Discussione:Eresia tricapitolina

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Della definizione di eresia tricapitolina compresa nell'articolo non riesco a capire la differenza concettuale e dottrinaria tra l'eresia e l'ortodossia: ambedue ammettono la natura divina e la natura umana di Cristo. Lo scisma tricapitolino, benché collocato lontano nel tempo e risoltosi poi con la pacificazione, è una pagina triste nella storia della Chiesa (la separazione durò circa un secolo e mezzo ed interessò un vasto territorio) e di cui non si fa particolare menzione. Penso che l'intervento dell'imperatore Giustiniano con un suo Editto e la volontà di imporlo sia stato di per sè un intervento "pesante"; a questo punto mi riesce però difficile capire, anche per la mia poca conoscenza, se la risposta delle chiese del Nord Italia avesse valide motivazioni teologiche e cioè se partivano da posizioni di difesa della verità oppure da posizioni decisamente ereticali non conciliabili con la verità. In definitiva gli scismatici difesero integralmente l'interpretazione calcedoniana: Cristo vero Dio e vero uomo oppure diedero una interpretazione diversa? E se diversa, quale? Oppure fu la reazione al "sopruso" imperiale in materia religiosa e all'atteggiamento ondivago tenuto da papa Vigilio? I tricapitolini, nella liturgia conservarono i riti o apportarono modifiche di rilievo? I loro Sinodi successivi introdussero variazioni dottrinali eretiche rispetto alla chiesa di Roma? Quali compromessi, di comune accordo, (il concilio di Pavia, tenuto da vescovi cattolici e vescovi tricapitolini), furono sottoscritti per ricucire lo scisma? Se qualcuno me lo può spiegare, sarei grato. Franco




In effetti non c'era una grande differenza dottrinale tra l'eresia e l'ortodossia: è vero che ambedue ammettevano la natura divina e la natura umana di Cristo. Il fatto è che Giustiniano, che voleva tenersi buoni i monofisiti, non poteva comunque togliere di mezzo le definizioni dogmatiche sancite a Calcedonia. Quindi, che cosa fece? Fece condannare come nestoriani tre teologi tipicamente "antiocheni": Teodoreto, Teodoro e Iba. Soprattutto Teodoro, al tempo del concilio di Efeso, non era stato tenero nei confronti di Cirillo Alessandrino. Insomma: non posso concedervi che a Calcedonia avevano sbagliato tutto, però (accettando lo schema per cui Efeso e Calcedonia tendevano in due direzioni diverse), vi condanno in nome del concilio di Efeso tre antiocheni che invece a Calcedonia erano delle autorità.

Chiedevi se la risposta delle chiese del Nord Italia di fronte al pesante intervento di Giustiniano (in puro stile cesaropapista) avesse valide motivazioni teologiche: in realtà si può dire abbastanza tranquillamente che i tre teologi condannati, alla fin fine, non erano affatto eretici. Ma il fatto è che qui giocavano anche dei fattori di "orgoglio ecclesiale" (passami l'espressione). Teodoro, Teodoreto e Iba erano molto vicini all'ambiente romano che aveva voluto Calcedonia e la condanna del monofisismo. Tra i quattro teologi mandati da papa Leone a Costantinopoli nel 450 a preparare il concilio c'erano un milanese (il prete Senatore) e un comasco (il vescovo Abbondio). Addirittura Teodoreto aveva scritto ad Abbondio per complimentarsi del buon esito della sua missione: accettare la condanna dei tre significava screditare tutta la corrente di cui Abbondio era esponente.

Circa la liturgia, non possiamo dire molto, perché non abbiamo molti documenti. La provincia di Aquileia aveva un proprio rito (patriarchino), in uso anche a Como (ufficialmente fino al Cinquecento), ma in realtà i pochi testi che abbiamo ci presentano una liturgia molto simile a quella che oggi definiamo tout-cour "rito romano". Diverso è il caso di Milano: quando l'arcivescovo Onorato fuggì a Genova con il clero maggiore, dovette ovviamente ricomporre lo scisma per la sua parte (Genova era città bizantina). Il poco clero rimasto a Milano (ufficialmente ancora scismatico) venne "rimpolpato" da preti greci e siriaci, che probabilmente importarono in quel momento i testi e i riti di sapore più tipicamente orientale ancora oggi propri del rito ambrosiano. Quindi, lo scisma tricapitolino rientra tra i fattori di sviluppo nella storia della liturgia milanese, ma solo in modo accidentale, non direttamente. Per quello che se ne sa...

Anche circa i sinodi non abbiamo a disposizione quasi nessuna fonte, ma l'impressione che ho è che alla fine non entrassero in gioco fattori dottrinali (neanche nei loro risvolti liturgici o di "sensibilità" teologica). In effetti, si trattava davvero di uno scisma, molto più che di una eresia; scherzandoci sopra un po', è come se gli scismatici affermassero: «Siamo diversi da loro, anche se non sappiamo bene perché».

Circa il concilio di Pavia, riporto un brano di M. Troccoli-Chini (da Helvetia Sacra): «[Una epigrafe sepolcrale attribuita con argomenti persuasivi al vescovo di Como Gausoaldus] come azione principale della sua vita ricorda che egli a Roma si era impegnato a credere gli articoli fissati nei concili ecumenici. Non si potrà trattare di altro che della fine dello scisma. Nel 698 vescovi scismatici (Aquilegienses) e rappresentanti dell'ortodossia, riuniti a Pavia per iniziativa del re Cuniberto, risolsero di inviare a Roma dei delegati al papa. Essendo Como di tutte le diocesi del patriarcato la più vicina a Pavia e come posto estremo particolarmente interessata ad una pacificazione, si può supporre che il suo vescovo abbia preso parte al sinodo». Abbiamo anche un Carmen de Synodo Ticinensi in MGH SS Rer Lang., che però non fa nomi dei vescovi impegnati nella pacificazione (li chiama, appunto, Aquilegienses).

Marco - Varedo (Talmid3)