 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2016).
  12. ^ (EN) Daniel P. Bolger, Why We Lost: A General's Inside Account of the Iraq and Afghanistan Wars, Houghton Mifflin Harcourt, 2014, p. xiii, 415, ISBN 9780544370487.
  13. ^ (EN) FAS (PDF). URL consultato il 17 novembre 2015 (archiviato dall'url originale il 1º maggio 2015)..
  14. ^ Generalità, su Ministero della difesa.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Maddalena Oliva, Fuori Fuoco. L'arte della guerra e il suo racconto, Bologna, Odoya, 2008 ISBN 978-88-6288-003-9.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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