Eete

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Eete
Re Eete in un dipinto di Bartolomeo di Giovanni.
SagaLe Argonautiche
Nome orig.Αἰήτης
Caratteristiche immaginarie
Sessomaschio
Professionere della Colchide

Eete (in greco antico: Αἰήτης?, Aiḕtēs) o Eeta oppure Eeto, è un personaggio della mitologia greca.

Genealogia[modifica | modifica wikitesto]

Era figlio del dio Elio e di Perseide, nonché fratello di Circe,[1] Perse[2] e Pasifae,[3] moglie di Minosse e regina di Creta.

Ebbe il figlio Apsirto da una ninfa del Caucaso di nome Asterodea[4].

Da Idia[1], figlia di Oceano, ebbe Medea e Calciope[5].

Mitologia[modifica | modifica wikitesto]

La Colchide e l'Iberia.

Il viaggio verso est[modifica | modifica wikitesto]

Eete ebbe la terra dell'Efira nel Peloponneso da suo padre Elio e ne divenne re, ma lasciò quel luogo a uno dei suoi uomini fidati (Buno), che fu posto come reggente della città, e partì verso oriente, attraversando l'Ellesponto ed il Mar Nero fino a raggiungere le regioni costiere del Caucaso, dove s'insediò. Fondò la città di Aia sul fiume Fasi, nella regione della Colchide.

Frisso, gli Argonauti ed il vello d'oro[modifica | modifica wikitesto]

Giasone e gli Argonauti incontrano Eete (il secondo a destra), Charles de La Fosse, Reggia di Versailles.

Eete fu raggiunto da Frisso, che fuggiva dalla Beozia volando su un ariete con il manto d'oro (il Crisomallo) e doni che cedette in cambio della mano di Calciope. Una volta sacrificato l'ariete a Zeus, Frisso ne donò il manto a Eete, che lo fece inchiodare a una quercia[3].

Quando Giasone e gli Argonauti giunsero ad Aia con lo scopo di recuperare il vello d'oro e riportarlo a Pelia, Eete, cui un oracolo aveva predetto la fine del suo regno se il vello d'oro fosse stato sottratto,[6] per tutta risposta si infuriò, burlandosi del comandante e dei suoi compagni, e ordinandogli di fare ritorno ai propri luoghi d'origine.[7]

Giasone non rispose alla collera con l'ira: i suoi modi furono tanto educati che Eete quasi cambiò idea, ma pose comunque delle condizioni inaccettabili. Per recuperare il vello d'oro Giasone avrebbe infatti dovuto:[8]

  • aggiogare all'aratro due feroci tori dagli zoccoli di bronzo e dalle narici fiammeggianti; fiere bestie di proprietà di Efesto, il dio dell'ingegno;[9]
  • tracciare quattro solchi nel terreno chiamato Campo di Marte e seminarci dei denti di drago: quelli, pochi e perduti, che Cadmo aveva seminato tempo addietro a Tebe.

Nell'udire le condizioni Giasone rabbrividì, ma in suo aiuto intervenne il favore degli dei: Eros, il dio dell'amore, fece sì che Medea si innamorasse del giovane comandante.

La maga Medea[modifica | modifica wikitesto]

Giasone e Medea, opera di John William Waterhouse, 1907.

Innamoratasi di Giasone e temendo che fosse ucciso dai tori, Medea, nata in Colchide e diventata maga, promise all'uomo di aiutarlo a superarli e di consegnargli il vello solo se avesse giurato di sposarla e di portarla con sé nel viaggio di ritorno in Grecia. Lui giurò di farlo e ottenne da lei un unguento che lo avrebbe protetto per un solo giorno, da usare ungendo lo scudo, la lancia ed il corpo, così da poter sfidare i tori senza temere il loro fuoco o i loro zoccoli.

Medea mise anche in guardia Giasone del fatto che quando i denti del drago sarebbero stati seminati, subito dalla terra sarebbero spuntati degli uomini armati e destinati ad avventarsi su di lui, suggerendogli di lanciare delle pietre contro di essi, così da distrarli e cogliere il momento per attaccarli.[2].

Quando, grazie ai consigli della donna, Giasone ebbe sconfitto i tori e ucciso i nemici, Eete rifiutò lo stesso di cedere il vello e così Medea, rivoltandosi al padre, addormentò per una notte il drago che difendeva il vello e lo portò a Giasone il quale, salito a bordo dell'Argo si preparò a salpare con lei e il resto dell'equipaggio. Sopraggiunse anche Apsirto, fratellastro di Medea, che si imbarcò con gli Argonauti[2].

L'inseguimento[modifica | modifica wikitesto]

Medea uccide Apsirto e lo getta a pezzi in mare.

Quando Eete scoprì il furto del vello, prese anch'esso il mare e partì all'inseguimento della nave, ma Medea, spietata, uccise Apsirto e ne tagliò il corpo in pezzi, gettandoli in mare e costringendo così Eete a fermarsi per raccoglierli, e a tornare indietro per dare al figlio un degno funerale[3].
Eete mandò molte persone alla ricerca dell'Argo e della figlia, ma queste non tornarono mai.

L'epilogo della tragedia[modifica | modifica wikitesto]

Eete un giorno uccise Frisso poiché un oracolo gli aveva predetto che un discendente di Eolo lo avrebbe ucciso[2].

Tempo dopo Eete fu deposto dal trono da suo fratello Perse, così Medea ritornò in Colchide per uccidere lo zio e rimettere sul trono il padre[3].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b HESIOD, THEOGONY - Theoi Classical Texts Library, su www.theoi.com. URL consultato il 14 luglio 2022.
  2. ^ a b c d HYGINUS, FABULAE 1-49 - Theoi Classical Texts Library, su www.theoi.com. URL consultato il 14 luglio 2022.
  3. ^ a b c d APOLLODORUS, THE LIBRARY BOOK 1 - Theoi Classical Texts Library, su www.theoi.com. URL consultato il 14 luglio 2022.
  4. ^ APOLLONIUS RHODIUS, ARGONAUTICA BOOK 3 - Theoi Classical Texts Library, su www.theoi.com. URL consultato il 14 luglio 2022.
  5. ^ Rhodius Kelly - University of Toronto e R. C. (Robert Cooper) Seaton, The Argonautica, London : Heinemann ; New York : G.P. Putnam, 1912. URL consultato il 14 luglio 2022.
  6. ^ Igino, Favole, 22.
  7. ^ Apollonio Rodio, Le Argonautiche, libro III, versi 367-381.
  8. ^ Apollonio Rodio, Le Argonautiche, libro III, versi 407-421.
  9. ^ Pseudo-Apollodoro, Biblioteca, libro I, 9, 23.

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