Discussione:Ballottaggio

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Etimologia[modifica wikitesto]

Ho seri dubbi sulla etimologia del termine, a me pare abbia molte più relazioni con la "balota" che era una palla usata nel "balotazo" per la elezione del Doge in Venezia in cui veniva inserito il biglietto con il nome del Doge da eleggere. --82.58.230.141 (msg) 18:43, 11 giu 2010 (CEST)[rispondi]

30/11/2012 13:28 in realtà è quasi certamente così. ho lasciato la prima ipotesi inserendo un dubitativo e ho aggiunto la sezione veneziana. Secondo l’Oxford English Dictionary, la prima occorrenza del termine inglese ballot, ovverosia “A small ball used for secret voting; hence, by extension, a ticket, paper, etc. so used.” Si ha proprio nella descrizione di Venezia fornita da William Thomas nella sua Historie of Italie (1549). Aggiungo, per completezza d'informazione, che non il nome del doge veniva estratto dall'urna, ma con le sfere venivano più semplicemente selezionati (era una vera e propria scrematura) gli elettori del doge. Il sistema era il seguente: radunato il Maggior Consiglio e allontanati i membri al di sotto dei trent’anni, si mettevano nell’urna tante palle (dette ballotte, appunto, trenta delle quali dorate) quanti erano i presenti. Chiamati uno per volta, a ciascuno veniva consegnata la ballotta estratta di volta in volta da un ragazzo detto "balotin del doxe", scelto a caso in Basilica di San Marco dal consigliere più giovane e da un capo della Quarantia, che successivamente godeva il privilegio di entrare nella cancelleria, compiuti i quindici anni, e comunque entrava a far parte della corte per tutta la durata del principato. Primi elettori rimanevano i trenta cui era toccata la sfera dorata. Mano a mano che ad ognuno di loro toccava la sfera, i loro parenti e congiunti uscivano, sì che non vi fosse – tra i trenta – nessuno della stessa famiglia. Rimesse nell’urna nove palle d’oro e ventuno d’argento, si estraevano i nove che dovevano nominarne quaranta, fra i quali si sorteggiavano i dodici che dovevano eleggerne venticinque; un nuovo sorteggio di nove di loro portava all’elezione di altri quarantacinque, dai quali si traevano a sorte gli undici che nominavano i quarantuno veri e diretti elettori del doge (che dal 1553 in poi dovettero essere anche approvati, uno ad uno, dal Maggior Consiglio). Alberto Toso Fei